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Il diritto alla genitorialita per le coppie dello stesso sesso

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione……….5

Capitolo I –Il riconoscimento dei diritti parentali delle

coppie same sex e le possibili obiezioni

all’omogenitorialità.

1 – Premessa………..11

2 – L’obiezione del procreation argument…...13

3 – L’argomento della “inidoneità” degli

omosessuali ad essere genitori………15

4 – Il principio del Best interest of the child….23

5 – L’adozione omogenitoriale: tipologie…….31

Capitolo II – La questione dell’adozione per le coppie dello

stesso sesso nella giurisprudenza della Corte

EDU.

1. Premessa………33

2. I primi casi di affidamento dei figli a genitori

(2)

di Strasburgo: il caso Salgueiro da Silva Mouta

v. Portogallo………34

3. L’accesso all’adozione per le coppie same sex

nell’esperienza francese.

3.1. Il caso Frettè v. Francia……….39

3.2. Il caso E.B. v. Francia………43

3.3. Il caso Gas & Dubois v. Francia…………49

4. Il superamento della presunzione di inidoneità

delle coppie omosessuali a crescere un figlio: il

caso X. and The Others v. Austria……….55

4.1.. Alcune considerazioni sul principio del

superiore interesse del

minore………63

Capitolo III – La giurisprudenza italiana in tema di

adozione da parte delle coppie dello stesso

sesso.

1. Premessa………..68

2. La legge 184/1983 e l’adozione in casi

particolari……….70

3. Le recenti evoluzioni della giurisprudenza

italiana in tema di affidamento dei minori a

coppie omosessuali: la sentenza n. 601/2013

della Corte di Cassazione………73

(3)

3.1. Il decreto del 3 luglio 2013 del Tribunale di

Parma………...79

3.2. Il decreto del 31 ottobre 2013 del Tribunale

per i Minorenni di Bologna…………...83

3.3. Il decreto del 4 dicembre 2013 del Tribunale

per i Minorenni di Palermo…………...86

4. Il riconoscimento dell’adozione da parte di un

single omosessuale effettuata all’estero…….88

5. Il primo caso in Italia di step-child adoption..95

5.1. Una sentenza “arcobaleno”: possibili

obiezioni e argomenti a favore……….107

6. Il riconoscimento delle adozioni omosessuali al

vaglio della Corte Costituzionale………….114

7. Figli di “due madri”: la trascrizione dell’atto di

nascita straniero del figlio di coppia

omosessuale……….129

7.1. “Mi chiamo Leon e queste sono le mie

mamme, mi hanno fatto nascere”…………140

8. Alcune riflessioni……….142

Capitolo IV – La recente giurisprudenza in materia di

adozioni da parte delle coppie omosessuali

in Spagna, Francia e Germania.

(4)

2. La giurisprudenza del Tribunale Costituzionale

spagnolo………...148

3. L’esperienza francese: il dibattito sul diritto

all’adozione per le coppie same sex e la

pronuncia del Conseil Constitutionnel……151

4. La questione dell’adozione delle coppie dello

stesso sesso alla luce della recente sentenza del

Bundesverfassungsgericht………160

Conclusioni………..165

Bibliografia………..168

(5)

INTRODUZIONE

La questione della filiazione da parte delle persone e delle coppie dello stesso sesso è un tema piuttosto controverso e costituisce oggetto di ampio dibattito politico, culturale, religioso, giurisprudenziale. Parlare di omogenitorialità suscita molto clamore e talora reazioni accese, emotive e veementi perché ancora oggi è forte il pregiudizio nei confronti di chi ha scelto di vivere in piena armonia con il proprio orientamento sessuale sfidando un clima socio-culturale altamente discriminatorio, di chi rivendica con dignità i diritti dell’essere umano, ivi incluso il diritto ad essere genitore, a crescere un bambino con quell’amore e con quella devozione che solo un padre o una madre sono in grado di elargire.

L’idea che una persona gay o lesbica possa essere un buon genitore incontra molte resistenze; per alcuni neppure è da prendere in considerazione. Coloro che si dichiarano contrari alla genitorialità omosessuale avanzano tutta una serie di obiezioni, le più frequenti delle quali sono: a) i figli devono avere un papà ed una mamma; b) le lesbiche e i gay non sono in grado di crescere un figlio; c) le lesbiche sono meno materne delle altre donne; d) le relazioni omosessuali sono meno stabili di quelle eterosessuali e quindi non offrono garanzia di continuità familiare; e) i figli di persone omosessuali hanno più problemi psicologici rispetto ai figli con genitori eterosessuali; f) i figli di omosessuali sviluppano

(6)

maggiormente la tendenza a divenire a loro volta omosessuali1.

La ricerca scientifica smentisce queste preoccupazioni e, come vedremo, stabilisce che i figli con genitori dello stesso sesso sono psicologicamente sani e adattati in percentuali sovrapponibili ai coetanei cresciuti in contesti familiari eterosessuali e, rispetto a questi, non mostrano un’incidenza maggiore di problemi legati all’identità di genere. Lo sviluppo ottimale dei bambini sembra, dunque, influenzato dalla qualità delle relazioni all’interno della famiglia più che dalle sue configurazioni di genere2.

Lo stigma di cui sono spesso vittime gli omosessuali, rispetto all’idea che possano essere padri e madri come tutti, porta a dimenticare che la genitorialità è fatta di affetto e di legami che poco hanno a che vedere con la condivisione del patrimonio genetico. Il legame di sangue non è una condizione sufficiente né necessaria per essere un buon genitore. Sotto questo aspetto, l’omogenitorialità mette in crisi un sistema che basa il legame giuridicamente stabilito sul contributo biologico dato da ciascuno alla nascita del figlio. In breve, il genitore omosessuale propone una definizione di genitore che è “buono” per il suo comportamento, che chiede insomma di essere giudicato per quello che fa e non per quello che è3.

L’esistenza delle famiglie omogenitoriali dimostra esattamente che la filiazione, prima che dato biologico, è un 1 V. LINGIARDI, Citizen gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale, pag. 100, Edizioni Il

Saggiatore.

2

V. LINGIARDI, cit., pag. 101.

3

M. WINKLER, G. STRAZIO, L’abominevole diritto. Gay e lesbiche, giudici e legislatori, pag. 206, Edizioni Il Saggiatore.

(7)

atto di assunzione di responsabilità. Di conseguenza, il modo più corretto di guardare all’omogenitorialità dovrebbe essere scevro da pregiudizi; soprattutto si dovrebbe pensare a tale realtà come ad una vera e propria famiglia, perché tipici di queste, come di altre famiglie, sono l’amore e l’impegno che esse danno ai loro figli, in linea con quanto rilevato dalla Corte di Strasburgo4. Pare opportuno, poi,

ribadire il concetto secondo cui la tendenza omosessuale di un individuo non costituisce ragione sufficiente per negare le sue capacità genitoriali; anzi, occorre dimostrare che l’omosessualità in sé è fattore discriminatorio di esclusione del genitore dalla vita e dall’educazione dei figli. L’idoneità genitoriale, infatti, deve essere valutata “in concreto” e distinta dall’orientamento sessuale della persona, la quale non può essere discriminata per questo motivo soltanto, in assenza di concreta verifica dell’inadeguatezza e dell’effettivo impatto negativo sulla crescita e sul benessere del minore. Ritenere, dunque, che l’educazione e lo sviluppo socio-psicologico di un bambino possano risultare compromessi dall’essere allevati nell’ambito di un nucleo omoparentale è solamente frutto di un pregiudizio – come la Corte di Cassazione ha rilevato nella sentenza n° 601 del 2013 – posto che «non vi sono certezze scientifiche o dati di esperienza che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del minore il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale»5. Alle stesse conclusioni, come

vedremo, è pervenuta anche la Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza X and The Others v. Austria del

4

M. WINKLER (con la collaborazione di G. STRAZIO), L’omogenitorialità agli occhi del

diritto, 2012, in www.rivistailmulino.it.

