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Le problematiche legate alla nozione di rifiuto e al sistema di smaltimento

CAPITOLO II – I principali vincoli ambientali all’attività di impresa

4. Le problematiche legate alla nozione di rifiuto e al sistema di smaltimento

Come ricordato all’inizio del presente capitolo, uno tra i tanti problemi a cui le imprese vanno incontro è la confusione normativa. Una normativa non chiara e troppo stratifica a causa dell’eccesiva frammentazione delle competenze appesantisce notevolmente l’agire dell’impresa che, in questa

243 R. Dipace, La resistenza degli interessi sensibili nella nuova disciplina della conferenza dei

servizi, in Federalismi.it, 2016.

244 In questo senso: M. Brocca, Interessi ambientali e decisioni amministrative. Profili critici e nuove

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situazione, si trova, quindi, a dover procedere con estrema cautela per evitare di incorrere in possibili errori.

Un esempio concreto di confusione normativa è legato alla nozione di rifiuto individuata a livello normativo245; la definizione fornita suscita,

infatti, grosse perplessità anche perché, pur essendo di derivazione europea, l’attuazione viene rimessa alla legislazione statale e regionale dei singoli Stati membri, contribuendo così a creare una disciplina sulla gestione dei rifiuti frammentata e poco chiara.

La prima direttiva europea in materia di rifiuti è stata la Direttiva 75/442/CEE, del 15 luglio 1975, poi abrogata e sostituita dalla Direttiva 2006/12/CE, del 5 aprile 2006. Ad oggi il quadro è disciplinato dalla Direttiva 2008/98/CE – Direttiva quadro sui rifiuti, del 19 novembre 2008, che interviene abrogando alcune norme per chiarire alcuni aspetti in relazione allo smaltimento dei rifiuti, in particolare per distinguere cosa è rifiuto e ciò che non lo è e per chiarire la distinzione tra recupero e smaltimento246. La

Dir. 2008/98 è intervenuta proprio con l’obiettivo di chiarire la nozione di rifiuto, la cui definizione aveva generato un difficile contenzioso tra gli Stati membri, per l’indeterminatezza insita nella definizione dell’oggetto della disciplina247.

Il quadro normativo europeo sui rifiuti è stato recentemente oggetto di modifica, infatti con il vigore della Direttiva 2018/851 si è novellata la Dir. 2008/98/CE. La direttiva di ultima generazione si inserisce all’interno di un ambizioso progetto europeo costituito dal c.d. «pacchetto economia circolare248» composto, oltre che dalla direttiva in commento da altre tre

245 Sul punto si veda: R. Federici, La nozione di rifiuto: una teoria, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2006,

pp. 1051 ss.

246 Cfr. Considerando n.5 della Direttiva 2008/98/CE.

247 Cfr. P. Dell’Anno, Disciplina della gestione dei rifiuti, in Dell’Anno, Picozza E. (a cura di),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. II, Discipline ambientali di settore, cit., pp. 176 ss.

248 Per economia circolare si intende un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo:

ponendosi come alternativa al classico modello lineare, l’economia circolare promuove una concezione diversa della produzione e del consumo di beni e servizi, che passa ad esempio per l’impiego di fonti energetiche rinnovabili, ma anche il re-impiego delle risorse già in circolo, in particolare attraverso il riciclo dei rifiuti. Per comprendere meglio cosa si intenda per economia

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direttive contenenti disposizioni inerenti rifiuti, imballaggi, discariche, pile e accumulatori e veicoli a fine vita249. Le direttive che compongono il

pacchetto si basano sul presupposto che la gestione dei rifiuti a livello di Unione debba essere migliorata e trasformata in una gestione sostenibile dei materiali per salvaguardare, tutelare e migliorare la qualità dell’ambiente, proteggere la salute umana, garantire un utilizzo accorto, efficiente e razionale delle risorse naturali, promuovere i principi dell’economia circolare, intensificare l’uso delle energie rinnovabili, incrementare l’efficienza energetica, ridurre la dipendenza dell’Unione dalle risorse importate, fornire nuove opportunità economiche e contribuire alla competitività nel lungo termine250.

In particolare, le norme stabilite dalle direttive di ultima generazione prevedono che il ricorso a sistemi di gestione dei rifiuti possa esplicarsi tramite tre differenti modalità: sistemi di gestione dei rifiuti in cui la responsabilità generale della raccolta dei rifiuti urbani spetta ai comuni; sistemi in cui tali servizi sono appaltati a operatori privati; sistemi in cui la ripartizione delle competenze si divide tra soggetti pubblici e privati. La scelta di questi sistemi e la decisione di modificarli o meno restano comunque di competenza degli Stati membri251.

La nozione di rifiuto, all’interno del nostro ordinamento, è fornita dall’art. 183, co. 1, lett. a), d.lgs. 152/2006, e viene identificato come

circolare si consulti anche la Comunicazione della Commissione europea «Verso un’economia circolare: programma per un’Europa a zero rifiuti», COM/2014/398 (fonte:

https://www.giurdanella.it/2018/07/04/direttive-europee-sulleconomia-circolare-e-sui-rifiuti/).

