CAPITOLO III – La necessità di superare i limiti del modello d
3. Strumenti autoritativi e strumenti di mercato: una convivenza
Ogni attività umana ha inevitabilmente delle conseguenze sull’ambiente e la realizzazione di tali attività comporta necessariamente un qualche impiego di risorse naturali. La politica ambientale nasce proprio con lo scopo di eliminare, o quanto meno di arginare, gli impatti sull’ambiente conseguenti dallo svolgimento delle attività antropiche.
Inizialmente la legislazione ambientale ha adottato un approccio che vedeva quale modello dominante il sistema di command & control; come già precedentemente evidenziato, si tratta di misure che risultano essere tra le più invasive della sfera di azione dell’attività di impresa, «in quanto manifestazioni caratterizzate da un forte accentramento del potere decisionale in capo agli apparati pubblici, che poco spazio concede (o intende concedere) a stime di convenienza personale decentrate»325.
Tale modello di regolamentazione, infatti, si concretizza nell’attuazione di un regime autorizzatorio, che trova applicazione tramite l’apposizione di limiti, obblighi e divieti, nella conduzione di controlli e sull’eventuale irrogazione di sanzioni, amministrative o penali, in caso di violazione dei limiti prefissati.
Gli strumenti di command & control sono stati oggetto di una accesa disputa inerente alla reale adeguatezza di tali misure ad assicurare la migliore tutela degli interessi ambientali; tale disputa, peraltro, ha reso possibile che affiancare a tale tipologia di strumenti gli strumenti di tutela dell’ambiente attraverso il mercato.
325 M. Cafagno, F. Fonderico, Riflessione economica e modelli di azione amministrativa a tutela
dell’ambiente, in Dell’Anno P., Picozza E. (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente. Vol. I. Principi generali, cit., p. 497.
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I principali limiti degli strumenti della command and control
regulation sono: l’uniformità delle regole imposte, che crea inefficienze in
quanto non consente di considerare le differenze di situazioni geografiche locali o la specificità degli impianti produttivi; vincoli troppo stringenti e rigidità, che scoraggiano l’introduzione nel mercato di nuovi prodotti o l’utilizzo di tecniche produttive più evolute, penalizzando in tal modo gli investimenti; la frequente inoperatività di fatto degli atti di programmazione e di pianificazione, che in astratto posso essere considerati strumenti di razionalizzazione fondamentali326.
La principale critica mossa verso gli interventi sull’ambiente basati sul metodo command and control è relativa al fatto che, basandosi su scelte pubbliche accentrate e preventive, esigono una determinazione puntuale dei comportamenti tollerati, imposti o vietati; ogni decisione collettiva, che pecchi in eccesso o in difetto, genera livelli di inquinamento troppo alti o, alternativamente, sprechi ed ingiustificate perdite di benessere327. Applicare
in maniera uniforme un vincolo, senza tener conto dei valori medi, risulta essere senz’altro una soluzione «comoda», ma comporta il forte rischio di richiedere sacrifici troppo alti ad alcuni soggetti e, al contempo, richiederne di troppo blandi ad altri, che sono, invece, in grado di raggiungere lo stesso obiettivo con un minor sforzo328. La pubblica amministrazione non è in
grado, infatti, di garantire un’appropriata diversificazione di obblighi e
standards, non riuscendo così a tenere in debita considerazione la varietà
delle condizioni ambientali locali o della diversità dei costi di abbattimento dell’inquinamento sostenuti dai diversi operatori economici presenti sul
326 Cfr. M. Clarich, La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, in Giustamm.it, 2006.
327 M. Cafagno, F. Fonderico, Riflessione economica e modelli di azione amministrativa a tutela
dell’ambiente, in P. dell’Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente. Vol. I. Principi generali, cit., p. 499.
328 Cfr. M. Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come sistema complesso, adattivo,
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mercato329. L’opzione per standard uniformi agevola il controllo, ma rende
complessivamente più oneroso l’adempimento e meno funzionale il sistema regolatorio a causa dell’insensibilità delle scelte pubbliche alle peculiarità delle condizioni locali, mentre la preferenza per limiti diversificati, teoricamente più efficiente, presuppone capacità di giudizio e conoscenze che spesso difettano nella prassi330.
Inoltre, la proliferazione delle prescrizioni contenute nell’atto autorizzatorio, da un lato, innalza gli oneri e le complicazioni per le imprese e, dall’altro lato, aggrava le attività di monitoraggio ed il funzionamento dei sistemi sanzionatori. A fronte di ciò, il decisore pubblico non risulta essere sempre dotato di quelle competenze tecniche necessarie, per quanto concerne il sistema dei controlli, anche a causa della esiguità delle risorse disponibili per lo svolgimento di tali attività331.