(8)

febbraio 2013, che ha fissato un nuovo e saldo principio nella disciplina delle coppie di persone omosessuali in merito alla delicata tematica dell’adozione: le famiglie omoparentali devono essere ritenute idonee a crescere un figlio6.

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di analizzare la difficile e oltremodo delicata questione della genitorialità omosessuale alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, di alcune recenti decisioni delle Corti costituzionali nazionali (in particolare Spagna, Francia e Germania) e dei recenti sviluppi della giurisprudenza italiana.

Il capitolo primo è dedicato alla trattazione delle obiezioni che frequentemente vengono avanzate per negare il diritto alla genitorialità per le persone omosessuali o le coppie

same sex: in particolare, la supposta inidonetà ad essere

padri e madri, a crescere figli e a contribuire al benessere psicologico di questi sembra essere l’argomento che, più di ogni altro, si pone alla base della discriminazione nei confronti dei genitori omosessuali. Per contro, numerosi studi condotti da vari gruppi e associazioni di professionisti, soprattutto statunitensi, non evidenziano alcuna differenza negli effetti dell’omogenitorialità rispetto alla genitorialità eterosessuale ed anzi sottolineano l’assenza di prove ed evidenze scientifiche capaci di dimostrare l’inettitudine di individui omosessuali ad allevare figli.

Il capitolo secondo analizza la tematica dell’omogenitorialità alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti

6

A. M. LECIS COCCO ORTU, L’adozione in seno ad una coppia omosessuale registra il

primo successo davanti alla Corte di Strasburgo: “due padri” o “due madri” non possono essere ritenuti inidonei a crescere un figlio, in www.diritticomparati.it.

(9)

dell’uomo, le cui decisioni hanno contribuito a formare una maggiore consapevolezza dei diritti degli omosessuali7.

Verranno esaminati casi concreti nei quali la Corte EDU è stata chiamata a pronunciarsi su richieste di adozione da parte di single e coppie same sex e a valutarne la sussistenza della discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale. Occorre osservare che il denominatore comune a tutte le pronunce della Corte di Strasburgo è costituito dal principio del best interest of the

child, che trova affermazione in numerose fonti di diritto

internazionale, tra le quali rileva in particolare la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989. L’art. 3, paragrafo 1 della Convenzione sancisce, infatti, la “primary consideration”8 da riservare agli interessi del

minore, in quanto dispone che l’interesse superiore del bambino deve sempre costituire il principale parametro di riferimento in tutte le decisioni che lo concernono.

Il capitolo terzo descrive i recenti sviluppi intervenuti nella giurisprudenza italiana in merito all’adozione per le coppie dello stesso sesso. In particolare, la sentenza n° 601/2013, con la quale la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità dell’affidamento di un minore alla madre convivente con una partner omosessuale, precisando che crescere in una famiglia omoparentale non può avere ripercussioni negative sullo sviluppo del bambino se ciò non viene dimostrato con dati scientifici, sembra aprire uno spiraglio sulla dibattuta questione delle adozioni

7 A. SPERTI, Omosessualità e diritti. I percorsi giurisprudenziali ed il dialogo globale delle Corti Costituzionali, pag. 15, Pisa, 2013, Pisa University Press.

8

R. PALLADINO, Adozione e coppie omosessuali nella recente giurisprudenza della Corte

europea dei diritti dell’uomo, in Rivista di diritto pubblico, comunitario e comparato,

(10)

omosessuali anche nel nostro Paese. Un’ulteriore passo in avanti si è poi registrato con la sentenza – rivoluzionaria - del 30 luglio 2014 con la quale il Tribunale per i Minorenni di Roma ha riconosciuto, per la prima volta in Italia, il diritto all’adozione di una bambina da parte della sua “seconda mamma”, ovvero la compagna omosessuale della madre biologica. Si tratta del primo caso di step-child

adoption, istituto anglosassone che consente l’adozione del

figlio naturale o adottivo da parte del partner del genitore naturale.

Tale sentenza, che potremmo definire “storica”, appare destinata ad aprire una strada a molte famiglie omogenitoriali, sia perché si fonda su solide argomentazioni giuridiche, sia perché prende atto di una giurisprudenza che ha cambiato il contesto di queste decisioni9. Non si deve,

tuttavia, dimenticare il soggetto principale di ogni vicenda: il bambino. È il suo interesse preminente, infatti, che deve essere tenuto in considerazione e deve, altresì, orientare i giudici chiamati a decidere su questioni che lo riguardano. L’ultimo capitolo, infine, prende in esame la recente giurisprudenza delle Corti costituzionali di Spagna, Francia e Germania in ordine all’adozione omosessuale. Dalla comparazione fra questi Paesi emerge che le risposte che le Corti offrono a questa delicata questione trovano, tutte, il loro principale fondamento nella tutela dell’interesse del bambino che, a parere dei giudici costituzionali, non è leso dall’adozione da parte della coppia same sex10.

9

A. PACINI, Stepchild adoption: l’Italia davanti al cambiamento, 15 settembre 2014, in www.artspecialday.com.

(11)

CAPITOLO I

Il riconoscimento dei diritti parentali delle

coppie same sex e le possibili obiezioni

all’omogenitorialità.

1. Premessa.

L’estensione del diritto al matrimonio alle coppie formate da persone dello stesso sesso (oppure il riconoscimento della parità dei diritti tra coppie omosessuali ed eterosessuali stabilmente conviventi) rappresenta la premessa per dare avvio ad un confronto anche in ordine al tema del loro diritto ad essere genitori. Il riconoscimento dei parental

rights degli omosessuali e la questione dell’adozione da

parte delle coppie same-sex costituiscono, dunque, il traguardo finale di un lungo percorso, iniziato con l’abolizione delle sodomy laws e la depenalizzazione dell’omosessualità, attraverso il quale le Corti hanno progressivamente affermato i diritti delle unioni tra persone dello stesso sesso o hanno esteso loro il diritto al matrimonio e il diritto di essere genitori. Come l’esperienza francese ha chiaramente dimostrato, con l’acceso dibattito sulla legge n. 2013-404 del maggio 20131 che ha aperto il

1

Loi n. 2013-404 du 17 mai 2013 ouvrant le mariage aux couples de personnes de

(12)

matrimonio alle coppie dello stesso sesso ed ha autorizzato l’accesso per queste ultime all’adozione, è sull’omogenitorialità e il diritto di adottare che emergono evidenti spaccature nella società civile, riscontrabili anche tra coloro che si professano favorevoli al matrimonio per le coppie omosessuali2.

La questione dell’adozione da parte di coppie in cui una o entrambe le componenti risultino essere omosessuali produce, infatti, secondo un orientamento diffuso, «una forte destabilizzazione rispetto all’idea della funzione esclusiva, in capo alle coppie eterosessuali, di cura dei minori, posto che storicamente la configurazione normativa della filiazione giuridica è stata modellata sul paradigma eterosessuale della filiazione naturale»3. È opportuno

ricordare che il Parlamento europeo, prendendo le mosse dall’importante risoluzione dell’8 febbraio 1994 “sulla parità di diritti per gli omosessuali nella Comunità”, ha richiamato l’attenzione della Commissione sulle situazioni di discriminazione in cui vengono a trovarsi le persone con orientamento omosessuale, invitando gli Stati membri dell’Unione Europea non soltanto a porre fine «agli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali ovvero ad un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni» ma anche ad eliminare «qualsiasi limitazione del diritto degli omosessuali di essere genitori ovvero di adottare o avere in affidamento bambini». Tuttavia tale

2 A. SPERTI, Omosessualità e diritti. I percorsi giurisprudenziali ed il dialogo globale delle Corti costituzionali, Pisa, 2013, Pisa University Press Edizioni.

