Il tema in oggetto coinvolge i capisaldi del processo civile
582 583: la centralità
della (non) contestazione è agevolmente comprensibile laddove si consideri che a
582
Evidenzia la delicatezza del tema A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti e principio di non
contestazione nel processo civile, in Foro It., 2003, pp. 606 e ss.; S. Del Core, Il principio di non contestazione: profili sistematici, riferimenti di dottrina e recenti acquisizioni giurisprudenziali, in Giust. civ., 2004, pp. 111 e ss.
583 Il tema del principio di non contestazione appare ancor più problematico e delicato
nell’ambito del processo amministrativo. Nonostante la recente disciplina codicistica di cui al d.lgs. n. 104/2010, avente una dichiarata ratio riordinatrice e armonizzatrice di tutta la normativa processuale amministrativa, permangono molti aspetti di ambiguità, che interessano – come vedremo infra – anche il principio di non contestazione. Non sembra azzardato ipotizzare che l’origine di molte difficoltà interpretative e applicative sia l’annosa diatriba dottrinale sulla figura giuridica soggettiva protagonista del processo amministrativo: l’interesse legittimo.
158
essa si legano strettamente tutti i principi in tema di allegazione e di prova nel
processo civile, dal punto di vista delle parti. Senza considerare che a seconda
dell’interpretazione su quale siano l’oggetto e la funzione della non contestazione
muta la panoramica dei poteri istruttori del giudice
584.
L’origine storica del principio di non contestazione non è da rinvenire in
disposizioni di diritto positivo
585: esso è stato, infatti, per moltissimi anni
formalmente tacito, pur assumendo progressivamente maggiore rilievo nel sistema
processualcivilistico italiano
586.
Inizialmente il principio in questione è stato timidamente elaborato dalla
giurisprudenza e ciò ha dato luogo a dubbi applicativi
587, oltre che a
un’indeterminatezza concettuale e concreta dello stesso.
Peraltro, le prime (e poche) tracce della non contestazione all’interno del nostro
sistema normativo italiano non sono state considerate dalla maggior parte interpreti e
della giurisprudenza
588, con qualche rara eccezione
589.
584 È proprio questo uno degli aspetti attorno a cui ruotano le maggiori incongruenze tra il
principio di non contestazione e il processo amministrativo, tradizionalmente retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo e di fatto caratterizzato da forti poteri istruttori ufficiosi del giudice.
585
Diversamente dall’ordinamento tedesco, cfr. § 138, comma 2, ZPO: <<I fatti che non sono espressamente contestati devono essere considerati come esistenti, se non risulta da altre dichiarazioni della parte che la stessa aveva invece intenzione di contestarli>>. Si sofferma più a lungo sulla comparazione tra ordinamento italiano e ordinamenti europei B. Sassani, L’onere della contestazione, in www.judicium.it.
586 A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti e principio di non contestazione nel processo civile, cit.;
S. Del Core, Il principio di non contestazione, cit.; per una panoramica della non contestazione dagli anni ’90 sino all’ultima riforma, cfr. V. Panuccio, I fatti non contestati, intervento al seminario La
giustizia tra emergenze e prospettive, Locri, giugno 2011.
587 Sebbene a ben vedere le maggiori problematiche applicative non siano sorte prima della
sentenza Corte Cass., n. 761/2002 (su cui cfr. infra), regnando prima un orientamento giurisprudenziale pressoché pacifico che identificava la non contestazione solo nell’ammissione espressa o implicita (a mezzo di difese manifestamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti rilevanti).
588
Prima della riforma del lavoro intervenuta con la legge 11 agosto 1973, n. 533 (Disciplina
delle controversie individuali di lavoro e delle controversie in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie) non vi era nessun appiglio normativo da cui desumere la rilevanza probatoria dei fatti
non contestati in giudizio e invero, anche dopo predetta riforma, sono trascorsi molti anni prima che la giurisprudenza desumesse dall’art. 416 c.p.c. un vero e proprio onere di contestazione a carico delle parti nel processo. La stessa riforma del processo civile del 1990 (legge 26 novembre 1990, n. 353,
Provvedimenti urgenti per il processo civile), che ha modificato, tra le altre cose, l’art. 167 c.p.c., non
ha avuto l’effetto di sollecitare la giurisprudenza a una riflessione seria e analitica sulla rilevanza della non contestazione, che veniva per lo più concepita come argomento di prova liberamente apprezzabile dal giudice ai sensi dell’art. 116 c.p.c. Ai sensi dell’art. 167 c.p.c.: <<Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni. (…)>>. La disposizione è meno categorica rispetto a quella, applicabile al rito del lavoro, di cui all’art. 416 c.p.c. <<(…) La costituzione del convenuto si effettua mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva, nella quale devono essere proposte, a pena di decadenza, le eventuali domande in via riconvenzionale e le eccezioni processuali
159
Successivamente, le riforme del 1973 e del 1990 hanno posto la dottrina dinanzi
al problema della relazione intercorrente tra la non contestazione e l’obbligo delle
parti di prendere specifica posizione sui fatti di causa. Le diverse opinioni sviluppate
su tale problematica si sono spesso estese a temi limitrofi, come le caratteristiche
degli oneri di allegazione e delle eccezioni, con un risultato caotico nel quale la non
contestazione veniva sempre meno considerata nella sua autonomia giuridica.
