• Non ci sono risultati.

I primi casi di affidamento dei figli a genitori omosessuali agli occhi della Corte d

La questione dell’adozione per le coppie dello stesso sesso nella giurisprudenza della Corte

2. I primi casi di affidamento dei figli a genitori omosessuali agli occhi della Corte d

Strasburgo: il caso Salgueiro da Silva Mouta

v. Portogallo.

La tematica del diritto degli omosessuali ad essere genitori emerge, nella giurisprudenza della Corte EDU, intorno agli anni Novanta, in relazione a questioni riguardanti l’affidamento dei figli dopo lo scioglimento del vincolo matrimoniale. Il divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale nell’affidamento dei figli giunge, infatti, alla Corte di Strasburgo per la prima volta nel 1999,

3

A. M. LECIS COCCO ORTU, L’omogenitorialità davanti alla Corte di Strasburgo: il lento

ma progressivo riconoscimento delle famiglie con due padri o due madri, in

nel celebre caso Salgueiro da Silva Mouta v. Portugal4,in cui

viene stabilito che ad un padre deve essere riconosciuto, a prescindere dalla propria omosessualità, il diritto di visita e affidamento del figlio. Nella specie, l’omosessualità del ricorrente era stata utilizzata dalla Corte di Appello di Lisbona come motivo per negare l’affidamento della figlia. La Corte Europea, come vedremo, ha riconosciuto, per contro, la violazione degli artt. 8 e 14 CEDU affermando che la tendenza sessuale del padre non poteva giustificare in alcun modo la differenza di trattamento (tra il ricorrente e la madre della minore). Volendo analizzare più dettagliatamente la vicenda, vediamo che essa prende le mosse dal ricorso di un cittadino portoghese nato nel 1961, che nel 1983 ha sposato C.D.S., ma dal 1990 ha iniziato una convivenza con un uomo L.G.C. Nel 1993 C.D.S. ha ottenuto una pronuncia di divorzio dal tribunale di Lisbona (Tribunal de familia). Nel 1991 durante il processo di divorzio, il ricorrente e la moglie firmano un accordo, riguardante la potestà genitoriale sulla figlia, i cui termini assegnavano la bambina in affido condiviso alla madre, garantendo al padre un diritto di visita. Il ricorrente però lamentava di non aver potuto esercitare tale diritto per il mancato rispetto da parte della consorte dei termini dell’accordo. Nel 1992 il ricorrente ha richiesto un’ordinanza che variasse i termini dell’accordo per avere in affido la figlia, allegando che la moglie non stava rispettando l’accordo in quanto la bambina al momento stava vivendo presso i genitori materni. Nelle memorie di risposta la moglie accusava il convivente del ricorrente di aver

4

Corte EDU, 21 dicembre 1999, Salgueiro da Silva Mouta v. Portugal,ricorso n. 33290/96. Commento alla sentenza in www.duitbase.it.

sessualmente abusato la figlia. Il Tribunale di famiglia di Lisbona ha emesso una sentenza il 14 luglio 1994 in seguito a diverse perizie psicologiche effettuate mediante interviste sul ricorrente, la minore, la madre, il compagno del ricorrente e i nonni materni della bambina. In tale sentenza, sulla base delle perizie eseguite, la Corte ha conferito l’affidamento al ricorrente e lasciato cadere le accuse mosse nei confronti del nuovo compagno, in quanto a giudizio degli psicologi sarebbero state suggerite da altri. La bambina ha quindi vissuto con il padre dal 18 aprile al 3 novembre 1995, quando è stata rapita dalla madre. La donna ha presentato appello contro la decisione del Tribunale di Famiglia presso la Corte di Appello di Lisbona, che ha emesso una sentenza nel 1996 ribaltando il giudizio e conferendo la potestà genitoriale alla madre, con diritto di visita per il ricorrente. La sentenza in particolare ha rilevato che il principio fondamentale riconosciuto in casi del genere riguardanti la potestà genitoriale è la preminenza dell’interesse della prole, considerata indipendentemente dagli interessi dei genitori. In tal senso la Corte doveva in ogni caso tener conto dei valori familiari, educativi e sociali dominanti nel contesto in cui la minore stava crescendo. La Corte rilevava che la giurisprudenza prevalente affida la custodia dei figli alla madre, a meno che non vi siano ragioni prevalenti e a ciò contrarie. Nel caso di specie la Corte riteneva che la custodia della bambina andasse affidata alla madre per il solo fatto che il padre avesse scelto di convivere con un altro uomo. In ogni caso, a giudizio della Corte medesima, non si può sostenere che tale nuovo contesto familiare potesse essere ritenuto l’ambiente più

