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La rinuncia all’interesse legittimo

Il problema della rinunciabilità alle situazioni soggettive attive

284

è stato

considerato marginalmente dalla dottrina amministrativistica

285

.

283

Cfr. A. Bartolini, Profili giuridici, cit. p. 306: <<se, pertanto, l’interesse legittimo è negoziabile tra p.a. e privati, se l’interesse legittimo ha carattere sostanziale e, come tale, correlato a beni della vita, se la lesione dell’interesse legittimo può comportare danni patrimoniali, non si vede come si possa ancora sostenere che il medesimo non possa essere oggetto di atti di disposizione nei rapporti interprivati>>.

284 La rinuncia cui si farà riferimento nella presente trattazione è esclusivamente quella in senso

stretto, meramente abdicativa, che è figura da tenere differente rispetto alla cosiddetta rinuncia

traslativa o costitutiva, ove alla dismissione del diritto si accompagna altresìl’acquisto dello stesso da parte di terzi.

285 Così viene rilevato da L. Formentin, Rinuncia nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl.,

XIII, Roma, 1991, pp. 469 e ss. Parte degli studi si sono, piuttosto, incentrati sul fenomeno dell’acquiescenza del privato al provvedimento amministrativo. I due istituti sono tuttavia nettamente diversi: con l’acquiescenza il privato accetta il provvedimento ed esercita quindi le facoltà inerenti alla sua posizione soggettiva, mentre con la rinuncia se ne spoglia. A ben vedere, differente è, a monte, l’oggetto stesso dei due istituti: la situazione di interesse legittimo, nel caso della rinuncia, e l’atto amministrativo, nel caso dell’acquiescenza: pertanto l’adesione del privato all’esercizio del potere pubblico (mediante acquiescenza) non comporta la dismissione dell’interesse legittimo. Si veda, diffusamente, anche per i copiosi riferimenti dottrinali, F. Gaffuri, L’acquiescenza al

provvedimento amministrativo e la tutela dell’affidamento, Milano, 2006, in specie pp. 89 e ss. e in

specie cfr. p. 92: <<La dichiarazione in esame [di acquiescenza] ha un carattere necessariamente “relazionale”, giacché (…) si sostanzia in una promessa unilaterale rivolta ad un altro soggetto e si riferisce ad una fattispecie giuridica determinata, posta in essere da tale soggetto; essa ha, inoltre, carattere traslativo poiché da una parte provoca una deminutio nella sfera giuridica del disponente, dall’altra attribuisce in via correlata un’utilitas o un vantaggio in capo al destinatario della promessa;

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Fatte salve alcune rare eccezioni (peraltro basate sui risultati già raggiunti

nell’ambito del diritto civile

286

)

287

, mancano studi mirati sul tema, nonostante i profili

di indubbio rilievo che da esso scaturiscono.

Spesso la questione è stata analizzata non tanto da un punto di vista sostanziale,

quanto processuale

288

, evidenziando lo stretto legame tra i due profili

289

.

l’atto unilaterale di cui si discute ha altresì natura costitutiva, in quanto genera un vincolo giuridico ed instaura tra il dichiarante ed il beneficiario della disposizione un vero e proprio rapporto giuridico>>. L’Autore offre altresì un’ampia panoramica sulle tendenze giurisprudenziali all’assimilazione di rinuncia e acquiescenza, cfr. pp. 1 e ss. Diversa la posizione di chi ha ritenuto coincidenti i fenomeni dell’acquiescenza al provvedimento amministrativo e della rinuncia all’interesse legittimo, cfr. R. Marrama, Rinuncia all’impugnazione ed acquiescenza al provvedimento amministrativo. Vicende

dell’interesse legittimo, I, Napoli, 1979. Si sofferma sull’acquiescenza, rapportandola con l’istituto

della rinuncia, N. Paolantonio, Contributo sul tema della rinuncia in diritto amministrativo, Napoli, 2003, in particolare pp. 146 e ss.

