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UNA POLITICA PER IL COMMERCIO DI PROSSIMITÀ: I DISTRETTI DEL COMMERCIO IN LOMBARDIA ( * )

1.PROSSIMITÀ FISICA IN INDEBOLIMENTO.–Il commercio al dettaglio, funzione urba-

na per eccellenza, ha storicamente orientato le sue scelte localizzative alla ricerca di una stretta prossimità spaziale con la popolazione,principio che nell’Italia dei “cento muni- cipi” ha raggiunto la sua massima espressione. Rispetto ad altri paesi dell’Europa occi- dentale,il nostro sistema distributivo presenta ancora oggi un elevato grado di polveriz- zazione, indice della tendenza dei punti vendita a seguire la dispersione della popola- zione nella miriade di centri abitati, medi e piccoli, parte essenziale del sistema urbano italiano.

L’accresciuta mobilità – all’interno dei più ampi cambiamenti negli stili di vita, e- mersi con forza a partire dagli anni ’80 del secolo scorso – è stata determinate nell’affermazione della nuova forma urbana basata sulle interdipendenze di lungo rag- gio ma ha anche giocato un ruolo decisivo nel processo di periferizzazione del commer- cio. Così, sia pur in ritardo rispetto ad altri paesi, anche in Italia tende ad imporsi un pa- esaggio commerciale basato su principi nuovi: non più ricerca della stretta prossimità ai luoghi di residenza, ma localizzazioni in punti strategici capaci di esercitare un’attrazione ad ampio raggio; non più stretto legame con i centri storici ma moltiplica- zione delle “cittadelle” del consumo extraurbane che si impongono come nuove centra- lità della città diffusa. A ben vedere il commercio, a lungo trascurato da economisti e urbanisti, ha oggi assunto il ruolo di agente primario nella destrutturazione e riorganiz- zazione della città contemporanea.

La spinta verso l’indebolimento della prossimità fisica fra punti vendita e popola- zione – cui contribuisce anche il rapido sviluppo dell’e-commerce– non è priva di con-

*

Sebbene il lavoro sia frutto di riflessioni comuni, il paragrafo 1 va attribuito a M.L. Faravelli e i paragra- fi 2 e 3 a M.A. Clerici.

seguenze, anzi, si tratta di un cambiamento profondo che mette alla prova schemi inter- pretativi consolidati. È ancora valida l’organizzazione spaziale delle attività di vendita per livelli gerarchici, evidenziata dalle ricerche geografiche degli inizi del Novecento e successivamente formalizzata in modelli come quello di Berry? Per la difficile trasposi- zione dalle città statunitensi a quelle europee, questi modelli sono stati ampiamente cri- ticati ma continuano ad essere oggetto di verifica, sia nei lavori che analizzano la rior- ganizzazione spaziale dell’intera gamma delle attività terziarie per verificare per quali di esse emerga la rottura dei principi localizzativi di tipo gerarchico (Dale e Sjøholt, 2007), sia negli studi riferiti alle specifiche dinamiche del sistema commerciale. Da quest’ultimo punto di vista, molto interessante il lavoro di Borchert (1998) che mette al- la prova il modello di Berry, limitatamente ai Paesi Bassi, verificando l’appiattimento dei livelli gerarchici a seguito del riassetto del commercio indotto dalla diffusione delle grandi superfici di vendita: mentre i livelli superiori si rafforzano, quelli inferiori si in- deboliscono evocando una gerarchia in ridefinizione ma pur sempre ancora presente. Immagine vicina alla realtà di tante città italiane che hanno reagito al processo di perife- rizzazione del commercio con una profonda riorganizzazione spaziale delle attività di vendita: da un lato i centri storici (specie nelle città grandi) si rafforzano e si specializ- zano in beni problematici, dall’altro i “grappoli” di piccoli negozi, distribuiti nella trama minuta dei quartieri, si indeboliscono costringendo la popolazione a maggiori sposta- menti per accedere ai servizi commerciali elementari. Diversa la posizione di Brown (1992) che lega la rivoluzione in atto nel sistema distributivo alla spinta verso un’organizzazione post-gerarchica del commercio. Una rete di luoghi di vendita classi- ficabili per caratteri fisici e funzionali ma tutti compresenti nella città contemporanea e in adattamento reciproco, in quanto rivolti a popolazioni dai profili di consumo straor- dinariamente segmentati. Si può pensare alla complementarietà fra i luoghi del com- mercio che si riorganizzano per intercettare specifiche popolazioni proponendo un’immagine assai lontana da quella della contrapposizione fra centri storici e centri commerciali, fra centri e periferie, fra grande e piccola distribuzione.

