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I L “F OLLE V OLO ” DI U LISSE NEL XXVI C ANTO DELL ’I NFERNO

IL DUECENTO E IL TRECENTO IN ITALIA

3.2 IL NAUFRAGIO NELLA COMMEDIA DANTESCA

3.2.1 I L “F OLLE V OLO ” DI U LISSE NEL XXVI C ANTO DELL ’I NFERNO

Il mare che Dante scorge sulla spiaggia del Purgatorio è proprio quello in cui Ulisse e i suoi compagni erano affondati, desiderando oltrepassare le colonne d’Ercole. Nel XXVI canto dell’Inferno il poeta toscano presenta la figura dell’eroe omerico raccontando la storia della sua morte e del motivo per cui egli si ritrova ad essere nell’ottava bolgia, quella dei consiglieri fraudolenti.

Dante, al suo tempo, conosceva diverse tradizioni mitico-letterarie riguardanti la figura di Odisseo. Una di queste presentava l’eroe come un imbroglione, un ingannatore, un inventore di storie false e un oratore illusionista. Un’altra tradizione lo raffigurava, invece, come un modello di virtù e saggezza, come un uomo instancabile e sempre alla ricerca della conoscenza. Nel caratterizzare la figura di Ulisse all’interno della Commedia, Dante elabora queste diverse tradizioni letterarie e, inoltre, prende spunto dalla profezia fatta dall’indovino Tiresia nell’XI canto dell’Odissea. Egli aveva vaticinato che Odisseo, dopo il rientro ad Itaca e la vendetta contro i Proci, avrebbe dovuto affrontare una “prova senza misura, lunga e difficile”, imbarcandosi per un ultimo viaggio ai confini del mondo, che lo avrebbe condotto ad un paese i cui abitanti “non conoscono né il cibo condito col sale, né il mare, né i remi”. Allora Odisseo, dopo aver compiuto dei sacrifici per placare l’ira di Poseidone, sarebbe morto serenamente. Questa profezia, dunque, ha dilatato notevolmente i vagabondaggi di Odisseo per il mondo ed è proprio basandosi su di essa che Dante costruisce il viaggio dell’eroe greco nel XXVI canto dell’Inferno.

Virgilio e il pellegrino Dante entrano nell’ottava bolgia in un’atmosfera nella quale il sole al tramonto e il crepuscolo creano un’oscurità che non fa altro che risaltare lo splendore della fiamma che brucia gli spiriti dei consiglieri fraudolenti. Qui l’attenzione di Dante viene attirata da una fiamma biforcuta che ospita al suo interno Ulisse e Diomede. Interrogato dal duca Virgilio, la fiamma di Ulisse si anima e inizia a

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raccontare in prima persona le vicende che lo condussero alla morte. L’eroe e la sua “compagna picciola” avevano deciso di salpare verso il Mediterraneo occidentale fino ad oltrepassare lo stretto di Gibilterra, lasciandosi alle spalle Ceuta da una parte e Siviglia dall’altra:

“O frati, - dissi - che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia d’i nostri sensi ch’è del rimanente non vogliate negar l’esperïenza, di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Li miei compagni fec’io sì aguti,

con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte, e ’l nostro tanto basso, che non surgëa fuor del marin suolo. Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo, quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avëa alcuna.

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; ché de la nova terra un turbo nacque e percosse del legno il primo canto. Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui piacque, infin che ’l mar fu sovra noi richiuso.”89

Dopo aver convinto i compagni con la sua “orazion picciola”, Ulisse dà inizio al “folle volo” e oltrepassa le colonne d’Ercole, che nella mitologia hanno da sempre

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simboleggiato il limite ontologico assegnato all’uomo. Si inizia ad intravedere il polo meridionale mentre quello settentrionale, pian piano, scompare. All’improvviso si staglia di fronte all’imbarcazione un’altissima “montagna bruna” e, per un attimo, Ulisse inizia a sperare di aver trovato una nuova terra, un mondo nuovo. Si tratta proprio della montagna del Purgatorio, che il pagano Ulisse però non può raggiungere. Un “turbo” sconosciuto allora nasce da quell’ignoto territorio e colpisce la nave facendola vorticare per tre volte, fino ad inabissarla insieme ai suoi passeggeri.

