1. Il Tirocinio come strumento per promuovere l’inclusione
Il processo di integrazione/inclusione1, un processo complesso, continua-mente perfettibile, necessita che ogni docente, curricolare o con specializ- zazione nelle attività di sostegno, abbia consapevolezza delle responsabilità che gli sono proprie nel rendere effettivo, nella pratica scolastica quotidia- na, quanto dichiarato nella normativa e teorizzato nella letteratura pedago- gica speciale, sulla base di attente osservazioni e significative interazioni con gli allievi più vulnerabili o con disabilità.
Fondamentale per attuare tale processo e assicurare equità nella scuola è la formazione secondo i principi dell’educazione inclusiva di tutti i docen- ti, e in particolare dei curricolari, svolgendo questi ultimi un ruolo chiave nell’implementazione pratica delle teorie, come riconosciuto anche a livello internazionale (Florian, 2009)2.
Per una scuola democratica, in cui ogni allievo si senta incluso, appar- tenente e rispettato nella sua originaria unicità di persona, è indispensabile
1. Docente del Corso di laurea in Scienze della Formazione primaria, Università di Bologna.
1. I termini inclusione e integrazione sono utilizzati con accezioni diverse nei vari paesi e all’interno di ogni paese stesso. Per un approfondimento, si può vedere: Sandri P. (2014), Bisogni educative e Diritti di inclusione, in Gaspari P., Pedagogia speciale e BES, Anicia, Roma, pp. 123-150.
2. Numerosi sono i rapporti della Commissione Europea e gli studi relativi alla forma- zione dei docenti, in quanto la formazione è considerata aspetto cardine per la costruzione di una società democratica, tra i quali Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione de- gli Alunni Disabili (2012), La formazione docente per l’inclusione. Profilo dei docenti in-
clusivi, Odense, Danimarca; Agenzia Europea per lo Sviluppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili (2011), La formazione docente per un sistema scolastico inclusivo in tutta Europa
- Sfide ed opportunità, Odense, Danimarca; Agenzia Europea per i Bisogni Educativi Spe- ciali e l’Istruzione Inclusiva (2014), Cinque messaggi chiave per l’educazione inclusiva.
del resto che ci sia un’assunzione di responsabilità di attuazione da parte di ogni componente la comunità scolastica. Una comunità che in quanto tale si fondi sul rispetto dei diritti costituzionali, sulla condivisione dei valori, dei principi di una società democratica e sulla collaborazione. In questa ottica, promossa anche in ambito europeo, e in coerenza con la normativa che da quarant’anni garantisce l’integrazione degli allievi con disabilità nelle scuole italiane, l’insegnamento di Pedagogia speciale per l’inclusione, inserito nel curriculum per la formazione dei futuri insegnanti di scuola dell’infanzia e di scuola primaria, apporta un significativo contributo, come disciplina in grado di integrare in un modello didattico problematicista (Baldacci, 2004) la cura educativa “speciale” nella quotidianità “normale” del fare scuola.
Storicamente le differenze individuali tra gli studenti sono state pensate associate a deficit o a specifici disturbi di apprendimento e si è ritenuto che fosse sufficiente un’educazione di compensazione, di potenziamento delle abilità soggiacenti. Occorre invece spostare il fuoco dell’attenzione dal tentativo di “rimediare” alle funzioni cognitive carenti nel soggetto, all’a- nalisi delle strategie necessarie agli apprendimenti. Il cambio di prospettiva comporta di accettare le differenze degli studenti come aspetti ordinari del funzionamento umano e di comprendere meglio le risposte che ognuno dà alle attività proposte.
Secondo numerose esperienze maturate in Italia e in ambito interna- zionale, i metodi, le strategie di insegnamento utilizzate in classe da in- segnanti curricolari competenti possono essere utili per la maggioranza degli studenti con bisogni educativi speciali e viceversa, molte strategie utilizzate per soggetti con bisogni educativi speciali possono essere effica- cemente estese a tutti (Jordan, Schwartz e McGhie-Richmond, 2009). Per questo è importante prevedere una formazione che valorizzi le competenze educative e didattiche già possedute dai docenti in servizio onde evitare che, sentendosi inadeguati a rispondere alle differenti caratteristiche indivi- duali di apprendimento degli allievi, richiedano interventi specializzati con possibile conseguente produzione di categorizzazioni che stigmatizzano le diversità invece di promuovere “l’unità nella diversità” dell’umano, come afferma Morin (2001).
