La sussistenza o meno di un potere della parte di vincolare il giudice nell’esame
dei motivi del ricorso costituisce in apparenza una questione strettamente
processuale.
Solo un più attento esame permette di cogliere i principi e le implicazioni di
carattere generale emergenti dalla questione.
In questa sede rileveranno argomenti di natura strettamente legislativa, legati
soprattutto all’evoluzione del giudizio amministrativo. Infatti, la centralità
dell’azione di annullamento e la ritenuta sufficienza dell’effetto caducatorio ai fini
della satisfattività del privato hanno con il tempo ceduto il passo a esigenze di
pienezza ed effettività della tutela.
giudizio di impugnazione, attraverso di esse son venute realizzandosi, in realtà, forme di tutela che si riportano invece al diverso modello del c.d. <<giudizio di spettanza»>>.
421 Esula dall’oggetto della trattazione l’analisi della diffusione o meno dell’istituto del cumulo
condizionale dei motivi, di scarsa applicazione e limitato per lo più, nel giudizio di legittimità, alla sola ipotesi in cui l'accoglimento del motivo condizionante precluda al giudice l'esame del motivo condizionato (cumulo eventuale, differente dal cosiddetto cumulo successivo, in cui l'accoglimento del motivo condizionante consente al giudice l’esame del motivo condizionato).
117
È evidente, pertanto, che le più frequenti problematiche si siano, nella prassi,
verificate rispetto al giudizio di annullamento, che ha visto mutare la propria
conformazione, nel transito verso una tutela di tipo soggettivo: anche il problema
dell’ordine dei motivi si è manifestato soprattutto in tale ambito
422.
Preliminarmente occorre inquadrare gli elementi fondamentali della questione.
È pacifico che per <<motivo>> si intenda la specificazione del vizio con
l’indicazione della singola norma di legge ritenuta violata
423. La difficoltà, piuttosto,
è capire se con ciascun motivo sia azionata una singola ovvero una molteplicità di
azioni: su tale profilo non si registra unanimità di vedute
424.
Parte della dottrina
425ha sostenuto che ogni motivo è autonomo e che come tale
rappresenta un’azione a se stante: la denuncia di ciascun vizio identifica una causa
petendi e nel caso di impugnazione di un atto sulla base di più censure si
riscontrerebbe una pluralità di azioni.
Altre impostazioni
426, invece, hanno favorito l’interpretazione che rinviene
l’unicità dell’azione a prescindere dal numero di censure fatte valere, in quanto i
motivi sarebbero espressione di un unitario interesse, per esempio all’annullamento
dell’atto. A ciò si è tuttavia aggiunta un’essenziale precisazione: il <<capo della
domanda>> coincide con il tipo di vantaggio conseguente all’annullamento; i diversi
motivi, quindi, possono raggrupparsi a seconda del differente effetto dagli stessi
422 Ciò sarà evidente nell’analisi dei due orientamenti che si sono sviluppati in seno al Consiglio
di Stato, soprattutto nell’ambito di vertenze aventi a oggetto azioni caducatorie, cfr. infra, § 3 e § 4.
423
Così Cons. Stato, n. 203/1987; Cons. Stato, n. 903/1993.
424
Si veda L. Iannotta, Motivi di ricorso e tipologia degli interessi nel processo amministrativo, Napoli, vol. I, pp. 131 e ss. La questione ha importanti riflessi anche sulla nozione di “capo di sentenza” ai fini dell’appello, cfr. A. Travi, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2014. Cfr. altresì M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989, nonché A. Romano Tassone,
Sulla disponibilità dell’ordine di esame, cit., p. 806: <<non già i motivi, ma le sole « domande »
possono esser collocate dalla parte in relazione condizionale, sicchè per le « domande » soltanto potrebbe propriamente invocarsi il vigore del principio dispositivo. Il primo quesito che la giurisprudenza (si e ci) pone, è dunque quello della stessa configurabilità di un vincolo del giudice al rispetto dell'ordine condizionale dei « motivi » di ricorso posto dalla parte, considerato che — si sostiene — il principio dispositivo consentirebbe di prospettare un siffatto vincolo con esclusivo riferimento alle « domande » del ricorrente, da intendere, in senso stretto, come le pretese che la parte stessa avanza in giudizio (petita), ma non con riguardo alle, pur varie, ragioni addotte a sostegno di una medesima domanda giudiziale (causae petendi). Ed i « motivi di ricorso », tradizionalmente ricondotti tra le causae petendi, sarebbero appunto da inquadrare, ove attengano al medesimo atto o complesso di atti impugnati con il ricorso originario, tra le « ragioni » a sostegno di una medesima domanda (quella d'annullamento), e non tra le « domande »>>. Più in generale, si veda G. Verde,
Domanda, (principio della), in Enc. giur., XII, Roma, 1989, pp. 1 e ss.; A. Proto Pisani, Appunti sulla tutela c.d. costitutiva (e sulle tecniche di produzione degli effetti sostanziali), in Riv. dir. proc., 1991,
pp. 60 e ss.; C. Ferri, Costitutiva (azione), in Enc. giur., X, Roma, 1988, pp. 4 e ss.
