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I vincoli ambientali all'attività di impresa.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE DELLE

PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

Classe LM – 63

I vincoli ambientali all’attività di impresa

RELATRICE

Chiar.ma Prof.ssa Giovanna Pizzanelli

CANDIDATA

Clelia Altamore

A.A. 2017-2018

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[...] un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale,

che deve integrare la giustizia delle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri.

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INDICE

INTRODUZIONE………....…....5

CAPITOLO I – Libertà di iniziativa economica e tutela ambientale 1. Il limite costituzionale dell’utilità sociale all’attività di impresa………..………...…...10

1.1. L’ambiente quale valore costituzionale primario...20

1.2. I principi dell’azione amministrativa a rilevanza ambientale. Le ricadute sull’ambito di esercizio dell’iniziativa economica...27

2. Il modello regolatorio dominante: command and control……...…...44

2.1. Il command nel diritto ambientale…………...………...49

2.2. Il control nel diritto ambientale………...…………...……....53

CAPITOLO II – I principali vincoli ambientali all’attività di impresa 1. Le questioni generali………...60

2. I procedimenti autorizzatori a presidio della compatibilità ambientale...………...……...64

2.1. La valutazione di impatto ambientale...70

2.2. L’autorizzazione integrata ambientale………..…...77

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3. I limiti dei procedimenti a valenza ambientale…………...……...…....87

3.1. I vincoli: le difficoltà applicative della procedura e il problema dello scarso coordinamento tra pubbliche amministrazioni...88

3.1.1. Il mancato rispetto dei tempi procedimentali...…...94

3.1.2. Il mancato coordinamento: l’istituto della conferenza di servizi e la delicata questione della remissione al Consiglio dei ministri...99

4. Le problematiche legate alla nozione di rifiuto e al sistema di smaltimento dei rifiuti....………...106

CAPITOLO III – La necessità di superare i limiti del modello di command and control 1. La promozione della semplificazione amministrativa tra tutela dell’ambiente e libertà di impresa...111

1.1. Il delicato rapporto tra il principio di semplificazione e la tutela degli interessi sensibili...118

2. La tutela dell’ambiente attraverso il mercato...125

2.1. Le certificazioni ambientali: eco-labels e eco-audit...127

2.2. Il Green Public Procurement...136

3. Strumenti autoritativi e strumenti di mercato: una convivenza possibile?...141

(6)

CONCLUSIONI ...151

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INTRODUZIONE

Le imprese svolgono un ruolo fondamentale nel processo di sviluppo economico di ogni Paese: le loro decisioni di investimento creano occupazione; le loro attività produttive rendono disponibili beni utili per i cittadini; dai loro fatturati ed utili si generano entrate fiscali che consentono di finanziare la sanità, l'istruzione, l'ordine pubblico, le infrastrutture e gli interventi di protezione sociale1.

Il diritto amministrativo regola l'attività delle imprese sotto diversi aspetti: ad esempio, stabilendo le regole per l’avvio dell’attività degli impianti, i procedimenti per la loro localizzazione, le sovvenzioni di cui beneficiare e prevedendo apposite procedure per valutare l’impatto di queste sull’ambiente.

In Italia, ad oggi, purtroppo il sistema amministrativo risulta essere ostile alle imprese stesse: si ha infatti la percezione di un Paese bloccato che opera molto al di sotto delle sue potenzialità. L’Italia, infatti, nel rapporto

Doing business: reforming to create jobs - 2018, che presenta una classifica

stilata su 190 Paesi in base alla «facilità di fare impresa», occupa la quarantaseiesima posizione nel ranking internazionale, una posizione particolarmente arretrata rispetto ai benchmark europei2.

È la pubblica amministrazione il soggetto che si deve far carico del miglioramento del contesto in cui le imprese si trovano ad operare. Partendo dal presupposto che chi vuole fare impresa non può prescindere dal rapportarsi con la PA, risulta essere paradossale che, spesso, è la stessa normativa ad essere il maggiore ostacolo per le imprese.

1 Cfr. S. Aquino, La semplificazione dei rapporti fra imprese e pubbliche amministrazioni, Franco

Angeli, 2006, p. 8.

2 Fonte:

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Confusione normativa e vincoli amministrativi ingiustificati influenzano negativamente l’attività di impresa, creando così un contesto sfavorevole all’iniziativa imprenditoriale.

I vincoli amministrativi che gravano sulle imprese sono diversi e molteplici e una loro trattazione esaustiva è, per ovvi motivi, molto difficile e rischierebbe di essere molto dispersiva.

Alla luce delle motivazioni appena elencate il tema del presente elaborato si concentra pertanto sui principali vincoli ambientali alla libertà di impresa.

Anzitutto occorre precisare che i vincoli ambientali vengono qui intesi come potenziali ostacoli derivanti dall’applicazione della normativa in materia ambientale, quali, ad esempio, l’eccessiva frammentazione delle competenze, il mancato rispetto dei tempi per la conclusione dei procedimenti a valenza ambientale, la difficoltà di interpretazione della normativa. È estremamente importante sottolineare che qualsiasi tipo di «intoppo» ingiustificato della procedura amministrativa comporta perdite per le imprese, sia in termini di costi oggettivamente sostenuti, sia in termini di mancato guadagno. Si tenga presente che complessivamente, tra il 2007 e il 2012, sono stati misurati costi amministrativi per le piccole e medie imprese-PMI, distinti in 9 aree di regolazione, pari a 30,98 miliardi di euro, di cui 3,41 miliardi solo nell’area della regolazione ambientale3.

L’interesse riguardo come e in quale misura l’applicazione della normativa ambientale possa influire sfavorevolmente sulle imprese è una diretta conseguenza della significativa crescita dell’attenzione e della sensibilità della pubblica opinione sulle tematiche ambientali. Sono attualissimi i problemi relativi a come garantire uno sviluppo sostenibile,

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preservare l’ambiente dai danni derivanti dalle attività antropiche e, al contempo, assicurare la libertà di iniziativa economica.

L’esigenza di rendere compatibile con l’ambiente qualsiasi attività di produzione e consumo è percepita oggi come una priorità a livello mondiale, perciò le imprese si trovano ad operare all’interno di una cornice normativa ben definita ed estremamente rigida.

Il presente elaborato, dopo un’introduzione dedicata al delicato rapporto che intercorre tra la libertà di iniziativa economica – prevista e tutelata all’articolo 41 della nostra Costituzione – e l’interesse alla tutela ambientale – anch’esso oggetto di tutela costituzionale –, si occupa di analizzare il modello regolatorio ambientale dominante, ossia lo strumento di command and control.

L’analisi di tale strumento amministrativistico ai fini della ricerca risulta essere di fondamentale importanza, in quanto è tramite tale modulo che la pubblica amministrazione incide direttamente sull’attività di impresa. La regolazione che si basa sullo schema del command and control permette alla pubblica amministrazione, mediante la previsione di un regime autorizzatorio, di imporre limiti e verificarne contestualmente il rispetto tramite un articolato e complesso sistema di controlli. Infine, nel caso in cui il controllo dia esito negativo e venga quindi accertata una violazione di quanto stabilito, il predetto sistema prevede l’irrogazione di sanzioni nei confronti dei soggetti trasgressori.

A seguire, l’elaborato, analizza in chiave critica il funzionamento della regolazione ambientale relativamente all’incidenza della stessa sull’attività di impresa. A tale scopo, non essendo possibile individuare tutti gli elementi che in materia ambientale costituiscono fattore di impedimento all’attività imprenditoriale, vengono presi in considerazione i procedimenti

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amministrativi a valenza ambientale ai quali è riconosciuta maggiore rilevanza.