286

I pochi riferimenti – legislativi o dottrinali – che utilizzano le parole rinuncia e rinunciare in riferimento al diritto pubblico presuppongono un concetto noto, cioè quello che la rinuncia ha nel diritto privato.

287 Cfr. C. Fadda, Sulla teoria delle rinunce nel diritto pubblico, in Riv. dir. pubbl., 1909, pp. 23 e

ss.; L. Raggi, Contributo alla dottrina, cit.; G. Treves, Il problema della rinuncia nel diritto

amministrativo, in Scritti giuridici, Milano, 1982, pp. 375 e ss.; R. Marrama, Rinuncia all’impugnazione ed acquiescenza, cit. Più di recente, si veda l’opera di N. Paolantonio, Contributo sul tema della rinuncia, cit.

288 La rinuncia oggetto di interesse nel presente paragrafo è quella avente a oggetto la situazione

soggettiva sostanziale e non, invece, quella che interessa il diritto di azione. Sul punto, si veda: F. Goisis, Compromettibilità in arbitri, cit., p. 269, che, sul presupposto che l’interesse legittimo consista <<materialmente [nel]l’esercizio di alcune facoltà strumentali>> tra le quali la principale sarebbe <<l’esercizio dell’azione di impugnazione>>, conclude che <<disponibilità, in questo caso, significa (una volta emanato il provvedimento) essenzialmente possibilità di rinuncia al ricorso>>; G. Verde,

La convenzione d’arbitrato, cit. in AA.VV., Diritto dell’arbitrato, Torino 2005, p. 93, secondo cui

<<parlare di rinunciabilità o irrinunciabilità tout court è fuorviante sol se si considera che di fatto il soggetto conserva quasi sempre la disponibilità anche di situazioni indisponibili; vale a dire l’indisponibilità del diritto leso non impedisce al titolare di rinunziare alla tutela giurisdizionale anche di situazioni indisponibili, ovvero di rinunciare all’azione, salvo in quelle rarissime ipotesi in cui la legittimazione concorre con quella del pubblico ministero, che si sostituisce alla parte nella tutela del suo diritto nel perseguimento dell’interesse della legge. Se le parti possono rinunciare di fatto anche a situazioni qualificate come indisponibili semplicemente rinunciando, preventivamente o successivamente, alla tutela giurisdizionale ciò non significa che l’indisponibilità sia sostanzialmente priva di efficacia, dal momento che i titolari degli interessi coinvolti possono comunque agire direttamente per la tutela di quanto gli spetta: quando detti interessi facciano capo a persone, agendo normalmente in giudizio, quando invece riguardino l’ordine pubblico, lo Stato è legittimato ad agire nella persona del Pubblico Ministero. Alla repressione infatti viene meno soltanto se il consenso ha ad oggetto la lesione di beni di pertinenza esclusiva (o prevalente) del privato che ne è titolare. Mentre a nulla vale l’eventuale rinuncia alla tutela da parte dell’offeso se è lo Stato ad avere un interesse diretto alla salvaguardia del bene, come accade nel caso di beni dotati di rilevanza per l’intera collettività>>. L’Autore cita, sul punto, G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale, parte generale, Bologna, 2015; nello stesso senso vede la concorrenza o coincidenza di interessi superiori o equiordinati alla base della disponibilità F. Mantovani, Diritto penale, Padova, 2015. Per un tipico esempio di indisponibilità che comporta l’irrinunciabilità anche del diritto di azione, si veda l’art. 146, comma 11, d.lgs. n. 42/2004: <<l’autorizzazione paesaggistica è impugnabile con ricorso al tribunale amministrativo regionale o

84

La trattazione che segue si incentrerà sulla possibilità di rinuncia all’interesse

legittimo da parte del titolare, mentre non verrà analizzato il diverso profilo relativo

all’abdicazione al potere amministrativo

290

. Siffatta scelta metodologica si giustifica

con l’oggetto della ricerca, limitato allo studio strutturale e funzionale della

situazione attiva che il privato vanta nei confronti della pubblica amministrazione.