425
E. Guicciardi, La giustizia amministrativa, Padova, 1957.
426 M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 1976; Id., L’appello nel processo
amministrativo, Milano, 1960, per cui la nozione di capo della sentenza va riferita alle utilità derivanti
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scaturente
427. L’orientamento appena indicato presuppone, infatti, la molteplicità
degli effetti conseguenti alla pronuncia di annullamento.
Di là dall’opzione favorita tra quelle appena illustrate, è evidente che il valore
non vincolante della graduazione dei motivi di parte contrasta con il riconoscimento
di effetti non meramente caducatori, ma anche conformativi
428della sentenza di
annullamento
429: la soddisfazione delle pretese del ricorrente non coincide, infatti,
con l’accoglimento di un qualsiasi vizio idoneo ad annullare il provvedimento
impugnato
430.
Ciò è ancora più manifesto nell’ipotesi di contestuale proposizione di una
domanda caducatoria e di una diversa domanda, risarcitoria o di condanna: le azioni
sono tra loro distinte per i differenti petitum fatti valere. È evidente, in questo caso, la
427 Si pensi alla differenza tra vizi sostanziali e vizi formali: costituirebbe un autonomo capo di
domanda l’azione che riunisce tutti i vizi sostanziali (ovvero tutti i vizi formali) fatti valere.
428
I limiti che alla soddisfazione della pretesa sostanziale del ricorrente conseguono a un annullamento per semplice difetto di motivazione si giustificano in relazione all'esigenza di salvaguardare la discrezionalità della scelta amministrativa; qualora, peraltro, il provvedimento sia affetto da altri vizi, il giudice dovrà esaminare le relative censure, in modo da orientare il futuro esercizio del potere amministrativo, sia in relazione ai vizi che riscontri sussistenti, sia in relazione alle censure che consideri infondate, essendo evidente l'effetto conformativo che può derivare anche dall'accertamento della riscontrata legittimità dell'atto nella parte considerata. Cfr. M. Nigro, Il
giudicato amministrativo ed il processo di ottemperanza, in Il giudizio di ottemperanza, Milano, 1983,
pp. 63 e ss.; si vedano altresì le considerazioni di M. Magri, L’ordine dei motivi nel processo
amministrativo, in Giorn. dir. amm., 2009, pp 1068 e ss. e di A. Romano Tassone, Sulla disponibilità dell’ordine di esame, cit., p. 809: <<era già stato dimostrato con dovizia di argomentazioni da Nigro
(1960), e con ancor maggiore dettaglio e finezza d'analisi da Cavallo (1975), che non è affatto indifferente per il ricorrente che l'annullamento del provvedimento impugnato avvenga per l'uno ovvero per l'altro motivo, potendone conseguire ben diversi effetti, soprattutto del tipo c.d. « conformativo». Sicchè, pur ammessa l'unicità della domanda di annullamento diretta avverso il medesimo provvedimento amministrativo, l'introduzione di un motivo il cui accoglimento porta ad effetti complessivi differenziati (quantitativamente e/o qualitativamente) rispetto a quelli derivanti dalle censure già proposte, assume la consistenza di un autonomo « capo di domanda» (concetto che Nigro ricostruisce come fondamentalmente corrispondente e speculare, mentre Cavallo tende a distinguere maggiormente dalla figura del « capo di sentenza »), nei cui confronti è inammissibile l'assorbimento da parte del giudice, e rispetto al quale è dunque possibile immaginare un condizionamento graduato da parte del ricorrente stesso>>.