I procedimenti amministrativi a valenza ambientale risultano essere, infatti, il «luogo» adatto in cui è possibile garantire una adeguata conciliazione tra gli interessi ambientali e l’attività di impresa o, in termini più generali, tra istanze conservative e istanze produttive. Sono pertanto esaminati i procedimenti di valutazione di impatto ambientale – VIA –, autorizzazione integrata ambientale – AIA –, autorizzazione unica ambientale – AUA – e ne vengono evidenziati i malfunzionamenti e i concreti ostacoli che le imprese possono incontrare.

Il lavoro si conclude illustrando e analizzando le soluzioni che sono state ad oggi fornite dal legislatore per il miglioramento del contesto dell’attività imprenditoriale.

In particolare, vengono prese in esame le novità in tema di semplificazione apportate dalla legge 7 agosto 2015, n. 124 e dai suoi decreti attuativi (la cd. riforma Madia). Dall’analisi effettuata emergono svariate criticità – alcune delle quali fisiologiche – legate all’applicazione al settore ambientale del principio di semplificazione amministrativa.

Infine, a seguito delle problematiche emerse, vengono esaminati gli strumenti di tutela dell’ambiente attraverso il mercato che, se affiancati opportunamente alla command and control regulation, possono contribuire efficacemente alla conciliazione tra istanze produttive e istanze conservative.

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CAPITOLO I

Libertà di iniziativa economica e tutela ambientale

1. Il limite dell’utilità sociale all’attività di impresa

Ai fini di un’analisi completa e approfondita dei rapporti che intercorrono tra imprese e pubblica amministrazione, che vigila su queste ai fini di tutelare l’ambiente e non solo, non si può non partire dallo studio dell’articolo 41 della Costituzione.

L’articolo 41, co.1, afferma che «l’iniziativa economica privata è libera». La prima questione da chiarire è quella inerente al significato da attribuire alla dicitura «iniziativa economica», posto che in relazione a tale espressione, nel corso del tempo, diverse tesi si sono tra loro sovrapposte nel tentativo di risolvere tale problema interpretativo.

La tesi più diffusa circa l’interpretazione della sopra citata dizione prevede che l’iniziativa economica coincida con la definizione di impresa intesa in senso civilistico, ovvero come esercizio professionale di un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi4. A supporto di tale tesi, oltre alle ragioni letterali fondate sulla

parentela lessicale tra «iniziativa» e «intrapresa» (e quindi «impresa»), vi è il fatto che tale terminologia viene ripresa anche al terzo comma dell’articolo in esame, richiamando così a sua volta quella del codice civile5. Ulteriore

4 Per la definizione in senso civilistico di impresa si veda l’articolo 2082 c.c. «è imprenditore chi

esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi».

5 F. Galgano, L’articolo 41, in Branca G., Pizzorusso A. (a cura di), Commentario della Costituzione,

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contributo a favore di questa tesi è che si ritiene possibile applicare i limiti disciplinati al successivo comma6 soltanto all’impresa7.

La dottrina prevalente e la giurisprudenza costituzionale, coerentemente con i lavori preparatori alla stesura della Costituzione, sono orientate a ritenere che l’impresa sia soltanto una delle possibili forme di esercizio dell’attività economica8. Infatti, per «iniziativa economica» si deve

intendere il complesso delle scelte dirette alla continua attivazione del sistema economico e alla continua organizzazione del processo di produzione e di scambio di beni e servizi. Risulterebbero, così, nella sfera di applicazione dell’articolo 41, co. 1, soltanto le attività produttive caratterizzate da un’effettiva libertà di scelta in tutte le fasi del loro esercizio9.

Per quanto concerne, invece, la finalità complessiva della disciplina e, in particolare, la possibilità o meno di individuare una norma di garanzia (in riferimento al primo comma dell’articolo 41) e delle norme limite (con riferimento ai commi secondo e terzo), il dibattito è sempre ruotato intorno alla distinzione o meno delle espressioni impiegate. La discussione vedeva come protagoniste le seguenti espressioni: «iniziativa», «svolgersi» e «attività». Anche in questo caso, il dibattito è stato risolto grazie ad una

6 Articolo 41, co. 2, Costituzione: «Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da

recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».

7 Le altre tesi riguardanti l’interpretazione dell’articolo 41 sono due. La prima tesi, rimasta isolata

in dottrina e che non ha avuto finora alcun seguito giurisprudenziale, consisterebbe nella scelta di esercitare un’attività economica e, cioè, un’attività comunque diretta al conseguimento di un vantaggio patrimoniale. Secondo un’altra tesi, anch’essa priva finora di riscontri giurisprudenziali, l’iniziativa economica consisterebbe invece nell’atto di investimento, inteso come decisione di iniziare un’attività economica mediante la destinazione di capitali al processo produttivo. A tale tesi si è replicato affermando che la destinazione di capitali al processo produttivo – che può benissimo mancare, potendo non essere l’imprenditore proprietario dei mezzi di produzione – non sarebbe di per sé, un atto di iniziativa economica, ma un modo di disposizione della proprietà degli stessi, rientrando nella sfera di applicazione dell’articolo 42. Cfr. M. Giampieretti, L’articolo 41, in S. Bartole, R. Bin (a cura di), Commentario breve alla Costituzione, CEDAM, 2008, pp. 408 ss.

8 In questo senso si veda, Corte Costituzionale, sentenza 28 gennaio 1988, n. 305, dove si afferma

che «oggetto della tutela di questa norma costituzionale [art. 41 Costituzione] è l’attività produttiva, di solito esercitata in forma d’impresa».

9 In questo senso si veda F. Galgano, L’articolo 41, in Branca G., Pizzorusso A. (a cura di),

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copiosa giurisprudenza costituzionale10 che è assolutamente ferma

nell’affermare che la garanzia prevista dall’art. 41, co. 1, riguardi non soltanto la fase iniziale di scelta dell’attività, ma anche i successivi momenti del suo svolgimento, con la conseguenza che la garanzia di libertà dell’iniziativa economica prevista dal co. 1 debba ritenersi operante in tutte le fasi dell’attività e, al tempo stesso, che a tale libertà debbano ritenersi applicabili i limiti dei commi successivi.

Quanto al grado di limitazione che il legislatore può esercitare sull’iniziativa economica privata per raggiungere le finalità di cui ai commi 2 e 3, ovvero la tutela dell’utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità umana e il poter indirizzare e coordinare la stessa a fini sociali, la Corte ha individuato un limite di tollerabilità della disciplina vincolistica. Si ritiene, infatti, che siano costituzionalmente illegittimi i condizionamenti e i vincoli tali da costruire un oneroso impedimento all’esercizio della libertà o che provochino pesanti interferenze sull’iniziativa dell’imprenditore.

Il criterio generale del sindacato di costituzionalità rimane sempre quello del controllo di ragionevolezza delle scelte legislative e della verifica di congruità tra mezzi e fini, ferma restando la garanzia di un contenuto minimo di tale libertà.

Ai fini del presente lavoro, ciò che risulta essere di maggiore interesse è quanto e in quale maniera le limitazioni previste all’articolo 41 Costituzione, co. 2 e 3, incidano sulla libertà di iniziativa economica e, quindi, sull’impresa.

Il secondo comma della disposizione in esame prevede che «[l’iniziativa economica] non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana».

10 Si veda, ex multis, Corte Cost. 29/1957; 50/1957; 47/1958; 78/1958; 32/1959; 7/1962; 54/1962:

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La norma quindi consente la previsione di limiti negativi, di divieti, all’iniziativa economica volti a tutelare i valori indicati.