Questa è la fine dell’illustre eroe greco, l’unico personaggio dell’Inferno ad essere ucciso da un Dio che non conosce.90 L’Ulisse dantesco, infatti, è una figura completamente differente rispetto a quella dell’antico eroe omerico, riuscito a scampare a numerosi naufragi e tempeste marine. Piero Boitani91 ha individuato come il viaggio compiuto da Ulisse possa avere due valenze differenti, una esistenziale e una storica. Da una parte, l’eroe dantesco, superando le colonne d’Ercole, vuole oltrepassare i limiti ontologici imposti all’uomo e desidera fare esperienza della morte e del non-essere; dall’altra, sul piano storico, egli rappresenta l’archetipo del navigatore moderno che farà vela verso il nuovo mondo.

Sicuramente, però, possiamo definire il personaggio di Ulisse come un doppio del pellegrino Dante: sono numerosi i parallelismi che intercorrono tra l’episodio del “folle volo” e il cammino dantesco nei tre regni ultraterreni.

L’ “alto passo” nominato dall’eroe greco corrisponde, senza dubbio, al “passo che non lasciò già mai persona viva” che Dante si volge a “rimirare” dopo essere scampato al naufragio all’interno della selva oscura. Entrambi, infatti, percorrono un mare che mai nessuno aveva attraversato in precedenza: Ulisse viola il divieto di superare lo stretto di Gibilterra; Dante, invece, procede nella sua navigazione grazie all’eccezionale privilegio che gli viene concesso. Maria Corti92 ha individuato, inoltre, come la piccola orazione fatta da Dante nel II canto del Paradiso abbia delle corrispondenze con l’ “orazion picciola” pronunciata da Ulisse: entrambe iniziano con un’esclamazione (Dante ai lettori e Ulisse ai compagni) e proseguono con un’esortazione di segno contrario (quella di Dante: “non vi mettete in pelago, ché forse, / perdendo me, rimarreste smarriti.”; quella di Ulisse: “non vogliate negar l’esperïenza, /

90 P. Boitani, L’ombra di Ulisse. Figure di un mito, p. 53. 91 Ivi, p. 35.

92 M. Corti, Le metafore della navigazione, del volo e della lingua di fuoco nell’episodio di Ulisse, pp.

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di retro al sol, del mondo sanza gente.”); alla “piccioletta barca” dei lettori di Dante corrisponde l’ulissiaca “compagna picciola”.

Nella Commedia Dante sceglie per se stesso un “volo” differente rispetto a quello ulissiaco, un percorso non più “folle”, ma pieno di luce, saggio e illuminato dalla dottrina cristiana.93 La “sete del sapere per il sapere”94, che anima il personaggio di Ulisse, porta al naufragio e al “folle volo” verso il baratro; al contrario, la “sete del deiforme regno”95

guida l’uomo verso la realtà cristiana e lo conduce ad un volo verso l’alto. La navigazione di Ulisse, dunque, pur essendo un modello positivo per la ricerca di “virtute e canoscenza”, non viene svolta con i giusti mezzi e per questo porta al naufragio: l’aggettivo “picciola”, ripetuto per ben tre volte in “compagna picciola”, “picciola vigilia” e “orazion picciola”, serve proprio a sottolineare l’insufficienza delle capacità di Ulisse e compagni, in confronto all’immenso spazio della navigazione, l’ “alto passo”, e alla grandissima montagna del Purgatorio, “alta tanto quanto veduta non avea alcuna”.

L’Ulisse dantesco ha usato le sue capacità per aggirare i compagni e, per questo motivo, è finito nel girone dei fraudolenti. Egli è convinto che al di là delle Colonne d’Ercole riuscirà a realizzare in modo totale il senso della sua esistenza, quello di “capire e conoscere”. In realtà, però, essendo vissuto in un’epoca in cui non era ancora manifesta l’esistenza di Dio, egli ignora che il vero significato della vita umana dev’essere ricercato solo ed esclusivamente all’interno della religione cristiana.

Secondo la Corti, a livello figurato, Ulisse potrebbe rappresentare un intellettuale trasgressivo che usa il suo ingegno senza seguire la virtus etico-religiosa.96 Il Dante, narratore e creatore della lettura allegorica, sicuramente lo condanna, contrapponendo in tutta la Commedia la propria posizione a quella del naufrago greco. L’uomo Dante, però, non può non sentire il fascino della sua storia e della sua figura di uomo precursore della modernità e assetato di “virtute e canoscenza”.

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M. Mannocchi, Tempeste e Approdi. La letteratura del naufragio come ricerca di salvezza, pp. 138- 145.

94 M. Corti, Le metafore della navigazione, del volo e della lingua di fuoco nell’episodio di Ulisse, p. 488. 95 Dante, Paradiso, II, vv. 19-20.

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