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Sulla base di quanto esposto nei precedenti capitoli, cerchiamo ora di giungere a delle conclusioni che ci permettano di poter stabilire se, in seguito agli interventi legislativi che si sono susseguiti nel tempo, il principio di derivazione abbia perso o meno la sua originaria valenza.

Desideriamo partire da quanto esposto all'inizio di questo lavoro, ossia dagli interessi che hanno condotto il legislatore della Riforma tributaria degli anni 70' ad adottare il principio di derivazione quale sistema di determinazione del reddito d'impresa.

Le principali ragioni sono state:

- il risultato economico che emergeva dal bilancio rispecchiava il reale incremento di ricchezza prodotto nell'esercizio da un'attività imprenditoriale, garantendo così il rispetto del principio di capacità contributiva;

- l'esigenza di assicurare la certezza e la semplicità del rapporto tributario, sia come interesse dei contribuenti a non restare esposti all'azione accertatrice dell'Amministrazione, sia come interesse di quest'ultima alla riscossione dell'imposta;

- l'interesse a migliorare e garantire la disciplina dell'accertamento, anche per prevenire comportamenti elusivi o evasivi.

Per raggiungere tali obiettivi il legislatore fiscale ha così indicato il bilancio civilistico quale punto di partenza per la commisurazione della base imponibile: dalla sua redazione a garanzia degli interessi dei soci, dei creditori e dei terzi in genere, non avrebbe potuto non derivare altrettanta garanzia anche per le predette ragioni dello Stato.

Quello che viene definito come "bilancio fiscale" tutela l'interesse della capacità contributiva attuale ed effettiva cui legare il concorso alle spese pubbliche dei contribuenti, e come tale richiede regole puntuali e rigorose per disciplinarne la sua redazione.

Occorre però evidenziare che l'ordinamento giuridico italiano è sempre stato sostanzialmente impostato secondo un sistema del cd. monobinario, dunque non

186 esiste un "bilancio fiscale" in senso stretto: l'unico bilancio che il legislatore ha previsto è quello civile, mentre per "bilancio fiscale" deve essere inteso il complesso costituito da dichiarazione dei redditi e bilancio di esercizio, e non un documento autonomo.

Risulta quindi chiaro come la reale funzione del "bilancio fiscale" sia quella di pervenire alla determinazione di un reddito imponibile, cioè di un valore dalla limitata arbitrarietà a cui commisurare il prelievo fiscale in capo alle imprese.

Dobbiamo pertanto verificare se, con l'introduzione nel nostro ordinamento dei principi contabili IAS/IFRS, si può oggi affermare che il principio di derivazione sia ancora idoneo a garantite quei predetti interessi per i quali venne inizialmente adottato.

Sulla base dell'impostazione tradizionale del TUIR, infatti, risulta evidente che laddove mutano i principi di redazione del bilancio d'esercizio, e laddove essi rispondano a logiche diverse da quelle tenute in considerazione dal legislatore fiscale, come nel caso degli IAS/IFRS, possono sorgere problemi.

Dall'applicazione degli IAS/IFRS scaturisce, infatti, un bilancio particolare, volto a fornire informazioni utili (ed omogenee) agli investitori finanziari sulla capacità di reddito delle imprese e, di riflesso, sulle remuneratività e rischiosità dell'investimento partecipativo.

Al contrario, il bilancio redatto con i criteri tradizionali del Codice civile è volto - più che ad informare sulle performances potenziali dell'impresa - a rappresentare, a consuntivo, i profitti e le perdite di gestione effettivamente realizzate, nell'ottica di misurare gli anzidetti risultati con prudenza (ne è espressione il principio del costo storico, quale limite al valore di iscrizione dei beni e l'obbligo di rilevazione degli oneri anche se solo probabili, in contrapposizione all'imputazione dei profitti solo se effettivamente realizzati) ed allo scopo, più in generale, di salvaguardare l'integrità del capitale sociale a tutela dei terzi creditori e dei soci della società.

Per la disciplina dei principi IAS/IFRS i fenomeni giuridici sono presi in considerazione secondo il criterio della prevalenza della sostanza sulla forma, mentre nei bilanci tradizionali gli stessi fenomeni sono valutati sulla base della loro qualificazione civilistico-formale.

187 bilancio redatto secondo i principi IAS/IFRS (che, “medio tempore”, hanno acquisito valenza civilistica) e le norme del TUIR.