429 Cfr. F. Ricciardi, L’annullamento per incompetenza non preclude l’esame degli altri motivi di
ricorso, cit., p. 780, il quale espone che l’orientamento favorevole all’assorbimento dei motivi <<si
fonda sulla convinzione che il ricorso al G.A., essendo a carattere principalmente impugnatorio e cassatorio, ha come fine ultimo quello di vedere la P.A. privata dell’efficacia di una propria determinazione>> tale utilità sarebbe quindi più che sufficiente>>.
430 Nell’ipotesi in cui si accolga l’orientamento che rinviene tanti capi di domanda quanti sono i
motivi dedotti, l’assorbimento improprio comporta un’omissione di pronuncia in modo evidente. La situazione, tuttavia, non muta ove si ritenga unica l’azione esercitata (e unitaria la correlativa domanda), in modo che i motivi costituiscano soltanto i singoli punti di cognizione all’interno della domanda e il giudice abbia il dovere di pronuncia con riferimento alla domanda. Lo stesso non avrebbe comunque la libertà di scegliere i motivi da esaminare e l’iter da seguire per giungere a una pronuncia che esaurisca la richiesta di annullamento, poiché la pluralità di effetti della sentenza rende le censure autonome e bisognose di esame giudiziale.
119
necessità di una statuizione completa da parte del giudicante, secondo l’ordine di
motivi impartito dal ricorrente, la cui pretesa è soddisfatta non dalla sola pronuncia
di annullamento (comprensiva dei già citati effetti eliminatori, ripristinatori e
conformativi), ma anche dalle ulteriori utilità oggetto degli altri petitum, a loro volta
strettamente connessi con le sorti di quella principale
431.
Tutti gli elementi indicati permettono di riconoscere nella possibilità per la parte
di vincolare l’organo adito nell’esame e nella decisione dei motivi proposti la sola
opzione più coerente con le esigenze di tutela
432.
Già prima dell’entrata in vigore del codice la giurisprudenza aveva precisato che
l’operatività del principio dispositivo all’interno del processo amministrativo faceva
sì che il giudice dovesse esaminare prioritariamente le censure da cui derivi un
effetto pienamente satisfattivo della pretesa del privato. Il giudice sarebbe quindi
tenuto a proseguire secondo l’ordine determinato dalla parte, fino a quando
dall’accoglimento di un ulteriore motivo non scaturisca più alcuna utilità al
ricorrente
433.
431
Cfr. A. Romano Tassone, Sulla disponibilità dell’ordine di esame, cit., p. 810: <<(…) si potrebbe inoltre tracciare, oggi, un percorso argomentativo ancor più chiaramente dimostrativo dell'applicabilità del meccanismo del cumulo condizionale ai motivi di ricorso, nel momento in cui e per il fatto stesso che tramite essi si esprimano — in questa prospettiva, senza dubbio alcuno — «domande» diverse. Se infatti si conviene che insieme all'azione di annullamento sia oggi consentito al ricorrente proporre un'azione innominata di condanna, ex art. 30, 1º comma, C.P.A., e se si ritenesse — come personalmente ritengo — che la relativa domanda sia appunto destinata ad ottenere che il giudice espliciti nel dispositivo il contenuto ordinatorio del c.d. «effetto conformativo» dell'annullamento in quanto concesso in base ad una certa censura (ovvero ad un complesso di motivi indirizzato sinergicamente verso un certo risultato), la proposizione di più motivi di ricorso, il cui accoglimento abbia diversa portata conformante, sarebbe destinato a dar vita, allora, ad una serie di pretese condemnatorie di differente contenuto — ergo: a «domande» diverse, il cumulo condizionale eventuale posto tra le quali dovrebbe quindi, per definizione, ritenersi cogente per il giudice (si noti,
per incidens e sotto altro aspetto, che in tal modo si darebbe vita, altresì, anche ad una serie di cumuli
condizionali «successivi» tra ciascuna domanda d'annullamento e ciascuna pretesa condemnatoria)>>.
432 Cfr. V. Caianiello, Lineamenti del processo amministrativo, 1979, pp. 372 e ss., il quale
precisa che il ricorrente ha la facoltà di graduare i motivi di ricorso , subordinando l’accoglimento di uno di essi al rigetto di altri. Il giudice, nel caso di pluralità di motivi senza precisazione di importanza, dovrebbe tendere ad adottare la pronuncia che soddisfi maggiormente l’interesse del ricorrente. Si veda altresì P. Virga, Giustizia amministrativa, 1992, p. 345, secondo cui <<è possibile graduare nel ricorso i motivi, perché il ricorrente potrebbe avere interesse all’accoglimento di alcuni motivi solo in via subordinata per l’ipotesi in cui altri motivi, cui annette maggiore importanza, non vengano accolti>>.
