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Quaranta anni di sanità pubblica: quali nuove sfide nella rete?

Nel documento 1978-2018: (pagine 102-108)

Mirella Taranto Ufficio Stampa

Leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità e consistenza. A questi concetti Calvino aveva dedicato Six memos for

the next millennium, il ciclo di conferenze che avrebbe dovuto tenere

ad Harvard, Cambridge nel Massachusetts, e che noi conosciamo come Lezioni Americane. Sei temi che, evidentemente, per lo scrittore italiano sarebbero stati la cifra su cui fondare il futuro, l’alfabeto con cui si sarebbe dovuta scrivere la cultura che avrebbe interpretato e rappresentato l’anima del nuovo millennio. Sono sei argomenti, sei “valori”, come li definiva lo stesso Calvino che molto avevano a che fare con la natura della comunicazione, con la sua essenza più profonda. La lingua, le parole, i loro confini e le diverse forme del linguaggio, infatti, vengono esplorati per svelare radici nascoste negli atti del comunicare, nelle diverse declinazioni del raccontare.

E mai come oggi, la comunicazione, anche quella mediatica, lontana ormai dall’odore del piombo e dai rumori delle rotative, deve interrogarsi su questi valori, su come li interpreta e li rappresenta nella moltiplicazione dei suoi attori e nella sua multidirezionalità, nel suo essere sempre più liquida e più pervasiva, nel suo tentativo di annullare ogni differenza tra fonte e destinatario, fino a perdersi in un’orizzontalità totale e assoluta in cui ognuno è emittente e tutti sono destinatari.

È questo, infatti, lo scenario sul quale viaggia oggi la comunicazione della salute. Radicalmente cambiata rispetto al 1978,

85 quando nasceva il Servizio Sanitario Nazionale, ma anche rispetto a quando venivano pensate le Lezioni Americane, il 1984, un anno prima che esplodesse l’epidemia di AIDS che ha cambiato molto il modo di raccontare la salute ma, soprattutto, ha cambiato il modo in cui i cittadini hanno partecipato al racconto della salute costringendo le istituzioni a dotarsi di professionisti della comunicazione capaci di utilizzare un linguaggio che trasformasse, di fatto, l’informazione in empowerment, che è il più importante obiettivo della comunicazione di un sistema sanitario pubblico.

Non è un caso, infatti, che tutti i dati in letteratura confermano che maggiore è la capacità di un’istituzione sanitaria di veicolare informazioni corrette durante un’epidemia o un’emergenza sanitaria, più efficace è il contrasto a quell’epidemia o all’agente che ha causato il rischio nell’emergenza. Una consapevolezza, questa, che le istituzioni pubbliche, se pure lentamente, hanno pian piano maturato dotandosi man mano di figure professionali sia negli enti di ricerca pubblici, ma anche negli ospedali e nelle ASL. Una tendenza che è stata consolidata dalla Legge di indirizzo, la n. 150 del 2000 che ha istituito nelle pubbliche amministrazioni gli Uffici Stampa e ha indicato nei giornalisti iscritti all’Albo le figure deputate al loro coordinamento.

Una legge interamente incentrata sull’istanza della comunicazione e che nasce innanzitutto dalla necessità di avviare un’informazione aperta e trasparente nei confronti dei cittadini e che ha permesso l’istituzione dei primi organi ufficiali e specializzati deputati a comunicare favorendo quindi una prima commistione di linguaggi, di forme e di logiche, che si sono confrontate e affrontate per costruire messaggi che conservassero il rigore dell’istituzione da cui provenivano ma acquisissero una forma comprensibile e leggibile per i destinatari. Destinatari che in un primo momento non sarebbero stati i cittadini ma i giornalisti che avrebbero a loro volta utilizzato, ritradotto e impaginato gli stessi messaggi diretti ai cittadini. Internet, a quel tempo, se pure rappresentava a suo modo un grande cambiamento che invitava le istituzioni a parlare ai cittadini e quindi a riconsiderare già linguaggi e ruoli di chi

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comunicava la salute pubblica, restava comunque un mezzo tradizionale, che dava la possibilità di moltiplicare messaggi, le costringeva a riformulare lo stile linguistico ma conservava tuttavia lo schema tradizionale cosiddetto “top-down” in cui era previsto un emittente e destinatario permettendo, anche attraverso i suoi canali, di utilizzare mezzi classici come comunicati stampa, newsletter, in una dimensione multimediale che permetteva di sfruttare anche altri supporti quali video e audio per declinare gli stessi messaggi.

Ma se pure questo passaggio ha rappresentato una rivoluzione sia per la professione giornalistica che si è declinata in una dimensione diversa, quella di essere non più mediatore diretto verso il pubblico, ma di interpretare un messaggio a servizio di altri giornalisti, ben altra e più grande sfida avrebbe costretto, nel giro di pochi anni, i comunicatori delle istituzioni pubbliche a confrontarsi con l’avvento dei social network in cui il mestiere della comunicazione avrebbe subito una profonda trasformazione costringendoli a confrontarsi direttamente con i cittadini attraverso mezzi e linguaggi completamente diversi.

In una comunicazione come quella attuale, “disintermediata” quindi, affrontare le emergenze sanitarie, parlare di prevenzione e di temi come “malattia” e “cura” può essere senz’altro una grande opportunità perché un’istituzione che attiva un canale social non dispone semplicemente di uno strumento che “emette” contenuti ma che piuttosto li veicola e lo fa a un pubblico vasto con una persistenza nella durata che altri mezzi tradizionali come la TV o i quotidiani, nella loro versione cartacea, non hanno e offrendo la possibilità che i propri contenuti possano essere moltiplicati facilmente attraverso le condivisioni.

