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La possibilità del circolo virtuoso

AM BIENTE E SVILUPPO: VERI E FALSI PROBLEMI

2.3. La possibilità del circolo virtuoso

Sul piano analitico l’ultima affermazione configura l’idea di un circolo virtuoso tra sviluppo e ambiente, alimentato da un fattore comportamentale e da due fattori tecnici.

Il primo fattore concerne la già menzionata disponibilità della società a dedicare una quota crescente dell’incremento di reddito alla valorizzazione dell’ambiente. Il processo può assumere aspetti conflittuali, nel senso che la protezione ambientale appare legata alle lotte politiche di una frazione di popolazione particolarmente sensibile e combattiva — i cosiddetti « verdi » — che induce il legi­ slatore a promulgare norme sempre più severe. Ma se ci si affranca da una visione troppo ravvicinata, ci si rende conto che tali movi­ menti sono un portato naturale del sentiero di sviluppo di una so­ cietà sempre più ricca e quindi sempre più sensibile alla qualità della vita. Il conflitto è quindi endogeno ed è solo un meccanismo attraverso cui si realizza il trend immanente nella crescita econo­ mica. In altri termini, teorizzando le osservazioni sin qui accumula­ te sull’evoluzione dei sistemi sociali industrializzati, si può proporre una teoria dell’« ambientalismo scientifico » che, al pari della vec­ chia teoria del materialismo scientifico, ma sperabilmente con mag­ giore fondamento teorico, contempla la rivoluzione verde come un esito naturale dell’evoluzione sociale e ne dichiara l’inevitabile vit­ toria appunto perché si muove nel senso della storia.

D ei due fattori tecnici, uno riguarda il rapporto S/Pil che va di­ minuendo sia per la riduzione del rapporto QlPil — a seguito della dematerializzazione dell’economia — e sia per la continua diminu­ zione del rapporto S/Q dovuta all’introduzione di tecnologie pulite.

L altro fattore riguarda invece la crescente capacità di operare di­ rettamente sull’ambiente, ripristinandone o esaltandone le capacità assimilative, attraverso, ad esempio, la riossigenerazione dei corsi d acqua, il taglio delle alghe, il ripristino di zone umide, la reintro­ duzione di varietà biologiche, il recupero di discariche e siti co­ munque deteriorati.

Si ripete: nulla autorizza a questo stadio di conoscenza dei fe- nomem sociali ed ambientali di affermare con sicurezza la sosteni­ bilità nel lungo periodo del circolo virtuoso. Ma non c e dubbio che manifestazioni confortanti sono ravvisabili nella storia recente dei paesi industrializzati „e che questo positivo processo non appare af- fatto concluso.

3. Impatti reversibili e irreversibili.

Tuttavia, anche accettando come vera e sostenibile nel lungo periodo la congettura del circolo virtuoso nei confronti degli inqui­ namenti istantanei o comunque reversibili, cosa si può dire dei fe­ nomeni irreversibili? Non sono questi sufficienti a riaffermare la necessità di bloccare lo sviluppo economico lungo tutte quelle linee che comportino un’ulteriore produzione, per quanto piccola in asso­ luto, di effetti irreversibili?

Vi sono due osservazioni al riguardo che mantengono aperta la possibilità di uno sviluppo favorevole all’ambiente anche in presen­ za di simili effetti.

La prima osservazione serve ad attenuare la portata oggettiva del fenomeno, sottolineando la storicità del concetto di effetto « ir­ reversibile », ossia la sua dipendenza dallo stato delle tecniche. Ri­ prendendo quanto detto sopra, la storia recente dimostra che sono ora possibili interventi di recupero ambientale che qualche decen­ nio fa erano considerati impossibili: con la conseguenza di legitti­ mare oggi la qualifica di reversibili a quegli impatti ambientali che qualche decennio fa erano correttamente definiti, in una visione statica della tecnologia, come irreversibili. Ciò apre, almeno a li­ vello teorico, la possibilità di un circolo virtuoso anche a questo ri­ guardo, nel senso che una società sempre più sviluppata economi­ camente potrebbe investire in ricerche capaci di dilatare continua- mente la capacità di porre rimedio a danni provocati nel passato.

Si può correttamente obiettare che comunque questa possibili­ tà non potrà mai annullare il concetto di irreversibilità, anche per­

che vi sono danni che per definizione non sono riparabili in quanto legati ad una percezione di irreversibilità che si autogiustifica e che dunque non può trovar rimedio in nessun progresso tecnico. L’e­ sempio più ovvio è quello dell’opera d’arte: la visione dell’originale provoca nell’osservatore un’emozione che non si verifica quando l’originale stesso venga sostituito con una copia sia pure tecnica- mente perfetta: e dando per scontato che non si possa e non si vo­ glia porre in atto un inganno generale, gabellando per originale una copia, risulta che la perdita dell’originale stesso configura un danno irreversibile.