433
Così R. De Nictolis, L’ordine di esame dei motivi, cit.: <<(…) la prassi dell’assorbimento dei motivi è da stigmatizzare, anche nei casi di accoglimento del ricorso, perché è interesse del ricorrente avere una compiuta disamina della questione sotto tutti i profili prospettati, anche ai fini del successivo giudizio di ottemperanza ovvero della tutela risarcitoria, e, segnatamente, avere una compiuta disamina dei motivi maggiormente satisfattivi>>.
120
Si pone a sostegno di siffatta interpretazione anche il diritto positivo, nonostante
la mancanza di una chiara posizione circa la vigenza o meno del vincolo anzidetto
434.
Il codice del processo amministrativo, sul punto, si limita a poche e generiche
disposizioni: è previsto, quanto alla fase introduttiva, che il ricorso debba contenere i
<<motivi specifici>>
435, mentre, quanto alla fase decisoria, l’art. 76, comma 4,
contiene un espresso rinvio all’art. 276, comma 2, c.p.c.
436. In linea di principio,
pertanto, le domande di parte vanno esaminate secondo l’ordine questioni di rito –
questioni di merito.
Alcuni elementi normativi di rilievo sono altresì inseriti nella disciplina del
giudizio sugli appalti.
L’art. 120, co. 6, D.lgs. n. 104/2010, seppure volto a disciplinare la sinteticità
degli atti giudiziali, impone al giudicante l’esame di tutte le questioni trattate dalla
parte che si attiene ai parametri ivi fissati
437.
Tutte le disposizioni indicate risultano, tuttavia, del tutto insufficienti (e
comunque non univocamente interpretabili)
438per fugare i dubbi applicativi emersi
434 Cfr. P. Biavati, Appunti sulla struttura della decisione e l’ordine delle questioni, in Riv. trim.
dir. proc. civ., 2009, pp. 1301 e ss., in particolare p. 1312, ove l’Autore fa riferimento al panorama
europeo, ove il tema dell’ordine dei motivi viene espressamente disciplinato.
435
Si veda l’art. 40 del d.lgs. n. 104/2010: <<Il ricorso deve contenere: a) gli elementi identificativi del ricorrente, del suo difensore e delle parti nei cui confronti il ricorso è proposto; b) l’indicazione dell’oggetto della domanda, ivi compreso l’atto o il provvedimento eventualmente impugnato, e la data della sua notificazione, comunicazione o comunque della sua conoscenza; c) l’esposizione sommaria dei fatti, i motivi specifici su cui si fonda il ricorso, l’indicazione dei mezzi di prova e dei provvedimenti chiesti al giudice; d) la sottoscrizione del ricorrente, se esso sta in giudizio personalmente, oppure del difensore, con indicazione, in questo caso, della procura speciale>>.
436
Ai sensi dell’art. 276, comma 2, c.p.c. <<Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa>>. Tale norma, espressione di un principio generale, è sempre stata applicata nel processo amministrativo, in passato in virtù del rinvio operato al c.p.c. dall’art. 64, r.d. n. 642/1907.
437 La norma è stata inserita dall’art. 40, comma 1, lett. a), D.L. n. 90/2014, che ha modificato
l’art. 120 (Disposizioni specifiche ai giudizi di cui all’articolo 119, comma 1, lettera A), comma 6, d.lgs. n. 104/2010, di cui si riporta il testo: <<Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con il principio di sinteticità di cui all'articolo 3, comma 2, le parti contengono le dimensioni del ricorso e degli altri atti difensivi nei termini stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria riconosciute degli avvocati amministrativisti. Con il medesimo decreto sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti. Il medesimo decreto, nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi, tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. Dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali dell'atto. Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine
rientranti nei suddetti limiti; il mancato esame delle suddette questioni costituisce motivo di appello
avverso la sentenza di primo grado e di revocazione della sentenza di appello>>.
438
Cfr., seppure riferito all’assetto antecedente al codice del processo amministrativo, M. Magri,
L’ordine dei motivi nel processo amministrativo, in Giorn. dir. amm., 2009, pp 1068 e ss. e in
particolare p. 1073 e ss.: <<Nella legislazione processuale amministrativa, la separazione tra la posizione del ricorrente e quella del giudice, per rapporto all’ordine di esame dei motivi di ricorso,
121
nella prassi giurisprudenziale sul valore da attribuire all’ordine dei motivi definito
dalla parte.
