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Possibili evoluzioni (o involuzioni) dell’SSN

Nel documento 1978-2018: (pagine 39-44)

Fin dagli inizi degli anni Novanta sono state introdotte norme che hanno aperto il varco a forme concorrenziali e sostitutive dell’SSN. Il DL.vo 502/1992 cita “forme di assistenza differenziate” per alcune categorie, poi ridefinite con il DL.vo 517/1993 come “forme integrative di assistenza sanitaria”. Si trattava, quindi, di forme di assistenza che andavano ad integrare le prestazioni non fornite dall’SSN, come la medicina non convenzionale, le cure odontoiatriche o la fruizione di servizi alberghieri supplementari.

Successivamente, con i decreti attuativi della finanziaria del 2008, furono individuati gli ambiti di intervento dei Fondi sanitari integrativi2 e poi ulteriormente incentivati dalla legge di stabilità del 2016 e del 2017 attraverso più ampi vantaggi fiscali. I fondi oggi garantiscono non solo prestazioni integrative, ma anche prestazioni già offerte dall’SSN, prefigurandosi quindi come sostitutive. Non si tratta solo di prestazioni terapeutiche e diagnostiche, ma anche di tipo preventivo, offerte senza alcun coordinamento con i piani di prevenzione stabiliti all’interno dell’SSN. Negli ultimi anni grandi gruppi industriali e intere categorie (come i metalmeccanici) hanno inserito all’interno degli accordi contrattuali dei fondi sanitari che sono chiamati integrativi, ma che di fatto sono in larga parte sostitutivi. I pacchetti offerti includono “percorsi” preventivi che hanno modalità e tempistica di effettuazione che non sono basati su alcuna evidenza scientifica e che spesso inducono sovradiagnosi.

2 Si tratta di enti, associazioni, società di mutuo soccorso, compagnie

assicurative che stipulano polizze sanitarie collettive proposte all’interno di contratti collettivi nazionali o aziendali offrendo la copertura totale o parziale delle spese sanitarie sostenute o da sostenere per fruire di determinate prestazioni sanitarie.

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Quali vantaggi potrebbero derivare dall’espansione dei Fondi sanitari in termini di risparmio, appropriatezza ed equità? Nei prossimi paragrafi si cercherà di rispondere a questo interrogativo.

La crescita della spesa privata gestita da fondi e assicurazioni, oggi pari a circa il 7,5% della cosiddetta spesa out of pocket (CREA, 2017), può prefigurarsi come una modalità vincente per contenere la spesa sanitaria? Oggi la spesa sanitaria privata in Italia è pari al 2,2% del PIL, analoga a quella di molti altri Paesi europei, ma con una quota “gestita” sensibilmente inferiore. La spesa out of pocket riguarda per circa la metà prestazioni ambulatoriali, per il 24% farmaci e per il 14% integratori e parafarmaci (CERGAS, 2016). Quanta di questa spesa è costituita da prestazioni inappropriate? Un ruolo maggiore dei fondi sanitari può ridurre veramente l’inappropriatezza? Se l’offerta è fatta attraverso i “pacchetti” sopra descritti ci sono poche speranze che questo possa avvenire.

Le esperienze internazionali evidenziano che la diffusione dei fondi sanitari privati tende a incrementare i costi della sanità nel complesso e che l’eventuale risparmio in termini di spesa pubblica, che avverrebbe con la sostituzione delle prestazioni erogate dall’SSN con quelle proposte dai fondi, verrebbe controbilanciata da un incremento della spesa delle famiglie (Interpharma, 2017).