Un altro difetto degno di nota imputato agli strumenti di command and
control risiede nella loro attitudine ad appiattire gli incentivi. Infatti, se la
pubblica amministrazione individua a priori gli obiettivi di risultato, quanto le modalità per raggiungerli, essa azzera inevitabilmente l’interesse del singolo alla ricerca di soluzioni innovative332. In proposito, la dottrina ha
ricordato che «la regolamentazione tradizionale in materia ambientale ha creato il diritto di inquinare indicando, ad esempio, dei valori limite che definiscono il livello massimo di inquinamento consentito per ogni fonte di emissione. Le imprese non sono dunque incentivate a raggiungere risultati superiori agli standard stabiliti. Questo tipo di regolamentazione adotta
329 M. Cafagno, Strumenti di mercato a tutela dell’ambiente, in Rossi G. (a cura di), Diritto
dell’ambiente, cit., pp. 172 ss.
330 Sul punto: M. Cafagno, F. Fonderico, Riflessione economica e modelli di azione amministrativa
a tutela dell’ambiente, in P. dell’Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente. Vol. I. Principi generali, cit., p. 500; M. Cafagno, ibidem, p. 337.
331 Ispra, Poteri autorizzatori e poteri di controllo della pubblica amministrazione. Profili generali
e di tutela dell’ambiente, cit., p. 31 ss.
332 Cfr. M. Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come sistema complesso, adattivo,
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sempre più spesso standard differenziati a seconda del tipo di tecnologia di produzione. Anche le normative più sofisticate non tengono tuttavia completamente conto della diversa capacità delle singole fonti di ridurre le proprie emissioni. È estremamente difficile legiferare per un'ampia varietà di imprese dati i costi diversi che esse dovrebbero sostenere per passare a tecniche di produzione più pulite. Per sua stessa natura, un approccio normativo che miri ad integrare i valori ambientali nelle decisioni dei singoli operatori economici trascura ampiamente i meccanismi di mercato. I tentativi di integrare obiettivi di politica economica ed ambientale possono avere molto più successo ammettendo l'importanza dei meccanismi di mercato per molte questioni ambientali e cercando di sfruttarli per raggiungere traguardi di politica ambientale»333.
L’aspetto particolarmente negativo degli strumenti di command and
control risulta essere, quindi, il fatto che, attraverso la mera imposizione di
obblighi e standard uniformi, non stimolano la ricerca di soluzioni migliorative, capaci di conseguire livelli di salvaguardia ambientale addizionali, rispetto al traguardo minimo di conformarsi. In altri termini, la semplice imposizione di un ordine, infatti, non permette che i singoli operatori economici mettano in atto comportamenti virtuosi orientati alla salvaguardia ambientale, ma più semplicemente vi si adeguino334. Se invece
i soggetti si sentissero spinti a mettere in atto tali comportamenti, ad esempio tramite il riconoscimento di alcuni benefici (come avviene nel caso delle certificazioni ambientali volontarie), tali comportamenti favorirebbero la formazione di condotte che, attraverso una loro ordinaria ripetizione, potrebbero cominciare ad essere percepite ed acquisite come corrette e virtuose per tutta la comunità.
333 Comunicazione della Commissione, Conciliare bisogni e responsabilità – l’integrazione delle
questioni ambientali nella politica economica, COM(2000) 576def., reperibile presso:
http://www.europafacile.net/Formulari%5CPOLITICHE%5CAmbiente%5Ccom(2000)576.pdf
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Nonostante si sia più volte constatato che i mercati di regola sono imperfetti e che, di conseguenza, il loro funzionamento può implicare o presupporre un esercizio assai intenso di poteri e funzioni amministrative, è andata crescendo, soprattutto in materia ambientale, la consapevolezza dei numerosi limiti e dei molti fallimenti cui l’intervento correttivo e conformativo della mano pubblica a sua volta si espone335.
Sorge quindi la necessità di mettere a disposizione delle pubbliche amministrazioni e degli operatori economici un efficace e vasto armamentario per garantire effettività al diritto ad un ambiente salubre senza compromettere le esigenze di produttività, e dare una concreta attuazione ai principi in materia ambientale336.
L’eccessiva rigidità degli strumenti autoritativi di cui al sistema tradizionale, unita agli esiti negativi derivanti dall’applicazione a fattispecie diverse degli stessi standard, ha fatto sì che il sistema di command and
control mal si conciliasse con una gestione adattiva e flessibile
dell’ambiente337.
