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Il riconoscimento delle adozioni omosessuali al vaglio della Corte

La giurisprudenza italiana in tema di adozione da parte delle coppie dello stesso

6. Il riconoscimento delle adozioni omosessuali al vaglio della Corte

Costituzionale.

Con ordinanza del 10 novembre 2014 il Tribunale per i Minorenni di Bologna, sospettando la violazione degli articoli 2, 3 e 30 della Costituzione, nonché dell’articolo 117 della medesima in relazione all’art. 8 CEDU, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge 4 maggio 1983, n. 184, recante disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, nella parte in cui, così come attualmente vigenti ed interpretati, per riprendere le parole dell’ordinanza, «secondo diritto vivente», non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, la conformità all’interesse del minore del riconoscimento di un provvedimento straniero che ne abbia disposto l’adozione da parte del coniuge dello stesso sesso del genitore biologico, indipendentemente dall’attribuzione di effetti nell’ordinamento dello Stato italiano al matrimonio contratto all’estero con quest’ultimo dall’adottante89.

88 X and The Others v. Austria, cit. 89

F. MARONGIU BONAIUTI, Il riconoscimento delle adozioni da parte di coppie di

persone dello stesso sesso al vaglio della Corte Costituzionale, Osservatorio su diritto

Nel caso che ha dato origine alla pronuncia del Tribunale di Bologna il minore è stato generato all’estero, precisamente negli Stati Uniti, mediante ricorso a tecniche di fecondazione artificiale, impiegando il seme di un donatore anonimo. Immediatamente dopo la nascita, la compagna della partoriente ha presentato domanda di adozione al giudice competente e, nel rispetto della legge del luogo, una volta accertata dal giudice la sua idoneità a svolgere il ruolo di madre e l’idoneità del nucleo familiare ad accogliere il bambino, ha ottenuto la costituzione in suo favore di un rapporto di genitorialità “legale” rispetto ad esso. In aggiunta al rapporto con la madre biologica si è venuto, così, a determinare in capo al minore un ulteriore rapporto di filiazione “pieno”, ma evidentemente privo di qualsiasi fondamento naturalistico. Nel 2013, sempre in conformità della legge del medesimo Stato americano, le due donne, che dal 2008 avevano registrato un rapporto di civil partnership secondo le leggi locali, si sono unite in matrimonio. Dopo poco tempo la coppia si è trasferita in Italia portando con sé la bambina e stabilendo la propria residenza nel comune di Bologna. A questo punto, la madre “sociale” (o co-madre), già in possesso anche della cittadinanza italiana, si è rivolta al Tribunale per i Minorenni di Bologna al fine di ottenere il riconoscimento della sentenza di adozione pronunciata all’estero e conseguire così, anche in Italia, lo status di genitore del minore ad ogni effetto90.

90 E. BILOTTI, Il riconoscimento in Italia dei provvedimenti stranieri di “stepchild adoption” da parte del coniuge “same sex” del genitore biologico: il Tribunale per i Minorenni di Bologna solleva la questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della legge 184/1983, in www.dirittocivilecontemporaneo.com.

Come è chiarito nell’ordinanza, dunque, l’adottante, la quale al momento del ricorso introduttivo del procedimento risiedeva a Bologna insieme con la bambina e con la madre di quest’ultima, ha chiesto il riconoscimento del provvedimento giurisdizionale americano, con il quale il 22 gennaio 2004 era stata disposta l’adozione, riconoscimento per il quale, secondo quanto ravvisato dal Tribunale, sussistevano tutti i requisiti, inclusa in particolare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 36, par. 4 lella Legge n. 184/1983, la regolare residenza dell’adottante e della madre della bambina per almeno due anni nello Stato in cui l’adozione è stata pronunciata, salvo per il fatto che l’adozione sarebbe stata disposta nell’ambito di un nucleo familiare di tipo omogenitoriale.

Al riguardo, il Tribunale di Bologna, identificato correttamente il thema decidendum alla stregua di una domanda volta ad ottenere non già l’adozione ex novo bensì il riconoscimento della sentenza straniera con la quale questa è stata disposta, ha fatto riferimento alla disciplina recata in proposito dall’art. 41 della Legge 31 maggio 1995, n. 218, sul riconoscimento dei provvedimenti stranieri in materia di adozione91.