L’aspetto che più preoccupa è quello relativo all’equità nell’accesso alle cure. Oggi usufruiscono di fondi o assicurazioni sanitarie circa 11 milioni di persone (RBM, 2016), quota che è destinata a crescere. I soggetti che usufruiscono di tali prestazioni sono soggetti in età lavorativa (essendo fondi destinati a categorie o gruppi di lavoratori) e presenti soprattutto nelle regioni del Nord. Si tratta di un segmento di popolazione sicuramente più privilegiato di chi è senza lavoro, pensionato o vive al Sud. L’accesso alle cure per chi non può usufruire delle prestazioni di un fondo è sicuramente più complesso e legato all’efficienza dell’SSN, che proprio nelle regioni meno interessate dalla sanità integrativa è peggiore. I vantaggi fiscali dei fondi sanitari con le nuove norme sono cospicui e ricadono su tutta la collettività. Una diffusione a segmenti sempre più ampi di popolazione dei fondi, che propongono prestazioni proprie dell’SSN,

23 verrebbe a configurare una trasformazione strutturale della sanità italiana (Arlotti et al., 2017) con un ritorno al sistema mutualistico categoriale, almeno per una parte delle attività sanitarie, di cui non si sente alcuna nostalgia.

La campagna insistita a favore delle assicurazioni private e della necessità del “secondo pilastro” sembra far breccia sia a livello mediatico sia politico. Si diffonde l’idea di un SSN non più sostenibile dove “12,2 milioni di italiani hanno dovuto rinunciare a curarsi”. Il dato riferito al 2017, tratto dal rapporto CENSIS-RBM Assicurazioni

salute3, è peggiore della stima dell’anno precedente di 11 milioni. Il

Ministero della Salute sottolinea come il dato di 12,2 milioni sia una mera proiezione in valori assoluti dei risultati di un’indagine campionaria su 1.000 cittadini ai quali è stato chiesto se, nel corso dell’anno, avessero rinunciato o rinviato ad almeno una prestazione sanitaria senza però specificarne tipologia ed effettiva urgenza. Questo dato è in evidente contrasto con due dati di fonti ISTAT. In

primis, il Rapporto annuale ISTAT 2017 che riporta come la quota di

persone che ha rinunciato a una visita specialistica negli ultimi 12 mesi perché troppo costosa è stata pari al 6,5% della popolazione (3,9 mln di persone). Un’ulteriore discrepanza si rileva poi confrontando

il dato CENSIS-RBM con l’indagine europea ISTAT-EU SILC4,

secondo la quale sono meno di cinque milioni, cioè meno della metà delle stime dichiarate dal CENSIS-RBM, gli italiani che hanno rinunciato a una o più prestazioni sanitarie (Costa et al., 2017). Tra l’altro il confronto internazionale evidenzia che la percentuale della popolazione italiana che ha dichiarato di aver rinunciato a una prestazione sanitaria è in linea con gli altri Paesi europei: Italia 7,8%,

Svezia 9,2%, Francia 6,3%, Danimarca 6,9%, Germania 5,4%5.

3 RBM è un’assicurazione sanitaria privata.

4 L’indagine ISTAT su reddito e condizioni di vita (EU-SILC) si basa su un campione di circa 29mila famiglie, per un totale di quasi 70 mila individui. 5 I valori sono riferiti al 2014 e alla popolazione dai 16 anni in su aggiustata per età e genere sulla media europea (fonte: Eurostat. Unmet health care needs Statistics, disponibile https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index. php/Unmet_health_care_needs_statistics visitato il 24 luglio 2018).

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Conclusioni

Questo contributo ha cercato di fare luce su alcuni “mantra” che dipingono l’attuale sistema sanitario come finanziariamente insostenibile e di fatto non più in grado di erogare le prestazioni sanitarie che deve garantire. Dati ufficiali alla mano, queste due tesi appaiono poco difendibili. D’altro canto il potenziamento del “secondo pilastro” non appare come un’opzione valida in termini di riduzione della spesa sanitaria, appropriatezza delle cure ed equità nell’accesso.

Se si vuole ipotizzare a un’evoluzione dell’SSN sarebbe più opportuno pensare ad un recupero della sua efficienza, specie nelle regioni del Sud, dove la performance dei sistemi regionali è nettamente più carente (Rosano & Acampora, 2017) e promuovere con crescenti investimenti la prevenzione primaria e secondaria delle malattie (Ricciardi et al., 2015).

Bibliografia

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Il Servizio Sanitario Nazionale,

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