A fronte dell’esigenza di orientare la politica comunitaria sulla base del principio dello sviluppo sostenibile, si è reso necessario ricorrere a meccanismi di regolazione nuovi maggiormente basati sui concetti di corresponsabilità, integrazione, informazione e prezzo ambientale. Più in
335 M. Cafagno, Strumenti di mercato a tutela dell’ambiente, in Rossi G. (a cura di), Diritto
dell’ambiente, cit., p. 187.
336 G. Pizzanelli, Conciliare interessi amministrando, nel dialogo tra scienza tecnica e diritto, cit.,
p. 144.
337 «Rigidità e centralismo, la velleitaria illusione di poter dirigere ad una qualche predeterminabile
armonia i processi ambientali, attraverso una calcolata e programmatica amministrazione delle singole risorse o dei comparti naturali, isolatamente considerati, la conseguente tendenza a fissare attenzione sulla stabilità degli ecosistemi, spesso a discapito della loro variabilità e resilienza – più per il fatto che condizioni di stabilità sono conciliabili con lo strumento istituzionale prescelto, che per la loro oggettiva desiderabilità – in breve, un insieme di caratteristiche che sono precisamente antitetiche a quelle necessarie ad una gestione adattiva e flessibile, rende l’egemonia dell’approccio di comando e controllo non meno difettosa ed insoddisfacente, agli occhi dello studioso di ecologia, di quanto non lo sia l’economista». M. Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come
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dettaglio, la c.d. internalizzazione della variabile ambientale nei processi di scambio, che è la finalità condivisa dagli strumenti economici, può essere perseguita mediante due diverse linee di intervento: o attraverso il ricorso a quei rimedi che parrebbero accomunati dallo sforzo di indurre imprese e consumatori a tener conto di costi e benefici ambientali, operando sui mercati esistenti di beni e servizi, oppure attraverso le ipotesi in cui la mano pubblica parrebbe adoperarsi nella vera e propria creazione di mercati artificiali, per lo scambio di beni e titoli rappresentativi di valori ambientali che, in assenza del pubblico intervento, nemmeno esisterebbero. Sono considerate misure del primo tipo: le certificazioni ambientali; gli accordi volontari in materia ambientale; gli appalti verdi; i sussidi e le imposte correttive; nonché la responsabilità per danno all’ambiente. Mentre sono fatti rientrare tra i rimedi del secondo tipo: i permessi e certificati negoziabili.
In breve, le certificazioni ambientali sono strumenti idonei a produrre e a far circolare contenuti informativi qualificati in mercati reali o artificiali allo scopo di realizzare obiettivi di tutela ambientale, secondo la convinzione che l’azione preventiva a presidio dell’ambiente possa affidarsi – prima ed oltre che al controllo diretto – a meccanismi di informazione e di orientamento dei soggetti che sono a loro volta in grado di condizionare efficacemente i potenziali inquinatori sul mercato. Si assume infatti ragionevolmente che gli operatori economici siano di norma sensibili alle preferenze manifestate dalla loro clientela e particolarmente attenti a rafforzare presso la stessa i proprio requisiti reputazionali. Da qui la diffusione dei sistemi certificativi c.d. di mercato (dove i soggetti certificatori sono organismi di parte terza, ad esempi certificazioni ISO), nonché dei sistemi certificativi c.d. istituzionalizzati (dotati di tratti maggiormente pubblicistici, ad es. Emas Ecolabel)338.
338 Ispra, Poteri autorizzatori e poteri di controllo della pubblica amministrazione. Profili generali
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La dottrina339 e la Commissione europea340 hanno ricordato i vantaggi
derivanti dal ricorso a strumenti di mercato per tutelare l’ambiente. In particolare:
• migliorano i segnali dei prezzi, attribuendo un valore ai costi e ai benefici esterni delle attività economiche, così che i soggetti economici possano tenerne conto e modificare il loro comportamento al fine di ridurre gli effetti negativi, o aumentare gli effetti positivi sull'ambiente e altri tipi di effetti;
• offrono una maggiore flessibilità alle imprese nel conseguimento dei loro obiettivi e diminuiscono pertanto i costi complessivi da esse sostenuti per conformarsi alla normativa;
• incitano le imprese ad impegnarsi, a più lungo termine, sulla via dell'innovazione tecnologica per ridurre ulteriormente gli effetti negativi sull'ambiente ("efficienza dinamica").
