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Una sentenza “arcobaleno”: possibili obiezioni e argomenti a favore.

La giurisprudenza italiana in tema di adozione da parte delle coppie dello stesso

5. Il primo caso in Italia di step-child

5.1. Una sentenza “arcobaleno”: possibili obiezioni e argomenti a favore.

Trattandosi di una pronuncia che – si spera- “farà scuola”81,

appare opportuno muovere dall’elenco delle possibili obiezioni alla soluzione adottata dal Tribunale capitolino per poi analizzarle, partendo dalle motivazioni della decisione in esame.

Anzitutto, occorre chiedersi se sia legittimo ricorrere alla “valvola di sicurezza” di cui all’art. 44 lett. d) per superare la lett. b) della medesima norma che riconosce quale unica ipotesi di second parent adoption quella del figlio del “coniuge” (art. 44, comma 1, lett. b della legge 4 maggio 1983, n. 184).

79 Sentenza n° 299 del 30 luglio 2014, cit., pag. 10. 80

M. GATTUSO, op. ult. cit.

81

J. LONG (commento di), Adozione in casi particolari e second parent adoption, in www.articolo29.it.

L’opzione legislativa a favore del matrimonio trova conferma nella previsione secondo la quale l’adozione da parte del coniuge del genitore costituisce, insieme all’adozione da parte di una coppia sposata, l’unico caso in cui non avviene il trasferimento dell’esercizio della responsabilità genitoriale dai genitori “di origine” all’adottante, ma quest’ultimo assume invece l’esercizio in condivisione con il genitore (art. 48, comma 1, legge 184). L’evidente illogicità di tale conseguenza, nel caso di richiesta di adozione da parte del

partner convivente more uxorio con il genitore, potrebbe

essere invocata per giustificare tout court la reiezione dell’istanza. Inoltre, non può essere dimenticato (come invece pare fare il provvedimento in esame, che tace sul punto, pur menzionando altra giurisprudenza dei giudici di Strasburgo) che la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressamente pronunciata su una vicenda analoga a quella de qua, ritenendo legittimo il diniego delle autorità giudiziarie francesi di pronunciare l’adozione simple a favore della compagna della madre biologica di una bambina concepita mediante procreazione assistita, affermando che rientra nella discrezionalità degli Stati membri decidere di trattare in maniera differente il partner coniugato ed il partner convivente del genitore, posto che sono situazioni non comparabili (Gas & Dubois v. Francia, 15 marzo 2012, par. 68)82.

Un altro argomento forte che depone in senso contrario alla soluzione adottata dal Tribunale di Roma è quello della tassatività dei “casi particolari” menzionati all’art. 44. Come abbiamo già visto, essa impone di interpretare in maniera

restrittiva la previsione contenuta nell’art. 44 lett. d); il rischio, infatti, sarebbe un’incontrollata espansione tale da favorire l’aggiramento delle leggi a protezione dei minori con sistematica precostituzione di situazioni di fatto paragenitoriali nella convinzione che poi il giudice non possa, nell’interesse del minore, che avallarle giuridicamente.

Altra obiezione che si potrebbe sollevare è quella secondo la quale un trattamento differenziato del partner eterosessuale e di quello omosessuale del genitore biologico, in riferimento al riconoscimento giuridico del rapporto genitoriale esistente di fatto con il figlio del convivente more uxorio, sia del tutto legittimo in quanto giustificato dall’esigenza di garantire, nel migliore dei modi, il “superiore interesse” del minore. Il principio del superiore interesse del bambino viene, infatti, talora invocato per giustificare l’ablazione ex lege del diritto delle coppie dello stesso sesso a diventare genitori mediante adozione o procreazione medicalmente assistita83.

Infine, secondo parte della giurisprudenza, e secondo il PM nel caso di specie, la «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» dovrebbe necessariamente presupporre lo stato di abbandono del minore, dovendo essere intesa come impossibilità di natura oggettiva (o “di fatto”) di trovare in concreto una famiglia adottiva per un minore in stato di abbandono.

Le obiezioni su cui la sentenza in esame concentra l’attenzione risultano, in effetti, quelle più facilmente superabili, in modo particolare la mancanza dello stato di

abbandono quale presupposto per la «constatata impossibilità di affidamento preadottivo». Tale obiezione pare essere quella più debole, in quanto, come correttamente ricostruito nella sentenza de quo, secondo una giurisprudenza ormai prevalente, l’impossibilità di affidamento preadottivo può sussistere non solo in mancanza di uno stato di abbandono del minore, ma anche per la non praticabilità dell’adozione di cui agli artt. 6 ss. Legge n. 184 in ragione: dell’inopportunità dell’affidamento preadottivo nell’interesse del bambino, pur privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori; oppure, della mancanza, nel minore, del requisito dello stato di abbandono; o ancora, della mancanza, negli aspiranti genitori adottivi, dei requisiti di cui al già menzionato art. 6. Si parla, a tal proposito, di impossibilità “giuridica” (o “di diritto”) in quanto l’affidamento preadottivo sarebbe impossibile (per mancanza dello stato di abbandono e della dichiarazione dello stato di adottabilità) o comunque contrario all’interesse del minore.

A favore di questa interpretazione depongono sia la lettera sia la ratio della legge. L’adozione in casi particolari può essere pronunciata «anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 7» legge n. 184/1983, cioè la dichiarazione dello stato di adottabilità conseguente all’accertamento dello stato di abbandono. Inoltre, se la legge avesse voluto restringere l’impossibilità di affidamento preadottivo alla dimensione meramente fattuale l’avrebbe detto84.