idoneo e salutare per lo sviluppo psicologico e sociale di un minore; pertanto la bambina doveva avere la possibilità di crescere in una “famiglia portoghese tradizionale” che non corrispondeva chiaramente al modello di vita scelto dal padre. Astenendosi dal giudicare se l’omosessualità costituisse una malattia oppure un semplice orientamento, la Corte di Appello riteneva che in ogni caso la situazione di anormalità in cui la bambina si sarebbe trovata, vivendo in un contesto del genere, costituisse una violazione dei suoi diritti secondo ciò che viene stabilito dalla “natura umana”. Si riconosceva in ogni caso un amore sincero da parte del padre verso la figlia e pertanto era essenziale che gli fosse garantito un diritto di visita a tutela del benessere psicologico della bambina. Conseguentemente, la Corte ha riformato la sentenza appellata affidando la custodia alla madre e il diritto di visita al padre. La Corte specificava che il padre, nei periodi di permanenza della figlia presso di lui, avrebbe agito in maniera errata qualora si fosse comportato in modo tale da rendere evidente alla bambina la sua convivenza more uxorio con un altro uomo. In ogni caso, uno dei tre giudici della Corte di Appello deponeva una separate

opinion nella quale specificava che, per quanto avesse

votato a favore di tale sentenza, egli reputa incostituzionale asserire il principio che una persona potesse essere privata dei suoi diritti parentali sulla base del suo orientamento sessuale. Salgueiro presenta allora ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, lamentando che il diniego dell’affidamento della figlia fosse stato deciso unicamente sulla base della sua omosessualità e della sua convivenza con un altro uomo, e sostenendo altresì che in questo modo

la Corte di Appello avesse interferito, in maniera non giustificabile, con lo sviluppo della sua vita privata.

La Corte di Strasburgo osserva che la differenza di trattamento tra il ricorrente e la moglie, basata sull’orientamento sessuale dell’uomo, ricade nella previsione dell’art. 14 CEDU (divieto di discriminazione), invocato in relazione all’art. 8 della medesima Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare). In particolare, la Corte europea ritiene che i passaggi in cui la Corte di Appello prendeva in considerazione l’omosessualità del padre («la figlia dovrebbe vivere in una famiglia portoghese tradizionale che non è certamente quella che il padre ha deciso di costituire»; «non siamo interessati qui a comprendere se l’omosessualità sia o meno una malattia») non siano affatto semplici obiter dicta e tantomeno meramente grossolani e infelici, come sostenuto dal Governo, ma che al contrario l’omosessualità del ricorrente sia stata una ragione decisiva posta alla base della decisione finale. La Corte, pertanto, constata necessariamente che vi è stata una distinzione basata su considerazioni riguardanti l’orientamento sessuale del ricorrente, distinzione inaccettabile alla luce della Convenzione. In tal senso non vi è una relazione di proporzionalità tra la sentenza adottata (ossia l’esclusione dell’affidamento in ragione dell’omosessualità) e lo scopo perseguito della tutela della minore.

In conclusione, dunque, la Corte ha asserito che «costituisce violazione dell’art. 14 in coordinato disposto con l’art. 8 qualunque discriminazione che non abbia una oggettiva e ragionevole giustificazione e cioè che non persegua un obiettivo legittimo o se non vi sia una relazione di

proporzionalità tra i mezzi utilizzati e l’obiettivo che si intende raggiungere. Porre alla base di una decisione circa la custodia di un figlio l’orientamento sessuale di uno dei genitori costituisce un’interferenza ingiustificabile con la vita privata del genitore e confligge con l’adozione di una decisione unicamente nel reale interesse della prole».