È bene osservare, anzitutto, che l’art. 41, comma 1° della legge suddetta dispone che i provvedimenti stranieri in materia di adozione «sono riconoscibili in Italia ai sensi degli artt. 64, 65 e 66», ossia in base alle norme ordinarie che regolano l’efficacia interna di sentenze ed atti stranieri, escludendo la necessità della delibazione del giudice italiano, sempre che siano rispettate precise condizioni, tra

le quali si annovera la non contrarietà all’ordine pubblico del provvedimento in questione. Il capoverso dello stesso art. 41 dispone tuttavia che «restano ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori», e dunque anzitutto le disposizioni di cui agli artt. 35 e 36 della Legge n. 184/1983, le quali prevedono invece un apposito giudizio di delibazione del provvedimento estero laddove si tratti di adozioni internazionali di minori volte alla costituzione di un autentico rapporto di filiazione. E ciò sia che si tratti di adozioni internazionali di minori pronunciate in uno Stato aderente alla Convenzione dell’Aja del 29 maggio 1993 (ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 31 dicembre 1998, n. 476), sia che si tratti di adozioni internazionali di minori pronunciate in uno Stato non aderente alla Convenzione medesima. La procedura di delibazione prevista dalla legge speciale prevale, dunque, sulle norme ordinarie sul riconoscimento automatico dei provvedimenti stranieri, le quali sono pertanto destinate ad operare solo nei casi in cui gli artt. 35 e 36 della l. 184/1983 non siano applicabili. Di conseguenza, nella fattispecie in esame, ove il riconoscimento del provvedimento adottivo in questione dovesse disporsi in base alla legislazione speciale, e quindi a seguito di delibazione del giudice italiano competente, le regole di cui agli artt. 64, 65 e 66 della l. 218/1995 non dovrebbero venire affatto in considerazione. Non vi sono dubbi, infatti, che i due commi dell’art. 41 sopra citato si riferiscano a due modalità di riconoscimento differenti, e dunque a due gruppi di norme – quelle ordinarie e quelle speciali – che si escludono reciprocamente.

Il giudice italiano investito della domanda di riconoscimento di un provvedimento adottivo estero a favore del coniuge

same sex della madre biologica del minore adottato

dovrebbe allora chiarire, innanzitutto, se quel riconoscimento rientri nell’ambito di applicazione del primo o del secondo comma dell’art. 41 cit. Soltanto in quest’ultimo caso la domanda proposta può, infatti, considerarsi ammissibile, dal momento che nella prima ipotesi non vi è necessità di alcun giudizio di delibazione. Già a questo riguardo, l’ordinanza in esame appare però piuttosto confusa. Il giudice bolognese, infatti, da un lato non sembra nutrire alcun dubbio quanto all’ammissibilità della domanda di riconoscimento propostagli; neppure si pone, quindi, il problema della sussistenza di un proprio potere delibativo. Dall’altro lato, sembra però ritenere che, ai fini del riconoscimento dell’adozione estera in questione, occorra far riferimento sia agli artt. 64 ss. L. 218/1995, sia agli artt. 35 e 36 l. 184/198392.

Nella parte in diritto della motivazione il giudice esordisce, infatti, dicendo che i provvedimenti di adozione esteri «sono riconoscibili in Italia ai sensi dell’art. 41 della legge 31 maggio n. 218 e, pertanto: 1) si applicano gli artt. 64, 65 e 66 della medesima legge; 2) restano, però, ferme le disposizioni delle leggi speciali in materia di adozione dei minori, in primis gli artt. 35 e 36 l. 184/1983».

Se, dunque, alla luce del primo gruppo di norme (artt. 64, 65 e 66 della legge 218), i giudici concludono che nel caso di specie sono rispettate tutte le condizioni di carattere

procedurale e processuale (procedimento adottivo svolto con piene connotazioni giurisdizionali, dinanzi ad un’Autorità giudiziaria, secondo norme deputate a garantire il primario interesse del minore), per quanto riguarda, invece, l’applicazione delle disposizioni speciali in materia di adozione (artt. 35 e 36 della legge 184) si precisa che «l’adozione perfezionatasi all’estero […] può essere dichiarata efficace in Italia a condizione che risponda ai requisiti previsti dalla normativa interna, su intervento dell’Autorità giudiziaria». Si pone, quindi, il problema di «verificare se l’adozione da parte di un genitore omosessuale possa ritenersi satisfattiva delle richieste della Legge interna, in conformità con l’ordine pubblico»93.