3

E. MALFATTI, I “livelli” di tutela dei diritti fondamentali nella dimensione europea, pag. 266, Torino, 2013, G. Giappichelli Editore.

(13)

sollecitazione ha spesso incontrato le resistenze delle scelte politiche dei legislatori statali, anche negli Stati in cui è stata introdotta una qualche forma di riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali.

2. L’obiezione del procreation argument.

Il processo di riconoscimento ed estensione dei diritti parentali alle coppie dello stesso sesso, dunque, presuppone, innanzitutto, che si superi l’idea che il fine procreativo dell’istituto matrimoniale costituisca una differenza atta a giustificare le disparità di trattamento tra coppie omosessuali e coppie eterosessuali4. In particolare,

l’idea che il matrimonio tra persone di sesso opposto sia, per suo intrinseco carattere, ordinato e finalizzato alla procreazione e, quindi, rechi in sé la capacità naturale di generare figli (distinguendosi in ciò dalla unioni omosessuali, che potrebbero essere definite sterili nel senso della loro inettitudine a procreare) risalta all’attenzione delle Corti a partire dagli anni Settanta con i primi casi riguardanti la questione del diritto al matrimonio dei transessuali: a questo riguardo, la pronuncia della Superior

Court del New Jersey, nel 1976,sulla vicenda M.T. v. J.T 5.,

merita di essere menzionata a titolo di esempio di questo nuovo approccio giurisprudenziale: nel caso di specie, infatti, la Corte statunitense riconosce validità al matrimonio contratto tra M.T., nato uomo e divenuto donna a seguito di un intervento chirurgico di mutamento del

4

A. SPERTI, op. ult. cit., pag. 116.

(14)

sesso, e J.T., nato uomo e rimasto tale. Questa decisione rappresenta un punto di svolta significativo per superare l’idea che il sesso di un individuo debba essere determinato solo in base al dato cromosomico e che il fine procreativo rappresenti il tratto distintivo del matrimonio. Più di recente, la tematica della finalità procreativa dell’istituto matrimoniale è stata affrontata dalle Corti chiamate a pronunciarsi in ordine al matrimonio omosessuale. Così, ad esempio, nel caso Fourie6 la Corte Suprema del Sud Africa,

chiamata ad esprimersi in merito all’estensione del concetto giuridico di matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso, ha affermato che il procreation argument7 non possa

costituire una valida giustificazione per negare alle coppie dello stesso sesso «lo stesso grado di dignità, attenzione e rispetto che viene riconosciuto alle coppie eterosessuali»8.

Ancora, nel caso Halpern v. Canada9 la Corte d’Appello

dell’Ontario dichiara di non riuscire a comprendere «come la finalità della procreazione e quella della cura dei bambini possano costituire un rilevante e sostanziale obiettivo per continuare a considerare il matrimonio un’istituzione esclusivamente eterosessuale»10: per quanto quello della

procreazione sia un obiettivo apprezzabile del legislatore, tuttavia la Corte di Appello riconosce che «le coppie omosessuali possono avere figli con altri mezzi, come l’adozione, la maternità surrogata o anche tramite l’inseminazione artificiale». Pertanto, «una legge che mira ad incoraggiare solo la procreazione “naturale” non tiene conto

6 Minister of Home Affairs v. Fourie, Case CCT 10/05, 1 dicembre 2005. 7 Fourie, cit., in part. § 87.

8

Fourie, cit.

9

Halpern v. Canada, Ontario Court of Appel, 2003.

(15)

del fatto che le coppie dello stesso sesso sono in grado di avere figli»11. In estrema sintesi, dunque, la Corte canadese

ritiene che il diniego del diritto al matrimonio per le coppie omosessuali sulla base del fine procreativo del matrimonio eterosessuale rappresenti «uno stereotipo non accettabile in una società libera e democratica che promuove l’eguaglianza e il rispetto per tutte le persone» poiché suggerisce l’idea che «le coppie dello stesso sesso non siano capaci ad allevare figli»12.

3. L’argomento della “inidoneità” degli

omosessuali ad essere genitori.

L’affermazione della “funzione procreativa del matrimonio”, la quale dunque risulta non ascrivibile alle coppie formate da persone dello stesso sesso, rappresenta sicuramente una delle obiezioni principali che vengono mosse per negare il diritto alla genitorialità delle coppie same sex, ma non è l’unica. Occorre osservare, infatti, che alla base della discriminazione nei confronti dei genitori omosessuali si pone spesso la loro supposta inidoneità ad essere padri e madri, a fornire un’educazione adeguata e a contribuire in modo positivo alla crescita e allo sviluppo di un figlio.

A questo riguardo, si potrebbe, ad esempio, ricordare che in Argentina, nel 2003,una madre chiede la revoca dell’affidamento dei figli all’ex marito, sostenendo che la

11

Halpern, cit., §122.

(16)

convivenza dell’uomo con una persona dello stesso sesso possa porre i figli in una situazione di “pericolo morale”13.

Un altro caso del tutto simile è quello esaminato dalla Corte Suprema delle Filippine, nel 200514, su ricorso di un padre

il quale sostiene l’inadeguatezza della ex moglie ad occuparsi dei figli a causa della “immoralità” della sua relazione con un’altra donna. Si adduce, infatti, che la condotta “immorale” della madre può costituire un valido motivo per privarla della custodia genitoriale.

In entrambi i giudizi, tuttavia, le Corti respingono le domande dei ricorrenti. La Corte Argentina, infatti, sostiene che l’unico interesse rilevante sia quello del minore e che «lo stile di vita di un genitore, così come le sue credenze religiose, politiche o la sua ideologia, possono essere giudicati solo in relazione con l’impatto sul suo sviluppo». Ad avviso della Corte, dunque, sebbene la condotta sessuale del padre sia giudicata “non convenzionale”, tuttavia essa non può costituire motivo per ritenere l’uomo inidoneo ad assolvere al ruolo di genitore. In maniera analoga, nel caso

Pablo Gualberto vs Gualberto, la Corte Suprema delle

Filippine afferma che «la preferenza sessuale o lassismo morale da sola non dimostra negligenza dei genitori o incompetenza e che per privare la moglie della custodia il marito deve dimostrare chiaramente che le sue cadute morali hanno avuto un effetto negativo sul benessere del bambino o hanno distratto il coniuge in questione dall’esercitare un’adeguata funzione parentale». In altri termini, nel caso in questione non viene ravvisata un’idonea

13

L.S.F. c. A.C.P., Tribunale di famiglia della Città di Cordoba, Argentina, sentenza del 6 agosto 2003.

(17)

motivazione per sottrarre il minore alla custodia della madre nella relazione di quest’ultima con un’altra donna in quanto non vi sono prove del suo impatto negativo «sul corretto sviluppo morale e psicologico» del figlio15.