In particolare, tale problema è ancor più sentito nel nostro ordinamento dove è stata prevista l'applicazione, in linea generale, dei principi IAS/IFRS anche al bilancio individuale d'esercizio e non solo a quello consolidato delle società di capitali.

Un ulteriore problema al quale potrebbe dar vita una generalizzata applicazione dei principi contabili internazionali nell'ordinamento nazionale è legato alle modalità tecniche del loro recepimento.

L'esigenza del legislatore fiscale, infatti, è quella di porre regole certe che presiedono alla determinazione del reddito, anche laddove si applicano le norme civilistiche in materia di bilancio ed i principi contabili nazionali.

L'applicazione dei principi contabili internazionali, invece, comporta il rinvio ad un diverso quadro generale di riferimento, con l'effetto per il legislatore tributario di dover modificare la stessa tecnica di redazione delle norme fiscali.

Bisogna anche considerare che in seguito al riconoscimento civilistico del bilancio redatto sulla base dei principi contabili internazionali, gli IAS/IFRS omologati hanno ora acquistato forza di legge.

Il principio di derivazione, infatti, opera come una sorta di snodo tra due differenti ordini di norme, quelle contabili e quelle fiscali, di cui il secondo presuppone il primo.

Attraverso, pertanto, il principio di derivazione, si è attuato il vero e proprio recepimento degli IAS/IFRS nel sistema fiscale nazionale.

Oggi, pertanto, il reddito imponibile potrebbe essere determinato sulla base di regole che vengono prese non più da un apparato legislativo interno, bensì da un ente privato esterno, quale lo IASB, che determina i principi contabili internazionali.

L'adozione di quest'ultimi effettuata con regolamenti comunitari, non sposta i termini della questione, poiché questo è solamente il mezzo giuridico attraverso il quale essi vengono fatti valere nei confronti di tutti gli Stati membri, mentre la loro determinazione viene effettuata da un organo privato straniero (lo IASB appunto) e dai suoi apparati operativi.

188 legalità che regola la disciplina fiscale interna.

Possiamo allora affermare che quegli interessi che dovevano essere tutelati mediante l'adozione del principio di derivazione, non trovano più una reale garanzia nell'attuale sistema di determinazione del reddito d'impresa.

Il principale interesse ad essere messo in pericolo è il principio di capacità contributiva.

Qualora, infatti, la capacità contributiva sia intesa nel senso classico- economico come espressiva di una ricchezza di cui il soggetto passivo può disporre, il risultato di esercizio misurato sulla base dei principi contabili internazionali non può essere considerato, in linea di massima, idoneo a concretarne il presupposto.

Il collegamento del reddito d'impresa al bilancio di esercizio consente, come visto, di assicurare una certa attendibilità all'imposta dovuta.

Ciò in quanto la formazione del reddito d'impresa attraverso i criteri analitici elaborati dalla contabilità aziendale comporta il raggiungimento dell'esigenza di rapportare il prelievo tributario alla reale capacità contributiva del soggetto, così come espresso dall'esercizio dell'attività imprenditoriale.

Dal confronto, però, tra i principi contabili nazionali (che seguono un modello contabile basato sulla realizzazione delle variazioni patrimoniali e sulla forma giuridica dei fenomeni reddituali) e quelli internazionali (che invece segue un diverso modello riferito alla maturazione delle variazioni patrimoniali ed alla sostanza economica dei fenomeni) emerge come il concetto di reddito non possa avare una sua definizione univoca nel nostro ordinamento.

Pertanto, una pluralità di modelli di reddito danno luogo anche a differenti configurazioni dell'imponibile.

Infatti, l'adozione di un modello contabile comporta riflessi anche nel calcolo dell'imponibile, riconoscendo in tal modo il carattere convenzionale della grandezza economica che serve da presupposto per tale calcolo.

Il principio di derivazione, pertanto, andrebbe confinato nelle ipotesi in cui comporta meno divergenze possibili nel calcolo degli imponibili.

In tal modo si porrebbe anche un problema di interferenze fiscali nella scelta dell'impianto contabile: quei soggetti che possono decidere tra l'applicazione dei principi nazionali o di quelli internazionali sarebbero influenzati in tale scelta

189 dalle sue conseguenze impositive.