La confusione è evidente, giacchè, come detto, i due distinti rinvii al primo e al secondo comma dell’art. 41 citato non possono certamente venire insieme in considerazione: l’applicazione della legislazione speciale in materia di adozione di minori, e dunque la (pretesa) necessità del giudizio di delibazione di cui agli artt. 35 e 36 l. 184/1983 non può che escludere il riferimento alle norme ordinarie sull’automatico riconoscimento dei provvedimenti stranieri. In realtà, al di là di questo confuso cenno iniziale, il riferimento alle norme ordinarie scompare subito dall’impianto argomentativo del provvedimento in esame. Il giudice di Bologna, del resto, è senz’altro convinto della sussistenza di un proprio potere in ordine alla delibazione dell’adozione estera sottoposta alla sua attenzione. A suo

93 M. C. LOCCHI, Di cosa parliamo quando parliamo di best interest of the child: l’adozione coparentale nell’ambito di una coppia omosessuale al vaglio della Corte Costituzionale (nota a Tribunale per i Minorenni di Bologna, ordinanza del 10 novembre 2014), in www.diritticomparati.it.

dire, infatti, il riconoscimento di quel provvedimento deve essere disposto ai sensi dell’art. 36, comma 4°, l. 184/1983, in base al quale «l’adozione pronunciata dalla competente autorità di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nelle stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia con provvedimento del Tribunale per i minorenni, purchè conforme ai principi della Convenzione». Lo stesso giudice precisa poi che, seguendo gli insegnamenti della Suprema Corte, l’art. 36, comma 4° deve correttamente essere inteso in conformità al “principio generale” di cui all’art. 35, comma 3°, l. 184/1983, per il quale «il tribunale accerta che l’adozione [pronunciata all’estero] non sia contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al superiore interesse del minore»94. In

vista della richiesta di delibazione si ritiene, quindi, di dover procedere anzitutto a verificare la conformità rispetto a quei “principi fondamentali” del provvedimento estero di adozione a favore del coniuge omosessuale della madre biologica del minore.

A tale riguardo, sempre in base al “diritto vivente”, il giudice di Bologna ritiene di poter affermare che, nell’attuale contesto normativo, questa verifica è senz’altro destinata ad un esito negativo. Anche l’argomento speso per avvalorare una simile conclusione appare però alquanto confuso. Si fa infatti riferimento anche all’orientamento della

94

Cass. , 14 febbraio 2011, n. 3572, in Famiglia e Diritto, 2011, 697 ss., con nota critica di M. A. ASTONE, La delibazione del provvedimento di adozione internazionale di

giurisprudenza di legittimità contrario al riconoscimento delle adozioni estere a favore di persone singole per contrasto con il principio fondamentale del diritto italiano della famiglia e dei minori secondo cui l’adozione di un minore abbandonato è consentita solamente ad una coppia coniugata ai sensi dell’art. 6, comma 1°, l. 184/1983. Nel caso di specie, però, non si tratta di adozione di un minore abbandonato, per cui quel riferimento non è sicuramente pertinente. Risulta, invece, adeguato il rilievo secondo cui, in base all’opinione giurisprudenziale «prevalente e maggioritaria, di fatto corrispondente a diritto vivente», l’adozione di un minore a favore del coniuge del genitore, naturale o adottivo, prevista dall’art. 44 lett. b), l. 184/1983 (c.d. stepchild adoption o adozione coparentale) non può essere consentita in caso di matrimonio tra persone dello stesso sesso, atteso che, nell’attuale contesto normativo italiano, un simile matrimonio è sconosciuto e, ove celebrato all’estero, è irrimediabilmente destinato a rimanere privo di effetti in Italia95.