Centrale risulta la relazione che il docente instaura con ogni allievo e l’attenzione ad accompagnare quest’ultimo verso il successo scolastico e formativo. Si tratta, prima di tutto, di riconoscerlo come persona, come bambino, e non come “portatore di un deficit”, incluso in una categoria clinica; occorre rilevarne i punti di forza, i “so fare da solo” e i “so fare se aiutato”, comprendere la natura delle difficoltà, difficoltà non determinate esclusivamente da sue caratteristiche fisiche o personologiche, ma anche dalle interazioni presenti nei contesti di appartenenza (famiglia e scuola in
primo luogo). Saper gestire la classe e guidarla a diventare una comunità di apprendimento, inclusiva e solidale, necessita da parte dell’insegnante di impadronirsi di molteplici competenze, tra cui quelle di avere cura, nel senso pedagogico del termine, delle dinamiche relazionali che si svilup- pano tra il docente e gli alunni e tra gli alunni. Si tratta inoltre di attivare ogni allievo a diventare sempre più responsabile e autonomo nel proprio apprendimento, un soggetto “attivo”, capace di riflettere sui propri processi cognitivi, emotivi, motivazionali, di auto-valutarsi e di confrontarsi con gli altri. L’individualizzazione e la personalizzazione dei processi di insegna- mento/apprendimento, fondamentali per promuovere inclusione, richiedono al docente capacità di flessibilità organizzativa, di collaborazione con i col- leghi, di progettazione didattica differenziata, di adattamento dei materiali, di valutazione, sostenute da una ricerca costante di equità e da uno sguardo che va oltre il deficit del bambino, che va oltre le tecniche specialistiche fini a se stesse, per immaginare l’adulto, il cittadino che quell’alunno potrà essere in futuro, se accompagnato da insegnanti/educatori intenzionalmen- te volti a valorizzare l’umanità di ciascuno. Anche solo da questi accenni si può comprendere quanto la professionalità del docente inclusivo im- plichi una disponibilità a porsi in un’ottica di ricerca/azione, al lavoro in collaborazione tra colleghi, con i famigliari e i professionisti degli ambiti socio-educativo-sanitari, alla riflessione continua sulle proprie convinzioni, sul proprio linguaggio e sulle proprie pratiche educative e didattiche. Un percorso che può essere percepito come faticoso e non sostenuto all’interno della propria realtà scolastica.
La cultura della scuola, che comprende, tra altri aspetti, la struttura or- ganizzativa e la stessa terminologia usata per riferirsi alla diversità, eserci- ta del resto un’influenza sulle credenze e le azioni dei docenti e particolar- mente all’inizio della loro carriera (Stanovich e Jordan, 2002).
I contesti scolastici all’interno dei quali si svolgono i tirocini dovreb- bero rinforzare le convinzioni e le attitudini dei futuri insegnanti a favore dell’integrazione/inclusione, ma non sempre così accade (Ianes, 2016). Da questo punto di vista, il corso di Pedagogia speciale per l’inclusione, in particolare, e il Tirocinio indiretto di Scienze della Formazione primaria sono tesi a offrire ai futuri docenti un quadro organico di riferimento e riflessioni problematizzanti rispetto a quanto osservato ed esperito nella scuola, per cercare di collocare in una prospettiva costruttiva l’eventuale scarto individuato con quanto elaborato teoricamente.
In base a rilevazioni compiute al primo anno, all’inizio del corso di Pedagogia speciale dell’inclusione, sembra emergere che la maggioranza degli studenti abbia già fatto propria una sensibilità culturale verso l’in- tegrazione, avendo avuto occasione molti di loro di incontrare o svolgere un percorso scolastico con persone con disabilità. Ma questo rapporto con
l’altro, se da un lato ha consentito loro, più o meno approfonditamente, di vivere l’esperienza del tu (Buber, 1993), coinvolgendoli emotivamente e portandoli a riflettere sull’essere, noi tutti, a un tempo simili e differenti, dall’altro lato, non ha rimandato a chiare procedure didattiche inclusive che possano porsi come modello di riferimento utile per la loro futura profes- sionalità docente. A ciò si può aggiungere un ulteriore problema costituito dal fatto che i tirocinanti sono probabilmente accolti da insegnanti/Tutor che non hanno ricevuto una formazione di Pedagogia speciale per l’inclu- sione o non si sono aggiornati in questo ambito. Il Tirocinio può quindi risultare un luogo di esperienza di conferma della possibilità di realizzare un processo di integrazione/inclusione, oppure un luogo in cui si ha prova della difficoltà ad attuarlo, una prova che può indurre il futuro docente o a rinunciare all’impegno o ad accettare la sfida, proponendo lui stesso un’at- tività inclusiva che, se ben condotta, può innescare positive dinamiche di cambiamento negli insegnanti in servizio, in un rapporto di coevoluzione.