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IL PEGGIO CHE POTREBBE RESTARE

6.1. Scene di lotta di classe (di età…)

6.1.1. La competizione autolesionista tra generazioni: prima io

Le emergenze hanno un impatto psicologico traumatico e segnano in profondità gli individui e le comunità. Quello che gli italiani stanno vivendo è destinato a marcare stati d’animo, modelli interpretativi e comportamentali del prossimo futuro.

Il vissuto della scarsità su risorse fondamentali come la sanità, il percepirsi come secondario nei propri bisogni di salute perché ce ne sono altri in quel momento più importanti, sono esperienze vissute direttamente o indirettamente che hanno un impatto erosivo della coesione sociale e di comunità.

L’evoluzione delle opinioni degli italiani su tematiche che rinviano e/o afferiscono al rischio razionamento sanitario di fronte alla pressione della domanda sanitaria consentono di capire come nel cuore e nella mente delle persone si vanno sdoganando idee e convinzioni che molto conteranno nel prossimo futuro.

Il 60,6% dei giovani esplicitamente ritiene che occorre mettere fine all’eccesso di spesa per gli anziani e, in emergenza, capovolgere i criteri per età, privilegiando piuttosto i giovani (Tabella 6).

Una richiesta esplicita in questa fase, dettata dall’emergenza, ma con cui la società sarà chiamata a fare i conti se le risorse non saranno sufficienti per tutti, o se il loro utilizzo non sarà ottimizzato per ottenere soluzioni socialmente sostenibili.

Nel fuoco dell’emergenza, mentre a livello micro, di relazioni familiari, di comunità emerge una notevole spinta all’aiuto reciproco, alla solidarietà tra persone di età diversa, in modo ancora latente, sul piano sociale ci sono indicazioni di una maggiore radicalità sul tema della distribuzione delle risorse pubbliche.

I giovani che vengono da anni di penalizzazioni tra mercato del lavoro e Welfare, nel prossimo futuro potrebbero non essere così accomodanti nella competizione per le risorse pubbliche non più scarse come negli anni scorsi, ma comunque insufficienti rispetto all’esplosione di bisogni sociali da coprire.

6.1.2. Aged confinati in casa: giovani più favorevoli

Ora che si fa strada l’idea di blindare in casa gli anziani o comunque specifiche categorie di persone definite anche a partire dal proprio stato anagrafico, è importante capire se e in che misura queste idee trovino spazio nella società.

Ebbene, il 41,5% dei giovani di contro al 26,9% degli adulti e a solo il 12% degli anziani riconosce che si è anziani quando si raggiunge una determinata età, di solito i 65/70 anni e, pertanto, ha senso fissare criteri anagrafici per applicare misure restrittive.

Si può dire quindi che l’idea di un confinamento per età non è maggioritaria, e tuttavia ha una base di riferimento molto forte tra i più giovani. E questo per certi versi alimenta l’idea che dal periodo di emergenza si uscirà con una maggiore radicalità di rapporto tra le generazioni, e che la sanità, se non opportunamente curata, ne sarà una delle cause primarie.

6.2. Salute e Sanità, non più certezze

Covid-19 è entrato nell’intimità delle vite di ciascuno, ha spianato differenze di ogni genere mettendo tutti di fronte alla stessa sensazione di vulnerabilità.

La salute quindi è stata il paradigma universale dell’affondamento del senso di sicurezza delle persone, che pure veniva da una lunghissima fase di erosione.

È dalla crisi del 2008 e relative conseguenze che si è individuata una dinamica restringente del Welfare pubblico e al contempo una incertezza via via più grande con riferimento non solo a lavoro e reddito, ma appunto a rischi sociali che si ritenevano al riparo ormai da minacce non fronteggiabili tramite l’universalismo del Welfare.

Oggi l’incertezza è esistenziale e la vulnerabilità condizione vissuta nel quotidiano. Si è proceduto ad analizzare se e in che misura l’esperienza della pandemia ha modificato o confermato la percezione di sicurezza su salute e sanità degli italiani.

Operativamente si è fatto ricorso ad una batteria di quesiti e item che hanno consentito di enucleare e incrociare per ogni intervistato la percezione del suo grado di sicurezza rispetto alla salute e l’andamento della rete di protezione che il Welfare gli garantisce.

Pertanto, si è misurato come sta cambiando la percezione di sicurezza della propria salute in questi mesi a seguito dell’esperienza del Covid-19.