Come si vede, dunque, è proprio dall’inefficacia per l’ordinamento italiano del matrimonio contratto all’estero da due persone dello stesso sesso che nasce l’ostacolo al riconoscimento dell’adozione disposta all’estero in un caso come quello che stiamo analizzando96. È questa allora la

vera ragione per la quale il riconoscimento di una stepchild

adoption estera a favore del coniuge same sex della madre

biologica dell’adottato si pone in contrasto insanabile con i principi fondamentali del diritto italiano della famiglia e dei minori: perché nel nostro ordinamento l’adozione di un

95

E. BILOTTI, op. ult. cit.

minore non abbandonato è consentita solo nel caso del minore orfano di padre e di madre ovvero nel caso del figlio minore, naturale o adottivo, del coniuge dell’adottante. Nella fattispecie portata all’attenzione del Tribunale di Bologna non ricorre infatti nessuna di queste ipotesi, in quanto il bambino adottato all’estero ha una madre e colei che risulta essere coniuge della madre per la legge straniera non può essere tale anche per la legge italiana.

A questo punto il giudice bolognese si chiede, però, se un risultato di questo tipo – e cioè l’impossibilità di delibare l’adozione estera a favore del coniuge dello stesso sesso della madre biologica dell’adottato – non faccia emergere un contrasto insanabile tra le norme che lo renderebbero necessario ( gli artt. 35 e 36 della l. 184/1983, come interpretati in base al “diritto vivente”) ed i principi costituzionali. In particolare, il giudice ritiene non improbabile l’esistenza di un simile contrasto per due ragioni: perché la disciplina speciale sul riconoscimento delle adozioni estere, «per la sola omosessualità dei genitori, ostacola in modo assoluto alla famiglia formatasi all’estero, di continuare ad essere famiglia anche in Italia» e perché quella disciplina, determinando un «veto assoluto di riconoscibilità della decisione straniera», esclude «in modo netto e irrazionale la possibilità, per il giudice italiano, di condurre un vaglio giudiziale sull’effettivo best interest del minore, vanificando principi di matrice internazionale ed europea».

Sotto il primo profilo, un vulnus delle garanzie costituzionali sarebbe riconoscibile in particolare a carico degli artt. 2 e 3 della Costituzione. Anche in questo caso, l’argomentare del

giudice non appare però sempre lineare. In effetti, anche sulla scorta di talune note pronunce di legittimità della Corte di Strasburgo e della Corte Costituzionale, quel giudice afferma anzitutto che «il matrimonio celebrato all’estero tra persone di sesso uguale non è più considerabile come contrario all’ordine pubblico», che «la coppia formata da persone dello stesso sesso è, comunque, da considerare “famiglia”» e che perciò «si “sgretola” … uno dei principali motivi che ostava al riconoscimento in Italia di un legame familiare tra un minore e due genitori omosessuali: che il rapporto tra i medesimi urtasse contro l’ordine pubblico interno». Richiamando, quindi, in modo particolare la sentenza della Corte Costituzionale n. 138/2010, propone l’idea secondo cui «la condizione dei coniugi del medesimo sesso, i quali, dopo la formazione di una famiglia “in modo legale” all’estero, intendano proseguire nella loro vita di coppia, pur dopo il trasferimento in Italia, sia riconducibile a quella categoria di situazioni “specifiche” e “particolari” di coppie same sex, con riguardo alle quali ricorrono i presupposti per un intervento della Corte Costituzionale per il profilo di un controllo di adeguatezza e proporzionalità della disciplina adottata dal Legislatore».

Sembra, insomma, che l’intenzione del Tribunale di Bologna sia quella di denunciare una discriminazione a carico degli adulti, e cioè una discriminazione tra coppie di persone di sesso diverso e coppie di persone del medesimo sesso: le prime ammesse al matrimonio, e quindi anche alla

stepchild adoption, e le seconde invece, almeno

però, con un improvviso cambio di prospettiva, si chiarisce che «lo sguardo dell’interprete, in questa ipotesi, non è rivolto al rapporto di coniugio e all’interesse dei partners, ma è diretto esclusivamente al rapporto genitoriale e all’interesse preminente del minore» e che, di conseguenza, ciò che viene in rilievo non è «la creazione ab interno di un legame familiare tra un minore ed una coppia genitoriale», trattandosi piuttosto di «valutare se, a determinate condizioni, possa essere valutata come riconoscibile quella che ab externo si è già formata, per il limitato caso in cui uno dei genitori sia già, senza alcun dubbio, genitore del minore».