Nelle sue origini, pertanto, il principio in questione non si è realmente inserito
nel sistema processual-civilistico legislativo, dottrinario e giurisprudenziale, se non
in via meramente residuale, assumendo per lo più rilievo fattuale e ai soli fini
dell’art. 116 c.p.c.
In ogni caso, l’attenzione alla non contestazione nasce all’interno del processo
del lavoro (artt. 409 e ss. c.p.c.), improntato a una maggior celerità rispetto al
processo civile ordinario e costituito da un sistema di decadenze e preclusioni, tali
per cui a rigor di logica risulta quasi consequenziale, in esso, l’operare di siffatto
principio
590. Ciononostante, la giurisprudenza degli anni ’90, pur interrogandosi
sull’operatività della non contestazione nel rito del lavoro, soltanto raramente era
giunta a configurarne i tratti essenziali e mai secondo una visione univoca e
generalizzata all’intero sistema civilistico
591.
Ai fini che qui interessano occorre muovere dall’analisi delle disposizioni
normative che interessano la non contestazione.
Prima della legge n. 69/2009
592, l’ultima riforma legislativa che ha toccato la
problematica degli oneri di contestazione delle parti nel processo è stata quella di cui
ai decreti legislativi n. 5/2003 e n. 310/2004
593, vertente sul rito societario. A questo
riguardo, merita un breve cenno la disposizione di cui all’art. 13, comma 2 D.lgs. n.
5/2003, che estendeva l’operatività della non contestazione societaria anche
e di merito che non siano rilevabili d'ufficio. Nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente depositare>>. Dalla differenza tra le due disposizioni sarebbe derivata, secondo l’orientamento maggioritario del tempo, una minor forza normativa dell’onere di prendere posizione all’interno del processo civile. Cfr. Del Core, Il principio di non contestazione, cit.
589
Cfr. A. Carratta, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1995. In particolare, l’Autore cita le fattispecie di cui agli artt. 14, 35, 186 bis, 263, 266, 423, 785 c.p.c.
590 Non a caso, la gran parte delle sentenze che saranno analizzate nel presente capitolo, pur
enunciando principi e regole valevoli per l’intero sistema civilistico, attengono a casi di diritto del lavoro, a dimostrazione di come il principio di non contestazione sia congeniale con un sistema processuale e istruttorio dispositivo, ma con espresse e nette preclusioni e decadenze, oltre che caratterizzato da una certa dose di oralità.
591
Cfr. infra, in questo capitolo, prima sezione, § 2.
592 Su cui cfr. infra, in questo capitolo, prima sezione, § 3.
593 Per un’attenta analisi della non contestazione nel processo societario, cfr. M. Fabiani, Il valore
160
all’ipotesi di contumacia (o di tardiva costituzione) del convenuto
594, attribuendo
quindi a siffatto comportamento inerte valore di una vera e propria ficta confessio. La
contrarietà della suddetta norma alla tradizionale concezione “neutrale” della
contumacia propria del nostro sistema processuale è all’origine dell’espunzione di
essa a opera della Corte Costituzionale
595.
Al di fuori delle leggi sull’ordinamento societario, difettano ulteriori elementi
normativi, anteriori al 2009, idonei a valorizzare il principio oggetto di interesse
all’interno del sistema probatorio civile italiano
596.
Tuttavia, nonostante l’iniziale disinteresse dell’ordinamento giuridico (rectius:
del legislatore) nei confronti della non contestazione, la stessa ha nel tempo
accentuato la propria importanza fino a caratterizzare (come vedremo) uno dei
principi – cardine del sistema processuale italiano
597.