Oltre ad essere al centro di riflessioni sulla riorganizzazione spaziale del sistema di- stributivo, l’indebolimento del legame di prossimità fra commercio e popolazione è alla base dell’ampia letteratura sui fenomeni di food desert a partire dall’inchiesta “Food Desert in British Cities” coordinata da Wrigley (2002).L’intensa periferizzazione delle

attività di vendita che ha toccato il Regno Unito e prima ancora Stati Uniti e Canada, penalizzerebbe i soggetti deboli e meno mobili (anziani, disoccupati, famiglie a basso reddito) che vedrebbero compromessa la possibilità di un rapido e conveniente accesso ai beni alimentari, in particolare ai prodotti freschi. Ciò non solleva solo questioni di democrazia dei consumi e di eguaglianza sociale ma intercetta il tema della salute fino a diventare stimolo per le politiche di rigenerazione dei quartieri urbani problematici che fanno leva sull’adeguata dotazione di negozi di prodotti freschi e farmers’ market. Molti contributi si interrogano sull’estensione del food desert a scala urbana attraverso l’utilizzo di un mix di indicatori per misurare la prossimità fra residenze e punti vendita (Sparkset al., 2011) ma non mancano studi che utilizzano tecniche di analisi qualitative per evidenziare i fenomeni di food desert legati alla percezione dei singoli indivi- dui:sotto una cartografia senza particolari rarefazioni nella distribuzione spaziale del commercio, potrebbe celarsi, per alcuni soggetti, un difficile accesso all’offerta di beni alimentari legato a comportamenti e attitudini individuali più che a barriere fisiche (Shaw, 2006).

Nel caso italiano, l’alta dotazione di punti vendita rispetto alla popolazione, la radi- cata presenza dei mercati ambulanti e soprattutto il ruolo svolto nel processo di moder- nizzazione del commercio, dalle strutture di dimensione più contenuta (supermercati,

superette), proiettate nei quartieri e nei centri urbani minori, hanno finora limitato il fo-

od desert anche se la continua diffusione di centri commerciali e grandi superfici di ven- dita potrebbe cambiare la situazione. Man mano che il processo di periferizzazione del commercio avanza viene riscoperto il ruolo essenziale dei piccoli punti vendita per l’abitabilità dei territori poiché essi non sono semplice fatto economico ma incorporano valenze relazionali e di cura dei luoghi – che si esaltano nei quartieri periferici e nei centri abitati minori –, fino a diventare beni pubblici da preservare con politiche specifi- che.

2. SOSTENERE IL COMMERCIO IN DIFFICOLTÀ. –Nella stagione di politiche per il si- stema distributivo,avviata dal “Decreto Bersani” (Dlgs.114/1998), molte regio- ni,all’interno di uno scenario di accresciuta concorrenza fra attività di vendita,hanno as- sunto la prossimità fra commercio e popolazione come valore da preservare. Venute meno le barriere all’entrata sul mercato, previste dalla legge 426/1971 che aveva protet-

to i piccoli operatori commerciali, ora questi ultimi sono chiamati a un confronto attivo con la grande distribuzione e in assenza di rendite di posizione e monopoli,le piccole imprese del commercio devono sviluppare una capacità di resilienza legata alle strategie messe in campo per intercettare una domanda frammentata e mutevole. La visione si- stemica, con il recupero di quel “surplus organizzativo”(Zanderighi, 2004) che è ele- mento di forza del commercio out-of-town, si dimostra essenziale anche per preservare la vitalità del tessuto commerciale urbano e così, anche in Italia, si guardano con inte- resse le esperienze internazionali di gestione integrata del commercio –Town Centre

Management (TCM),Business Improvement District(BID) e Business Improvement Area

(BIA) –, sia pure con approcci difformi legati al “federalismo commerciale” presente nel

nostro paese. Nell’ambito degli obiettivi generali fissati dal “Decreto Bersani”, le regio- ni sono state chiamate ad elaborare un proprio quadro normativo e ciò ha favorito il ri- corso a strumenti simili – centri commerciali naturali, distretti del commercio – ma che in realtà vengono applicati con significati diversi.

Di seguito verrà affrontata la politica dei distretti del commercio (DIC) adottata dalla

regione Lombardia per il sostegno al commercio di prossimità, all’interno di un orien- tamento di governo del sistema distributivo con pochi vincoli dove i livelli di dotazione delle grandi superfici di vendita sono del tutto paragonabili a quelli dei principali paesi europei.