È utile sottolineare che l’argomento della inidoneità degli omosessuali ad assolvere al ruolo di genitori risulta celato, talora, dietro più sottili considerazioni tendenti a dimostrare che sarebbe opportuno – ed anche necessario - fornire ai bambini dei modelli genitoriali reputati “migliori” o tutelarli contro possibili discriminazioni derivanti dall’essere allevati ed educati all’interno di un contesto familiare non propriamente convenzionale16. I pregiudizi che non di rado

si manifestano rispetto alla possibilità che coppie dello stesso sesso siano ammesse a svolgere la funzione genitoriale, infatti, riguardano ad esempio «il timore che lo sviluppo all’identità sessuale possa essere compromesso tra i figli di genitori lesbiche e gay; il timore che questi figli possano avere una maggiore predisposizione ai disturbi mentali, maggiori difficoltà di adattamento e problemi comportamentali, quindi un effetto negativo sulla salute psichica; il timore, infine, che questi figli abbiano maggiori difficoltà nelle relazioni sociali, nei rapporti con gli altri a causa dello stigma»17 e possano divenire, pertanto, oggetto

di discriminazioni da parte del tessuto sociale. Questo genere di considerazioni è stato spesso avanzato negli Stati Uniti: così nel 2010, ad esempio, il Governo dello Stato della Florida adduce proprio tali argomentazioni a sostegno della

15 Pablo Gualberto v. Gualberto, cit. 16

A. SPERTI, op. ult. cit., pag. 119.

17

C. CAVINA e D. DANNA, Crescere in famiglie omogenitoriali, pag. 28, Milano, 2009, Franco Angeli Edizioni.

(18)

legittimità costituzionale di una legge statale che nega alle coppie dello stesso sesso il diritto ad adottare pur riconoscendo loro la possibilità dell’affidamento. Per contro, la Corte di Appello statale respinge suddette considerazioni sostenendo che è irrazionale un provvedimento che «utilizza gli omosessuali come affidatari o tutori di minori, prevedendo al tempo stesso nei loro confronti un totale divieto per l’adozione»18. Occorre, in aggiunta, sottolineare

che mentre in passato argomenti come l’inidoneità degli omosessuali ad essere genitori o la necessità che i bambini vengano allevati e cresciuti in un contesto familiare adatto al loro corretto sviluppo psicologico erano riscontrabili prevalentemente nelle affermazioni di quelle parti dichiaratamente contrarie all’adozione per le coppie omosessuali e le stesse Corti degli Stati Uniti sembravano maggiormente propense ad accogliere considerazioni di questo tipo, oggi, invece, i giudici americani sono orientati piuttosto a desumere le proprie conclusioni dalla prova dell’esistenza (o dell’inesistenza) di un nesso causale tra le tendenze omosessuali del genitore e le problematiche psicologiche e comportamentali del figlio19. A questo

riguardo, occorre evidenziare che la valutazione di tale nesso causale conduce ad un esito favorevole alle coppie omosessuali nella maggior parte dei giudizi, in quanto non ci sono prove che permettano di affermare l’inidoneità delle coppie same sex ad essere genitori o che suggeriscano che lo sviluppo dei figli di gay e lesbiche possa risultare compromesso rispetto a quello dei figli di genitori eterosessuali. Non si può, dunque, asserire con certezza che

18

In Re Matter of Adoption of X.X.G. and N.R.G., 45 So.3d 79 (2010).

(19)

il benessere fisico, mentale e sociale dei figli di genitori omosessuali sia dissimile da quello dei coetanei cresciuti in famiglie tradizionali posto che mancano evidenze scientifiche in merito.

Numerosi studi condotti dall’American Psychological Association, dall’American Psychiatric Association, dall’ American Academy of Pediatrics e da altri gruppi non hanno evidenziato alcuna differenza, neppure minima, negli effetti dell’omogenitorialità rispetto alla genitorialità eterosessuale20. In particolare, l’American Psychological

Association (APA) nel luglio 2004 ha dichiarato che «non esiste alcuna prova scientifica che l’essere dei buoni genitori sia connesso all’orientamento sessuale dei genitori medesimi. Al contrario, i risultati delle ricerche indicano che genitori omosessuali hanno la stessa probabilità di quelli eterosessuali di fornire ai loro figli un ambiente di crescita sano e favorevole21. […] La ricerca ha dimostrato che la

stabilità, lo sviluppo e la salute psicologica dei bambini non hanno un collegamento con l’orientamento sessuale dei genitori e che i bambini allevati da coppie gay e lesbiche hanno la stessa probabilità di crescere bene quanto quelli allevati da coppie eterosessuali»22. Dello stesso avviso anche

20

A. BUZZI, Amori omosessuali. Cosa si intende per omosessualità?, pagg.78-79, Roma, 2009, Sovera Edizioni.

21 American Psychological Association, Sexual Orientation, Parents & Children, APA

Council Policy Manual, 28-30 luglio 2004, www.apa.org. (Resolution: «There is no

scientific evidence that parenting effectiveness is related to parental sexual orientation. On the contrary, results of research suggest that lesbian and gay parents are as likely as heterosexual parents to provide supportive and healthy environments for their children

[PATTERSON, 2000, 2004; PERRIN, 2002; TASKER, 1999]»).

22 American Psychological Association, Sexual Orientation, Parents & Children, cit.,

(Resolution: «Research has shown that he adjustment, development and psychological

well-being of children is unrelated to parental sexual orientation and that the children of lesbian and gay parents are as likely as those of heterosexual parents to flourish

(20)

l’American Academy of Pediatrics (AAP) - che rappresenta il 99,9% dei professionisti statunitensi - secondo la quale «una considerevole mole di letteratura professionale fornisce la prova che bambini con genitori omosessuali possono avere gli stessi benefici e le stesse aspettative in termini di salute, adattamento e sviluppo dei bambini i cui genitori sono eterosessuali»23. Nel 2006 tale associazione ha

dichiarato che «i risultati delle ricerche dimostrano che i bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso si sviluppano come quelli cresciuti da genitori eterosessuali. Più di venticinque anni di ricerche documentano che non c’è una relazione tra l’orientamento sessuale dei genitori e qualsiasi tipo di misura dell’adattamento emotivo, psicosociale e comportamentale del bambino. Questi dati dimostrano che un bambino che cresce in una famiglia con uno o due genitori gay non corre alcun rischio specifico. Adulti coscienziosi e capaci di fornire cure, che siano uomini o donne, eterosessuali o omosessuali, possono essere ottimi genitori»24. Il 20 marzo 2013 la stessa associazione

statunitense ha pubblicato un importante documento in

23 American Academy of Pediatrics. Committee on Psychological Aspects of Child and

Family Health, Coparent or second parent adoption by same-sex parents in Pediatrics, vol. 109, n°2, 1 febbraio 2002, pagg. 339-340, www.aap.org. («The American Academy

of Pediatrics recognizes that a considerable body of professional literature provides evidence that children with parents who are homosexual can have the same

advantages and the same expectations for health, adjustment and development as can children whose parents are heterosexual»).

24

American Academy of Pediatrics, The effects of marriage, civil union and domestic

partnership laws on the health and well-being of children, in Pediatrics, vol. 118, n° 1, 1

luglio 2006, pagg. 349-364, www.aap.org. («There is ample evidence to show that

children raised by same-gender parents fare as well as those raised by heterosexual parents. More than 25 years of research have documented that there is no relationship between parents’ sexual orientation and any measure of a child’s emotional,

psychosocial and behavioral adjustment. These data have demonstrated no risk to children as a result of growing up in a family with one or more gay parents.

Conscientious and nurturing adults, whether they are men or women, heterosexual or homosexual, can be excellent parents»).