Ciò è dovuto, soprattutto, all’elaborazione giurisprudenziale, a cui va
riconosciuto il merito di aver incentrato spesso l’attenzione sul problema della non
contestazione, ponendolo in relazione con gli oneri di allegazione e con il sistema
delle difese processuali delle parti
598.
Va da sé, quindi, che l’analisi delle origini della non contestazione non possa
prescindere da un esame della giurisprudenza.
Anteriormente alla pronuncia delle Sezioni Unite del 2002 l’orientamento
prevalente in seno alla Corte di di legittimità aveva ritenuto – in linea con la dottrina
594 Ai sensi dell’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 5/2003: <<Se il convenuto non notifica la comparsa di
risposta nel termine stabilito a norma dell’art. 2, comma 1, lett. c), ovvero dell’art. 3 comma 2, l’attore tempestivamente costituitosi, può notificare al convenuto una nuova memoria a norma dell’art. 6, ovvero depositare, previa notifica, istanza di fissazione dell’udienza; in quest’ultimo caso i fatti affermati dall’attore, anche quando il convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non contestati ed il Tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa; se lo ritiene opportuno, il giudice deferisce all’attore giuramento suppletorio>>. Dal disposto deriva non solo una particolare disciplina della contumacia del convenuto (perfezionata con la mancata notifica della comparsa di risposta e non con la mancata costituzione), ma soprattutto l’attribuzione del valore di ficta confessio in ordine a tutti i fatti affermati dall’attore nell’atto di citazione, quale conseguenza della contumacia medesima.
595 Cfr. Corte Cost., n. 340/2007, con cui è stata rilevata l’incompatibilità della disposizione con
la tradizione del diritto processuale italiano, in cui <<alla mancata o tardiva costituzione mai è stato attribuito valore di confessione implicita>>. E la questione della contumacia, vedremo, assume rilievo anche nell’ambito del processo amministrativo, rappresentando uno dei limiti all’applicazione della non contestazione, ai sensi dell’art. 64, comma 2 C.P.A.
596
Sempre che di vero e proprio principio possa parlarsi, per lo meno anteriormente alla sentenza Corte Cass., SS. UU., n. 761/2002.
597 E ciò viene avvalorato a maggior ragione dall’art. 64, comma 2, d.lgs. n. 104/2010, che
riproduce il contenuto dell’art. 115 c.p.c., in modo tale che il principio di non contestazione è ormai uscito dai confini del civile per diffondersi al processo amministrativo. Qualsiasi sia l’interpretazione da dare al valore della non contestazione amministrativa, è comunque innegabile la tendenza espansiva e la crescita di importanza dell’istituto in questione.
598 Con risultati, spesso, contraddittori e opinabili, com’è ovvio che accada ove un istituto
giuridico non trovi pressoché espressione in disposizioni di legge, ma sia rimesso (quasi) unicamente all’interpretazione e alla caratterizzazione della giurisprudenza.
161
dominante
599– che i fatti allegati fossero pacifici, esonerando quindi la parte
allegante dall’onere di fornire la prova soltanto quando l’altra parte li avesse
esplicitamente ammessi o avesse impostato la propria difesa su argomenti
logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi, ovvero quando
si fosse limitata a contestarne esplicitamente e specificamente alcuni soltanto,
indirettamente manifestando la propria mancanza di interesse all’accertamento degli
altri
600.
La pacificità del fatto e l’espunzione dello stesso dal thema probandum non si
aveva nel caso di contumacia o di silenzio, ovvero nel caso di contestazione
generica
601. E ciò sul presupposto della negazione di un generale principio di non
contestazione, anche a causa della mancata previsione legislativa in tal senso.
A ben vedere, tuttavia, le pronunce degli anni ’90 forniscono di valore giuridico
– interpretativo comportamenti espressi e quindi prese di posizione della parte, che
nulla hanno a che vedere con il significato (anche solo letterale) di non
contestazione, coincidente piuttosto con un comportamento omissivo.
In generale la non contestazione veniva considerata quale fenomeno
tendenzialmente provvisorio e reversibile
602, con qualche eccezione nell’ambito del
rito del lavoro, come detto caratterizzato da un più forte sistema di preclusioni.
Se questo finora illustrato è stato a lungo l’orientamento prevalente nella
giurisprudenza di legittimità, è tuttavia degno di nota un orientamento minoritario
della Suprema Corte che ha attribuito rilevanza alla semplice non contestazione e
anche al mero silenzio, in controtendenza rispetto alla necessità di un’esplicita
ammissione dei fatti allegati o di una difesa incompatibile, ovvero di una
contestazione specifica e parziale
603.