Si deve però aver ben presente il fatto che l’incertezza, che caratterizza in maniera molto forte il nostro mercato di riferimento, gioca a sfavore degli strumenti di mercato a tutela dell’ambiente. Tale considerazione deriva dalla consapevolezza che davanti a situazioni, connotate da un livello di incertezza che ancora non è scientificamente risolvibile, la determinazione del livello di rischio che la società è disposta ad accettare non può essere altro che una responsabilità esclusivamente politica341.
339 M. Bresso, Pensiero economico e ambiente, Loescher, 1982; M. Cafagno, Principi e strumenti di
tutela dell’ambiente come sistema complesso, adattivi comune, Giappichelli, 2007; R. Cellerino, Oltre la tassazione ambientale. Nuovi strumenti per il controllo dell’inquinamento, il Mulino, 1993.
340 Commissione europea, Libro verde sugli strumenti di mercato utilizzati ai fini di politica
ambientale ed altri fini connessi, 28/3/2007, p. 4 ss., reperibile presso:
http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2004_2009/documents/com/com_com(2007)0140_/com_ com(2007)0140_it.pdf
341 In questo senso: M. Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente come sistema
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Nonostante le numerose critiche che sono state avanzate nei confronti del sistema autoritativo adottato dalla politica ambientale, il modello autorizzatorio continua ancora a rivestire un ruolo chiave all’interno del diritto dell’ambiente. È infatti impossibile eliminare del tutto l’impianto di autorizzazioni e successivi controlli che informa la disciplina delle attività economiche, partendo dal presupposto che l’inquinamento non può essere per sua natura cancellato, ma va piuttosto controllato. Il fatto che l’autorizzazione preventiva resti lo strumento principale nella politica volta a garantire uno sviluppo sostenibile è dimostrato dal fatto che risulta essere uno strumento di diretta applicazione dei principi comunitari di prevenzione e precauzione342. La naturale conseguenza, derivante dall’applicazione dei
principi in commento, è il dover prevedere una valutazione preventiva, che si basi su un giudizio espresso a seguito di un’attenta e ponderata analisi dell’attività economica che si intende autorizzare.
Altro elemento che fa sì che l’impianto autorizzatorio continui ad essere lo strumento prevalente nella politica ambientale è il fatto che le autorizzazioni ambientali si caratterizzino per la temporaneità. Tale caratteristica dello strumento permette di tenere in debita considerazione sia i mutamenti nel tempo dell’impatto sull’ambiente (non predeterminabili a priori data la dinamicità della materia) sia l’evoluzione delle conoscenze in materia (prevedendo così la possibilità di migliorare la tutela). Il carattere della temporaneità e la conseguente necessità di un rinnovo periodico dell’atto autorizzativo si riconnette, infatti, alla natura dinamica dei fattori ambientali e dei relativi equilibri, anche per tener conto dell’evoluzione delle
342 Cfr. G. Rossi, Diritto dell'ambiente, Torino, 2012, p. 67 ss.; P. Dell’Anno, Ambiente (diritto
amministrativo), in P. Dell’Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell'ambiente, Padova,
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migliori tecnologie applicabili e della verifica e monitoraggio delle attività autorizzate343.
Inoltre, la rilevanza degli strumenti di command and control è confermata dal fatto che, nei casi di maggiore rischio per la tutela dell’ambiente e della salute, questi risultano essere i soli strumenti in grado di fornire un’adeguata prevenzione344.
Ne deriva che, soprattutto nel nostro campo, strumenti autoritativi, quali quelli di command and control, e strumenti economici vanno amalgamati e servono congiuntamente, poiché i difetti degli uni vengono mitigati dai pregi degli altri.
La complessità evolutiva del sistema ambientale rende illusoria ogni presunzione di comando e di controllo, a fronte della rigidità dell’accentramento. Al contempo, l’indivisibilità funzionale del sistema condanna a pericolosi insuccessi ogni avvento di programma di privatizzazione delle sue componenti o di indiscriminata immissione di risorse e servizi naturali nel circuito mercantile. All’uopo, è facile constatare che, al momento, anche nell’ordinamento europeo, la maggior parte degli strumenti economici è concepita a supporto della regolamentazione, in funzione ancillare e strumentale al perseguimento di obiettivi di salvaguardia ambientale che sono politicamente determinati345.
343 Ispra, Poteri autorizzatori e poteri di controllo della pubblica amministrazione. Profili generali
e di tutela dell’ambiente, p. 134.
344 Ispra, ibidem., p. 217.
345 Cfr. M. Cafagno, Strumenti di mercato a tutela dell’ambiente, in Rossi G. (a cura di), Diritto
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CONCLUSIONI
A conclusione dell’elaborato è utile ricordare l’obiettivo primario dello stesso per poterne così valutare più attentamente l’organicità e la coerenza e, al contempo, poter effettuare una considerazione conclusiva di più ampio respiro.