Quindi, se ben si interpreta il pensiero del giudice, ad essere discriminati non sarebbero gli adulti, ma il bambino. Gli artt. 35 e 36 l. 184/1983 vengono, allora, censurati in primo luogo perché, non consentendo la delibazione dell’adozione estera a favore del coniuge same sex della madre biologica dell’adottato, discriminerebbero tra figlio di un genitore coniugato con una persona di sesso diverso e figlio di un genitore coniugato con persona dello stesso sesso: mentre il primo può godere del riconoscimento del provvedimento estero di stepchild adoption, del quale, anche dopo il trasferimento in Italia del nucleo familiare, continua in tal modo ad essere garantita la finalità di promozione dell’unità familiare in vista di una crescita più armonica del minore stesso, una possibilità analoga è invece irrimediabilmente preclusa al secondo.

Anche il secondo profilo di censura non appare, a questo punto, molto differente dal primo. Invero, in aggiunta ai parametri già indicati in precedenza, cioè gli artt. 2 e 3

Cost., il giudice indica qui anche altre due norme costituzionali violate, e segnatamente gli artt. 30, 31 e 117 Cost., quest’ultimo con riferimento agli artt. 8 e 14 CEDU. In particolare, sotto il secondo profilo le norme interne impugnate sono sospettate di illegittimità costituzionale perché la ritenuta non conformità dell’adozione in questione ai principi fondamentali del diritto italiano di famiglia e dei minori ne escluderebbe il riconoscimento in Italia senza neppure consentire al giudice italiano di verificare se si tratti di un esito conforme al miglior interesse del bambino. Per il Tribunale di Bologna si perviene così ad «un risultato contrario al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e al diritto fondamentale del fanciullo ad una famiglia (artt. 2, 30, 31 Cost.)». Si tratterebbe inoltre – secondo lo stesso giudice – di un risultato «in contrasto con gli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo». Si indica, perciò, anche il parametro di cui all’art. 117, comma 1°, Cost., in forza del quale il Legislatore nazionale è tenuto al rispetto dei vincoli derivanti dal diritto dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali. Anche con il secondo profilo di censura, quindi, ciò che si vuole mettere in evidenza è sempre una violazione dei diritti del minore che sarebbe prodotta dalle norme impugnate, e precisamente la discriminazione che si determinerebbe a suo carico poiché la loro applicazione secondo il “diritto vivente” non consentirebbe di garantire la stabilità del rapporto estero di

stepchild adoption conseguente ad un vincolo coniugale che

la legge italiana non riconosce e considera, pertanto, un presupposto inidoneo della particolare tipologia di adozione in esame. A ben vedere, dunque, quello che il giudice bolognese ritiene di poter configurare come un ulteriore

profilo di censura delle norme impugnate altro non è che una riproposizione della medesima censura concernente il pregiudizio del diritto del bambino alla stabilità del rapporto di filiazione “legale” già costituita all’estero con il coniuge del genitore biologico, pregiudizio che si ritiene non possa trovare una giustificazione adeguata nel semplice fatto dell’identità di sesso dei coniugi97.

Si osservi che l’ordinanza del Tribunale per i Minorenni di Bologna rappresenta indubbiamente un importante contributo a quel filone giurisprudenziale che negli ultimissimi anni sta cercando di aprire dei varchi – ab

externo – nella normativa italiana, attraverso il

riconoscimento giuridico delle relazioni nate nell’ambito di famiglie omoparentali già esistenti e stabili non soltanto sul piano fattuale, ma “consacrate”, anche su quello giuridico- formale, da atti di matrimonio celebrati all’estero e sentenze straniere di adozione a favore dei co-parents. Come abbiamo già evidenziato, nella fattispecie in esame la richiesta non era, infatti, volta a creare ab interno un legame familiare tra un bambino ed una coppia omosessuale (che è quanto accade nell’ipotesi di “adozione congiunta”, del resto riconosciuta in un numero esiguo di paesi in Europa) o tra un minore e il cogenitore (è il caso della richiesta di adozione coparentale da parte del coniuge, o del convivente, omosessuale del genitore biologico). Quest’ultima possibilità – si ricordi - è stata di recente ammessa dal Tribunale per i