• Non ci sono risultati.

PETRARCA: PASSA LA NAVE MIA…

IL DUECENTO E IL TRECENTO IN ITALIA

3.3 PETRARCA: PASSA LA NAVE MIA…

Anche per l’aretino Petrarca il tema del viaggio e in particolar modo quello del naufragio hanno costituito un topos estremamente frequentato. Per il poeta del Canzoniere la vita è paragonabile ad un continuo errare tra le tempeste del proprio io e la letteratura ha la funzione di descrivere l’esperienza personale dell’autore e di presentare in maniera chiara e diretta le sue ansie e preoccupazioni riguardo al ruolo da ricoprire all’interno del mondo e al senso spirituale del pellegrinaggio della vita.97

Per Petrarca il naufragio non è semplicemente un’occasionale metafora, ma un tema che egli ha elaborato in risposta a un dilemma che lo ha sempre attanagliato: quello del contrasto tra la figura della Laura salvifica e idealizzata, al pari della Beatrice dantesca, e l’immagine della donna sensuale, indentificata con l’oggetto peccaminoso del desiderio. Il campo semantico del viaggio per mare, dunque, ha offerto al poeta aretino la possibilità di rappresentare quel “pianeta sconosciuto, instabile e contraddittorio della sua anima”.98

Il modo particolare in cui il poeta ha affrontato ed esposto questo tema ha lasciato intendere palesemente il motivo per cui egli non abbia mai utilizzato la metafora del viaggio marittimo in maniera trionfale e positiva, cosa che invece aveva fatto Dante nella Commedia e in particolare nel Paradiso.

Petrarca aveva sviluppato da subito un’avversione verso il viaggio marittimo, giurando che non avrebbe mai più rischiato di prendere la via del mare: nel novembre del 1343, a Napoli, aveva assistito dalla sicurezza della riva ad una tempesta estremamente violenta. Ha lasciato testimonianza di questo episodio nel V libro de Le Familiari:

“Nella darsena, un desolante, triste naufragio; quegli infelici che erano caduti in mare e tentavano con le mani di aggrapparsi alla terra vicina, erano stati scaraventati dall’onda sugli scogli e sfracellati come tenere uova. Tutta la spiaggia era ricoperta di cadaveri mutilati e ancora palpitanti; a questi uscivano fuori le cervella, a quest’altro gli intestini, e su tutto così alte grida di uomini e lamenti di donna da vincere il fragore del mare e del cielo.”99

Anche nel Secretum, dialogo scritto in latino in cui il poeta si rivolge direttamente a Sant’Agostino, Petrarca confessa di aver fatto più volte naufragio “tra i medesimi scogli”, cioè di non essere riuscito a resistere alle tentazioni della vanità e della lussuria e di essersi sentito, in un qualche modo, vicino al suo interlocutore:

97 J. Cachey, From Shipwreck to Port: Rvf 189 and the Making of the Canzoniere, pp. 30-49. 98 M. Picone, Il sonetto CLXXXIXI, p. 155.

99

44

“[…] tra le mie tempeste riconosco un certo qual ricordo del tuo ondeggiare. Donde viene che, ogni qualvolta leggo i libri delle tue Confessioni, combattuto da due sentimenti opposti, speranza cioè e timore, non senza lacrime di gioia talora credo di leggere la storia delle peregrinazioni non d’altri ma mia personale.”100

Alla fine del dialogo Petrarca augura a se stesso di riuscire con l’aiuto di Dio ad affrontare la sua tempesta interiore e ad aiutare il suo animo a venir fuori dai flutti che lo sballottano: “si calmino i flutti tempestosi del mio animo, taccia il mondo e la fortuna non imperversi fragorosa”101

.

La metafora del viaggio per mare assume nel Canzoniere un valore emblematico ed esemplare all’interno della drammatica esperienza umana e letteraria che il libro descrive. Per Petrarca, infatti, la relazione analogica fra il campo metaforico della “navigazione” e quello semantico della “vita” o dell’ “opera” rappresenta un topos letterario ormai consolidato nella letteratura occidentale. In particolare, come afferma anche Michelangelo Picone, la tradizione lirica e romanzesca volgare aveva sviluppato una topica che identificava nel viaggio per mare la quête dell’uomo medievale.102

