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Il quattordicesimo emendamento, facente parte dei c.d

reconstruction amendments201, afferma alla section 1, che a

tutti i cittadini deve essere garantita la equal protection of the

laws. Questo clausola è lo strumento principe attraverso il quale

i giudici americani hanno inteso realizzare il principio di

uguaglianza formale; data la sua genesi storica, la portata della

equal protection clause si è spiegata soprattutto a tutela dei

trattamenti discriminatori su base razziale, tanto che la

giurisprudenza americana parla anche di antidiscrimination rule.! La storia dell’evoluzione giurisprudenziale di questo principio, può dirsi cominciata con la sentenza Strauder v. West

Virginia202 emanata a due anni di distanza dall’entrata in vigore

Turner v. Murray, 476 U.S. 28 (1986)

200

Sono noti con questo nome gli emandamenti XIII, XIV e XV della

201

Costituzione americana, adottati tra il 1865 e il 1870, ossia nei cinque anni immediatamente successivi alla fine della Guerra Civile americana. Intento comune di questi emendamenti è quello di garantire parità di trattamento tra la popolazione bianca e quella nera. Il XIII emendamento abolisce infatti la schiavitù, il XIV, di sicuro quello che ha avuto una maggiore rilevanza sul piano pratico, contiene le clausole del due process (vd. nota 159) e la clausola di equal protection, il XV invece vieta trattamenti discriminatori sulla base di “race, color, or previous condition of servitude”. Sebbene un’effettiva parità di fronte alla legge per la popolazione nera degli Stati Uniti, sarà ottenuta solamente molti anni più tardi, è significativo notare come questi emendamenti ebbero come esclusivo riferimento la discriminazione razziale, sarà infatti necessario un altro emendamento, il XIX ratificato nel 1920, per vietare trattamenti discriminatori su base sessuale.

100 U.S. 303 (1880)

del XIV emendamento. La sentenza dichiarò costituzionalmente illegittima uno statute della West Virginia, che vietava alla

popolazione nera di far parte delle giurie. Nel syllabus della sentenza leggiamo:!

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“ The statute of West Virginia which, in effect, singles out and denies to colored citizens the right and privilege of participating in the administration of the law as jurors because of their color, though qualified in all other respects, is, practically, a brand upon them, and a discrimination against them which is forbidden by the amendment. It denies to such citizens the equal protection of the laws, since the constitution of juries is a very essential part of the protection which the trial by jury is intended to secure”!

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Queste parole, sono rimaste per lungo tempo una sorta di promessa irrealizzata, in quanto difficilmente l’imputato riusciva a dimostrare la discriminatorietà della procedura di selezione, dato che era su di lui che gravava l’onere di fornire la prova della discriminatorietà del procedimento. La situazione mutò con la sentenza Norris v. Alabama203. In questo caso, la Corte

Suprema fu chiamata a valutare la discriminatorietà

dell’esclusione da una grand jury di tutti i neri, considerando che questa grand jury aveva emesso un indictment nei confronti di un nero. In un passo della sentenza possiamo leggere come i giudici abbiano inteso invertire l’onere della prova, assegnando agli organi statali il compito di ricercare la prova della

discriminatorietà quando l’eslcusione appaia prima facie discriminatoria:!

294 U.S. 587 (1935)

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“Thus, whenever a conclusion of law of a state court as to a federal right and findings of fact are so intermingled that the latter control the former, it is incumbent upon us to analyze the facts in order that the appropriate enforcement of the federal right may be assured”!

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Procedendo nella lettura dell’opinion del chief justice C.J. Hughes, si trova richiamata la sentenza Neal v. Delaware204,

una pronuncia di 50 anni precedente nella quale la corte aveva affermato che era una “violent presumption” e in quanto tale inaccettabile, l’affermare che l’esclusione dei neri dalla giurie avveniva non con intenti discriminatori ma sulla base di presunte carenze intellettive, morali, o di esperienza.!

In conclusione, la Corte Suprema invertendo l’onere della prova della discriminatorietà dell’esclusione nei casi più eclatanti, altro non fece che imporre alle corti statali l’onere di trovare una giustificazione all’esclusione della popolazione nera dalle giurie; giustificazione che non poteva essere fondata su semplici e, per usare le parole della Corte stessa, violente presunzioni. Questo meccanismo elaborato dai giudici in Norris, è

conosciuto come prima facie rule, è sarà destinato a ricoprire un ruolo di ancora maggiore rilevanza nella tutela delle minoranze etniche.!

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Bisogna però sottolineare come le due pronunce appena richiamate riguardino entrambe la fase di approntamento del

jury panel, e non quella di allestimento della singola giuria.

Quando infatti si procede ad allestire la singola giuria,

103 U.S. 370 (1880)

attraverso la fase del voir dire appena vista, alle parti è riconosciuto uno strumento che appare a prima vista

incompatibile con la equal protection clause: il già richiamato

peremptory challenge.!