Il richiamo del secondo comma ai valori dell’utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità umana configura altrettanti limiti esterni alla libertà economica e, al contempo, prevede un’eventuale attribuzione dal legislatore alla pubblica amministrazione con riferimento alla tutela preventiva dei valori indicati nel secondo comma. Tale attribuzione può, quindi, essere esercitata dalla pubblica amministrazione in sede di rilascio di autorizzazioni o licenze.

Il terzo comma prevede, invece, che «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». La natura di questi vincoli identificabili quali limiti positivi, a differenza di quelli previsti al secondo comma, consente l’imposizione di obblighi, prevedendo la tutela dei valori tramite leggi aventi finalità programmatorie.

Con le espressioni «programmi» e «controlli» si è voluto fare riferimento ad un metodo, un principio procedimentale, relativo alla forma e al tipo degli atti che sono chiamati ad incidere sull’attività economica. Questi possono essere sia occasionali, come i controlli, o tali da costituire un insieme di previsioni economiche e di indicazioni di indirizzi e di interventi economici, come i programmi11. I fini sociali rappresenterebbero unicamente

gli obiettivi che la Costituzione impone ai programmi e ai controlli pubblici; dal punto di vista dell’operatore privato, essi costituirebbero, invece, dei meri

11 Si ritiene che il costituente, sostituendo «programmi» a «piani», abbia inteso escludere ogni forma

di pianificazione totalitaria e indicare cosi una preferenza per una programmazione indicat iva. Cfr. M. Giampieretti, L’articolo 41, in Bartole S., Bin R. (a cura di), Commentario breve alla

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punti di riferimento, sebbene doverosi, entro cui assumere le proprie iniziative e svolgere le proprie attività12.

Nell’ambito dei rapporti che intercorrono tra impresa e tutela ambientale di notevole importanza è il limite del rispetto dell’utilità sociale imposto dalla Costituzione. L’interpretazione di tale locuzione, infatti, ha sempre destato numerose problematiche essendo decisamente più elastica e flessibile rispetto agli altri limiti imposti, lasciando così al giudice costituzionale una maggiore libertà di valutazione e una più ampia discrezionalità13. Gli studi costituzionalistici sull’«utilità sociale» partono,

infatti, regolarmente dalla considerazione della polivalenza ed elasticità della nozione. E non si può negare che essa appartenga al novero delle clausole elastiche della Costituzione, che si ribellano alla «pietrificazione» degli enunciati per mantenere la Costituzione stessa all’altezza dei cambiamenti dell’esperienza giuridica, economica e sociale14. È infatti all’interno di questa

ampia e generica espressione che trovano tutela le istanze ambientali, capaci così di diventare dei veri e propri limiti all’attività di impresa15.

L’opinione prevalente circa l’interpretazione del significato dell’utilità sociale sembra orientarsi nel senso che il contenuto di tale clausola sia ricavabile direttamente dalla Costituzione, non limitandosi alla sfera dei rapporti economici, ma includendo il quadro dei principi fondamentali.

12 Sul punto si veda: F. Galgano, L’articolo 41, in Branca G., Pizzorusso A. (a cura di), Commentario

della Costituzione, cit., p. 57 ss.

13 M. Giampieretti, L’articolo 41, in Bartole S., Bin R. (a cura di), Commentario breve alla

Costituzione, cit., p. 412 ss.

14 Sul punto si veda: Attualità dell’art. 41, con particolare riferimento all’utilità sociale, reperibile

presso https://www.centroriformastato.it/chi-siamo/organi-di-direzione/

15 Anche la giurisprudenza amministrativa, al pari della giurisprudenza costituzionale, ha rinvenuto

dei collegamenti tra la definizione di utilità sociale e le istanze ambientali. Infatti l’articolo 41 Cost. e l’utilità sociale di cui al suo secondo comma, acquistano rilievo nella giurisprudenza amministrativa anche in altre materie, dove la nozione in esame viene intesa meno restrittivamente ed è quindi capace di comprendere al suo interno contenuti molto diversificati tra loro. Di nostro interesse risulta essere la sentenza n. 305 del 1974, Consiglio di Stato, Sez. IV, dove l’utilità sociale viene ricondotta all’esigenza di garantire la tutela del paesaggio, perseguita dal legislatore mediante le sanzioni previste dall’articolo 15 della l. 147 del 1939 sulla protezione delle bellezze naturali. Cfr. P. Cavalieri, Iniziativa economica e privata e costituzione «vivente». Contributo allo studio della

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«Sociale», infatti, significa «proprio della società» nel suo complesso e, dunque, il contenuto della formula va per l’appunto ad inserirsi nel complesso dei diritti fondamentali, civili e sociali, di cui all’articolo 3, co. 2, Costituzione. Socialmente utile, in senso costituzionale, sarebbe dunque tutto ciò che consente il perseguimento di quei fini e la protezione di quegli interessi, anche a costo di sacrificarne altri confliggenti. Inoltre, la Corte ha saputo precisare i confini del valore dell’utilità sociale; nozione, quest’ultima, che deve essere ricondotta alla tutela del bene comune, quindi ambiente, salute, interessi sociali. Spetta poi al legislatore ordinario definire in modo concreto l’operatività di tale vincolo ed è, infine, compito della pubblica amministrazione attuare le scelte del legislatore, garantendone l’osservanza, senza però poter operare valutazioni dirette circa il contrasto dell’attività economica privata con la clausola dell’utilità sociale16.

Un’altra opinione sostiene che invece sia possibile identificare un nucleo minimo di tale clausola, che si esplica nel complesso di valori, tra cui i diritti fondamentali della persona, che la Costituzione protegge con norme specifiche, applicabili direttamente dalla pubblica amministrazione e che sono destinati a prevalere sull’esercizio di attività economiche con essi contrastanti17. Il nucleo minimo può poi essere ampliato dal legislatore

secondo una sua scelta discrezionale.

Per quanto concerne i rapporti tra il primo ed il secondo comma, ovvero l’affermazione della libertà dell’iniziativa economica privata e il vincolo esterno dell’utilità sociale si è sostenuta la tesi della funzionalizzazione della prima rispetto al secondo. In accordo con tale tesi, la clausola sociale viene a costituire il fondamento stesso dell’iniziativa economica privata, nel senso che quest’ultima sarebbe garantita non in sé,

16 Cfr. M. Giampieretti, L’articolo 41, in Bartole S., Bin R. (a cura di), Commentario breve alla

Costituzione, cit., p. 414 ss.

17 P. Cavalieri, Iniziativa economica e privata e costituzione «vivente». Contributo allo studio della

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ma solo in quanto socialmente utile. La dottrina prevalente18 però risulta

essere orientata in senso opposto, ritenendo illogico che il limite previsto costituisca allo stesso tempo il fondamento di tale libertà. Si sottolinea pertanto come la clausola dell’utilità sociale, congiuntamente con l’imposizione del rispetto della libertà, della sicurezza e della dignità umana, costituisca un limite esterno all’attività economica privata. Quanto detto, sta a significare che l’esercizio dell’attività economica deve essere considerato come un diritto costituzionalmente garantito anche laddove non persegua fini di utilità sociale, essendo sufficiente che non operi in contrasto con tali valori19.

La necessità di creare un contesto favorevole alle imprese, nel quale queste possano operare nel rispetto del quadro costituzionale e dei vincoli che da esso derivano, ha reso indispensabile, nel corso degli anni, l’emanazione di una serie di leggi che veicolassero l’attività di impresa per renderla compatibile con le istanze ambientali.

La legislazione italiana ormai da tempo vede come protagonista un’infinita serie di normative il cui scopo principale è semplificare, velocizzare e modernizzare l’apparato amministrativo. Quest’ultimo, nel corso degli anni, è stato accusato di estrema lentezza e inefficienza, elementi in grado di ostacolare notevolmente l’attività di impresa.