(21)

cui, oltre a ribadire le conclusioni sopra esposte, afferma che «nonostante le disparità di trattamento economico e legale e la stigmatizzazione sociale, trent’anni di ricerche documentano che l’essere cresciuti da genitori lesbiche e gay non danneggia la salute psicologica dei figli […] e che il benessere dei bambini è influenzato dalla qualità delle relazioni con i genitori, dal senso di sicurezza e competenza di questi e dalla presenza di un sostegno sociale ed economico alle famiglie»25. Similmente, una relazione fatta

dal Dipartimento di Giustizia del Canada nel luglio 2006, dal titolo “Children’s development of social competence

across family types”, pubblicata successivamente dal

Governo Canadese nel maggio 2007, ha dichiarato che «la conclusione che si deduce dalla letteratura empirica è che la gran parte degli studi mostrano che i bambini che vivono con due madri e i bambini che vivono con un padre ed una madre hanno lo stesso livello di competenza sociale. Pochi studi suggeriscono che i bambini con madri lesbiche potrebbero avere una migliore competenza sociale, ancora meno studi dimostrano l’opposto, ma la maggior parte degli studi fallisce nel trovare qualsiasi differenza. Anche le ricerche condotte su bambini con due padri supportano queste conclusioni»26. Allo stesso modo, anche l’American

25

American Academy of Pediatrics, Technical Report: Promoting the well-being of

children whose parents are gay or lesbian, in Pediatrics, vol. 131, n° 4, 1 aprile 2013,

pagg. 1374-1383, www.aap.org. («Extensive data available from more than 30 years of

research reveal that children raised by gay and lesbian parents have demonstrated resilience with regard to social, psychological and sexual health despite economic and legal disparities and social stigma. Many studies have demonstrated that children’s well-being is affected much more by their relationship with their parents, their parents’ sense of competence and security and the presence of social and economic support for the family than by the gender or the sexual orientation of their parents»).

26

P.D. HASTINGS, J. VYNCKE, C. SULLIVAN, K.E. McSHANE, M. BENIBUI & W. UTENDALE,

Children’s development of social competence across family types, Ottawa, Ontario:

(22)

Academy of Child and Adolescent Psychiatry (AACAP) nel 2009 ha concluso che «non ci sono evidenze scientifiche a sostegno della tesi per cui genitori con orientamento omo o bisessuale siano di per sé diversi o carenti nella capacità di essere genitori, di saper cogliere i problemi dell’infanzia e di sviluppare attaccamenti genitore-figlio, a confronto di genitori con orientamento eterosessuale. Da tempo è stato stabilito che l’orientamento omosessuale non è in alcun modo correlato ad una patologia, e non ci sono basi su cui presumere che l’orientamento omosessuale di un genitore possa aumentare le probabilità o indurre un orientamento omosessuale nel figlio. Studi sugli esiti educativi di figli cresciuti da genitori omo o bisessuali, messi a confronto con genitori eterosessuali, non depongono per un maggior grado di instabilità nella relazione genitori-figli o disturbi evolutivi nei figli»27.

In conclusione, dalla letteratura scientifica passata in rassegna emerge che non ci sono prove che suggeriscano che individui omosessuali non siano adatti ad essere genitori o che lo sviluppo di figli di genitori omosessuali possa essere compromesso rispetto a quello di figli cresciuti con genitori eterosessuali. Nessuno studio, quindi, ha dimostrato che i figli di omosessuali siano complessivamente svantaggiati28.

Si osservi che l’assenza di prove e di evidenze scientifiche circa le potenziali conseguenze negative sullo sviluppo psicologico dei bambini allevati da una coppia dello stesso

27 V. LINGIARDI, Citizen Gay. Famiglie, diritti negati e salute mentale, pagg. 118-119,

Milano, 2007, Il Saggiatore Edizioni. Per ulteriori approfondimenti si consulti il sito www.aacap.org.

(23)

sesso viene oggi giudicata risolutiva da molte Corti negli Stati Uniti ed anche la stessa Corte Suprema di Israele l’ha presa in seria considerazione in una rilevante pronuncia del 2005 sul caso Yaros –Hakak v. Attorney General29,in cui la

Corte cita 14 studi nessuno dei quali proverebbe effetti negativi per i figli cresciuti da genitori omosessuali e da coppie dello stesso sesso.

In ogni caso, tanto nell’ipotesi in cui si sostenga la tesi della inidoneità degli omosessuali ad essere genitori, quanto nell’ipotesi – contraria - nella quale si adducano argomenti a suffragio della loro idoneità, ciò che deve essere sempre tenuto in considerazione e che, di conseguenza, deve orientare le Corti chiamate a decidere su questioni concernenti i minori è il principio del “best interest of the child”.

4. Il principio del Best interest of the child.

La base su cui devono reggersi tutte le decisioni in tema di custodia dei figli e diritti dei genitori è il migliore interesse del bambino30.

Il principio del superiore interesse del minore, espressione della best interests of the child doctrine diffusa nei paesi anglosassoni, concepito come criterio di eccezione da utilizzare per una specifica decisione in contrapposizione alla regola di common law che riconosceva ogni diritto al

29

Yaros-Hakak v. Attorney General, CA 10280/01, 10 gennaio 2005.

(24)

padre (parental rights)31, costituisce oggi in tutti i Paesi di

matrice culturale europea il criterio-guida che informa l’intero diritto minorile, inteso come l’insieme delle norme che attuano il diritto del minorenne ad una speciale protezione. L’interesse del minore fonda anzitutto il riconoscimento allo stesso di specifici diritti e la predisposizione di idonee garanzie sostanziali e procedurali astrattamente atte a realizzare questi diritti. Esso, inoltre, deve guidare il singolo operatore, in relazione ai casi concreti sottoposti alla sua attenzione, nell’interpretazione del diritto e nell’individuazione delle soluzioni da adottare. L’interesse del minore, infatti, costituisce non solo un principio generale dell’ordinamento giuridico, ma anche una clausola generale richiamata più volte nel diritto positivo nazionale e internazionale: grazie alla sua formulazione (necessariamente) generica, consente al giudice di valutare le peculiarità della situazione sottoposta al suo esame, adottando la decisione che nel caso concreto appare come la migliore realizzazione dell’interesse del bambino, anche in deroga alle garanzie sostanziali e procedurali astrattamente ritenute dal legislatore conformi all’interesse dei minori32.

Nel diritto internazionale, l’interesse del minore compare nel corso del XX secolo, nel quadro del generale processo di approfondimento e articolazione della tutela dei diritti dell’uomo, che conduce al riconoscimento dei diritti di terza generazione, comprendenti i diritti di donne, bambini e adolescenti. Nella maggioranza dei documenti generali in materia di diritti umani elaborati dopo la fine della seconda 31 P. ZATTI, Trattato di diritto di famiglia, Vol. 6 “Tutela civile del minore e diritto sociale della famiglia” (a cura di) L. LENTI, pag. 68, 2012, Giuffrè Editore.

32

J. LONG, Il diritto italiano della famiglia alla prova delle fonti internazionali, pag. 53, in Quaderni Familia, 2006, Giuffrè Editore.

(25)

guerra mondiale sono inserite norme che riconoscono il diritto dei minori, in quanto soggetti in condizione di debolezza, ad una protezione “particolare”; nessuna norma riguardante i minori è invece contenuta nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo: malgrado ciò, la Corte europea per via giurisprudenziale ha fin da subito riconosciuto e attuato i diritti dei soggetti minorenni.

La tutela dell’interesse del minore costituisce inoltre l’obiettivo di una pluralità di atti internazionali dedicati a specifiche questioni concernenti i minorenni. Nella Convenzione dell’Aja del 1961, ad esempio, concernente la competenza delle autorità e la legge applicabile in materia di protezione dei minori, l’interesse del minore ispira la scelta della residenza abituale dello stesso quale criterio generale di giurisdizione, ma consente altresì la deroga a tale criterio generale qualora la sua applicazione determini in concreto un pregiudizio per un determinato minore (art. 4, comma 1° Conv.). Ancora, la Convenzione europea sull’adozione dei minori del 1967 detta norme sostanziali e processuali uniformi al fine di «favorire il benessere dei minori adottati», come indicato dal Preambolo: l’adozione deve essere disposta da un’autorità pubblica e solo qualora realizzi l’interesse del minore (artt. 4 e 8); l’adozione può essere disposta unicamente a favore di adottanti coniugati o da singoli in possesso dei requisiti di età stabiliti dalla Convenzione stessa e di idoneità psico-fisica all’adozione (artt. 7,8,9); l’adozione ha effetti legittimanti (art. 10)33.