Nel Canzoniere la metafora della navigatio ha il ruolo di tenere il filo della narrazione e di costruire ideologicamente il senso finale dell’opera. La scelta della navigatio piuttosto che della peregrinatio viene giustificata da Petrarca in seguito alla maggiore perigliosità che egli vuole attribuire al suo viaggio poetico-esistenziale, la cui conclusione non ha nessuna certezza.103 La maggior parte delle liriche dei Rerum Vulgarium Fragmenta sono quindi attraversate da un unico filo conduttore, costituito dall’allegoria dell’io-nave in tempesta che descrive la tensione interiore che anima il poeta, combattuto tra ciò che egli è e ciò che vorrebbe essere.104 In particolare il sonetto CLXXXIX, Passa la nave mia, descrive il momento della crisi finale del rapporto amoroso fra il poeta e la sua donna ed è collocato all’interno di una decade che cadeva al centro dell’opera e che doveva render manifesto il sistema ideologico sottostante alla sua composizione. Si trattava proprio della tematica dell’iter amoris, articolata secondo la metafora della navigazione e del volo meraviglioso verso il luogo in cui la donna manifesta la sua bellezza.105 L’ottimismo iniziale, però, viene drammaticamente rovesciato dal sonetto Passa la nave mia, che conclude la decade con una navigazione tempestosa e fatale. In questa lirica Petrarca racconta l’avventura della nave dell’io che

100 Petrarca, Secretum, I, 6.4, pp. 22-23. 101

Ivi, III, 18.8, p. 200-201.

102 M. Picone, Il motivo della “Navigatio” nel Canzoniere del Petrarca, p. 296. 103 Ivi, p. 295.

104M. Mannocchi, Tempeste e Approdi. La letteratura del naufragio come ricerca di salvezza, p. 180. 105

45

corre in maniera precipitosa verso il naufragio: egli si dibatte tra i flutti della vita amorosa senza avere una giusta rotta da seguire. Si legge nel sonetto:

“Passa la nave mia colma d’oblio per aspro mare, a mezza notte il verno, enfra Scilla et Caribdi; et al governo siede ‘l signore, anzi ‘l nimico mio. A ciascun remo un penser pronto et rio che la tempesta e ‘l fin par ch’abbi a scherno; la vela rompe un vento humido eterno di sospir’, di speranze et di desio. Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni bagna et rallenta le già stanche sarte, che son d’error con ignorantia attorto. Celansi i duo mei dolci usati segni; morta fra l’onde è la ragion et l’arte, tal ch’incomincio a desperar del porto.”106

La prima quartina della lirica ha la funzione di fissare gli elementi principali della narrazione: il soggetto (la nave del poeta), il luogo (Scilla e Cariddi) e il tempo (una notte d’inverno). La seconda quartina e la prima terzina, invece, descrivono l’avvenimento: si afferma che al comando della nave non c’è Ragione ma Amore e che l’oggetto del viaggio è la donna amata, Laura. La navigazione nel mare dell’amore è alimentata da un forte “desio” che allontana il poeta dalla giusta rotta. L’ultima terzina, infine, ci rivela la conclusione della narrazione: il viaggio dell’io nel mare in tempesta si rivela essere privo di una meta e le stelle dell’Orsa, che dovrebbero guidare la nave verso il porto, si sono eclissate. La nave dell’io, dunque, conduce una navigazione dura e difficile poiché è carica di tutti quei forti desideri che allontanano la vista del porto. Gli impetuosi soffi della passione percuotono la vela, che rappresenta la parte sensitiva dell’anima e le stanche sarte, che dovrebbero tenere ferma la cima dell’albero, sono bagnate e allentate a causa della pioggia e della nebbia. Questa metafora vuole simboleggiare il cedimento della volontà dell’io, ormai fiaccata dal pianto amoroso e da una vana ribellione: l’amore governa la nave e le passioni trascinano con forza le vele, la ragione, messa alla prova, vaga tra le onde dell’oblio e non riesce a condurre la nave in porto.

Picone ha individuato come Petrarca rappresenti la fine del suo iter erotico sia attraverso un’immagine mitica, quella del tema ulissiaco, che con una di valore

106

46 simbolico, quella dell’allegoria della nave.107

Parlando di Scilla e Cariddi, Petrarca vuole offrirci senza dubbio una moderna versione dell’Odissea, nella quale il poeta segue il percorso compiuto da Ulisse e ne condivide l’amaro destino di non riuscire a giungere all’approdo finale al porto. In particolare si può notare come il sintagma “colma d’oblio” alluda all’episodio dell’incontro di Ulisse con le Sirene. Nella dottrina cristiana, infatti, esse sono il simbolo di false immagini ingannevoli che conducono l’uomo al naufragio sugli scogli del peccato. L’io del poeta, volendo ascoltare il canto delle Sirene, ne rimane ammaliato e si avvicina pericolosamente al passo in cui risiedono i due mostri marini, Scilla e Cariddi. La Sirena-Laura, dunque, invita il poeta verso uno scoglio di perdizione e alienazione.