Alquanto articolata la definizione di distretto del commercio presente nella normati- va regionale: si tratta di«ambito territoriale ben individuabile […]a livello infra- comunale, comunale o sovra-comunale, caratterizzato da un’offerta integrata della di- stribuzione ed espressione di una comunità locale» ma anche di strumento di «integra- zione e valorizzazione di tutte le risorse di cui dispone il territorio, per accrescerne l’attrattività, rigenerare il tessuto urbano e sostenere la competitività delle sue polarità commerciali». L’attribuzione al piccolo commercio di un ruolo chiave nell’avvio di per- corsi di sviluppo locale, la pluralità di forme distrettuali create dal basso, la partnership fra attori pubblici e privati (con i primi nel ruolo di facilitator), il mix di azioni materiali e immateriali a sostegno del sistema distributivo di un luogo e inserite in un programma pluriennale, rappresentano elementi qualificanti della politica dei distretti del commer- cio che si riallaccia esplicitamente all’esperienza del TCM. I finanziamenti messi in

di Euro)a indicare una vera e propria politica ordinaria per il commercio di prossimità. Ma gli elementi di interesse vanno oltre gli aspetti finanziari in quanto la politica si rial- laccia, almeno idealmente, a lontane esperienze di regionalizzazione basate sul com- mercio: dai lavori di Tagliacarne (anni ’50-’60), agli Atlanti Somea (anni ’80), alla de- finizione da parte della Lombardia (primi anni ’80) di 28 aree di programmazione commerciale che avrebbero dovuto orientare la pianificazione del suo sistema distribu- tivo. I confini dei distretti non sono predefiniti applicando algoritmi matematici ma frut- to di libere scelte degli attori locali, nell’ambito di semplici regole del gioco fissate dalle norme(occorrono almeno tre comuni contigui appartenenti alla stessa provincia per for- mare un distretto diffuso). I DIC riarticolano dal basso le partizioni territoriali consolida-

te producendo geografie inedite: sono il prodotto di processi di auto-organizzazione lo- cale che fanno leva su sentimenti comuni di condivisione di un unico progetto ma dietro a queste aggregazioni spontanee c’è spesso un comportamento opportunista, di semplice cattura dei finanziamenti regionali e la creazione di “ritagli” territoriali non ottimali per la gestione del sistema commerciale.

3.I DISTRETTI DEL COMMERCIO IN LOMBARDIA.–Le esperienze di gestione integrata

del commercio vengono spesso studiate privilegiando la trattazione di aspetti inerenti la sfera organizzativa e gestionale. In particolare la natura dei legami (formale, informa- le)fra gli attori partecipanti ai progetti e la provenienza delle risorse finanziarie (pubbli- che, private), già identificate come fattori chiave per descrivere la variabilità dei nume- rosi schemi di TCM,avviati in Inghilterra dagli anni ’90 (Warnaby et al., 1998), possono essere validamente impiegati anche per classificare i modelli di gestione integrata del commercio adottati in altri paesi europei (Coka-Stefaniak et al., 2009). Ma come ven- gono delimitate le aree entro le quali attivare le politiche? Questo aspetto resta in ombra eppure, come ricorda Meltzer (2012), in uno studio sui confini di 60 BID presenti a New York, non andrebbe trascurato. Non è sufficiente affidarsi all’attivismo degli attori loca- li;c’è un problema di comprensione delle modalità di formazione dei confini, di “massa” e di “sistema” commerciale messo in gioco attraverso le aggregazioni spontanee. È fon- damentale per capire il senso della politica, le sue potenzialità di applicazione rispetto agli obiettivi di valorizzazione del commercio di prossimità e di mantenimento di un tessuto distributivo equilibrato a scala urbana e territoriale. Meltzer dimostra che i BID

newyorkesi, attivatisi spontaneamente in quartieri con elevate potenzialità commerciali, non sono un valido strumento per contrastare il declino dei quartieri problematici a rare- fatta presenza di punti vendita.

Il problema dei confini ha orientato la lettura dei DIC attivati dalla regione Lombar- dia, fuori dai comuni capoluogo, nel periodo 2008-2010. Pur nel limite di un’analisi che trascura gli aspetti gestionali, il punto di vista adottato fa emergere alcuni primi elemen- ti di potenzialità e criticità della politica.

Si tratta indubbiamente di una politica di successo: attraverso quattro bandi, i 187 distretti riconosciuti hanno federato il 52% dei comuni e il 68% degli esercizi di vicina- to della regione. Intensa l’attivazione delle fasce di montagna e pianura, a confine con l’ambiente metropolitano centrale dove si addensa la grande distribuzione. Un’immagine che rivela quanto il problema della tutela del commercio di prossimità sia ormai sentito anche a lunga distanza da quelle realtà, a corona dei maggiori poli urbani, che già dalla fine degli anni ’70hanno accolto il decentramento del commercio (Faravel- li e Clerici, 2004).