Questo istituto, che può vantare origini risalenti al common law medioevale (vd. supra Cap.2 par. 4), consente, come già ricordato, alle parti del processo di chiedere e ottenere l’esclusione di un potenziale giurato, senza fornire le ragioni della richiesta; appare dunque fin da subito evidente come possano crearsi dei conflitti tra la equal protection clause e questo diritto riconosciuto alle parti processuali. I supremi giudici statunitensi hanno individuato come funzione precipua del peremptory challenge quella di: “[..] assure the parties that

the jurors before whom they try the case will decide on the basis of the evidence placed before them, and not

otherwise.”205!

Dunque nella prospettiva accolta dalla giurisprudenza, questo istituto può essere considerato un presidio al diritto ad una giuria imparziale garantito dal VI emendamento. Nonostante la forte presa di posizione della Corte Suprema, il peremptory

challenge non può essere esente da critiche, come infatti è

naturale molto spesso le parti tendono non alla formazione di una giuria imparziale, quanto piuttosto ad una giuria composta di persone che possano essere favorevoli alle rispettive

posizioni processuali206. Altri autori, non hanno mancato inoltre di muovere critiche più radicali a questo istituto, A. Aschuler ad esempio considera la giuria “ the most undemocratic feature of

Swain v. Alabama, 380 U.S. 202, 219 (1965)

205

P. Henley, Improving the Jury System: Peremptory Challenge, Public Law

206

Research Institute UC Hastings College of Law, San Francisco, 2004, pag. 1

our democratic trial system207”, giacché, nell’opinione dello stesso autore, la giuria costituisce un organo democratico sotto ogni aspetto, salvo per l’appunto l’istituto del peremptory

challenge, che rappresenterebbe in definitiva un’anomalia

all’interno del jury system. !

Data l’esistenza di posizioni discordanti nella dottrina, diviene di particolare rilevanza esaminare come la giurisprudenza ha cercato di affrontare il problema della compatibilità del

peremptory challenge con la equal protection clause e più in

generale con l’assetto complessivo del jury trial.!

Il fatto che non sia necessario fornire alcuna motivazione per ottenere l’esclusione del potenziale giurato, fa apparire immediatamente come evidente e totale la sua totale

incompatibilità con la equal protection clause, come rilevato con formula efficace da Aschuler:!

“The Equal Protection Clause says in essence, "When the

government treats people differently, it has to have a reason." The peremptory challenge says in essence, "No, it doesn’t.""208!

La Corte Suprema a partire dalla seconda metà del XX secolo, ha dunque dovuto trovare un punto di equilibrio tra queste due istanze, pur nella consapevolezza che la equal protection

clause e il peremptory challenge, sono incompatibili209.! In Swain v. Alabama210 una decisione del 1965, la Corte

Suprema per la prima volta fu chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’utilizzo del peremptory challenge al fine di

A.Aschuler, The Supreme Court and the Jury-Voir dire, Peremptory

207

Challenge and the review of Jury Verdicts, University of Chicago Law

School, Chicago, 1989, pag. 156

A.Aschuler, The Supreme Court and the Jury, pag.203

208

Batson v. Kentucky, 476 U.S. 29 (1986)

209

380 U.S. 202 (1965)

eliminare i cittadini neri dalle giurie. Il syllabus della sentenza, fornisce una chiara illustrazione dei fatti di causa. Ai legge infatti come in Alabama la percentuale di neri qualificati per servire come giurati sul totale fosse nel 1965 del 26%. Più

specificamente sebbene nei venires fossero mediamente presenti 6 persone di etnia afroamericana, nessun nero aveva prestato servizio come giurato sin dal 1950. Nel caso

presentato alla Corte degli 8 neri presenti nel venire, 2 furono esentati dal giudice, mentre i restanti 6 furono oggetto dei

peremptory challenge dell’accusa. Nell’opinione della corte

espressa per bocca del giudice White, tuttavia vediamo come venga ritenuto prevalente il diritto della parti a ricusare i giurati, rispetto al pericolo che l’esclusione di una particolare

minoranza possa essere il risultato che l’accusa intende perseguire. Il peremptory challenge infatti !

“[..] affords a suitable and necessary method of securing juries

which in fact and in the opinion of the parties are fair and impartial. This system, it is said, in and of itself, provides

justification for striking any group of otherwise qualified jurors in any given case, whether they be Negroes, Catholics,

accountants or those with blue eyes. Based on the history of this system and its actual use and operation in this country, we think there is merit in this position.”!

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Con queste parole la Corte si trincera dietro la genesi storica del peremptory challenge, con una prudenza che appare quanto mai sospetta211, decidendo di confermare tanto la condanna dell’imputato quanto la pena capitale.!