Per l’enunciazione in termini generali del principio del

superiore interesse del minore occorre, invece, attendere la

(26)

Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con risoluzione 44/25 del 20 novembre 1989, entrata in vigore il 2 settembre 1990 e ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176. La Convenzione si presenta come lo strumento di tutela dei diritti umani maggiormente accettato a livello universale. Occorre osservare che il suo carattere è fortemente innovativo poiché introduce un nuovo approccio nei confronti dei diritti dei minori di età34. In tema

di tutela dei diritti di questi ultimi, infatti, la Convenzione del 1989 rappresenta un vero e proprio spartiacque, in quanto riconosce al bambino una soggettività giuridica piena e la titolarità di una vasta gamma di diritti, i quali riguardano sia il tradizionale ambito della “cura”, ossia del soddisfacimento dei bisogni che riflettono il suo particolare stato di vulnerabilità psico-fisica; sia quello della “tutela”, derivante dal riconoscimento della sua autonoma titolarità di diritti garantiti nei confronti delle autorità dello Stato, e non solo di aspettative nella sfera dei rapporti etico-familiari; sia infine l’ambito della “partecipazione”, ossia la dimensione della cittadinanza giuridica e socio-politica del minore di età, che comprende, in particolare, il diritto di essere ascoltato in relazione alle scelte pubbliche o private che possono avere un impatto sul suo benessere35.

L’obiettivo principale della Convenzione è, pertanto, quello di garantire il pieno soddisfacimento dei diritti e degli interessi dei bambini, oltre ad assicurare loro un idoneo e

34 A. BISIO e I. ROAGNA, L’adozione internazionale di minori: normativa interna e giurisprudenza europea, pag. 17, in Il diritto privato oggi a cura di P. CENDON, 2009,

Giuffrè Editore.

(27)

adeguato contesto socio-educativo nel quale vivere l’infanzia. Essa, inoltre, riconosce il collegamento inevitabile tra lo sviluppo psicofisico del fanciullo e la situazione di benessere che egli vive e che può essere garantita solo ed esclusivamente attraverso la crescita in un ambiente familiare idoneo36. In questo senso, l’interesse preminente

del minore deve costituire criterio di valutazione e chiave di interpretazione del diritto, costituire in altri termini elemento essenziale per integrare e chiarire la portata e l’estensione di ogni singolo diritto, nella concretezza del caso e nella specificità della situazione contingente37. Si osservi

che numerosi sono gli articoli della Convenzione che fanno riferimento, in modo esplicito, al concetto del superiore interesse del minore, richiamato in relazione ai suoi legami familiari, alla continuità della sua educazione, alla sua origine etnica, culturale e linguistica. Tra questi, rileva in particolare l’art. 3, paragrafo 1 il quale sancisce la “primary

consideration”38 da riservare agli interessi del bambino, in

quanto dispone che l’interesse superiore del minore deve sempre costituire il principale parametro di riferimento in tutte le decisioni concernenti lo stesso39. Appare, dunque,

evidente, dalla chiara formulazione del suddetto articolo, che il criterio del preminente interesse risulta indirizzato a regolare in modo particolare tutte quelle situazioni giuridiche in cui gli interessi del fanciullo siano in

36

A. BISIO e I. ROAGNA, op. ult. cit.

37

R. AGO e P. ZICCARDI, Comunicazioni e studi, Vol. 23, pag. 486, 2007, Giuffrè Editore.

38 R. PALLADINO, Adozione e coppie omosessuali nella recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Rivista di diritto pubblico italiano, comunitario e comparato, 16 settembre 2013, www.federalismi.it.

39 L’art. 3 § 1 della Convenzione di New York statuisce che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».

(28)

opposizione con gli interessi di altri soggetti a lui contrapposti; conseguenza immediata è quindi il riconoscimento al minore di uno status autonomo ed indipendente rispetto a quello degli adulti nonché di un impegno, da parte degli Stati, di assumere l’obbligo di far rispettare a tutti i diritti sanciti40.

Al “superiore interesse del minore” fa riferimento anche l’art. 21 della stessa Convenzione, il quale statuisce che «gli Stati parti che ammettono e/o autorizzano l’adozione, si accertano che l’interesse superiore del fanciullo sia la considerazione fondamentale in materia».

Ulteriore menzione, circa il supremo interesse del bambino, viene fatta all’art. 9 della Convenzione sopra citata, nel quale si afferma il diritto del fanciullo di intrattenere regolarmente relazioni con entrambi i genitori, purchè ciò non sia contrario ai suoi preminenti interessi; si prevede altresì che gli Stati parti vigilino affinchè il bambino non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che, sempre nel rispetto delle leggi procedurali, l’allontanamento risulti necessario nel suo preminente interesse.

Da quanto si è detto emerge, dunque, che definire l’interesse del minore necessiti di una previa e motivata analisi della situazione personale in cui il fanciullo si trova a vivere; risulta implicito quindi che tale criterio deve potersi modellare in rapporto alle concrete realtà storiche e sociali nonché ai mutamenti culturali ed ambientali che fanno da

40 M. RIONDINO, Il primato giuridico e morale del concetto di interesse del minore, pag.

13, relazione presentata al seminario su “La Convenzione dei diritti del fanciullo e il protagonismo dei ragazzi”, promosso dall’Azione Cattolica Italiana e svoltosi a Roma nel novembre 2014. Il documento integrale è consultabile al sito internet

(29)

corollario nella vita del fanciullo. In conclusione, si può affermare che la Convenzione del 1989 renda testimonianza non solo di un esplicito impegno sociale a tutela dei minori, ma anche di un autonomo riconoscimento giuridico finalizzato a stabilire il preminente interesse come criterio prevalente e unico da rispettare41.

Occorre, peraltro, osservare che la solenne proclamazione relativa all’affermazione del principio del superiore interesse del minore, che costituisce il fondamento della Convenzione di New York, ha influenzato anche tutte le convenzioni internazionali in materia di protezione dei minori successive all’adozione della Convenzione del 1989. Queste, infatti, richiamano in modo espresso il principio del best interest of

the child e si propongono di attuarlo con riferimento agli

aspetti da esse disciplinati42. A titolo di esempio, si può

ricordare la Convenzione europea sull’adozione dei minori, aperta alla procedura di ratifica il 27 novembre 2008 ed entrata in vigore nel 2011, destinata a sostituire la precedente Convenzione del 1967. Essa si propone, infatti, nel superiore interesse del minore, di promuovere un insieme di regole comuni destinate ad armonizzare la legislazione dei diversi Stati europei per quanto riguarda la procedura dell’adozione e gli effetti giuridici di questa. Anche la Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale del 1993 richiama espressamente i principi posti dalla Convenzione di New York, proponendo di stabilire delle garanzie affinchè le adozioni si facciano nell’interesse

superiore del minore e nel rispetto dei diritti fondamentali

41

M. RIONDINO, op. ult. cit., pagg. 13-14.

(30)

che gli sono riconosciuti nel diritto internazionale. Merita, inoltre, di essere menzionata anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000 (Carta di Nizza), il cui art. 24 propone la medesima formula della Convenzione di New York, ovvero l’aspirazione cui deve mirare ogni sistema è proprio quella di rendere preminente l’interesse del minore negli atti allo stesso relativi43. In

particolare, il paragrafo 2 della disposizione ha cura di precisare che «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente».

