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Non più solo cronicità gestibili

5. IDEE SULLA SALUTE

5.2. Non più solo cronicità gestibili

Nel mosaico di riferimenti fenomenologici su cui esercitare riflessione in questa fase in prospettiva futura, utile è considerare anche l’impatto profondo che Covid-19 sta avendo sulla cultura sociale collettiva in tema di rappresentazioni della salute e della malattia.

Come rilevato, in una società ad alta soggettività il punto di vista dell’individuo è decisivo, tanto più in un contesto come quello sanitario in cui le rappresentazioni sociali dello stare bene e le pratiche che sono ritenute adatte a tutelare la buona salute incidono su composizione e dimensione della domanda e quindi sul Servizio Sanitario.

Nell’emergenza di questi mesi con l’arrivo del virus si è andata radicando nella cultura sociale collettiva una idea di malattia diversa da quella che negli ultimi decenni era avanzata.

Da tempo la malattia ha assunto nella percezione dei cittadini l’immagine di un processo prolungato di declino psicofisico, con cui spesso si è destinati a convivere a lungo, come se l’arrivo di una patologia cronica fosse l’inizio di una diversa vita.

D’altronde l’invecchiamento della popolazione di pari passo si è accompagnato alla progressiva cronicizzazione delle patologie, con cui sempre più italiani hanno a che fare:

basti pensare che nel 2019 in Italia i malati cronici erano 24,6 milioni, pari al 40,9% del totale della popolazione, cresciuti in 10 anni del +6,1%. E tra gli over 64 i malati cronici sono addirittura l’80,1% del totale dei longevi (11 milioni), per una crescita nel decennio del +13,5%.

Ecco perché nella concezione della salute pre Covid-19 l’idea che la maggior parte delle malattie fosse gestibile e che molte altre lo sarebbero diventate nel tempo, anche grazie agli esiti della ricerca scientifica e tecnologica, era ormai diventata una convinzione condivisa.

Con il virus è tornata la realtà della malattia che colpisce, alletta e uccide e lo fa con una dinamica crescente, progressiva, arrivando rapidamente ai grandi numeri con una esplosione di domanda di prestazioni sanitarie tale da far andare a gambe all’aria un sistema sperimentato come il Servizio Sanitario.

Infatti, nell’89% dei casi di morte di persone affette da Covid-19, esso è stato la causa responsabile della morte, mentre nel restante 11% le cause afferiscono soprattutto a malattie cardiovascolari (4,6%) e tumori (2,4%).

La quota di morti per Covid-19 è pari al 92% tra i 60-69enni e scende all’82% tra le persone con meno di 50 anni.

E Covid-19 uccide, perché nel 28,2% delle morti non ci sono concause. Nel restante 71,8%, il 31,3% ha una concausa, il 26,8% ne ha due e il 13,7% ha tre o più concause.

Sono le cardiopatie ipertensive (18% dei decessi), il diabete mellito (16%), le cardiopatie ischemiche (13%), i tumori (12%) le concause più importanti, mentre con percentuali inferiori al 10% vi sono altre concause quali malattie croniche delle basse vie respiratorie, patologie cerebrovascolari, demenze, malattia di Alzheimer e obesità.

Sono dati Istat che confermano, di fatto, come Covid-19 sia entrato direttamente nell’immaginario collettivo come veicolo del ritorno della malattia che uccide, rompendo la convivenza possibile anche con altre patologie che nel tempo si erano andate cronicizzando.

Dopo anni in cui la malattia è stata sempre più qualcosa di gestibile o destinata ad essere gestita, come nel caso delle patologie oncologiche sempre più cronicizzate, gli italiani di nuovo vivono l’incubo di una malattia che si insinua velocemente e colpisce tante persone serialmente e che, anche a causa dell’interazione con altre pregresse patologie, non lascia scampo.

L’esperienza di questi mesi ha, di fatto, ridimensionato la cronicità come rappresentazione sociale emblematica di patologia sostenibile e con cui convivere.

Emblematico di questo cambio di paradigma nel rapporto con le malattie è quanto accaduto agli anziani, più coinvolti dalle cronicità e quindi dalla malattia con cui convivere, e che hanno avuto nella patologia cronica un acceleratore di eventuali conseguenze letali del virus.

Con Covid-19 la malattia ha perso d’improvviso ogni dimensione rassicurante, di qualcosa con cui tutto sommato si può convivere.

5.3. Dava sicurezza, genera preoccupazione 5.3.1. Preoccupazione post-traumatica

L’82,3% degli italiani in questi mesi prova angoscia perché ha visto cambiare in modo permanente la propria vita, e in particolare l’ambito della salute (figura 1).

Ecco, in estrema sintesi, il significato che Covid-19 sta assumendo nella vita delle persone: un cambiamento rapido, vorticoso, con al centro la salute e senza un punto di arrivo, che getta le persone in un'angoscia nuova, mai provata prima.