Si rende, perciò, necessario il ricorso ai principi generali espressi dalla
Costituzione e dallo stesso D.lgs. n. 104/2010.
Viene in rilievo, in primo luogo, il principio della domanda
439, per il quale non
sussiste giudizio senza una domanda di parte, al quale si accompagnano quello
dispositivo
440, secondo cui la trattazione e l’istruzione del giudizio sono fondate
sull’impulso di parte
441, e quello del contradditorio
442. Corollari applicativi del
non è forse evidentissima, ma nondimeno esiste; sembra la si possa ricavare proprio dalle disposizioni fondamentali sul contenuto dell’atto introduttivo. L’art. 6 del Regolamento per la procedura dinanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale prevede che il ricorso al giudice amministrativo contenga, oltre alla indicazione dell’atto o provvedimento che si impugna, la “esposizione sommaria dei fatti”, i “motivi su cui si fonda il ricorso, con l’indicazione degli articoli di legge e di regolamento che si ritengono violati e le conclusioni”. Il successivo art. 17 commina la nullità del ricorso qualora, per l’inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 6, vi sia “assoluta incertezza sull’oggetto della domanda”>>. Da tali disposizioni l’Autore ricava la distinzione tra <<motivo del ricorso come fatto allegato e motivo del ricorso come oggetto della domanda>>. Il fatto che il citato articolo 6 non contenga l’obbligo di espressa indicazione dell’oggetto della domanda per l’Autore significa che la
causa petendi nel ricorso è prescritta a pena di nullità, ma non si sostanzia in un’indicazione, essendo
sufficiente che possa essere rilevata: <<se l’oggetto della domanda non mette capo alla sfera dell’allegazione di parte, vuol dire che spetta al giudice evincerne i contorni mediante l’interpretazione (…) Contestare in forma intellegibile la legittimità dell’atto impugnato è tutto quanto la legge chiede al ricorrente di fare ai fini della validità del ricorso; mentre la demarcazione dell’oggetto del ricorso ai fini del rispetto della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 cp.c) non compete ai motivi del ricorso, ma alla <<domanda>> in cui essi si organizzano>>. Al giudice spetta, quindi, il compito preliminare di determinare i confini dell’azione della parte e in questo senso l’Autore parla di metodo acquisitivo, con riguardo alla fase della trattazione e con funzione agevolatrice del principio dispositivo: <<al ricorrente si chiede la critica di un atto amministrativo, il che implica già che la causa petendi assorba una certa rappresentazione del potere, il quale è elemento oggettivo e non può essere patrimonio della volontà negoziale di chi agisce (…) l’”assorbimento dei motivi” non è altro che il momento della determinazione giudiziale dell’oggetto della domanda, nel caso frequentissimo, anzi normale, di ricorso composto da una pluralità di motivi di impugnazione>>.
439
Si veda l’art. 99 c.p.c.: <<Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente>>. Sul punto, cfr. M. Protto, Le garanzie di indipendenza e imparzialità del
giudice nel processo amministrativo, in AA.VV., Le garanzie delle giurisdizioni. Indipendenza e imparzialità dei giudici, Napoli, 2012, pp. 95 e ss.: <<il principio della domanda costituisce il
necessario e naturale corollario del principio del giusto processo e della configurazione del giudizio amministrativo come processo di parti>>.
440
Si vedano i fondamentali rilievi fatti da L. Ferrara, Domanda giudiziale, cit., pp. 617 e ss., cui si rinvia anche per i copiosi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali. In particolare, cfr. la nota n. 2, ove l’Autore riporta la differenza tra il principio della domanda e quello dispositivo, citando T. Liebman: <<quest'ultimo “regola [...] la raccolta degli elementi di cognizione, su cui dovrà essere fondato il giudizio”, concerne cioè la trattazione e l'istruzione della causa, mentre il principio della domanda “disciplina invece l'esercizio stesso della funzione giurisdizionale, in quanto subordina questo alla domanda dell'interessato”>>.
441 Il processo retto dal principio dispositivo si incentra sulle domande ed eccezioni delle parti;
tale caratteristica si estende anche al versante probatorio, si veda l’art. 115 c.p.c.: <<Salvi i casi