A livello qualificatorio, la rinuncia è una delle forme di manifestazione del

potere di disposizione dei diritti

291

e, più in particolare, si concretizza in un negozio

giuridico unilaterale

292

a natura abdicativa

293

.

con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (…) Il ricorso è deciso anche se, dopo la sua proposizione ovvero in grado di appello, il ricorrente dichiari di rinunciare o di non avervi più interesse. (…)>>.

289 Cfr. M. Delsignore, La compromettibilità, cit., p. 193: <<poiché si è anche detto che la

disponibilità va intesa come facoltà di abdicare o cedere la posizione giuridica vantata, è chiaro che la stessa non può non sussistere quando sia consentito cedere alcune delle facoltà in cui si concreta la stessa posizione. Dunque, dalla rinunciabilità dell’azione nel giudizio amministrativo, che rappresenta un’esplicazione, pur solo nel senso della tutela in negativo, dell’interesse legittimo, consegue la disponibilità di quest’ultimo, che sempre deve sussistere in capo al titolare del potere di azione, cioè al titolare dell’interesse a ricorrere>>.

290 Sullo specifico aspetto della rinuncia al potere da parte della P.a., cfr. l’ampia trattazione di N.

Paolantonio, Contributo sul tema della rinuncia, cit., pp. 53 e ss., nonché, sinteticamente, L. Formentin, Rinuncia, cit., p. 470.

291

Così A. Grassi, Rinunzia, in Dig. it., XIII, 1925, pp. 695 e ss.; A. Bozzi, Rinunzia, in Nov. dig.

it., XV, pp. 1141 e ss., il quale individua l’effetto tipico della rinuncia nel <<separare un diritto dalla

sfera giuridica di un soggetto>>. L’Autore si sofferma ampiamente sull’autonomia del potere di rinuncia dal diritto soggettivo sul quale incide, tuttavia la tematica non riveste interesse ai fini della ricerca. Ciò che rileva, piuttosto, è indagare la possibilità o meno per il titolare dell’interesse legittimo di rinunciare alla propria situazione soggettiva di vantaggio nei confronti della pubblica amministrazione, a prescindere dalla relazione che intercorre tra il potere in questione e l’interesse legittimo medesimo. In questa sede, è sufficiente riscontrare la connessione che lega gli anzidetti elementi, che l’Autore chiaramente afferma, cfr. p. 1143: <<devesi piuttosto considerare la rinunzi abilità o meno dei diritti soggettivi come una qualità dei medesimi, e cioè come idoneità o meno di essi a costituire oggetto del potere (…) di rinunzia>>. Per un’analisi approfondita sulle caratteristiche e l’evoluzione dell’istituto della rinuncia, cfr. N. Paolantonio, Contributo sul tema della rinuncia, cit., pp. 17 e ss. Per quanto riguarda alcuni illustri studi più generali, vi è una diretta connessione tra la rinunciabilità e la disponibilità delle situazioni giuridiche soggettive. si veda A. De Cupis, I diritti

della personalità, cit. pp. 92 e ss., nonché G. Verde, Diritto dell’arbitrato irrituale, Torino, 2000, in

particolare p. 60.

292 Sulla natura di negozio unilaterale della rinuncia vi è unitarietà di opinioni, ma cfr. contra B.

Biondi, Forma e bilateralità della rinuncia a servitù, in Foro it., 1957, pp. 414 e ss.

