1.2. La produzione indipendente
1.2.2. Piccoli budget, piccoli team
Si sente spesso parlare di bedroom coders o garage studio in riferimento agli sviluppatori indipendenti. Siano essi utilizzati con fare dispregiativo o meno, tendono comunque a indicare una forma di sviluppo dal basso budget, senza troppe pretese, praticata in solitaria o quasi nella propria camera o in garage, un’attività più simile a un hobby che a un lavoro.
Lo sviluppo indipendente è caratterizzato da team dalle modeste dimensioni. Se il numero minimo di componenti è indiscutibile ‒ uno sviluppatore ‒, sul numero massimo vi sono opinioni discordanti. Se Stern, ad esempio, parlando della situazione statunitense, indica “due dozzine147” come numero massimo, lo stesso non si può dire per la scena videoludica italiana dove, secondo i dati del più recente censimento stillato da AESVI148 e dalle nostre rilevazioni, meno del 20% delle software house è composto da team superiori ai 15 elementi.
Il basso numero di componenti può certamente essere collegato alla scarsità di fondi, che non permetterebbe di assumere forza lavoro, ma risponde anche alle esigenze di libertà creativa e autorialità che muove molti degli sviluppatori indipendenti. Per Stern, «team size has an
144 Martin, Chase Bowen, Deuze, Mark, op.cit., 2009, p.289.
145 Lutz, Michael, Michael Lutz, Patreon. (https://www.patreon.com/ztul).
146 Graebsch, Roman, op.cit., 2012, p.13.
147 Stern, Craig, What makes a game indie: a universal definition, Sinister Design, 22 agosto 2012. (http://sinisterdesign.net/what-makes-a-game-indie-a-universal-definition/).
148 AESVI, Terzo censimento dei Game Developer italiani 2016, 22 novembre 2016.
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unavoidable impact on the way in which a game is developed149», e un team troppo grande comporta la riduzione non solo dell’apporto creativo e personale dello sviluppatore al gioco nel suo complesso, ma anche al deterioramento del rapporto con i fan che lo seguono: «the larger the team, the smaller a piece of the game any given team member is responsible for fashioning. The larger the team, the less authority each individual has to speak for the team, and the less capacity each member has to respond to feedback from the community150». Un piccolo team permette di mantenere nel gioco la visione personale di ognuno dei suoi realizzatori, di poter gestire con costanza le relazioni con la comunità, sempre più composta non solo da fan ma anche da “bakers” di campagne crowdfunding o possessori di versioni in Early Access. La scelta di lavorare con un team ristretto non è solo un effetto, ma anche una causa dell’operare con un basso budget151.
Scarse risorse umane limitano anche obiettivi e possibilità del gioco, costringendo gli sviluppatori a concentrarsi su piccoli progetti dai pochi contenuti studiati nei minimi dettagli, siano essi una meccanica (il riavvolgere il tempo in Braid, uno stile artistico (le silhouette in bianco e nero di
Limbo), una forma sperimentale di narrazione interattiva (i dialoghi personalizzabili in Façade
(Procedural Arts, 2005)). Le limitazioni nel numero dei lavoratori scaturita dal rifiuto del controllo creativo dei finanziatori diviene, in ultimo, una delle caratteristiche fondanti dell’estetica indipendente.
Creare un gioco che in queste circostanze riesca a farsi notare richiede innovazione, creatività, ambizione e una chiara prospettiva. Nello Scratchware Manifesto, Costikyan indica le produzioni tripla-A come inadatte alla sperimentazione, perché «…it must involve so many talents, and so much labor, that no single creative vision can survive152». Al contrario, partendo sempre dalla visione creativa di un singolo o un piccolo gruppo di persone, i giochi indipendenti rispondono alle esigenze sperimentali degli sviluppatori. Per ogni gioco indipendente, ci sarà sempre qualcuno che ne parlerà come del mio gioco, che si presenterà come il creatore/autore di, dimostrando la stretta relazione creativa tra videogioco e sviluppatore propria delle produzioni indipendenti. Uno dei casi più noti riguarda Phil Fish, autore di Fez (2014), che nel documentario Indie Game: The Movie confessa che
«The game has become a bit of a reflection of me over time. […] it's not just a game.
I'm so closely attached to it. It's me. It's my Ego, my perception of myself. Is at risk. This is my identity: Fez. I'm the guy making Fez. That's about it. If that doesn't work out then
149 Stern, Craig, op.cit., 2012.
150 Ibid.
151 Graebsch, Roman, op.cit., 2012, pag.45.
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[...] I would kill myself. I would kill myself. That's my incentive to finish it. Because then I get to not kill myself153»
Conseguenza, è che lo sviluppatore/autore mette in gioco sé stesso, investendo il proprio tempo e i propri soldi in un progetto senza alcuna precauzione in caso di fallimento.
Qualsiasi sia il background di appartenenza, gli sviluppatori indipendenti condividono la passione nel considerare lo sviluppo come un canale creativo. Nella loro visione, i benefici ottenuti dalla devozione alla propria passione superano le problematiche relative alla stabilità finanziaria del non partecipare ai meccanismi dell’industria tripla-A. Lavorare nella grande industria, dati i budget milionari e la necessità di creare profitto, comporta con estrema probabilità il coinvolgimento in un gioco aderente a un genere ben stabilito e/o su un sequel o titolo legato a qualche franchise, rallentando se non fermando la corsa all’innovazione creativa. Per quanto la scena indipendente sia caratterizzata da più alti livelli di diversità rispetto all’uniformità tipica dei titoli tripla-A, si nota con Jahn-Sudmann che
«the game industry is dominated by just a few globally operating publishers (a.o. EA,
Sony, Vivendi Universal, Microsoft) who, despite the range of seemingly recurring genre, franchise, and license titles, supply commercial retailers so successfully that independent game developers and publishers can hardly participate in this profitable market154».
Nel 2005, a cinque anni di distanza dalla pubblicazione dello Scratchware Manifesto, Costikyan ne aggiorna i contenuti: il termine scratchware viene messo da parte, essendo la parola “indipendente” alla ribalta nonché quella più aderente alla sua visione. Ciò che ancora mancava, nota Costikyan, era non solo un sistema distributivo alternativo a quello fisico, ma anche un’audience di riferimento.
«What do we want? What would be ideal? A market that serves creative vision instead
of suppressing it. An audience that prizes gameplay over glitz. A business that allows niche product to be commercially successful ‒ not necessarily or even ideally on the same scale as the conventional market, but on a much more modest one: profitability with sales of a few tens of thousands of units, not millions155».
Queste condizioni si concretizzeranno nella combinazione di due elementi: l’abbassamento dei costi di game engine professionali, permettendo a un numero sempre più elevato di appassionati di
153 Pajot Lisanne, Swirsky, James, Indie Game: The Movie, 2012, minuti 37:40 - 40:20.
154 Jahn-Sudmann, Andreas, Innovation NOT Opposition: The Logic of Distinction of Independent Games, in Eludamos.
Journal for Computer Game Culture, Vol.2(1), 2008, p.6.
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sviluppare i propri giochi, e di conseguenza aumentare la loro alfabetizzazione e cultura del medium, e l’affermazione della distribuzione digitale, grazie alle aumentate potenzialità di trasferimento dati della rete internet e dell’arrivo degli smartphone, che permettono una maggiore diffusione dei giochi.