Il principio del best interest of the child, infine, emerge anche nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo relativa alle adozioni di minori da parte di persone omosessuali, dove viene ripetutamente richiamato quale interesse preminente destinato a prevalere su qualunque altro. Come vedremo in seguito, nell’esame delle varie pronunce della Corte EDU sul diritto di gay e lesbiche all’adozione, l’interesse del bambino a crescere e ad essere educato in un ambiente familiare stabile ed armonioso, idoneo al suo corretto sviluppo psicologico, viene posto a fondamento di ogni decisione della Corte stessa in quanto reputato superiore rispetto ad ogni altro interesse, inclusi dunque anche gli interessi dei genitori adottanti.

43

D. AMRAM, Corte di Cassazione e giurisprudenza di merito: alla ricerca di un

contenuto per l’interesse superiore del minore – Nota a Cass. 18 giugno 2008, n. 16593,

(31)

5. L’adozione omogenitoriale: tipologie.

L’adozione è una forma di genitorialità sociale, svincolata da ogni fondamento biologico, con la precipua finalità di assicurare ad un bambino privo di famiglia un nucleo familiare favorevole al suo sviluppo44.

La Convenzione europea sull’adozione dei minori approvata a Strasburgo nel 1967 e riveduta nel 2008 sancisce che tale istituto giuridico, volto ad aiutare bambini in situazione di bisogno, non debba essere limitato alle coppie coniugate, ma aperto anche ai singoli individui, se rispondenti ai requisiti di affidabilità; inoltre lascia agli Stati la libertà di estendere le adozioni alle coppie dello stesso sesso sposate o registrate e alle coppie omosessuali che vivono insieme in una convivenza stabile45. Molti omosessuali, dunque,

scelgono questa modalità preferendola alle forme di procreazione diretta, anche se spesso l’iter valutativo a cui deve sottoporsi ogni aspirante genitore li vede penalizzati già a priori a causa dello stigma sociale nei loro confronti46.

In particolare, riguardo alla tematica dell’adozione di un bambino da parte di persone omosessuali può operarsi una distinzione fra tre tipologie di adozioni astrattamente previste dalle legislazioni dei paesi europei ed extraeuropei: il primo tipo è quello dell’adozione individuale (single parent

44

A. JACHETTA, Genitori lesbiche e gay: un ossimoro?, pag. 32, 2012, Greenbooks Editore.

45 La Convenzione europea sull’adozione di minori del 1967, riveduta nel 2008,

statuisce all’art. 7 § 2: «States are free to extend the scope of this Convention to same

sex couples who are married to each other or who have entered into a registered partnership together. They are also free to extend the scope of this Convention to different sex couples and same sex couples who are living together in a stable relationship».

(32)

adoption), ossia da parte di persone singole, per effetto della

quale, essendo vietata ogni discriminazione nell’accesso all’adozione fondata esclusivamente sull’orientamento sessuale, anche le persone omosessuali possono adottare un figlio; la seconda tipologia è quella dell’adozione cosiddetta coparentale (second parent adoption), mediante la quale ad un individuo è concesso di adottare il figlio biologico del proprio partner (nell’ambito di un’unione di fatto, registrata o coniugale), affiancando la propria potestà genitoriale così acquisita a quella del partner e pervenendo così ad un esercizio congiunto della stessa, con il figlio che godrà dunque di due legami genitoriali legalmente riconosciuti; infine, l’ultima ipotesi è quella dell’adozione

congiunta (joint adoption), per la quale una coppia

omosessuale può adottare un bambino. Tralasciando l’adozione individuale che è ammessa, indipendentemente dall’orientamento sessuale dell’adottante, nella maggior parte degli Stati europei e in molti paesi extraeuropei, è opportuno sottolineare che le tipologie più controverse di adozione nei riguardi delle coppie dello stesso sesso sono la

second parent adoption e l’adozione congiunta.

Occorre, poi, osservare che talvolta l’uomo o la donna, soltanto dopo aver percorso la “via normale del matrimonio” e aver messo al mondo dei figli, cominciano a riconoscersi come omosessuali47; da ciò si evince, dunque, che

un’ulteriore tipologia di casi che viene in considerazione a proposito delle adozioni omoparentali è quella relativa all’affidamento dei figli, nati dalla precedente unione eterosessuale, dopo il divorzio.

(33)

CAPITOLO II

La questione dell’adozione per le coppie dello

stesso sesso nella giurisprudenza della Corte

EDU.

1. Premessa.

La giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha svolto un ruolo essenziale nella formazione di una maggiore consapevolezza a livello europeo dei diritti degli omosessuali. Nonostante la Corte EDU abbia riconosciuto agli Stati membri un ampio margine di apprezzamento con riferimento alla tutela dei diritti di gay e lesbiche, è innegabile che le sue pronunce abbiano contribuito in modo rilevante a fissare principi molto importanti1. In particolare,

in tema di omogenitorialità, la Corte è stata chiamata in alcune occasioni a pronunciarsi su differenti casi di richieste di adozione da parte di un individuo omosessuale o da parte di una coppia dello stesso sesso e a valutarne la sussistenza della discriminazione operata dalle legislazioni nazionali rispetto ai corrispondenti diritti riconosciuti agli eterosessuali2. Distinguendo tra le diverse ipotesi nelle quali

le persone omosessuali possono adottare, la Corte ad oggi ha conosciuto solo casi concernenti l’adozione da parte del

single – eventualmente convivente con un partner dello

1 A. SPERTI, cit., pag. 15. 2

R. PALLADINO, Adozione e coppie omosessuali nella recente giurisprudenza della Corte

europea dei diritti dell’uomo, pag. 9, in Rivista di diritto pubblico italiano, comunitario e comparato, www.federalismi.it.

(34)

stesso sesso – e l’adozione cosiddetta coparentale, mentre a tutt’oggi non si è mai occupata dell’adozione congiunta da parte di una coppia di persone dello stesso sesso. Nei più recenti casi da essa decisi – come vedremo – la Corte ha affermato che il divieto di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale impone agli Stati di non poter escludere l’adozione da parte di single omosessuali né da parte del partner dello stesso sesso laddove l’adozione sia consentita al single o al partner eterosessuale. Si tratta, dunque, di progressi registrati di recente e che hanno rovesciato le posizioni diametralmente opposte da cui era partita la Corte3.

2. I primi casi di affidamento dei figli a

genitori omosessuali agli occhi della Corte di

Strasburgo: il caso Salgueiro da Silva Mouta

v. Portogallo.

La tematica del diritto degli omosessuali ad essere genitori emerge, nella giurisprudenza della Corte EDU, intorno agli anni Novanta, in relazione a questioni riguardanti l’affidamento dei figli dopo lo scioglimento del vincolo matrimoniale. Il divieto di discriminazione in base all’orientamento sessuale nell’affidamento dei figli giunge, infatti, alla Corte di Strasburgo per la prima volta nel 1999,