Se, come detto, chi vuole fare impresa non può prescindere dal rapportarsi con la pubblica amministrazione, è necessario che questa funzioni perfettamente, come una macchina ben oliata, per far sì che gli imprenditori non incontrino ingiustificati nodi durante il loro percorso. Sicuramente tra i

18 Per tutti: G. Minervini, Contro la «funzionalizzazione» dell’impresa privata, in Riv dir civ,1958,

p. 621 ss.; nonché A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali – Parte speciale, CEDAM, 1992, p. 470.

19 Cfr F. Galgano, L’articolo 41, in Branca G., Pizzorusso A. (a cura di), Commentario della

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numerosi ostacoli che le imprese incontrano nella loro attività, un quadro normativo sfavorevole può rappresentare un costo significativo20.

La soluzione a tutti i mali di cui l’apparato amministrativo è affetto è stata, da sempre, lo strumento della semplificazione amministrativa21. La

semplificazione è ovunque: al centro dell’agenda politica e dell’attenzione dei media.

Il punto di partenza ai fini dell’individuazione dei problemi dell’amministrazione italiana, ma anche degli strumenti necessari per risolvere tali problemi, è senz’altro il Rapporto Giannini del 197922. Tale

Rapporto segnò un punto di svolta in quanto fu in grado di delineare un disegno generale di riforma e, soprattutto, una metodologia di azione dei poteri pubblici radicalmente originale, con l’ambizione di affrontare finalmente il problema amministrativo nei suoi termini generali. Al rapporto ha poi fatto seguito il Rapporto Cassese del 199323, dove si sottolinea come

«ogni sistema amministrativo richiede, per un buon funzionamento, condizioni di certezza: tanto più forte l’incertezza, tanto più alti i costi del sistema. Invece, l’affidabilità del servizio, la prevedibilità dei risultati, la corrispondenza tra mezzi e fini e fra comportamenti e obiettivi, sono condizioni ancora troppo poco diffuse nel sistema amministrativo italiano»24.

20 Per un maggior approfondimento sul tema si veda: M. Bianco, F. Bripi, La difficoltà di fare

impresa, in Riv. econ. Mezzogiorno, 4/2010, pp. 863 ss.

21 L’espressione semplificazione amministrativa evoca istituti giuridici differenti e non sempre

riconducibili ad una categoria unitaria e omogenea al suo interno. Senza pretesa di completezza, la semplificazione può riguardare le fonti e la tecnica normativa, gli oneri a carico dei privati per lo svolgimento delle proprie attività, o può manifestarsi come semplificazione procedimentale in senso proprio (ad es. riduzione delle fasi del procedimento, disciplina della conferenza dei servizi, attribuzione di significato provvedimentale all’inerzia dell’amministrazione, meccanismi di superamento degli stalli procedimentali e del dissenso, sostituzione della documentazione amministrativa con autocertificazioni, etc.) ovvero come semplificazione provvedimentale. Cfr. M. Trimarchi, La semplificazione amministrativa: scritti recenti, in Giorn. Dir. amm., 2/2018, p. 266.

22 Rapporto sui principali problemi dell’Amministrazione dello Stato, presentato alle Camere il 16

novembre 1979 dal Ministro della Funzione Pubblica Massimo Severo Giannini, ripubblicato poi in

Riv. trim. dir. pubbl., 1982, pp. 715 ss.

23 Dipartimento per la funzione pubblica, Rapporto sulle condizioni delle pubbliche

amministrazioni, Roma, 1993, reperibile presso: http://www.eticapa.it/eticapa/tag/cassese-rapporto-sulle-condizioni-delle-pubbliche-amministrazioni-anno-1993/

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Sempre nel rapporto viene sottolineata l’incapacità dell’amministrazione nel relazionarsi con le imprese.

Nonostante i buoni propositi e gli ottimi spunti di riforma, poi concretizzatisi in numerosissimi interventi legislativi, il panorama italiano, purtroppo, ad oggi non sembra essere mutato considerevolmente. Di quanto appena affermato si trova conferma nella relazione per Paese della Commissione europea dove si sottolinea come svolgere un’attività imprenditoriale in Italia rimanga più complicato rispetto alle economie comparabili e come la qualità della regolamentazione risulti essere inferiore. Il difficile contesto imprenditoriale ostacola la crescita delle imprese italiane che mediamente risultano essere più piccole di quelle dei paesi comparabili dell’Ue e crescono quindi più lentamente25.

Inoltre, nel rapporto Doing business 2018: reforming to create jobs, che presenta una classifica, stilata a seguito di un’analisi su 190 paesi in base alla «facilità di fare impresa», l’Italia occupa la 46esima posizione nel

ranking internazionale26.

È da anni che il World Economic Forum, che valuta la competitività globale tramite una serie di indicatori, posiziona al 44° posto l’Italia, su di una classifica stilata tra 138 paesi. Si tenga però presente che tra gli indicatori presi in considerazione vi è quello dell’onere della regolamentazione, con

25 Relazione per paese relativa all’Italia 2017, Commissione europea, reperibile presso

https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/2017-european-semester-country-report-italy-it_1.pdf

26 Il rapporto Doing business, pubblicato dalla Banca mondiale ogni anno, analizza la disciplina

normativa e fiscale che si applica alle imprese durante il loro intero ciclo di vita: dall’avvio di un’attività, fino all’accesso al credito, il commercio internazionale, il fisco, il registro dei titoli di proprietà, la tutela di chi investe. L’indice globale di competitività, che costituisce l’unità di misura della classifica, si compone di undici sotto-indicatori: statrting a business, dealing with construction

permits, getting electricity, registernig property, getting credit, protecting minority investors, paying taxes, trading across borders, enforcing contracts, resolving insolvency e labour market regulation. Il rapporto annuale “Doing business 2018: reforming to create jobs” è reperibile al

seguente link: http://www.doingbusiness.org/~/media/WBG/DoingBusiness/Documents/Annual-Reports/English/DB2018-Full-Report.pdf

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riferimento a tale parametro l’Italia è collocata alla 136° posizione, dietro di noi solo Brasile e Venezuela27.

Si tenga presente che complessivamente, tra il 2007 e il 2012 sono stati misurati costi amministrativi28, in 9 aree di regolazione, per le piccole e

medie imprese (PMI) pari a 30,98 miliardi di euro, di cui 3,41 miliardi solo nell’area di regolazione ambientale29.

La buona riuscita di una riforma però non deve essere data per scontata. Nell’attuare una riforma si deve tenere in considerazione una serie svariati di elementi, quali l’applicazione parziale, gli effetti inattesi, le distorsioni, ecc... Tali difficoltà sono maggiori se le riforme non sono accompagnate da una verifica di fattibilità ex ante, ed ex post di risultato e se le stesse si consumano con l’enunciazione legislativa, lasciando vacanti piani ed azioni di attuazione30. Aspetto fondamentale delle riforme, quindi, è quello

dell’applicazione delle norme; ogni riforma amministrativa non può essere operata semplicemente con misure legislative, ma richiede una paziente opera di attuazione, vigilanza e controllo, solo così, infatti, può essere pienamente efficace31.

Una normativa più efficiente, promuove la crescita economica, mentre la semplicità della regolamentazione offre terreno fertile per

27 World Economic Forum, The Global CompetitivinessReport 2016-2017 è consultabile al seguente

link: http://www3.weforum.org/docs/GCR2016-2017/05FullReport/TheGlobalCompetitivenessReport2016-2017_FINAL.pdf

28 L'articolo 8, co. 2, della legge 11 novembre 2011, n. 1801, lo Statuto delle imprese, nel disciplinare

il c.d. bilancio regolatorio, stabilisce che «per oneri amministrativi si intendono i costi degli adempimenti cui cittadini ed imprese sono tenuti nei confronti delle pubbliche amministrazioni nell'ambito del procedimento amministrativo, compreso qualunque adempimento comportante raccolta, elaborazione, trasmissione, conservazione e produzione di informazioni e documenti alla pubblica amministrazione».