Come rilevato, la salute è l’epicentro di questa angoscia esistenziale che pervade le vite: in fondo, nel tempo gli italiani erano venuti a patti con un Servizio Sanitario capace comunque di garantire nell’ordinarietà il basic vitale, in modo a tratti eccellente, a tratti arrancando: in ogni caso, surfando tra pubblico e privato e utilizzando anche risorse proprie, le persone trovavano alla fine una soluzione alle proprie esigenze.

Con Covid-19 è saltato il compromesso sanitario tra cittadini e Stato costruito nel tempo, perché ora i cittadini sanno che potrebbero trovarsi in una situazione in cui è difficile o impossibile accedere alle cure.

In questa situazione, poi, si è sfaldata l’idea che le malattie fossero ormai nella maggior parte dei casi gestibili, qualcosa con cui fosse possibile convivere. Se prima la salute era un ambito in cui le persone si sentivano alla fine piuttosto salde, con le spalle protette grazie a Welfare e autotutele, Covid-19 l’ha resa un ambito minacciato, fonte di paura e incertezza e di un’angoscia che a catena si ripercuote su tutte le sfere della vita.

La malattia aggredisce e diventa letale subito, non lascia spazio a convivenze prolungate, addirittura di vita, e il sistema al contempo entra in un affanno tale da non riuscire in molti casi a dare copertura, in primis al non Covid-19: un rapporto soggettivo con salute e sanità che fa penetrare in profondità angoscia destinata a restare.

L’emergenza ha instillato nel cuore degli italiani il rischio di non trovare le cure in un momento in cui ne hanno ineludibile bisogno. Ecco l’angoscia d’origine sanitaria che è destinata a restare: la percezione di non avere una copertura completa che ci garantisce in situazioni eccezionali.

Le incertezze e le difficoltà precedenti al Covid-19, avevano sempre trovato una risposta nella capacità soggettiva delle persone di utilizzare al meglio le opportunità del Servizio Sanitario e le diverse strade dell’autotutela, ora questo compromesso che socialmente generava il basic di sicurezza indispensabile per una società che vuole essere attiva è nel cuore degli italiani saltato.

5.3.2. La salute come obiettivo primo, anche dei sani

Quali sono gli effetti di questa ondata di angoscia che stravolge la società, la psiche e i comportamenti delle persone e che ha nella salute il suo epicentro?

Un effetto rilevante già visibile e destinato a intensificarsi è la centralità sociale assoluta della tutela della salute.

Da sempre gli italiani hanno prestato attenzione alla salute in senso ampio, così come da sempre alta è stata l’attenzione al tema sanità, tuttavia qui è visibile un salto di qualità, un cambio radicale della percezione sociale della salute, che diventa un tema esistenziale oltre che il paradigma della buona società.

Infatti, il 66,6% degli italiani indica proprio nella promozione della propria salute e nei rischi a cui è associata la sua preoccupazione principale per i prossimi anni. Una concezione soggettiva che genererà di certo una molecolarità di comportamenti spontanei e relative richieste che prolifereranno.

Mantenere e migliorare la propria salute diventa un programma soggettivo coinvolgente, al punto che quasi il 40% degli italiani con stato di salute ottimo o buono indica come proprio obiettivo di vita oltre il periodo dell’emergenza quello di mantenere o migliorare il proprio stato di salute (Tabella 5).

E poi il 42,6% delle persone con stato di salute ottimo o buono dichiara che quello della malattia e della conseguente necessità di acquistare prestazioni sanitarie è l’ambito di vita in cui meno si sente sicuro. Ecco ulteriore conferma di come un ambito di vita che, tutto sommato pur incerto e non facile continuava ad avere un certo grado di sicurezza, ora si mostra friabile e quindi fonte di angoscia e preoccupazione.

Non è una forzatura rilevare che esito dell'esperienza di questi mesi sarà una spinta salutista e di attenzione alle modalità di tutela della salute.

Il 47,9% delle persone con stato di salute ottimo o buono dichiara che, alla luce di quanto sta accadendo, assumerà comportamenti orientati alla prevenzione, di grande cautela per salvaguardare la propria salute e quella dei familiari, anche ricorrendo a visite mediche e accertamenti periodici.

Si entra in una fase diversa del rapporto soggettivo con la costruzione della buona salute, che scarta rispetto agli stili di vita salutari che, dopo una fase di decollo all’inizio del millennio, soprattutto tra i giovani hanno di fatto subito una battuta d’arresto.

Sedentarietà, alcol, alimentazione poco salutare sono avanzati meno di quanto si prevedesse: ora effetto collaterale sui sani di questo periodo è, presumibilmente, una rinnovata attenzione per le modalità con cui si può nel lungo periodo provare a tutelare la buona salute.