293

L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1948, p. 136. Il carattere abdicativo distingue la rinunzia dall’alienazione, denotata dalla volontà del titolare a che la situazione di vantaggio sia attribuita a un terzo soggetto, in modo che all’effetto dismissivo si accompagni anche quello acquisitivo. Nel caso della rinuncia, invece, ci si ferma all’effetto negativo, senza che venga in gioco la fase successiva. Sempre per quanto attiene alla natura dismissiva dell’atto di rinunzia, A. Bozzi, Rinunziabilità, cit., p. 1144, evidenzia la differenza tra rinunziabilità e trasmissibilità: <<La trasmissibilità è soltanto un fenomeno di aderenza al titolare; la rinunziabilità è un fenomeno di necessaria permanenza del diritto al titolare. il che importa soltanto il divieto di sacrificio del diritto per atto di volontà del titolare, ma non importa, di regola, obbligo di esercizio del diritto, e non esclude che il medesimo possa venir meno per cause diverse dalla volontà del

85

Il fenomeno può osservarsi sotto due angolazioni, poiché investe da un lato il

soggetto e dall’altro la situazione giuridica soggettiva. Pertanto, i presupposti di

operatività dell’istituto sono di tipo soggettivo e oggettivo: per quel che attiene ai

primi, l’attenzione si è incentrata sulla capacità di agire del soggetto rinunciante

294

,

mentre rispetto ai secondi hanno assunto rilievo le caratteristiche di conformazione

della situazione oggetto di rinuncia.

Ai fini del presente lavoro interessa quest’ultimo profilo e, in specie, la

rinunciabilità come qualifica propria dell’interesse legittimo: sarà tralasciato,

pertanto, lo studio sulle connotazioni del relativo potere funzionale.

Oggetto della vicenda abdicativa può essere soltanto un diritto (rectius: una

situazione giuridica soggettiva protetta

295

) rientrante nel patrimonio del titolare–

rinunciante

296

e posto nel suo esclusivo interesse.

Dalla rinuncia deriva un effetto tipico e necessario di separazione della

situazione di vantaggio dal titolare

297

; invece, l’estinzione del diritto costituisce una

conseguenza meramente eventuale (come tale non rientrante nello schema proprio

dell’istituto), derivante dall’impossibilità per esso di sussistere privo di titolarità,

ovvero scisso dal rapporto cui ineriva

298

.

soggetto>>. Cfr. altresì N. Paolantonio, Contributo sul tema della rinuncia, cit., p. 27, per il quale il negozio di rinuncia ha causa esterna e non tipizzata.

294 Si veda A. Grassi, Rinunzia, cit., p. 695.

295 Non può costituire oggetto di rinuncia un interesse di mero fatto. 296 Ancora in questo senso A. Grassi, Rinunzia, cit., p. 696.

297

È del tutto irrilevante che dalla rinuncia si costituisca un effetto di incremento patrimoniale a favore di altri soggetti, poiché la struttura di tale negozio è necessariamente unilaterale (in ciò differenziandosi con la transazione, su cui cfr. infra, § 6). Cfr. sul punto F. Macioce, Il negozio di

rinuncia nel diritto privato, I, Napoli, 1992, p. 115. Rileva come la rinunzia operi abbia effetti diretti

soltanto nei confronti del titolare del diritto oggetto della medesima L. Formentin, Rinuncia, cit., p. 469, nonché S. Piras, La rinuncia nel diritto privato, Napoli, 1940, p. 48, che individua la rinunzia quando <<si identifichi in una fattispecie negoziale l’elemento costituito da un’attività diretta alla dismissione – senza l’attribuzione corrispondente – di una posizione giuridica>>, specificando che sui terzi si producono solo effetti riflessi e indiretti. Nello stesso senso F. Gaffuri, L’acquiescenza al

provvedimento, cit., p. 91: <<l’eventuale acquisizione della posizione di vantaggio oggetto di rinuncia

da parte di altri soggetti, o altri benefici che dovessero trarre i terzi dal negozio dismissivo, rappresentano effetti solo eventuali ed indiretti, estranei comunque allo schema negoziale tipico che si sta trattando>>.