29 Fonte: http://www.funzionepubblica.gov.it/semplificazione/la-misurazione-degli-oneri

30 In questo senso: L. Torchia (a cura di), I nodi della pubblica amministrazione, Editoriale

Scientifica, 2016, p. 13.

31 Il riferimento è alla riforma amministrativa avviata dalla l. 124/2015 e a tutti gli altri interventi

che perseguono la riduzione dell’intervento pubblico e dei vincoli amministrativi n capo ai soggetti provati (es: il d.P.R. 12 settembre 2016, n. 194 che ha predisposto l’accelerazione dei procedimenti volti alla realizzazione di opere di rilevante impatto sul territorio o insediamenti produttivi di particolare importanza). Cfr. B. G. Mattarella, Burocrazia e riforme. L’innovazione nella pubblica amministrazione, il Mulino, 2017, p. 59 ss.

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migliorare imprenditorialità e produttività delle aziende, oltre che per promuovere una concorrenza più sana.

Infine, il danno della complicazione non è soltanto il costo enorme dell’apparato burocratico, ma anche le conseguenze negative sull’economia nel suo complesso, in termini di incertezza delle scelte, rallentamento delle realizzazioni e impossibilità di programmare gli investimenti e la produzione per le imprese.

1.1. L’ambiente quale valore costituzionale primario

La Costituzione italiana del 1948, al pari delle altre carte costituzionali europee del secondo dopoguerra, non conteneva espliciti riferimenti all’ambiente in quanto allora ancora non era maturata quella sensibilità, tanto sociale quanto giuridica, che potesse permettere una giusta considerazione delle tematiche ambientali32. Le prime coscienze ambientali, infatti, si

iniziano a formare solo a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso al seguito del verificarsi di incidenti di portata mondiale33. Solo

successivamente, quindi, si è iniziata a sentire l’esigenza di inserire, all’interno del nostro testo costituzionale, un riferimento all’ambiente34.

32 Per sottolineare in maniera più marcata come la questione ambientale fosse ancora troppo distante

basta pensare alle notevoli difficoltà che sono state riscontrate in Assemblea costituente circa l’articolo 9. Rispetto a tale norma infatti numerose furono le resistenze basate essenzialmente sulla considerazione che la previsione costituzionale di tutela del paesaggio fosse superflua.

33 Si tratta di incidenti riguardanti le navi trasportanti petrolio, incidenti, quindi, in grado di causare

dei forti inquinamenti sia delle acque sia delle coste. L’incidente che ha causato il primo grande disastro ambientale è quello ad opera della Torrey Canyon, nave petroliera, che si arenò al largo della Cornovaglia il 18 marzo 1967 sversando in mare 123.000 tonnellate di greggio e inquinando così 180 km di coste inglesi e francesi. Si ricordano inoltre gli incidenti del 1976 nella baia di la Coruña in Spagna, quando una nave petroliera rovesciò in mare 91.000 tonnellate di carico, e l’incidente del 1983 a Città del Capo, dove la petroliera Castillo de Beliver prese fuoco provocando una fuoriuscita di 250.000 tonnellate di petrolio. (fonte: http://cnn.tsnet.it/wp-content/uploads/2014/08/macaone1524.pdf).

34 Per una ricostruzione completa dello status costituzionale dell’ambiente si veda: D. Amirante,

Profili di diritto costituzionale dell’ambiente, in Dell’Anno P., Picozza E. (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente. Vol. I. Principi generali, CEDAM, 2012, pp. 233 ss.

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Nello specifico, il termine «ambiente» ha fatto ingresso nella Costituzione solo nel 2001 con la riforma del titolo V interamente ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Fino al momento in cui il termine ambiente non è stato inserito all’interno della Costituzione la norma che ne ha consentito la tutela era l’articolo 9 che, al secondo comma, indica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione fra i compiti della Repubblica.

In accordo con le interpretazioni di tale norma, la nozione di paesaggio andrebbe a ricoprire non solo la disciplina urbanistica, ma anche la nozione giuridica di ambiente35. È chiaro però che, sebbene l’articolo 9 sia stato

spesso usato per giustificare l’imposizione di vincoli ambientali, quest’ultimo non è dotato di una portata sufficientemente ampia tale da ricomprendere nel suo alveo tutti gli interessi riconducibili all’ambiente.

Inoltre, il termine ambiente, sotto un diverso profilo rispetto a quanto prima accennato, è rinvenibile anche all’articolo 32 della Costituzione36,

dove viene riconosciuto il diritto alla salute. Tale disposizione, letta in combinazione con l’articolo 2 Cost., viene intesa nella prospettiva di garantire la salubrità dell’ambiente in relazione alla qualità della vita dell’individuo37. Infatti, è proprio in riferimento all’articolo 32 Cost. che,

negli anni Novanta, l’orientamento volto a considerare la protezione

35 Cfr. M.S. Giannini, Ambiente: Saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl.,

1973, pp. 15 e ss.

36 Articolo 32 Costituzione: «La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo

e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessuno caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

37 Gli anni che hanno preceduto l’ingresso del termine ambiente in Costituzione sono stati segnati

da un forte dibattito circa una sua definizione giuridica. In questo contesto risulta essere di notevole importanza il contributo di M. S. Giannini (Ambiente: Saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, cit., p. 17) che, nel 1973, afferma che la nozione di ambiente, dal punto di vista giuridico può essere assunta in una triplice accezione: a) in riferimento alla normativa e alla dimensione naturalistica, in aderenza anche alla considerazione costituzionale a favore del "paesaggio", espressa nell'art. 9 Cost.; b) spaziale, in riferimento alla normativa a protezione delle "risorse" ambientali dal degrado conseguente agli inquinamenti ed altri inconvenienti dovuti in larga parte alle attività dell'uomo; c) urbanistica, in riferimento all'assetto ed alla gestione del territorio.

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ambientale come valore fondamentale si afferma in modo definitivo38. Anche

in questo caso però risulta necessaria un’affermazione indipendente dell’ambiente in quanto l’art. 32 può essere la legittima base per affermare la sussistenza di un diritto all’ambiente salubre, ma con l’evidente limite dell’applicazione di una tutela ambientale qualora essa corrisponda ad esigenze di tutela della sola salute umana39.

Prendendo le distanze dalle iniziali affermazioni di una primarietà dell’ambiente in senso assoluto, la Corte Costituzionale si è trovata nella situazione di dover effettuare un bilanciamento con altri interessi e valori tutelati in Costituzione. Tale esigenza è divenuta sempre più stringente nel momento in cui, ad esempio, le tematiche ambientali si sono iniziate a scontrare con quelle imprenditoriali. Un primo bilanciamento tra tali interessi, ad oggi ancora in potenziale contrasto, è emerso nella sentenza delle Corte Costituzionale 20 maggio 1998, n. 196. Nell’occasione i giudici hanno evidenziato come il ragionevole bilanciamento dei due valori primari potesse escludere la «lesione alla libertà economica atteso che lo stesso dettato costituzionale consente dei limiti al suo esercizio a condizione che essi corrispondano a fini di utilità sociale, nel cui ambito sicuramente rientrano gli interessi alla tutela della salute e dell’ambiente».

In questo contesto, sicuramente degne di nota sono una serie di sentenze, che vanno dalla seconda metà degli anni Ottanta fino alla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, che identificano l’ambiente quale «valore costituzionale», pur in assenza di un suo esplicito riferimento nel testo.