Al di là della straordinaria mobilitazione dei territori è evidente la frammentazione delle aggregazioni distrettuali. A parte il caso dei distretti monocentrici, previsti per i comuni non capoluogo con popolazione superiore a 15.000 abitanti, i bandi regionali fissano il limite minimo dell’aggregazione in tre comuni e questa regola del gioco viene ampiamente rispettata visto che il maggior numero di distretti (40 su 187), dopo quelli monocentrici (41), è costituito proprio da tre comuni. Prevalgono federazioni di mode- sta entità anche rispetto all’estensione delle reti commerciali (il 49% dei distretti aggre- ga meno di 200 esercizi di vicinato). L’eccessiva frammentazione è però un limite in quanto non assicura il raggiungimento di una scala territoriale e di una massa commer- ciale adeguate al governo del sistema distributivo.

Anche dal punto di vista della struttura dei DIC emergono aspetti problematici. Essa

è riconducibile all’incrocio di due variabili: 1) il grado di concentrazione dei punti ven- dita in ogni comune del distretto; 2) la densità commerciale del distretto nel suo com- plesso (esercizi di vicinato/1.000 abitanti), a confronto con quella regionale. La classifi- cazione mette in luce la prevalenza della figura debole di distretto nella quale la man- canza di un comune dominante, per grado di polarizzazione dei punti vendita, si associa a un basso indice di densità commerciale cioè a una rarefatta presenza di commercio ri-

spetto alla popolazione. Ancora una volta emergono dubbi sulla possibilità di riuscire a costruire spontaneamente delle aggregazioni ottimali: questi distretti deboli non sono certo quelli evocati dalla normativa regionale che dovrebbero configurarsi come polarità rispetto al territorio circostante(a meno che per polarità si intenda la semplice concen- trazione spaziale).

Ma la questione più rilevante è la capacità dei distretti di intercettare situazioni pro- blematiche, di essere cioè strumento a sostegno della resilienza del piccolo commercio specie là dove è in difficoltà. Le situazioni di maggiore criticità coincidono con i comu- ni caratterizzati dalla contemporanea presenza di una rete distributiva rada (segnalata da indici di densità commerciale inferiori alla media regionale) e di un calo dei punti ven- dita nel periodo 2003-2011 (in controtendenza con il dato regionale). Dei 436 comuni che sono in questa situazione,in gran parte concentrati nell’area milanese e nella fascia pedemontana, meno della metà è “catturata” dai distretti. Un dato preoccupante perché se il piccolo commercio in crisi giustifica politiche mirate, queste non sembrano mani- festare necessariamente effetti a favore dei contesti problematici ela regione corre il ri- schio di accentuare gli squilibri esistenti.

Come si può valutare la politica dei DIC? Almeno due gli elementi positivi: la capa-

cità di mobilitare piccoli comuni fin nelle fasce più periferiche della regione e il tentati- vo di applicare il modello del TCM in modo estensivo affiancando alla consolidata scala

di riferimento urbana, la possibilità di federare più comuni piccoli per raggiungere eco- nomie di scala altrimenti impensabili. Ma sull’altro piatto della bilancia pesano le criti- cità: si tratta di una politica che non ha selezionato ex-ante territori e problemi ma ha teso a un sostegno diffuso dei contesti locali aprendo la strada a molte aggregazioni op- portunistiche e fragili. Il caso lombardo, in misura non dissimile da altre regioni alle prese con l’attuazione del “Decreto Bersani”, rivela il limite di un’evocata ma mancata territorializzazione del commercio, il limite di «un approccio normativo che però non si è fondato su una specifica analisi delle caratteristiche locali sia attuali che evolutive» (Gregori, 2012, p. 25). La federazione spontanea delle comunità locali, sottesa ai DIC,

valorizza il principio di sussidiarietà, ma sembra anche riproporre un semplice approc- cio redistributivo a sostegno della categoria dei commercianti.

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marialuisa.faravelli@polimi.it; maria.clerici@polimi.it

RIASSUNTO. - Una politica per il commercio di prossimità: i distretti del commer-

cio in Lombardia. La rapida diffusione delle grandi superfici di vendita ha compromes- so lo storico legame di prossimità fra commercio e popolazione, con effetti negativi sull’abitabilità delle città. Prendendo spunto da numerose esperienze internazionali, an- che in Italia vengono introdotte politiche per aiutare il piccolo commercio in difficoltà. Questo lavoro analizza il caso della regione Lombardia che nel 2008, ispirandosi al Town Centre Management, ha introdotto i distretti del commercio.

SUMMARY. - A policy for proximity trade: commercial districts in Lombardy

region. – Rapid spread of larger commercial areas has compromised the historical link between population and proximity trade, acting negatively on the vitality and viability of cities. After taking into consideration various International experiences, also Italy introduced new policies trying to help small businesses in crisis. This work analyzes what happen in the Region of Lombardy in 2008 when, drawing inspiration from the Town Centre Management, commercial districts were introduced.

ENRICA LEMMI, MONICA SIENA TANGHERONI*

IL TURISMO ENOGASTRONOMICO FRA SPECIFICITÀ LOCALE E

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