298

Un esempio della mera accidentalità dell’estinzione del diritto quale effetto della rinuncia allo stesso è dato da A. Bozzi, Rinunzia, cit., p. 1151: <<E’ il caso ad es. della rinunzia del creditore alla fideiussione; la funzione di questa è di garantire un determinato credito, onde è impossibile che, avulso dal rapporto cui accede per la dismissione fattane dal titolare del credito, quello stesso negozio di garanzia possa entrare nella sfera giuridica di un altro titolare. si ha invece soltanto separazione del diritto dalla sfera giuridica del rinunziante, senza estinzione o consumazione del diritto medesimo, quando, per la natura di esso o per la funzione che esplica, il diritto ha l’attitudine ad entrare nella sfera giuridica di qualsiasi subietto. È il caso della rinunzia o abbandono del diritto di proprietà; tale rinunzia determina il distacco del diritto dal patrimonio del rinunziante, ma il diritto, nel suo lato passivo di vincolo obiettivo cui soggiace la cosa, permane, temporaneamente senza titolare, ma con insita l’attitudine ad averlo, tostochè siasi compiuto l’atto di occupazione>>.

86

Restando ancora sul piano effettuale, ove il diritto in questione sia inserito

all’interno di un rapporto giuridico, la rinuncia comporterà una limitazione (e talvolta

un’estinzione) del rapporto stesso

299

.

Poste queste necessarie indicazioni operative, il primo problema che si presenta è

stabilire la natura della rinunciabilità del diritto. Parte della dottrina, infatti, ha negato

che essa costituisca una qualificazione di ordine positivo della situazione soggettiva,

collegandone piuttosto la sussistenza alla causa attribuita alla situazione medesima

dall’ordinamento

300

. In altre parole, occorrerebbe una valutazione caso per caso alla

luce della complessità dell’assetto giuridico, partendo dal presupposto che la

rinunciabilità necessita di previsione espressa

301

.

La prospettiva appena indicata, tuttavia, non sembra condivisibile.

Il collegamento – già posto in luce – tra disponibilità e rinunciabilità conduce a

riproporre le medesime considerazioni già precedentemente espresse nel corso della

trattazione

302

.

Ugualmente alla disponibilità, anche la rinunciabilità deve considerarsi qualifica

comune delle situazioni soggettive a contenuto patrimoniale. Il che non esclude

l’esistenza di casi in cui una norma ab externo incida ponendo limiti a tale facoltà

dispositiva (rectius: rinunciativa), come accade a fronte di ragioni di ordine

superiore. L’intreprete, quindi, sarà tenuto a una valutazione casistica, partendo

tuttavia dal presupposto che la rinunciabilità è la regola.

Derogano a siffatta costruzione ermeneutica le situazioni soggettive che per

struttura sono indisponibili, come tali anche irrinunciabili

303

.

299

Nell’ambito del diritto civile, l’estinzione per rinuncia di un rapporto di debito credito è tipizzata dall’istituto della remissione del debito, che configura la rinuncia volontaria del creditore al proprio diritto: la disciplina è quella di cui agli artt. 1236 e ss. c.c. La remissione del debito è concepita dall’art. 1236 c.c. come atto unilaterale, produttivo dell’effetto estintivo dell’obbligazione in forza della sola volontà del creditore. L’effetto estintivo si produce, per l’art. 1236 c.c., nel momento in cui la dichiarazione del creditore è portata a conoscenza del debitore. La remissione del debito trae la propria validità dal solo fatto di essere l’atto mediante il quale il titolare di un diritto disponibile rinuncia ad esso: si rinuncia, con la remissione, al proprio diritto di credito allo stesso modo in cui può rinunciare al proprio diritto il titolare di qualsiasi altro diritto soggettivo disponibile. La funzione dell’atto è consentire al titolare del diritto di credito una simile disposizione del proprio diritto.

300 A. Bozzi, Rinunzia, cit. 1144: <<un diritto è rinunziabile quando l’ordine giuridico ritiene

indifferente, data la funzione del diritto, che questo permanga o meno nella sfera del titolare. è, al contrario, irrinunciabile quando il diritto soggettivo ha uno scopo che impone un rapporto di necessaria aderenza e permanenza nella sfera del titolare. Codesto rapporto di inerenza del diritto al soggetto si realizza mediante un comando imperativo, sicché l’atto di abbandono del diritto compiuto dal soggetto costituisce uno sviamento dallo scopo per cui l’ordine giuridico accordò riconoscimento e tutela al diritto soggettivo, e perciò violazione del comando>>.