249 Le direttive che compongono il pacchetto economia circolare sono: la Dir. 2018/849 che modifica

le direttive 2000/53/CE sui veicoli fuori uso, 2006/66CE su pile e accumulatori e rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche; la Dir. 2018/550 che modifica la direttiva 1999/31CE sulle discariche; la Dir, 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98 sui rifiuti; la Dir. 2018/852 sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio.

Gli Stati membri dovranno recepire entro due anni, quindi entro il 5 luglio 2020, quanto disposto nella quattro direttive.

250 Cfr. Considerando n. 1 Dir.2018/851.

251 Fonte: https://www.giurdanella.it/2018/07/04/direttive-europee-sulleconomia-circolare-e-sui-

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qualsiasi sostanza ad oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi252.

Nel nostro ordinamento i rifiuti sono classificati, in base alla loro provenienza, operando così la distinzione tra rifiuti urbani (quali quelli domestici) e rifiuti speciali (quali quelli provenienti dalle attività economiche) e, secondo le caratteristiche di pericolosità, distinguendoli così rifiuti pericolosi e non pericolosi253.

Le varie tipologie di rifiuti identificate dal Testo Unico Ambientale individuano e classificano i rifiuti sulla base del Catalogo europeo dei rifiuti – CER. Tale catalogo individua i rifiuti sulla base di sequenze numeriche, i codici CER, composte da 6 cifre riunite in coppie che corrispondono al numero del capitolo generale, al numero del sotto-capitolo e al numero della categoria specifica.

Poiché tutti i rifiuti devono essere identificati sulla base del CER, diventa di cruciale importanza attribuire ad ogni rifiuto il proprio codice di appartenenza.

Un primo problema è rappresentato dal riparto di competenze tra Stato, Regioni e Province e Comuni in materia di gestione di rifiuti. È inevitabile che il corretto smaltimento dei rifiuti necessiti del coinvolgimento di una pluralità di attori, tuttavia gli strumenti di raccordo tra i diversi livelli di governo sono troppo carenti e il riparto tra le rispettive competenze risulta così frammentato e di complessa definizione da produrre non poche certezze operative in capo alle imprese254.

252 Tale definizione risulta essere il frutto di quella fornita, a livello europeo, dalla dir. 2008/98/CE

alla quale è stata data attuazione nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205.

253 I rifiuti urbani vengono individuati e classificati all’art. 184, co.2, del d.lgs. 152/2006; i rifiuti

speciali vengono individuati e classificati all’art. 184, co. 3, del d.lgs. 152/2006; i rifiuti pericolosi vengono individuati e classificati all’Allegato D alla Parte IV del d.lgs. 152/2006.

254 Per un’attenta e approfondita analisi circa i profili organizzativi e la ripartizione delle competenze

si veda: P. Dell’Anno, Disciplina della gestione dei rifiuti, in Dell’Anno, Picozza E. (a cura di),

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Allo Stato sono riservati compiti riferibili, in massima parte, alla sua indefettibile funzione di indirizzo e coordinamento e alla funzione connessa alla fissazione di livelli di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale255.

Le competenze regionali possono essere anch’esse identificate, come avviene per le funzioni a livello statale, nei due macro-gruppi di indirizzo e coordinamento nei confronti delle funzioni gestionali degli enti locali, altre in funzioni di programmazione, ed altre ancora di mera amministrazione attiva. Nella funzione di indirizzo e coordinamento vi rientra la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le Province, i Comuni e le Autorità d’ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti, nonché le attività di regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani256.

Alla Provincia spettano le funzioni amministrative e di programmazione ed organizzazione dello smaltimento e del recupero dei rifiuti sul proprio territorio. Inoltre, all’ente intermedio spettano poteri di verifica e ispezioni, da esercitarsi periodicamente, nei confronti di imprese e stabilimenti che producono rifiuti pericolosi, raccolgono e trasportano rifiuti o si occupano dello smaltimento o del recupero degli stessi257.

Il contesto giuridico di riferimento risulta dunque molto complicato, in quanto i poteri normativi relativi alla gestione dei rifiuti sono distribuiti tra Stato e Regioni, mentre i controlli sono compiuti da una terza amministrazione, quella provinciale.

Tale frammentazione di competenze produce frequentemente effetti paradossali: una stessa sostanza può essere considerata pericolosa da una Regione e non dall’altra; uno stesso rifiuto può essere ricondotto a diversi codice CER a seconda della Provincia in cui viene prodotto o smaltito; in uno stesso territorio, il medesimo rifiuto può essere considerato pericoloso

255 Art. 195, co. 1, d.lgs. 152/2006. 256 Art. 196, d.lgs. 152/2006. 257 Art. 197, d.lgs. 152/2006.

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dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, ma non dalla Provincia, o viceversa258.

258 Aspen Institute, I maggiori vincoli amministrativi alle attività di impresa: dai casi specifici alle

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