Un altro dato che emerge dall’analisi di Passa la nave mia è la completa contrapposizione tra la situazione in cui si ritrova il suo protagonista e quella del pellegrino del I canto dell’Inferno. A tal proposito Picone afferma:

“Mentre infatti nel prologo della Commedia il naufragio si è appena consumato, e l’io è sopravvissuto ad esso, anzi può guardare la scena del proprio naufragio (“si volge a l’acqua perigliosa e guata”) con la consapevolezza di essere oramai salvo; nel testo petrarchesco invece l’io si trova nell’imminenza del naufragio: non contempla la scena dell’ “aspro mare” dal di fuori, ma è dentro di essa.”108

Dante, dunque, aveva descritto il suo personaggio come un anti-Ulisse, Petrarca, al contrario, si rispecchia nell’immagine dell’eroe greco, il quale rappresenta perfettamente la sua anima errante. La quête lirica del poeta medievale è modellata sulla quête epica dell’eroe di Itaca: per Petrarca l’erranza non è una situazione temporanea e relativa ma uno stato duraturo della condizione umana.109

Anche nella canzone CCCXXIII, Standomi un giorno, in particolare nella seconda strofa, ritroviamo un esempio dell’uso della metafora della navigatio al fine di descrivere la situazione di precarietà in cui vive l’uomo:

“Indi per alto mar vidi una nave, con le sarte di seta, et d’or la vela, tutta d’avorio et d’ebeno contesta; e ‘l mar tranquillo, et l’aura era soave, e ‘l ciel qual è se nulla nube il vela, ella carca di ricca merce honesta: poi repente tempesta

oriental turbò sì l’aere et l’onde, che la nave percosse ad uno scoglio. O che grave cordoglio!

Breve hora oppresse, et poco spatio asconde,

107 M. Picone, Il motivo della “Navigatio” nel Canzoniere del Petrarca, p. 304. 108 Ivi, p. 302.

109

47 l’alte ricchezze a nul’altre seconde.”110

Qui il viaggio per mare viene presentato come sereno nella prima metà della strofa, nella quale viene descritta l’immagine di una nave meravigliosa che con il suo prezioso carico attraversa un mare piatto e tranquillo. Nella seconda parte della strofa, però, la scena cambia in maniera drastica: si leva una violenta tempesta che agita e sconvolge il mare e che fa naufragare l’imbarcazione sugli scogli. Questa metafora, dunque, sta ad indicare che la serenità terrena è una condizione momentanea e illusoria che cela dentro di sé la causa stessa della sua distruzione: la tempesta è uno stato costante della vita.

Alla fine del Canzoniere, però, si inizia ad intravedere una luce di speranza: si tratta della Madonna, Stella Maris, che rappresenta una guida per tutti i naviganti che hanno perso la rotta e non riescono a raggiungere la meta finale del porto. Laura, presenza terrena e tentatrice, scompare e viene sostituita dalla Vergine, immagine sublimata della femminilità. La quête verso la donna amata, dunque, non si può più conciliare con quella di Dio: l’eros non è più in grado di fornire le carte nautiche necessarie per poter ritrovare il vero porto e guidare la nave dell’io verso Dio. La canzone finale del Rerum vulgarium fragmenta, Vergine bella, che di sol vestita, si struttura come un palinodia nei confronti dei modi in cui il poeta aveva precedentemente impiegato la metafora nautica. Si legge ai vv. 66-71:

“Vergine chiara et stabile in eterno, di questo tempestoso mare stella, d’ogni fedel nocchier fidata guida, pon’ mente in che terribile procella i’ mi ritrovo sol, senza governo, et ò già da vicin l’ultime strida.”111

Per Petrarca, dunque, la metafora della navigazione diventa quella espressivamente più adatta a descrivere il problema dell’erranza umana con il suo doppio significato: quello negativo di esilio e lontananza da Dio e quello positivo di autoaffermazione personale. Il poeta aretino apre la strada alla metafora moderna del naufragio come strumento di autoconoscenza, inaugurando “quella tematica del naufragio che troverà in epoca tardo-romantica la sua estrema espressione”112.

110 Petrarca, Canzoniere, 323, vv. 13-24. 111 Ivi, 366, vv. 66-71.

112

48

3.4 LE AVVENTURE MARINE DI MERCANTI, CORSARI E DONNE