A ben vedere il richiamo ai those with blue eyes, lascia trasparire un

211

intento denigratorio della pretesa del petitioner, che data la gravità del caso sottoposto ai supremes, Swain fu infatti giustiziato, appare tutto sommato inadeguato.

La regola elaborata dai giudici in Swain stabilisce che per dimostrare l’intento discriminatorio da parte del prosecutor, il

petitioner dovrà essere in grado di dimostrare come nella

totalità dei casi da questo istruiti, si sia costantemente manifestato un atteggiamento di totale e aperto rifiuto nei confronti degli appartenenti alla razza nera. Un compito quanto mai improbo. !

Questa soluzione non poté tuttavia essere ritenuta

soddisfacente dai giudici delle corti inferiori, dove si assistette a numerosi tentativi di rendere effettiva la monca garanzia

riconosciuta in Swain212.!

Una simile situazione non era però destinata a durare nel tempo, di fatti a distanza di poco meno di vent’anni, i supremes intervennero nuovamente sul punto nel caso Batson v.

Kentucky213, una pronuncia il cui effetto risulterà essere

dirompente. Il perno del meccanismo qui elaborato consiste nell’applicazione della prima facie rule enunciata in Norris anche alla fase di allestimento della singola giuria, si afferma infatti in Batson che l’esclusione di un giurato richiesta

esclusivamente su basi razziali, costituisce una violazione della

equal protection clause del XIV emendamento.!

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L’opinion della corte estesa dal Justice Powell, si apre con questa dichiarazione:!

“This case requires us to reexamine that portion of Swain v.

Alabama, 380 U.S 202 (1965), concerning the evidentiary

M. Deganello, Il giudice e la giuria, pag. 143

212

476 U.S. 29 (1986)

burden placed on a criminal defendant who claims that he has been denied equal protection through the State's use of

peremptory challenges to exclude members of his race from the petit jury.214”!

Dopo aver dichiarato espressamente l’abrogazione parziale di

Swain, la Corte elenca i requisiti, in presenza dei quali l’onere

della prova si trasferisce dal petitioner al prosecutor.!

In primo luogo l’imputato deve essere in grado di dimostrare la propria appartenenza ad un determinato gruppo razziale e che il prosecutor abbia esercitato i peremptory challenge a sua disposizione per escludere i potenziali giurati appartenenti al medesimo gruppo dell’imputato.!

In second’ordine sul presupposto della ratio di legittimità del

peremptory challenge, sarà compito dell’imputato dimostrare

che dalla totalità delle circostanze è possibile inferire che l’uso dei peremptory challenge sia finalizzato ad escluder dal jury

service determinati individui su basi razziali.!

In presenza di queste condizioni, l’ onus probandi si trasferisce sul prosecutor, l’onere probatorio non potrò ovviamente essere considerato assolto tramite una semplice dichiarazione

dell’accusa che affermi che l’esclusione sia avvenuta perché l’appartenenza ad una medesima etnia avrebbe potuto essere di impedimento all’imparzialità del giurato fatto oggetto di ricusazione senza causa, dovrà bensì fornire una “neutral

explanation for challenging black jurors215”, da ciò parrebbe non

più consentito al prosecutor tenere celate le ragioni che lo hanno indotto ad avvalersi del peremptory challenge, una simile conclusione alla luce della giurisprudenza successiva, non è

476 U.S. 202, 82 (1986)

214

476 U.S., 202, 92 (1986)

tuttavia condivisibile, dovendosi piuttosto rilevare la natura compromissoria della Batson Rule. !

A seguito di questa pronuncia i peremptory challenge di cui l’imputato contesta la discriminatorietà sono detti anche Batson

challenge.!

Nonostante con questa sentenza si sia raggiunto un punto di equilibrio tra il diritto di ricusazione e la tutela delle minoranze, è interessante notare come fosse radicata nei supremes la convinzione dell’esistenza di una profonda inconciliabilità tra queste due istanze, a riguardo può essere utile leggere la

concurring opinion del giudice Marshall:!

“The decision today will not end the racial discrimination that peremptories inject into the jury-selection process. That goal can be accomplished only by eliminating peremptory challenges entirely”!

Considerando l’istituto del peremptory challenge nel suo

complesso, non si può fare a meno di concordare con l’opinione di Marshall; anche quando non è esercitato su basi razziali, il

peremptory challenge risulta essere comunque una esclusione

deliberata sulla base di un’arbitraria decisione del prosecutor, a fondamento di tale decisione si trova inevitabilmente un

qualche pregiudizio nei confronti degli appartenenti ad un determinato gruppo di persone; ma se l’essenza della equal

protection clause è quella di vietare classificazioni arbitrarie

degli esseri umani, il peremptory challenge deve, ad avviso di chi scrive, essere ritenuto incostituzionale anche quando non è esercitato su basi razziali, giacché potrà comunque essere ritenuto il risultato di un qualche insultante stereotipo.!

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La giurisprudenza della Corte Suprema