In questo filone giurisprudenziale possiamo ricordare la sentenza della Corte Costituzionale 17 dicembre 1987, n. 641, attraverso la quale l’ambiente

38 Corte costituzionale, sent. n. 307 del 1992 e 194 del 1993.

39 D. Amirante, Profili di diritto costituzionale dell’ambiente, in Dell’Anno P., Picozza E. (a cura

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è stato definito come un «bene immateriale unitario» meritevole di protezione in virtù di una interpretazione evolutiva «imposta anzitutto dai precetti costituzionali (artt. 9 e 32), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto».

Ma un anno prima di questa pronuncia si era verificata una importante novità nel nostro ordinamento: con l’entrata in vigore della legge 8 luglio 1986, n. 349, la tutela dell’ambiente veniva consacrata quale finalità pubblica; diventava cioè uno di quei fini per cui si giustifica la previsione di apparati amministrativi preposti alla loro cura. È la norma che eleva l’ambiente a pubblico interesse, creando degli apparati amministrativi volti alla sua cura.

In conclusione, da quanto sopra affermato si può dedurre che la giurisprudenza pre-riforma costituzionale ha delineato «una concezione pienamente corretta e moderna dell’ambiente, come oggetto di tutela giuridica, abbandonando definitivamente le logiche tradizionali della ricostruzione della rilevanza dell’ambiente in termini di situazioni giuridiche soggettive»40, facendo così che la nozione di ambiente quale valore

costituzionale sia in grado di riassumere tutti i diversi interessi a esso riconducibili.

Con la riforma del titolo V della Costituzione del 2001, il novellato articolo 117, infatti, prevede, alla lettera s), «la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», tra le materie di competenza esclusiva statale, mentre, al terzo comma dello stesso articolo, nell’elenco delle materie concorrenti, viene attribuita alle Regioni la «valorizzazione dei beni ambientali e culturali». L’introduzione del termine ambiente, anche se sotto le vesti di questo peculiare trittico, ambiente, ecosistema e beni ambientali e

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culturali, ha certamente raggiunto lo scopo, agognato da tempo, di rafforzare e stabilire, una volta per tutte, lo status costituzionale dell’ambiente41.

Senza sminuire l’affermazione dell’ambiente in Costituzione, bisogna sicuramente evidenziare che si tratta di una costituzionalizzazione tanto indiretta quanto incompleta. Indiretta perché l’ingresso del termine ambiente avviene grazie alla l. cost. n. 3/2001, legge che perseguiva scopi ben diversi rispetto al riconoscimento dello status costituzionale; scopo principale di quest’ultima è stato infatti il riassetto del quadro dei rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali. Inoltre, si tratta di una costituzionalizzazione incompleta in quanto, senza tener conto del lungo dibattito circa la definizione di ambiente, manca una definizione chiara e completa del termine e dei suoi contenuti.

Le maggiori difficoltà in relazione all’articolo 117 si pongono in relazione alla sua interpretazione e ai suoi rapporti con le altre norme costituzionali. Come sopra già ricordato, con la novella costituzionale si individuano tre diverse tipologie di competenze: una competenza esclusiva in capo allo Stato per la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; una competenza concorrente fra Stato e Regioni per la valorizzazione dei beni ambientali e culturali; una competenza residuale in campo alle Regioni, che possono legiferare, in piena autonomia, in tutte le materie non contenute nelle liste succitate42. Elemento che complica

41 Per un’analisi più approfondita sul punto si veda: B. Pozzo, M. Renna, L’ambiente nel nuovo titolo

V della Costituzione, Giuffrè, 2004.

42 Una prima lettura del novellato articolo 117 ha fatto pensare ad un’inversione di rotta rispetto a

quella presa dall’ordinamento italiano negli ultimi anni tesa a valorizzare le competenze regionali in ambito ambientale. Infatti, numerosi erano stati i trasferimenti ed i conferimenti, accompagnati da svariate deleghe, che avevano consentito la costruzione di una sorta di sistemi regionali di tutela dell’ambiente, anche attraverso istituti quali la Valutazione di Impatto Ambientale regionale, le Agenzie regionali per l’ambiente competenti per la parte relativa ai controlli, i parchi naturali regionali. Il conferimento di una competenza esclusiva statale aveva, quindi, destato numerose preoccupazioni in merito all’eventualità che i sistemi regionali sopra citati potessero essere smantellati. Tali preoccupazioni sono state però rapidamente messe a tacere alla luce del fatto che non veniva fornita una chiara definizione sia del termine ambiente sia del termine ecosistema, peraltro al singolare e non al plurale, e che, inoltre, neanche i confini e i rapporti tra i due termini erano indicati in maniera esaustiva. Nonostante le diverse posizioni prese in merito a tale

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maggiormente i rapporti Sato – Regioni è, tra gli altri, l’inserimento, tra le competenze concorrenti, dei «beni ambientali», binomio terminologico usato, fino prima della riforma del 2001, per indicare la materia ambientale nel suo complesso43.

Sotto un diverso profilo, va poi considerato che la ripartizione dell’art. 117 fa riferimento alle competenze legislative, mentre quelle amministrative e di gestione sono regolate dall’articolo 11844, che prevede un ampio

esercizio di sussidiarietà in primis a beneficio dei Comuni, ma anche a favore di Province e Regioni.

È inoltre necessario ricordare la copiosa giurisprudenza costituzionale che ha contribuito a un’affermazione chiara e indistinta della posizione dell’ambiente quale valore costituzionale. Per semplicità espositiva è possibile scomporre la giurisprudenza costituzionale che orientato significativamente il processo di evoluzione della dottrina in due fasi tra loro distinte. La prima fase, il quinquennio post-riforma (periodo 2002-2007), ha visto l’affermazione della natura di valore costituzionale della tutela ambientale, mentre nella seconda fase, iniziata nel 2007 e tutt’ora in corso, si è creato un orientamento giurisprudenziale secondo cui l’ambiente è una

considerazione, è emerso comunque un orientamento comune volto a sottolineare come la novella del 2001 nonostante rafforzi il ruolo dello Stato come garante di una tutela ambientale uniforme non consente un’esautorazione delle Regioni dal governo dell’ambiente. Cfr. D. Amirante, op. cit, pp. 244 ss.

43 Si veda anche: S. Civitarese Matteucci, Ambiente e paesaggio nel nuovo titolo V della

Costituzione, in Rivista di arti e diritto online, 1/2002.

44 Articolo 118 Costituzione: «Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per

assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».

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materia, non un valore, a forte contenuto tecnico che è finalizzata alla tutela di un bene della vita.

La prima fase è stata caratterizzata dalla tesi della trasversalità della materia ambientale, di origine giurisprudenziale, secondo la quale, dato che la materia ambientale non può essere definita e circoscritta in maniera rigorosa, anche perché si intreccia inevitabilmente con interessi e competenze diverse, l’ambiente non costituisce una materia in senso stretto45.

L’inversione di tendenza nella giurisprudenza è stata segnata dalla pronuncia della Corte Costituzionale 5 novembre 2007, n. 378, dove i giudici hanno chiarito che l’ambiente non deve essere considerato come «bene immateriale», trattandosi invece di un bene della vita, materiale e complesso, la cui disciplina comprende anche la tutela e la salvaguardia della qualità e degli equilibri delle sue singole componenti46.

1.2. I principi dell’azione amministrativa a rilevanza ambientale. Le ricadute sull’ambito di esercizio dell’iniziativa economica

Quando si parla di principi in ambito ambientale è necessario tenere presente che questi sono frutto di un condizionamento esterno proveniente da una dimensione ultrastatale. Essi, infatti, sono stati forgiati ed elaborati a livello internazionale prima, comunitario poi, per approdare infine nel nostro ordinamento47.