301 Si veda ancora A. Bozzi, Rinunzia, cit., p. 1144: <<La rinunziablità, quindi, dipende dal modo

onde la norma foggia la intensità del vincolo che lega il diritto al titolare>>.

302

Cfr. supra in questo capitolo, § 2, § 3 e § 4.

303 Cfr. S. Romano, Corso di diritto amministrativo. Principi generali, Padova, 1930, pp. 139 e

ss., ove si fa riferimento all’irrinunciabilità dei diritti innati o essenziali della persona o di quelli della personalità, nonché delle immediate estrinsecazioni della capacità giuridica (e della capacità giuridica

87

Vale, pertanto, per la categoria della rinuncia, la medesima ripartizione già

esplicata per la disponibilità (e per la trasferibilità): le situazioni giuridiche

intrinsecamente indisponibili sono anche irrinunciabili, mentre tutte le altre sono di

regola rinunciabili, salvo espresse limitazioni legali di volta in volta apposte.

Occorre adesso volgere lo sguardo specificamente all’ambito amministrativo,

ove il fenomeno della rinuncia

304

è stato osteggiato soprattutto a causa della

(eccessiva) valorizzazione dell’interesse pubblico

305

.

Due gli orientamenti che si sono sviluppati in merito alla generale ammissibilità

della rinuncia nel diritto pubblico (nell’ipotesi, quindi, in cui essa non sia

espressamente prevista o regolata)

306

.

Una parte minoritaria della dottrina

307

ha dato risposta positiva, partendo dal

generale principio della libera disponibilità dei diritti, valido anche nel settore

pubblico. Secondo questo indirizzo, la circostanza che una situazione soggettiva sia

inserita nell’ambito di un rapporto di stampo pubblicistico non può comportarne

l’automatica irrinunciabilità, sempre che non si versi in un’ipotesi di incompatibilità

logico – giuridica con la rinuncia, ovvero di conflitto tra questa e l’ordine pubblico o

la morale

308

.

Il fenomeno abdicativo in esame, quindi, produce la dismissione del vantaggio

giuridico, restando indifferente – ai fini dell’ammissibilità – l’indagine sulla

<<privatezza o pubblicità>>

309

della situazione giuridica soggettiva o del rapporto in

medesima). Per l’esclusione della rinunciabilità degli status, cfr. A. Bozzi, Rinunziabilità, cit., p. 1147.

304

Con specifico riferimento al diritto pubblico, cfr. L. Raggi, G. Donatuti, Rinuncia. Diritto

pubblico, in Enc. giur. Treccani, in www.treccani.it: <<la rinuncia deve intendersi quindi il volontario

abbandono abdicativo per parte di un soggetto di vantaggi giuridici (normalmente di diritti soggettivi pubblici). La traslazione del vantaggio, che può avere luogo con la rinuncia, avviene ex se, ope legis, e non per volontà del rinunciante: la rinuncia è negozio essenzialmente unilaterale>>. La definizione indicata riproduce quindi quanto già espresso supra in termini più generali.

305 Come giustamente osservato da N. Paolantonio, Contributo sul tema della rinuncia, cit., p. 39:

<<il problema della rinunzia nel diritto amministrativo [è] stato fortemente influenzato dall’idea di un legame immanente tra la situazione di vantaggio oggetto di potenziale dismissione ed una dimensione di interesse superindividuale, ancor oggi riaffermata>>.

306 Per un’analisi dettagliata degli orientamenti dottrinali che si sono succeduti sul tema, cfr., di

nuovo, N. Paolantonio, Contributo sul tema della rinuncia, cit., pp. 35 e ss.

307 Cfr. L. Raggi, Contributo alla dottrina delle rinunzie, cit., pp. 6 e ss. 308

Così L. Formentin, Rinuncia, cit., p. 469. Nello stesso senso anche L. Raggi, G. Donatuti,