Prima della pronuncia del 2002 questo era quindi lo scenario, contraddittorio e
disomogeneo, entro cui si muoveva la non contestazione processuale: da un lato la
mancanza di un’espressa previsione legislativa, dall’altro un dichiarato favor della
giurisprudenza per chiare ed espresse prese di posizione delle parti, le quali facevano
599
Sul punto, per una diffusa disamina della giurisprudenza e della dottrina, cfr. A. Carratta, Il
principio della non contestazione, cit.
600 Cfr. ex multis Corte Cass., n. 5229/1986, Corte Cass., n. 12947/1992; Corte Cass., n.
5733/1993; Corte Cass., n. 5643/1995; Corte Cass., n. 6623/1997; Corte Cass., n. 11513/1999; Corte Cass., n. 10434/2000; Corte Cass., n. 13904/2000.
601
Una contestazione generica poteva in quest’ottica integrare una violazione del dovere di lealtà processuale, sanzionabile ex artt. 88 e 92 c.p.c. e comunque poteva essere valutata quale comportamento processuale, alla stregua di semplice argomento di prova ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c.
602 Cfr. contra Corte Cass. , n. 6230/1998; Corte Cass. , n. 10790/1999.
603 Si veda Corte Cass., n. 4834 /1988 (secondo cui <<l’attore è liberato dall’onere di provare le
circostanze di fatto costituenti la causa petendi della domanda se tali circostanze non vengono contestate dal convenuto>>); Corte Cass., n. 1576/1995; Corte Cass., n. 7758/1997; Corte Cass., n. 6230/1998; Corte Cass., n. 5536/2001. Cfr. anche Corte Cass., n. 11537/1996 e Corte Cass., n. 8082/2000, che hanno affermato la rilevanza della non contestazione e della contestazione generica ai fini della prova, pur subordinandola alla specificità e concretezza delle allegazioni di controparte.
162
ritenere inverosimile l’esistenza nel processo civile di un principio di non
contestazione, con poche e isolate eccezioni.
2. (segue) L’affermazione di un generale principio di non contestazione nella
giurisprudenza civile.
Sulla base delle premesse esposte, non si può prescindere dall’esame della
fondamentale sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 23 gennaio
2002, n. 761
604, la cui portata è indiscussa ove si tenga conto dell’opera di
chiarificazione teorica apportata dal Collegio sulla tematica.
L’anzidetta pronuncia, pur risolvendo una questione attinente strettamente al
diritto del lavoro
605, ha dedotto da un’ipotesi particolare il principio generale –
valevole per l’interno ordinamento processuale civile – secondo cui i fatti
(principali
606) non specificamente contestati non necessitano di prova
607e
stabilendone altresì l’ambito di operatività.
Precedentemente la Suprema Corte non aveva mai ritenuto la non contestazione
un principio dell’intero sistema processual – civilistico
608.
604 La sentenza in questione è alla base di qualsiasi contributo dottrinale attinente alla non
contestazione, ed è stata altresì oggetto di commenti ad hoc, tra cui cfr. C. M. Cea, Il principio di non
contestazione al vaglio delle sezioni unite, in Foro it., 2002, pp. 2019 e ss.; A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti, cit., pp. 606 e ss.; M. Fabiani, Il valore probatorio della non contestazione del fatto allegato, cit.; M. Brizzi, Il principio di non contestazione nel processo del lavoro, in Dir. lav.,
2003, pp. 131 e ss.; S. Del Core, Il principio di non contestazione, cit.
605 Nel caso di specie era al vaglio della Suprema Corte la questione attinente alla necessità, o
meno, che il datore di lavoro contestasse specificatamente non solo l’an del credito rivendicato dal lavoratore, ma anche il quantum, e in particolare i conteggi allegati dal ricorrente.
606 La sentenza in esame limita l’operatività della non contestazione ai soli fatti principali, con
una presa di posizione disattesa dalla successiva giurisprudenza, cfr. Corte Cass., n. 12636/2005, Corte Cass., n. 18598/2003; Corte Cass., n. 10098/2007; Corte Cass., n. 5191/2008. Attualmente il problema della non contestazione sui fatti secondari è prevalentemente risolto in un’ottica estensiva dalla gran parte della dottrina, cfr. G. Balena, in G. Balena, R. Caponi – A. Chizzini – S. Menchini, La
riforma, 34 s.; C. M. Cea, Il principio di non contestazione al vaglio, cit.; A. Proto Pisani, Allegazione dei fatti, cit.; B. Sassani, L’onere della contestazione, cit.