Dai dati risulta che:

• il 3% degli italiani è convinto di avere una copertura in sanità che gli consente di stare tranquillo, anche alla luce di quel che è accaduto in questi mesi;

• il 6% pensa che la rete di protezione è destinata a migliorare per effetto di provvedimenti annunciati o presi nel corso dei mesi, ma per ora vince l’insicurezza;

• il 34% ritiene che la pandemia ha semplicemente ratificato la propria insicurezza rispetto alla salute e alla sanità, e poco potranno fare gli interventi futuri.

• l’11% è segnato da una forte sensazione di insicurezza su salute e sanità ed è convinto che comunque alla fine della pandemia si ritroverà con una rete di protezione ancor più corta;

• il 12% pur rilevando una ulteriore erosione della rete di protezione sociale che inevitabilmente sarà determinato dalle vicende del Covid-19 e successiva crisi, è convinto che contando sull’integrazione personale di tutele pubbliche e autotutele private comunque non sarà travolto dall’insicurezza;

• il 34% ritiene che alla fin fine la rete di protezione sociale del Welfare tiene e gli garantisce sicurezza anche nella sanità.

Un quadro articolato, in evoluzione, che mostra paradigmaticamente come la sicurezza per la salute, diventato il trend topic degli italiani, generi una percezione soggettiva che, oltrepassata la grande crisi, disegnerà gli scenari reali su cui dovrà misurarsi il Welfare.

Di certo va considerato che dentro i cluster indicati ci sono situazioni inedite, a cominciare dai gruppi sociali che tradizionalmente hanno beneficiato di alti redditi da attività d’impresa e che invece sono precipitati in condizione di disagio. Sono soggetti che tradizionalmente praticano forme di autotutela privata o che disponevano di scorte monetarie per fronteggiare spese impreviste, incluse quelle sanitarie, e che invece si ritrovano ora a dover contare su sussidi pubblici.

È una nuova frontiera dell’insicurezza sociale che si va dispiegando e che ha per epicentro proprio la salute e la sanità.

6.3. Welfare: da dove verrà la nuova sicurezza sociale

Il 90,8% degli italiani vuole avere le spalle più coperte in caso di emergenza: una quota che rende evidente che le persone non vogliono semplicemente più trovarsi in situazioni analoghe (Figura 2).

Troppo forte è stato il contraccolpo della sorpresa, il ritrovarsi con l’impressione che il virus stesse sommergendo la sanità, rompendo gli argini e lasciando le persone sole di fronte alla malattia grave. E troppo forte è il trauma di quanto sta accadendo e quindi le persistenze psicologiche che avrà su individui e comunità.

La potenza di una esperienza simile va attentamente valutata, perché è destinata a condizionare opinioni e comportamenti sociali nei prossimi anni.

Ci sarà una domanda sanitaria esigente, nervosa, molto preoccupata della propria vulnerabilità, e ci sarà una spinta verso la protezione da ricostruire. Voglio tutele e voglio potermele costruire: ecco un leitmotiv sociale che andrà governato.

In questa fase, sembra inevitabile restituire una sorta di superpotere allo Stato e al pubblico, perché la sospensione dei mercati costringe a contare sull’aiuto e intervento pubblico.

Si vive in una dimensione irreale dettata dall’incessante avanzare del contagio, che spinge a pensare che i soldi erogati possano ampliarsi a dismisura e che tutto è possibile coi soldi pubblici perché tanto non finiranno mai.

Su questo punto però gli italiani hanno una maturità che può sorprendere e che nulla ha a che vedere con revanche ideologiche: come priorità alla luce dell’esperienza di questi mesi per la protezione e tutela sociale il 34% dice di contare su un ampliamento del Welfare pubblico così da poter utilizzare i risparmi personali per altri ambiti di vita e lavoro. Il 66% invece dichiara di contare sullo sviluppo di forme e strumenti di autotutela che, però, allo stato attuale si risolvono nel tenere cash in portafoglio.

Il dato interessante è che pur in difficoltà con la crisi economica da blocco delle attività gli italiani sanno di non poter chiedere sempre tutto allo Stato e ritengono in maggioranza che sia importante destinare proprie risorse a forme di autotutela.

Allo stato attuale, però, l’autotutela coincide con il decollo del cash in portafoglio, che è esito sia della volontà delle persone sia anche dell’incapacità di fatto ad oggi delle industrie dell’autotutela ampiamente intesa di stimolare le persone a scongelare il cash, metterlo in movimento verso investimenti che siano comunque in grado di accrescere sensazione di protezione e tutela delle persone.