L'applicazione degli IAS/IFRS, come visto, da luogo a risultati più volatili, e l'elevato grado di discrezionalità lasciato agli operatori nell'elaborare il bilancio d'esercizio sulla base dei principi contabili internazionali, potrebbe condurre ad avere due differenti risultati fiscali qualora la stessa impresa adotti tali principi o quelli nazionali.

Per questo motivo i principi IAS/IFRS si presentano poco compatibili col concetto di capacità contributiva intesa quale forza economica effettiva e realizzata.

Viene in tal modo abbandonato il concetto di reddito inteso come "reddito realizzato", ossia come incremento effettivo e stabile di patrimonio consistente in denaro o in beni patrimoniali convertibili in denaro con appropriati atti di scambio.

Il reddito del bilancio IAS/IFRS non sembra avere tali connotati. 367

La piena derivazione del reddito imponibile dal risultato di un bilancio redatto sulla base degli IAS/IFRS porterebbe all'estrema accentuazione del problema.

Se invece la capacità contributiva viene intesa come mero criterio di riporto del carico tributario, e possono esserne manifestazione anche presupposti che, pur ricollegandosi a fenomeni economici, non sono espressivi di una effettiva capacità economica, non sembra che l'articolo 53 della Costituzione possa costituire un ostacolo per assoggettare ad imposizione un risultato di esercizio che possiede le caratteristiche di quello espresso dall'applicazione degli IAS/IFRS.

Conseguenza di tale problema è la possibile lesione del principio costituzionalmente garantito di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione).

Creare un duplice livello di criteri determinanti l'imponibile viola il predetto principio, specie se si considera che l'appartenenza ad uno dei due livelli scaturisce dalla natura e dalla volontà dei soggetti.

367 C.SACCHETTO, Gli IAS/IFRS come punto di partenza per un imponibile comune europeo, in Corr. Trib. n. 44/2007, pp. 3565 e ss., dopo aver rilevato che «La questione di maggior rilevanza dal punto di vista sistematico è

quindi se possa o debba coesistere con i principi contabili internazionali il principio della derivazione, come tutt'ora vige in Italia, ovvero se sia opportuno "slegare" le risultanze civilistiche IAS/IFRS dalla determinazione del reddito imponibile», distingue tra «reddito giuridicamente prodotto e reddito economicamente prodotto», e sostiene che «i principi contabili internazionali pongono un tema nuovo alla dottrina tributaristica. I principi contabili nazionali infatti hanno sempre imposto l'iscrizione del componente di reddito (positivo o negativo) al trasferimento della proprietà o prestazione del servizio secondo una accezione meramente giuridica. Nel senso che il costo/ricavo per l'acquisto/vendita del bene veniva iscritto dietro verificazione del relativo presupposto giuridico. V'è da dire che la norma tributaria non era, o meglio non è ... esattamente allineata con il concetto di trasferimento giuridico della proprietà, ma tale disallineamento pare essere esclusivamente dovuto a motivazioni di semplificazione».

190 Anche le ulteriori due esigenze, di assicurare la certezza e la semplificazione del rapporto tributario, unite a quella di migliorare e garantire la disciplina dell'accertamento, possono considerarsi seriamente in pericolo.

L'applicazione dei principi contabili internazionali, difatti, ha condotto, come abbiamo visto, all'adozione di una serie di norme particolari che regolamentano i vari aspetti del rapporto tra disciplina contabile e quella fiscale.

Risultato di ciò è un possibile aumento delle contestazioni che, per la natura dei principi stessi, non si fermerà solamente alla semplice verifica delle dichiarazioni, ma dovrà per forza di cose risalire fino ad un controllo contabile.

Abbiamo infatti visto, che con le modifiche che sono state apportate all'articolo 83 del TUIR è possibile oggi affermare che siamo di fronte, per le società che adottano i principi IAS/IFRS, ad un sistema di derivazione diretta del reddito fiscale dai rilievi contabili, ancor più che per i soggetti non IAS.

Il dubbio è se l'Amministrazione potrebbe essere legittimata anche ad effettuare controlli e rilievi di ordine non solo meramente tecnico contabile, bensì anche andando a sindacare le scelte e le valutazioni effettuate nella redazione del bilancio.

Si potrebbe con ciò arrivare ad una contestazione che fino a poco tempo fa era permessa solamente a livello societario per tutelare quei soci che potevano essere stati lesi da eventuali manovre di bilancio artatamente compiute a loro svantaggio.