È indubbio che la disintermediazione rappresenti un’opportunità straordinaria per dialogare direttamente con i cittadini e per renderli consapevoli e capaci di tutelare la propria salute, un mezzo diretto di realizzare l’obiettivo di molte campagne che è quello di contribuire attraverso comportamenti virtuosi, oltre che alla tutela della salute individuale, anche alla sostenibilità di tutto il sistema salute. Tuttavia l’utilizzo di questi mezzi richiede organizzazione e competenza,

87 motivo per cui, spesso, nella pubblica amministrazione anche quella legata ai temi della salute e della sanità, stenta ancora a decollare. È necessario infatti che a gestire queste nuove opportunità siano comunicatori specializzati e capaci di utilizzare strategicamente le community per veicolare contenuti corretti e certificati. Un esempio virtuoso in questo senso è sicuramente anche il National Cancer Institute, che con i suoi 24 profili twitter differenziati nei destinatari e negli argomenti rappresentano un ottimo modello di come usare i social.

Non presidiare la rete significa infatti lasciare uno spazio vuoto a contenuti di qualsiasi provenienza. Il successo mediatico dei “no vax” in Italia è sicuramente anche il prodotto di un’iniziale mancanza di presenza sulla rete di canali sociali, istituzionali su quello specifico argomento che hanno lasciato in quei luoghi virtuali un vuoto informativo che ha consolidato la disinformazione e ha certamente contribuito a far scattare qualche anno fa la soglia d’allarme per l’abbassamento della soglia di sicurezza fissata per l’immunità di gregge. Il caso delle vaccinazioni, infatti, è emblematico di come la rete possa incidere culturalmente nel bene e nel male. La rete è una piazza, che benché virtuale, è un luogo in cui circolano idee e, per quanto riguarda la salute, laddove le idee non sono supportate da evidenze scientifiche, possono causare danni all’intera comunità. L’aspetto che predomina, in questi casi, laddove nella piazza virtuale non ci sia una voce certificata è che in luogo della scienza si alimentino credenze come nel caso di stamina, nato sulle pagine facebook e alimentato dal dolore di una malattia ancora senza una cura scientificamente provata, oppure come l’associazione del vaccino MPR all’autismo, un nesso mai scientificamente dimostrato eppure acceso argomento di discussione in chat, blog e forum di mamme, singoli cittadini e associazioni. Non basta definire ignoranti coloro che non hanno gli strumenti per comprendere. I social devono essere per le istituzioni un luogo che deve essere ascoltato, del quale non va giudicata la domanda ma al quale va fornita una risposta.

Non essere sui social oggi per un’istituzione significa in un certo senso non esistere e non avere voce in capitolo per molte fasce di

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popolazione, in particolare per quelle giovanili, target strategico di molte campagne per l’educazione alla salute e per la sostenibilità del sistema.

Ciò che può fare un giornalista in un’istituzione pubblica che si occupa di salute e sanità è cambiare piano piano la percezione di un luogo dove la salute si tutela e si costruisce. Oggi è impossibile prescindere dalla dimensione dello storytelling. La narrazione delle esperienze di pazienti e operatori sanitari è una delle tessere del mosaico che spiegano una realtà sempre più complessa e sempre meno inquadrabile che per essere interpretata e gestita ha sempre più bisogno di essere ascoltata. Solo così è possibile far crescere la conoscenza e la cultura scientifica poiché questi mezzi ci danno l’opportunità di esercitare l’ascolto che, per chi fa sanità, è il presupposto del miglioramento dei servizi e per chi fa scienza rappresenta una possibilità di dare le risposte interpretando le domande ma anche i timori che stanno dietro ogni interrogazione.

Ciò che fa la differenza, oggi, può essere innanzitutto la qualità delle informazioni. I criteri che stanno dietro la deontologia di chi ha scelto il mestiere di raccontare il mondo sono sempre gli stessi. Oggi come quaranta anni fa. La verifica delle fonti, il rispecchiamento dei fatti e la loro separazione dalle opinioni. E questo è vero per chi racconta la cronaca nera come per chi spiega una ricerca scientifica. Esercitare questi criteri su mezzi nuovi e su orizzonti sempre più complessi continua ad essere la cifra che rende l’informazione attendibile ed è proprio quest’attendibilità che può fare la differenza. Sulla rete continuerà ad esserci la chiacchiera da bar e l’opinione qualificata. Tocca alle istituzioni entrare in quelle piazze virtuali e assumere il ruolo della fonte qualificata. E per farlo deve ascoltare le domande e declinare e risposte rigorose con linguaggi nuovi e tradurle con nuovi mezzi e nuove forme.

Curiosamente i social network ci riportano al significato etimologico della parola comunicazione la cui radice è “communio”, comunione, mettere in comune. Cosa mette in comune il social network? I contenuti. E lo fa nella maniera più liquida possibile, più rapida, più leggera e più evanescente.

89 Ma non è la leggerezza di cui parlava Italo Calvino quando diceva: “la leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso”.

Ecco, tocca a chi comunica la scienza, la salute, la sanità, restituire alla leggerezza la sua pienezza e la sua profondità.

Le Lezioni Americane uscirono postume e l’ultima lezione, come tutti sanno, la Consistenza, Calvino non la scrisse mai.

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Quarantesimo anniversario

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