45 La tesi della trasversalità della materia ambientale trova una sua articolata esposizione nella

sentenza della Corte Costituzionale n. 407 del 2002.

46 In realtà nella sent. n. 378 del 2007 la Corte Costituzionale ribadisce e sviluppa ulteriormente

quanto aveva già precedentemente affermato nella sent. 367 del 2007 in materia di paesaggio. Cfr. D. Amirante, Profili di diritto costituzionale dell’ambiente, in Dell’Anno P., Picozza E. (a cura di),

Trattato di diritto dell’ambiente, Vol. I, Pincipi generali, cit., pp. 268 e ss.

47 Sul punto si veda: F. Fracchia, Principi di diritto ambientale e sviluppo sostenibile, in Dell’Anno

P., Picozza E. (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, Vol I, Principi generali, cit., pp. 559 ss.; R. Rota, Brevi note sui “nuovi” principi generali di tutela ambientale, reperibile presso:

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I principi del diritto ambientale sono stati introdotti nel nostro ordinamento nel Testo Unico Ambientale (d’ora in poi, TUA), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, con la modifica ad esso apportata dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, che ha introdotto l’articolo 3ter contenente il riferimento ai principi dell’azione ambientale. Tale articolo rubricato quale «principio dell’azione ambientale», afferma che «la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati all’ambiente, nonché al principio chi inquina paga che, ai sensi dell’articolo 174, co. 2, del TUE, regolano la politica della comunità in materia ambientale».

Inoltre, il TUA riconosce autonoma dignità al principio dello sviluppo sostenibile (art. 3quater), al principio di sussidiarietà (art. 3quinquies) e al principio di accesso alle informazioni ambientali e partecipazione a scopo collaborativo (art. 3sexies)48.

I principi ambientali guidano l’azione amministrativa a tutela dell’ambiente e conseguentemente tali principi giocano un ruolo fondamentale nell’ambito di applicazione dei limiti all’attività di impresa. Tali principi, infatti, risultano essere la base dei procedimenti amministrativi a valenza ambientale e, senza ombra di dubbio, tra i principi ambientali un ruolo di estrema rilevanza è rivestito dal principio dello sviluppo sostenibile. Il TUA, infatti, dispone espressamente che l’attività della PA «deve essere finalizzata a consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell’ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità, gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio

http://www.astrid-online.it/static/upload/protected/Rota/Rota_Brevi-note-sui-principi-generali-tutela-ambientale.pdf

48 Sul punto si veda: U. Salanitro, I principi generali nel Codice dell’ambiente, in Giornale di diritto

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culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione»49.

Quest’ultima indicazione introduce così una sorta di condizionamento sull’attività amministrativa vincolando il potere pubblico a una speciale attenzione verso le problematiche connesse con la tutela dell’ambiente da cui si deve partire nel prendere in esame le singole fattispecie.

In generale, risulta così essere centrale la ricerca di un punto di equilibro, che avviene nei procedimenti amministrativi a valenza ambientale, dove il bilanciamento avviene, secondo uno schema che vede, ferma restando la prioritaria considerazione dell’ambiente di cui si deve dare compiuta contezza, una garanzia per gli interessi de quibus. La prioritaria considerazione assume così carattere di assolutezza sul piano procedurale piuttosto che su quello sostanziale50.

Il principio di precauzione rappresenta uno dei più importanti strumenti in materia ambientale utilizzato per perseguire un approccio anticipatorio al rischio di danno ambientale. Questo principio, infatti, può essere invocato, in assenza di piena certezza scientifica, dovuta da divergenti posizioni nella scienza o nella tecnica, per regolamentare, limitare e addirittura proibire comportamenti o l’immissione in circolazione di prodotti potenzialmente dannosi per l’ambiente. Tale principio entrerebbe quindi in azione quando risulta necessario impedire il verificarsi di conseguenze dannose o pericolose per l’ambiente o la salute che siano possibili, ma non prevedibili51.

La sua più nota affermazione si lega alla Dichiarazione di Rio del 199252, in base alla quale gli Stati devono applicare misure di precauzione al

49 Art. 3quater, co.2, d.lgs. 152/2006.

50 S.A. Frego Luppi, Giusto procedimento e amministrazione ambientale, Editoriale Scientifica,

2018, pp. 72 ss.

51 M. Montini, Profili di diritto internazionale, in Dell’Anno P., Picozza E. (a cura di), Trattato di

diritto dell’ambiente, Vol. I, Principi generali, cit., pp. 35 e ss.

52 La prima conferenza mondiale dei capi di Stato sull’ambiente, denominata «Summit della Terra»,

tenutasi a Rio de Jainero dal 3 al 14 giugno 1992 ha prodotto importantissimi risultati tra cui la Convezione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e la Dichiarazione di Rio sull’ambiente e sullo sviluppo. Quest’ultima non risulta essere altro che un catalogo dei principi del diritto ambientale, qui consacrati per la prima volta a livello internazionale.

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fine di proteggere l’ambiente. Inoltre, ivi si prevede che, in caso di danno grave o irreparabile, la situazione di incertezza scientifica non deve servire da pretesto per ritardare l’adozione di misure concrete per prevenire e cautelare.

A livello europeo, il principio di precauzione ha trovato un’esplicita base di riferimento all’articolo 191, par. 3, TFUE dove si afferma che la politica ambientale dell’Unione europea persegue un elevato livello di tutela ambientale ed è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio di correzione in via prioritaria alla fonte e il principio di chi inquina paga53.

L’Unione europea ha inoltre indicato una serie di requisiti in base ai quali il principio di precauzione trova applicazione54. In accordo con quanto

stabilito dall’Unione, si deve ricorrere a tale principio nel momento in cui si siano identificati gli effetti potenzialmente negativi, si sia poi effettuata una valutazione scientifica basata su tutti i dati disponibili esistenti e, infine, che da tale valutazione emerga una situazione di incertezza55. Su questa base il

principio di precauzione prevede l'inversione dell'onere della prova in modo da responsabilizzare chi intenda agire sull'ambiente o immettere sul mercato

53 Si può notare come tra l’articolo 191, par. 3, TFUE e l’articolo 3ter D.lgs. 152/2006 vi sia una

totale convergenza in quanto prevedono i medesimi principi in campo ambientale.

54 L’Unione europea si è a lungo interrogata sul problema di come e quando utilizzare il principio

di precauzione. A seguito di tale dibattito ne è scaturita una Comunicazione sul principio di precauzione ad opera della Commissione europea, del 2 febbraio 2000, contenente una serie di considerazioni e requisiti necessari per la sua applicazione. La comunicazione è reperibile presso:

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex:52000DC0001

55 Nell’applicazione del principio in questione, l’individuazione del rischio di un danno all’ambiente

che legittimi o imponga l’adozione di una misura di tutela deve avvenire sulla base di valutazioni scientifiche obiettive, secondo quanto disposto, dall’art. 191, § 3, del TFUE, per cui l’azione in materia ambientale deve essere sempre fondata sui dati scientifici e tecnici disponibili. Posto che le misure precauzionali non sono basate su certezze assolute ma, di contro, hanno un costo spesso molto elevato, occorre, inoltre, per tacitare i detrattori di questo dibattuto principio, che esse siano adottate in esito a un’applicazione particolarmente severa della regola della proporzionalità, cosicché le stesse non risultino eccessivamente onerose e vi sia sempre una rigorosa proporzione tra il grado di probabilità dei rischi e di gravità dei danni temuti, da una parte, e il grado di incisività delle medesime misure sulle libertà antagoniste, dall’altra. La proporzionalità, a ben vedere, in materia ambientale si pone quale una sorta di “controlimite” rispetto alle possibili enfatizzazioni di principi come quello dello sviluppo sostenibile e, soprattutto, quello di precauzione. Cfr. M. Renna,

I principi in materia di tutela dell’ambiente, in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente, 2012,

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prodotti e/o sostanze potenzialmente pericolose rispetto ai quali non vi è certezza scientifica56.