La seconda osservazione vale tuttavia a ricordarci che, se ciò è senz’altro vero a livello concettuale, è anche vero che l’evoluzione psicologica tende ad attenuare il livello del danno soggettivo. Il danno è infatti legato all’emozione. Nel tempo il ricordo dell’emo­ zione provata tende a sbiadire, così come il rimpianto per un’emo­ zione declamata da altri e mai provata. Chi scrive fa parte della ge­ nerazione abituata in gioventù a nuotare nei fiumi del nord Italia e per la quale l’attuale impossibilità di balneazione crea rimpianto e un persistente danno psicologico. Ma non risulta che di ciò soffrano le generazioni più giovani che non hanno mai concepito la possibili­ tà di nuotare nei fiumi delle proprie città. Su altro piano pare, a detta dei medici, che vi sia una generale accettazione da parte del­ le nuove generazioni di una caduta della sensibilità acustica indotta non solo dal più elevato rumore di fondo della vita organizzata ma anche da modelli di vita più rumorosi volontariamente scelti: per dirla in breve, la discoteca sembra ingenerare fenomeni irreversi­ bili di lieve sordità che sono tranquillamente accettati.

Una volta circoscritto il fenomeno delle irreversibilità attraver­ so le anzidette annotazioni tecniche e psicologiche, resta pur sem­ pre il problema che il fenomeno è innegabile e che dunque la pro­ duzione di un sia pur lieve effetto irreversibile in senso stretto to­ glie qualcosa alle generazioni future. Da qui la tesi di molti secondo cui lo sviluppo sostenibile implica l’annullamento degli effetti irre­ versibili.

A questo punto il problema diventa definitorio. Se si definisce come sviluppo sostenibile quello che lascia alle generazioni future lo stesso stock di qualsivoglia caratteristica ambientale, vale l’affer­ mazione precedente. Quando invece per sviluppo sostenibile si in­ tenda un sentiero evolutivo che lascia alle generazioni future quan­ tomeno la stessa capacità di benessere della generazione attuale

ma ammette che tale capacità sia assicurata da un diverso mix di risorse umane e naturali, ecco che diventa ammissibile un rapporto di scambio tra danni naturali irreversibili e benefici economici, so­ ciali o culturali. Diventano così accettabili, ovviamente con un po’ di buon senso, anche alcuni effetti irreversibili quando siano giusti­ ficati, appunto, da un’adeguata crescita della ricchezza materiale o da un adeguato aumento del capitale umano di cui beneficeranno le future generazioni.

4. Problemi locali e globali.

Un’ulteriore distinzione da introdurre nell’analisi dei rapporti tra ambiente e sviluppo è quella tra dimensione locale e dimensio­ ne globale dei danni ambientali. Distinzione non semplice se la si volesse approfondire in un corretto contesto dinamico in cui un odierno problema locale potrebbe risultare il prodromo di un futuro problema globale. Ma è una distinzione accettabile, con il solito buon senso, limitandoci agli aspetti oggi visibili dei fenomeni, dun­ que distinguendo tra gli effetti che sono dannosi in un determinato ambito ristretto, ma risultano compatibili con le capacità assimilati­ ve dell’ambiente in un ambito più vasto, e quelli che invece già ora hanno una dimensione planetaria. Esempi tipici di quest’ultima ca­ tegoria sono l’accumulazione di anidride carbonica nell’atmosfera e la conseguente minaccia di un aumento della temperatura media legata al cosiddetto effetto serra, e la riduzione della fascia di ozono.

Assumendo per valide le spiegazioni dei fenomeni che godono di maggior consenso nella comunità scientifica e che mettono sotto accusa, rispettivamente, le emissioni da combustibili fossili e deri­ vati nel primo caso e l’emissione di clorofluorocarburi nel secondo caso, si ottiene un risultato di notevole interesse ai fini delle rela­ zioni economiche internazionali. Precisamente risulta la convenien­ za per i paesi più ricchi di investire nei paesi relativamente arre­ trati nel processo di industrializzazione affinché questi ultimi si do­ tino di tecnologie più pulite: la stessa spesa, infatti, provoca una più forte caduta di emissioni inquinanti quando sia applicata ad impian­ ti con vecchia tecnologia anziché a quelli che già si sono adeguati a standard di emissioni severi come in genere è il caso nei paesi più ricchi. Questa oggettiva relazione di convenienza può essere tra­ dotta in pratica attraverso varie politiche di aiuto, su cui non ci si sofferma, limitandoci a sottolineare che esse non presentano rile­

vanti difficoltà tecniche. Nonostante questa chiara percezione del fenomeno e la consapevolezza dei mezzi disponibili per indurre i paesi in via di industrializzazione all’adozione di tecnologie più pu­ lite, la politica potrebbe non essere realizzata per il solito problema fiduciario che impedisce azioni collettive potenzialmente benefiche per tutti: ogni paese ricco è disponibile a dare se anche altri in ana­ loga situazione danno, mentre non è disponibile a dare in caso con­ trario perché l’azione singola creerebbe un impoverimento del pae­ se donatore senza riuscire a modificare la situazione globale. Oc­ corre dunque un’azione concertata capace di assicurare uniformità e stabilità dei comportamenti.

Questo discorso lascia comunque fuori i paesi effettivamente sottosviluppati, ossia quelli che non hanno ancora raggiunto un li­ vello di industrializzazione capace di creare serie minacce all’am­ biente planetario e quindi capace di attrarre una interessata solida­ rietà dei paesi più ricchi. Queste' semplici annotazioni fanno intra­ vedere una tendenza spontanea del mondo verso una crescente di­ vergenza delle situazioni estreme per quanto attiene ai problemi deU’inquinamento locale: ad un estremo i paesi sempre più ricchi e con un ambiente sempre più tutelato, all’altro estremo paesi con­ dannati non solo alla povertà ma anche al degrado ambientale. E ovvio l’auspicio di azioni solidaristiche a livello internazionale che valgano a correggere questa tendenza.

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