3

A. M. LECIS COCCO ORTU, L’omogenitorialità davanti alla Corte di Strasburgo: il lento

ma progressivo riconoscimento delle famiglie con due padri o due madri, in

(35)

nel celebre caso Salgueiro da Silva Mouta v. Portugal4,in cui

viene stabilito che ad un padre deve essere riconosciuto, a prescindere dalla propria omosessualità, il diritto di visita e affidamento del figlio. Nella specie, l’omosessualità del ricorrente era stata utilizzata dalla Corte di Appello di Lisbona come motivo per negare l’affidamento della figlia. La Corte Europea, come vedremo, ha riconosciuto, per contro, la violazione degli artt. 8 e 14 CEDU affermando che la tendenza sessuale del padre non poteva giustificare in alcun modo la differenza di trattamento (tra il ricorrente e la madre della minore). Volendo analizzare più dettagliatamente la vicenda, vediamo che essa prende le mosse dal ricorso di un cittadino portoghese nato nel 1961, che nel 1983 ha sposato C.D.S., ma dal 1990 ha iniziato una convivenza con un uomo L.G.C. Nel 1993 C.D.S. ha ottenuto una pronuncia di divorzio dal tribunale di Lisbona (Tribunal de familia). Nel 1991 durante il processo di divorzio, il ricorrente e la moglie firmano un accordo, riguardante la potestà genitoriale sulla figlia, i cui termini assegnavano la bambina in affido condiviso alla madre, garantendo al padre un diritto di visita. Il ricorrente però lamentava di non aver potuto esercitare tale diritto per il mancato rispetto da parte della consorte dei termini dell’accordo. Nel 1992 il ricorrente ha richiesto un’ordinanza che variasse i termini dell’accordo per avere in affido la figlia, allegando che la moglie non stava rispettando l’accordo in quanto la bambina al momento stava vivendo presso i genitori materni. Nelle memorie di risposta la moglie accusava il convivente del ricorrente di aver

4

Corte EDU, 21 dicembre 1999, Salgueiro da Silva Mouta v. Portugal,ricorso n. 33290/96. Commento alla sentenza in www.duitbase.it.

(36)

sessualmente abusato la figlia. Il Tribunale di famiglia di Lisbona ha emesso una sentenza il 14 luglio 1994 in seguito a diverse perizie psicologiche effettuate mediante interviste sul ricorrente, la minore, la madre, il compagno del ricorrente e i nonni materni della bambina. In tale sentenza, sulla base delle perizie eseguite, la Corte ha conferito l’affidamento al ricorrente e lasciato cadere le accuse mosse nei confronti del nuovo compagno, in quanto a giudizio degli psicologi sarebbero state suggerite da altri. La bambina ha quindi vissuto con il padre dal 18 aprile al 3 novembre 1995, quando è stata rapita dalla madre. La donna ha presentato appello contro la decisione del Tribunale di Famiglia presso la Corte di Appello di Lisbona, che ha emesso una sentenza nel 1996 ribaltando il giudizio e conferendo la potestà genitoriale alla madre, con diritto di visita per il ricorrente. La sentenza in particolare ha rilevato che il principio fondamentale riconosciuto in casi del genere riguardanti la potestà genitoriale è la preminenza dell’interesse della prole, considerata indipendentemente dagli interessi dei genitori. In tal senso la Corte doveva in ogni caso tener conto dei valori familiari, educativi e sociali dominanti nel contesto in cui la minore stava crescendo. La Corte rilevava che la giurisprudenza prevalente affida la custodia dei figli alla madre, a meno che non vi siano ragioni prevalenti e a ciò contrarie. Nel caso di specie la Corte riteneva che la custodia della bambina andasse affidata alla madre per il solo fatto che il padre avesse scelto di convivere con un altro uomo. In ogni caso, a giudizio della Corte medesima, non si può sostenere che tale nuovo contesto familiare potesse essere ritenuto l’ambiente più

(37)

idoneo e salutare per lo sviluppo psicologico e sociale di un minore; pertanto la bambina doveva avere la possibilità di crescere in una “famiglia portoghese tradizionale” che non corrispondeva chiaramente al modello di vita scelto dal padre. Astenendosi dal giudicare se l’omosessualità costituisse una malattia oppure un semplice orientamento, la Corte di Appello riteneva che in ogni caso la situazione di anormalità in cui la bambina si sarebbe trovata, vivendo in un contesto del genere, costituisse una violazione dei suoi diritti secondo ciò che viene stabilito dalla “natura umana”. Si riconosceva in ogni caso un amore sincero da parte del padre verso la figlia e pertanto era essenziale che gli fosse garantito un diritto di visita a tutela del benessere psicologico della bambina. Conseguentemente, la Corte ha riformato la sentenza appellata affidando la custodia alla madre e il diritto di visita al padre. La Corte specificava che il padre, nei periodi di permanenza della figlia presso di lui, avrebbe agito in maniera errata qualora si fosse comportato in modo tale da rendere evidente alla bambina la sua convivenza more uxorio con un altro uomo. In ogni caso, uno dei tre giudici della Corte di Appello deponeva una separate

opinion nella quale specificava che, per quanto avesse

votato a favore di tale sentenza, egli reputa incostituzionale asserire il principio che una persona potesse essere privata dei suoi diritti parentali sulla base del suo orientamento sessuale. Salgueiro presenta allora ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, lamentando che il diniego dell’affidamento della figlia fosse stato deciso unicamente sulla base della sua omosessualità e della sua convivenza con un altro uomo, e sostenendo altresì che in questo modo

(38)

la Corte di Appello avesse interferito, in maniera non giustificabile, con lo sviluppo della sua vita privata.

La Corte di Strasburgo osserva che la differenza di trattamento tra il ricorrente e la moglie, basata sull’orientamento sessuale dell’uomo, ricade nella previsione dell’art. 14 CEDU (divieto di discriminazione), invocato in relazione all’art. 8 della medesima Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare). In particolare, la Corte europea ritiene che i passaggi in cui la Corte di Appello prendeva in considerazione l’omosessualità del padre («la figlia dovrebbe vivere in una famiglia portoghese tradizionale che non è certamente quella che il padre ha deciso di costituire»; «non siamo interessati qui a comprendere se l’omosessualità sia o meno una malattia») non siano affatto semplici obiter dicta e tantomeno meramente grossolani e infelici, come sostenuto dal Governo, ma che al contrario l’omosessualità del ricorrente sia stata una ragione decisiva posta alla base della decisione finale. La Corte, pertanto, constata necessariamente che vi è stata una distinzione basata su considerazioni riguardanti l’orientamento sessuale del ricorrente, distinzione inaccettabile alla luce della Convenzione. In tal senso non vi è una relazione di proporzionalità tra la sentenza adottata (ossia l’esclusione dell’affidamento in ragione dell’omosessualità) e lo scopo perseguito della tutela della minore.

In conclusione, dunque, la Corte ha asserito che «costituisce violazione dell’art. 14 in coordinato disposto con l’art. 8 qualunque discriminazione che non abbia una oggettiva e ragionevole giustificazione e cioè che non persegua un obiettivo legittimo o se non vi sia una relazione di

(39)

proporzionalità tra i mezzi utilizzati e l’obiettivo che si intende raggiungere. Porre alla base di una decisione circa la custodia di un figlio l’orientamento sessuale di uno dei genitori costituisce un’interferenza ingiustificabile con la vita privata del genitore e confligge con l’adozione di una decisione unicamente nel reale interesse della prole».

3. L’accesso all’adozione per le coppie same

sex nell’esperienza francese.

3.1. Il caso Frettè v. Francia.

Il diritto di gay e lesbiche a non essere discriminati nel loro ruolo di genitori è divenuto oggetto di un ampio dibattito in Europa negli ultimi anni, soprattutto a seguito dell’introduzione da parte di molti Stati delle unioni civili registrate per le coppie dello stesso sesso o del riconoscimento del loro diritto al matrimonio. La Corte EDU è stata investita in più occasioni della questione delle adozioni da parte di persone omosessuali, e oltre alla decisione Salgueiro un’altra pronuncia in cui i giudici di Strasburgo hanno esaminato il ricorso preliminarmente rispetto al parametro dell’art. 14 (divieto di discriminazione), invocato congiuntamente all’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è la sentenza Frettè v. Francia5.

5 Frettè v. Francia, ric. n. 36515/97, sentenza del 26 maggio 2002 (Terza Sezione). Per il

commento alla sentenza si veda E. FALLETTI, La Corte europea dei diritti dell’uomo e

l’adozione da parte del single omosessuale, in Famiglia e Diritto, 2008, n. 3, pag. 224

Riferimenti

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