Il TUA non fornisce alcuna definizione circa contenuto e applicazione del principio di precauzione, ma si limita semplicemente a richiamarlo all’articolo 3ter. Tale principio viene successivamente ripreso nella parte delle norme relative al danno ambientale57; ivi si prevede che qualora

emergano pericoli anche solo potenziali per la saluta umana o per l'ambiente gli operatori devono adempire tempestivamente a specifici obblighi informativi nei confronti delle autorità pubbliche. Una volta segnalata la situazione il Ministro dell'ambiente può adottare, ex art 304 TUA, apposite misure di protezione: si fonda così il potere di ordinanza del Ministro dell'ambiente finalizzato alla gestione di una situazione di pericolo anche solo potenziale58.

Il principio dell’azione preventiva è strettamente collegato al principio di precauzione, entrambi infatti trovano applicazione nel momento in cui è necessario prevenire o impedire il verificarsi di una conseguenza dannosa per l’ambiente. Il principio in esame però, diversamente dal principio di precauzione, si applica ad azioni puntuali e agisce nel momento in cui la statistica e l’evoluzione scientifica danno certezza sul verificarsi di un danno all’ambiente. Si tratta di situazioni in cui non è certo che accada l’evento, ma

56 Gli esempi più importanti di discipline ambientali adottate sulla base del principio in esame sono

le norme comunitarie sui microrganismi geneticamente modificati, MOGM., e sugli organismi geneticamente modificati, OGM, e le norme nazionali sull’inquinamento elettromagnetico. È, infatti, con la Legge 22 febbraio 2001, n. 36, la legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, che si ritiene che il legislatore abbia inaugurato un nuovo modello precauzionale dell’incertezza, adottando un approccio che consente di anticipare ulteriormente la tutela in un momento in cui non vi è neppure la certezza circa gli eventuali effetti dannosi di un certo comportamento, agendo, per l’appunto in via precauzionale. Cfr. F. Mattassoglio, Inquinamento elettromagnetico, in P. Dell’Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di

diritto dell’Ambiente, Vol II, Discipline ambientali di settore, cit., pp. 375 ss.

57 Parte IV – Danno ambientale e tutela risarcitoria, D.lgs. 152/2006.

58 Art. 304, co. 3, D.lgs. 152/2006: «Il ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare,

in qualsiasi momento ha facoltà di: a) chiedere all’operatore di fornire informazioni su qualsiasi imminente di danno ambientale o su casi sospetti di tale minaccia imminente; b) ordinare all’operatore di adottare le specifiche misure di prevenzione considerate necessarie, precisando le metodologie da seguire; c) adottare egli stesso le misure di prevenzione necessarie».

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sappiamo che questo può verificarsi59. «Prevenire», infatti, dal latino «prae»

e «venire», dunque, «venire prima», significa prendere tutte le precauzioni necessarie perché un evento negativo o dannoso non si verifichi60.

Non a caso, infatti, il principio di prevenzione è stato ritenuto operante in un rapporto di complementarità con quello, più recente, di precauzione, il quale pare consentire una tutela anticipata rispetto alla fase dell'applicazione delle migliori tecniche previste, tutela che non impone, quindi, un monitoraggio dell'attività da farsi al fine di prevenire i danni, ma esige di verificare preventivamente che l'attività non danneggi l'uomo o l'ambiente61.

A livello internazionale il principio dell’azione preventiva si sviluppa quale criterio guida generale a carico degli Stati al fine di obbligarli a comportarsi diligentemente in tutte le attività svolte sotto il loro controllo o la loro giurisdizione, in modo da evitare, ove possibile, il deterioramento delle componenti ambientali, limitando, controllando e riducendo le attività in grado di causare un danno all’ambiente.

A livello europeo tale principio trova un riconoscimento all’articolo 191 TFUE, laddove, come sopra ricordato, vengono elencati i principi su cui si devono basare le politiche ambientali.

Nel nostro ordinamento sono numerosi gli strumenti attraverso cui si dà applicazione al principio dell’azione preventiva. Anzitutto, vi sono i procedimenti amministrativi funzionali a saggiare le possibili ricadute sull'ambiente o sulla salute di determinate azioni, tra i quali si inseriscono i procedimenti amministrativi a valenza ambientale di valutazione di impatto ambientale (d’ora in poi, VIA), valutazione ambientale strategica (d’ora in poi, VAS) e autorizzazione integrata ambientale (d’ora in poi, AIA). Altrettanto applicativa di tale principio è la disciplina sui rifiuti basta

59 M. Montini, Profili di diritto internazionale, in Dell’Anno P., Picozza E. (a cura di), Trattato di

diritto dell’ambiente, Vol. I, Principi generali, cit., pp. 33 e ss.

60 Prevenire, Dizionario Treccani.it, ad vocem.

61 G. Mancini Palamoni, Il principio di prevenzione, reperibile presso:

https://www.ambientediritto.it/home/sites/default/files/IL%20PRINCIPIO%20DI%20PREVENZI ONE%20Gloria%20Mancini%20Palamoni.pdf

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richiamare lo slogan adottato dalla normativa settoriale europea, secondo cui «il miglior rifiuto è quello non prodotto». Inoltre, rispondono a questo principio tutti gli strumenti economici che sono finalizzati alla tutela dell'ambiente quali, ad esempio, i meccanismi di certificazione di prodotto/processo e le varie tipologie di incentivi62.

Altro importante principio è quello di «chi inquina paga», affermato per la prima volta nella dichiarazione di Rio del 1992 quale principio n. 16. A tal proposito la Dichiarazione afferma che sono le autorità nazionali a dover farsi carico dell’internalizzazione dei costi per la tutela ambientale anche tramite l’impiego di strumenti economici. Il principio in commento si basa sull’assunto che è l’inquinatore, in quanto responsabile, a dover sostenere il costo dell’inquinamento. L’internalizzazione dei costi ambientali implica il dover sostenere costi corrispondenti a quello dell’inquinamento provocato. Così si persegue lo scopo di ridurre emissioni inquinanti, indirizzando gli investimenti in modo conseguente63.

Il problema interpretativo principale che ruota intorno a tale principio è, infatti, se questo essere interpretato nel senso che le conseguenze del danno ambientale debbano essere rivolte esclusivamente nei confronti dell’operatore che ha prodotto l’inquinamento (e dare così rilevanza al «chi»), ovvero se tale principio debba essere inteso nel senso di evitare comunque che il peso dell’inquinamento possa essere collettivizzato64.

A livello europeo, tale principio è stato riconosciuto nel primo programma di azione ambientale del 1973, ad oggi richiamato all’art. 191 TFUE, dove si afferma che le spese per la prevenzione e l’eliminazione dei fattori nocivi spettano di principio all’inquinatore.

62 Per un’analisi puntuale sugli strumenti economici a tutela dell’ambiente si veda il terzo capitolo

del presente lavoro.

63 Antonioli M., Sostenibilità dello sviluppo e governance ambientale, Giuffrè, 2016, p. 60. 64 Cfr. T. M. Cucci, S. Codispoti, Il principio chi inquina paga alla luce delle recenti pronunce della

Corte di Giustizia dell’Unione Europea, reperibile presso: http://www.ratioiuris.it/principio-inquina-paga-alla-luce-delle-recenti-pronunce-della-corte-giustizia-dellunione-europea/

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