Il lavoro svolto si è posto quale obiettivo quello di analizzare come e in quale misura le regole preposte alla tutela ambientale possano incidere negativamente sulla crescita economica del nostro Paese. Detto in altri termini, l’oggetto dello studio è il delicatissimo rapporto che intercorre tra le istanze conservative e le istanze produttive. Da anni, infatti, è al centro dell’attenzione il dibattito circa l’incidenza dei vincoli finalizzati alla tutela ambientale sullo sviluppo economico e sulla competitività del nostro Paese. Alla base di tale affermazione vi sono due assiomi di natura diversa: il primo prende atto che le regole ambientali influiscono inevitabilmente sull’attività di impresa tramite la fissazione di cosa è consentito e cosa non lo è; il secondo, invece, parte dal presupposto che alcune forme di inquinamento non potranno mai essere eliminate totalmente, ma solo parzialmente limitate o arginate.
Il nostro ordinamento, nel tentativo di trovare il giusto equilibrio tra istanze produttive e istanze conservative, ha predisposto un impianto autorizzatorio che risulta essere la colonna portante della materia ambientale. Da tale sistema ne deriva il riconoscimento di un rilevante ruolo per le pubbliche amministrazioni che sono chiamate a fornire una tutela precauzionale e preventiva.
È pertanto il rapporto che intercorre tra imprese e pubblica amministrazione in materia ambientale ad assumere estrema importanza.
Nel corso degli anni, successivamente all’emersione dei problemi riscontrati dagli operatori economici, in seguito all’applicazione delle regole
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a tutela dell’ambiente, il legislatore si è adoperato notevolmente nel tentativo di migliorare il contesto imprenditoriale italiano. L’attore protagonista di queste politiche volte alla creazione di un ambiente più favorevole è stato, senza ombra di dubbio, il principio della semplificazione amministrativa. L’attuazione di tale principio, però, non è stata in grado di realizzare le aspettative attese. Tuttavia, il mancato successo per gran parte non è imputabile ad «un’incompetenza» del legislatore, ma è anche dovuto alle resistenze che il principio di semplificazione incontra quando viene applicato all’interesse ambientale, in quanto quest’ultimo è annoverato tra i c.d. interessi sensibili.
È la stessa legge generale sul procedimento amministrativo (legge 7 agosto 1990, n. 241), che trova applicazione – per quanto compatibile – anche ai procedimenti a valenza ambientale, a riconoscere un elevato grado di specialità agli interessi ambientali e a prevedere un regime derogatorio rispetto all’«ordinaria» disciplina della semplificazione amministrativa. Tale riconosciuta specialità trova una sua ampia giustificazione, come si è visto, alla luce della tutela costituzionale che viene accordata agli interessi ambientali.
Le logiche di semplificazione, però, non hanno portato solo insuccessi, ma anzi, nell’ambito di applicazione del diritto ambientale, hanno migliorato e facilitato non poco l’attività delle imprese. La politica di semplificazione ha infatti trovato applicazione e riscontrato risultati positivi con l’introduzione delle discipline di Valutazione di Impatto Ambientale e Autorizzazione Integrata Ambientale. In questo caso tramite la tecnica dell’unificazione, che ha permesso che più procedimenti fossero riuniti all’intero di uno unico, si sono notevolmente ridotti gli oneri e i tempi a carico delle imprese. Il provvedimento di VIA, infatti, non solo conclude il procedimento, ma si sostituisce e ricomprende al suo interno tutte le autorizzazioni, le intese, le concessioni, le licenze, i pareri, i nulla osta e gli
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atti di assenso comunque denominati in materia ambientale. Nella stessa direzione, l’AIA sostituisce, ad ogni effetto, ogni altro visto, nulla osta, parere o autorizzazione in materia ambientale.
Il livello di semplificazione più elevato però è stato raggiunto attraverso la previsione dell’Autorizzazione Unica Ambientale che assorbe una serie di titoli abilitativi, necessari per esercitare un’attività.
È necessario ricordare, tuttavia, che non sempre semplificare significa eliminare, ridurre, unificare. Occorre, infatti, tenere presente che la finalità ultima è comunque quella di avere un procedimento che sia prima di tutto efficace ed efficiente. Ci si dovrebbe pertanto concentrare maggiormente sullo «sciogliere i passaggi burocratici» che risultano essere farraginosi al fine di migliorare l’iter burocratico degli operatori economici.
L’attuazione di politiche di semplificazione volte a tutelare l’interesse economico del privato, tramite la riduzione degli oneri burocratici, peraltro,