Altra obiezione “superabile” è l’impossibilità di assimilare le coppie conviventi more uxorio eterosessuali e omosessuali in ambito minorile. In proposito, il provvedimento alla nostra attenzione affronta la questione dell’assimilabilità, nell’interesse del minore, delle situazioni di genitorialità sociale del partner sposato e del partner convivente more

uxorio del genitore dal punto di vista della possibilità di

utilizzo dell’art. 44 lett. d) anche da parte di chi non sia unito in matrimonio.

In ordine al diritto di accedere all’adozione in casi particolari

ex art. 44 lett. d) anche da parte di una persona non

coniugata, si sottolinea essenzialmente che il matrimonio non è di per sé idoneo a tutelare il minore adottato meglio di quanto possa fare la convivenza more uxorio. L’elevatissimo numero di separazioni e divorzi dimostra, infatti, in maniera evidente, che il legame coniugale non garantisce oggi una maggiore stabilità dell’unione di coppia.

Un ulteriore profilo sul quale il Tribunale di Roma non si sofferma, e che invece avrebbe meritato almeno un cenno, è che costituisce oggi principio generale del nostro ordinamento che il grado di tutela da riconoscere al bambino

non possa dipendere dal dato astratto dello stato civile del genitore. Principio – questo - peraltro già presente in nuce

nella Costituzione, il cui art. 30, comma 3° afferma che «la legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale».

Riguardo, poi, all’obiezione concernente la tassatività delle ipotesi previste all’art. 44, si sarebbe potuto evidenziare che l’esame della giurisprudenza europea e di una crescente

giurisprudenza dei tribunali per i minorenni suggerisce il superamento del tradizionale rapporto tra adozione “piena” e adozione in casi particolari in termini di regola ed eccezione, richiedendo una valutazione caso per caso del migliore strumento di tutela per il minore abbandonato che non possa, nel suo interesse, crescere nella famiglia di origine ed ammettendo esplicitamente che un’adozione “aperta”, che mantenga i rapporti di fatto ed anche giuridici tra minore e famiglia di origine post adozione, può in talune ipotesi essere preferibile85.

Per quanto concerne, inoltre, il rischio di utilizzo sistematico dell’art. 44 lett. d) per legittimare situazioni illecitamente precostituite, avrebbe potuto osservarsi che suddetto rischio, sebbene concreto, non può giustificare una lettura restrittiva della norma, essendo l’adozione in casi particolari teleologicamente preordinata – come giustamente evidenzia il provvedimento in esame – ad assicurare la stabilità dello

status familiare ad un minore il cui interesse lo richieda.

L’aggiramento, quindi, dovrebbe piuttosto essere prevenuto mediante un’analisi attenta della situazione da parte del giudice, che escludesse la costituzione del rapporto giuridico di filiazione nei casi in cui il rapporto paragenitoriale risulti, in concreto, dolosamente precostituito per frodare la legge. Il provvedimento del Tribunale capitolino nega l’ammissibilità di qualunque discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale con riguardo alla genitorialità sociale, ossia ad una genitorialità già esistente, sia pure solo

de facto, con il partner convivente more uxorio con il genitore

del minore della cui adozione si discute. Dunque, se il

diritto vivente ritiene che l’art. 44 lett. d) possa essere utilizzato per riconoscere la genitorialità sociale anche al di fuori dell’esistenza, tra genitore e partner aspirante adottante, di un vincolo di coniugio86, allora l’adozione deve

essere consentita anche al partner convivente more uxorio che sia dello stesso sesso del genitore. L’argomento principale è che la condizione di omosessualità non esclude di per sé la capacità di assumere o assolvere le funzioni genitoriali nell’interesse del minore.

Occorrerebbe, quindi, che dalle specificità del caso concreto emergessero elementi tali da far ritenere che il bambino abbia subito o possa subire un pregiudizio derivante dall’omosessualità dell’aspirante genitore adottivo. Tuttavia, non soltanto queste prove mancano nella fattispecie in esame, ma anzi vi sono elementi precisi e concordanti dai quali si evince che la bambina cresce serena all’interno del nucleo familiare composto dalle due mamme87.

La sostanziale assimilabilità, dal punto di vista del minore, della situazione dell’adulto di riferimento etero od omosessuale esclude la legittimità di una disparità di trattamento secondo l’orientamento sessuale nel riconoscimento della genitorialità sociale del partner del genitore. A sostegno di tale tesi si può ricordare – come infatti fa il provvedimento de quo – una recente pronuncia della Corte EDU la quale, con riferimento ad un caso pressochè identico a quello trattato, afferma espressamente l’impossibilità di discriminare tra conviventi etero ed omosessuali nell’accesso all’adozione del figlio del partner,

86

Tribunale per i Minorenni di Milano, 28 marzo 2007, in Fam. min., 2007, 83; Corte d’Appello Firenze, sez. min., 4 ottobre 2012.

rilevando la violazione del combinato disposto degli artt. 8 e 14 CEDU in conseguenza della previsione della legge austriaca che consente l’adozione del figlio del partner alle coppie non sposate di sesso diverso, mentre la vieta alle coppie dello stesso sesso conviventi more uxorio88.

6.

Il

riconoscimento

delle

adozioni