L'Amministrazione potrebbe oggi comportarsi come un socio (cosa che di fatto è), con buona pace per la certezza e per la semplificazione dei rapporti con i contribuenti.

Possiamo in questo caso richiamare quella dottrina citata nei capitoli precedenti secondo cui eventuali interventi sul bilancio che se non avessero uno scopo fiscale non sarebbero stati fatti, possono essere visti come lecito vantaggio fiscale, anche sulla base di quanto si riteneva da taluni essere ammesso dalla IV Direttiva.

L'Amministrazione finanziaria, per ipotesi, potrebbe anche, in sede di controllo, sindacare se i principi IAS/IFRS adottati sussistano realmente e se siano correttamente applicati.

Oltretutto, la volatilità ed intangibilità dei criteri IAS/IFRS, in particolare l'accoglimento del principio di prevalenza della sostanza sulla forma (che comporta, come visto, l'inapplicabilità dei commi 1 e 2 dell'articolo 109 del TUIR,

191 con il conseguente abbandono dei criteri giuridici da tali norme previsti per la individuazione del momento di competenza temporale dei componenti reddituali) aumentano tale incertezza sostanziale sia nella redazione e conteggio del reddito imponibile, sia nel momento del controllo e verifica del reddito stesso.

In tale ultima ipotesi oltretutto l'Amministrazione contesterebbe al contribuente direttamente la lesione dell'applicazione del principio contabile, in quanto norma giuridica?

E' facile pensare che una maggiore libertà operativa a livello contabile potrebbe essere facilmente utilizzata per ottenere leciti o meno vantaggi fiscali, riproponendo in tal modo quella problematica sull'inquinamento fiscale da anni oggetto di aspri dibattiti.

Viene così meno anche l'ulteriore interesse che si voleva tutelare con l'adozione del principio di derivazione, ossia evitare comportamenti evasivi.

Ulteriore aspetto da considerare è che i principi IAS/IFRS hanno oggi forza di legge, direttamente anche ai fini fiscali, stante la loro adozione attraverso regolamenti comunitari.

In tal modo, detti principi contabili possono derogare a quelli fiscali nel caso in cui ci possa essere una qualche discordanza tra loro.

Il legislatore nazionale, in materia di determinazione del reddito d'impresa, delega così una fetta di potestà normativa agli organi legittimati a produrre detti principi internazionali.

Le future variazioni degli IAS/IFRS, effettuate dagli enti privati stranieri legittimati (IASB) vincoleranno non solo il legislatore nazionale, ma anche i soggetti chiamati ad applicarli, ossia le società contribuenti e, soprattutto, l'Amministrazione finanziaria.

Il delegare in tal modo una fetta del potere normativo ad organi privati "esterni" appare così poco rispettoso del principio di riserva di legge dell'articolo 23 della Costituzione.

Da quanto esposto, pertanto, possiamo affermare che al principio di derivazione oggi non può essere riconosciuto lo stesso valore che aveva voluto dargli il legislatore della Riforma tributaria e dobbiamo chiederci se forse non sarebbe meglio, per restare al passo con le modifiche imposte a livello europeo, cercare una diversa soluzione al rapporto tra il reddito civile e quello fiscale.

192 La possibilità, infatti, che i contribuenti possano scegliere l'adozione dei principi contabili nazionali o internazionali, con conseguenze anche sul piano del prelievo tributario, condurrebbe ad una decisione influenzata da tale ultimo effetto.

Ciò fa sorgere però una disparità di trattamento in cui soggetti che versano in situazioni economiche omogenee verrebbero a subire prelievi fiscali differenti solo sulla base del sistema contabile utilizzato.

In tal modo viene meno la uniformità degli imponibili ed il principio di uguaglianza che ne è a monte, sia inteso nel senso sostanziale sia inteso come parità di partecipazione alle pubbliche spese (capacità contributiva).

Il principio di derivazione, pertanto, se mantenuto deve essere ricondotto nei binari di tutela dell'uguaglianza del prelievo tributario e di neutralità.

Si concilierebbero, in questa maniera, quegli interessi sia fiscali sia extrafiscali cui abbiamo inizialmente accennato e che sono state la linea guida nell'introduzione di tale forma di rapporto tra reddito civile e reddito fiscale, per aversi quell'adeguamento del reddito imponibile a quello calcolato secondo i principio di competenza economica, così come richiesto dalla Riforma tributaria degli anni 70'.