607
Senza addentrarsi nella svariate problematiche applicative ulteriori, sarebbe sufficiente fermarsi a questo assunto per rendersi conto delle difficoltà sostanziali – concettuali della non contestazione nell’ambito dell’istruttoria amministrativa, caratterizzata tradizionalmente dal principio dispositivo attenuato dal metodo acquisitivo. Sul punto ci si soffermerà ampiamente infra, seconda sezione.
608 Pur non mancando nella giurisprudenza, come detto, pronunce di legittimità di segno
concorde: cfr. Corte Cass., n. 6568/1998; Corte Cass., n. 4482/2000, nella quale in particolare la mancata contestazione assumeva rilievo proprio in quanto inserita in un sistema processuale speciale, caratterizzato da decadenze e preclusioni. Si deve altresì rilevare che autorevole dottrina aveva già individuato la non contestazione quale principio <<tacito, dal fondamento incerto>>, ma generalmente vigente nell’ordinamento italiano, tanto da equipararlo ai principi di disponibilità della
163
Esaminando più nel dettaglio la portata della sentenza del 2002, è evidente come
le deduzioni ivi affermate siano determinanti per l’evoluzione del medesimo
principio nella giurisprudenza e nella legge.
La Corte muove dalla problematica specifica del caso ed espone i due differenti
orientamenti giurisprudenziali, l’uno negativo
609e l’altro positivo
610quanto alla
rilevanza di un comportamento processuale omissivo ai fini della determinazione del
thema probandum.
La questione è poi generalizzata mediante l’equiparazione del disposto dell’art.
416 c.p.c. (rito lavoro) a quello dell’art. 167 c.p.c. (rito ordinario)
611. Il Collegio,
come attenta dottrina
612ha sin da subito osservato, ha addirittura affermato che i fatti
non contestati devono ritenersi provati, o sussistenti, processualmente veri, e non
semplicemente non bisognevoli di prova
613.
prova, di valutazione della prova secondo il libero apprezzamento del giudice e dell’onere della prova. Cfr. A. Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2012. e Id., Allegazione dei fatti, cit., pp. 606 e ss.
609 Cfr. Corte Cass. Sez. Lav, n. 11318/1994 , secondo cui <<nel processo del lavoro un onere di
specifica contestazione dei conteggi è configurabile solo laddove non sia insorta controversia sull'an debeatur, e non già nelle ipotesi in cui il credito oggetto della domanda sia globalmente contestato, atteso che in tal caso non sarebbe logico porre a carico del (presunto) debitore la revisione critica dell'elaborazione contabile di una somma la cui spettanza egli ha inteso negare in radice>>; cfr. anche Corte Cass., n. 6609/1995; Corte Cass., n. 3758/1995.
610 Cfr. Corte Cass., n. 7089/1999, pur se impostata e giustificata con specifico riferimento al rito
del lavoro; Corte Cass., n. 4482/2000, che porta il ragionamento a più estreme conseguenze in termini di impossibilità di nuove contestazioni in appello; Corte Cass., n. 4116/2000, Corte Cass., n. 7103/2000. La Corte opera inoltre un’ulteriore distinzione, all’interno del presente orientamento, dal punto di vista degli effetti della mancata contestazione. Secondo un primo filone, più rigorista, nel rito lavoro devono ritenersi incontestabili, in appello o in Cassazione, tutte le situazioni di fatto in ordine alle quali non sussistono divergenze tra le parti. Di diverso avviso è invece quel filone giurisprudenziale che tende a ricollegare alla mancata contestazione del quantum conseguenze meno drastiche, facendo confluire la stessa nell’ambito dell’art. 116, comma 2, c.p.c. e quindi quale elemento integratore del convincimento del giudice, cfr. Corte Cass., n. 6568/1998.
611
Giova sul punto citare espressamente le parole della Cassazione: <<gli artt. 167, primo comma e 416, terzo comma, imponendo al convenuto l'onere di prendere posizione su tali fatti, fanno della non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, proprio per la ragione che l'atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua dell'esposta regola di condotta processuale, espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti>>.
612
S. Del Core, Il principio di non contestazione, cit.
613 Per quanto riguarda il caso specifico, la Corte conclude quindi che la mancata contestazione
del quantum diviene processualmente rilevante ogni volta che essa abbia a oggetto fatti la cui esistenza non è esclusa dalla contestazione dell’an del diritto. In tali ipotesi <<la contestazione