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Il processo di impoverimento:la povertà come fenomeno Multidimensionale Gli studi sulla povertà evidenziano come ormai da molti anni questo fenomeno abbia

raggiunto dei livelli di elevata complessità, per cui non rispecchia solo una condizione di insufficienza economica e circoscritta a frange marginali della popolazione. Bensì il fenomeno della povertà si manifesta sempre più come il risultato di molteplici fattori che vengono ad influenzare e rendere più fragile la qualità della vita degli individui. Ad oggi si può dire, in generale, che per povertà ci si riferisce a condizioni di

sofferenza anche molto diverse tra loro. Assumendo ora la veste di causa, ora quella di effetto di particolari anche condizioni di esclusione ed emarginazione [Saraceno, 2015]. Di queste si sottolinea, sempre più frequentemente , il fatto che non si tratti

necessariamente di condizioni irreversibili , né tanto meno di destini sociali ereditati alla nascita: per cui si tematizzano, assieme ai percorsi di progressiva cronicizzazione, anche le possibilità di fronteggia mento. Della povertà, si evidenzia, sovente , il suo aspetto processuale : “ l’Impoverimento”[Bosco, Negri, 2003: 87] in cui il dinamismo non segue un senso unilineare e presenta determinazioni multicausali.

33Le aree indagate sono: povertà di salute, di istruzione, lavoro, abitazione,di relazioni sociali e di condizioni

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È l’integrazione di diverse dimensioni della sfera economica e sociale che consentono di determinare le complesse fenomenologie della povertà, in una prospettiva che

approfondisca ma anche trascenda la semplice comparazione tra livelli di reddito o di consumo. In questo senso, molte sono le variabili e quindi le dimensioni che possono influenzare lo stato economico e sociale (quindi di deprivazione ed esclusione sociale) sia dei singoli che dei gruppi. Ciò richiama un intreccio di questioni teorico-concettuali, conoscitive e metodologiche che hanno a che fare con il “significato sociale della povertà” e del suo studio, con la complessità e varietà delle forme con cui tale fenomeno può presentarsi.

Chiara Saraceno così afferma:

La povertà è la forma meno, o per nulla, accettabile della disuguaglianza economica. Essa segnala, infatti, una difficoltà o impossibilità a soddisfare in modo adeguato i propri bisogni nella società in cui si vive e a condurre la propria vita secondo le proprie aspirazioni e capacità. In questo senso rappresenta una forte limitazione non solodella possibilità di consumo, ma della libertà. Per utilizzare la terminologia di Sen, potremmo dire che si è poveri quando non si riescono a tradurre le propriecapacità in funzionamenti. O peggio ancora, quando le risorse per i funzionamenti sono così ridotte da mettere in pericolo le capacità stesse; come avviene, ad esempio, quando un bambino non può andare a scuola , o deve abbandonarla precocemente o è costretto a lavorare duramente in età precoce, o quando la malnutrizione incide sullo sviluppo psico-fisico.[Saraceno, 2015:31]

L’esperienza della povertà materiale (anche se non è l’unico aspetto) può anche ridurre , se non impedire tout court , di partecipare alla vita sociale e politica, perché non se ne hanno le risorse materiali e/o culturali o perché ci si sente , o si viene fatti sentire inadeguati. È per questi possibili effetti sugli aspetti non materiali dell’esistenza che la povertà costituisce non solo un problema morale, né solo un problema di equità o giustizia sociale, ma anche un problema di democrazia [Dovis-Saraceno, 2011:49]. Quanto detto sin ora vuole evidenziare che analizzare la povertà solleva una serie di difficoltà sia nella definizione del concetto sia nella scelta dei criteri da impiegare nella sua misura. Tuttavia gli studi sul fenomeno della povertà oggi offrono diversi concetti che possono essere strettamente connessi, condividendone caratteristiche importanti [Morlicchio, 2012].

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La povertà non colpisce le persone e le famiglie nella stessa misura. E quasi sempre , però, le carenze non si presentano da sole, bensì cumulandosi, aggravano le condizioni di inferiorità sociale di persone, famiglie e gruppi. Tuttavia in questo lavoro di tesi si è deciso di porre l’attenzione, oltre all’ambito economico, anche ad altri fattori, che intrecciati fra loro concorrono più di altri, a determinare le condizioni di vita delle persone e la loro collocazione nella scala sociale, in quanto la carenza in uno o più aspetti della vita umana possono sfociare in disuguaglianze e/o povertà[Paci, 1993:84]. Verranno di seguito specificati alcuni aspetti ritenuti maggiormente rilevanti oltre che per il carattere multidimensionale della povertà, soprattutto ai del tema principale di questa tesi che è la povertà educativa minorile.

-L’occupazione e la qualità del lavoro. Avere un lavoro o esserne privo è fonte

primaria di disuguaglianza: il lavoro costituisce il presupposto stesso del «far parte» della comunità civile. La mancanza del lavoro può produrre un’intollerabile perdita di identità personale, familiare e sociale. Essere occupati, però,non protegge totalmente dalla povertà; in quanto di fronte alla prevedibile diffusione della flessibilità

dell’occupazione, oggi si presenta uno scenario di forme molte varie che a sua volta producono condizioni sociali notevolmente differenziate. Accanto a chi non ha un lavoro, si trova così invece chi ha un lavoro a bassa remunerazione, chi deve

accontentarsi non per propria scelta di lavori precari, atipici, parasubordinati, a termine, stagionali. Ad oggi sempre più in aumento a essere senza un lavoro è la figura

principale, o esclusiva, che detiene la responsabilità di mantenimento propria e dei famigliari. Dei molti giovani che vivono con genitori lavoratori o pensionati. Ed ancora le madri sole, ed i giovani che usciti dalla propria famiglia d’origine vivono per conto proprio [Saraceno, 2015]. È bene sottolineare che la mancanza di un lavoro o un lavoro con bassa remunerazione, non sempre si accompagna a povertà e deprivazione

materiale. Le ragioni di questo apparente paradosso risiedono nella mediazione che si crea tra la presenza operata dalla condizione familiare, da un lato, e nel ruolo delle politiche redistributive (trasferimenti) dall’altro. Inoltre pensare che l’aumento dell’occupazione generi automaticamente una riduzione della povertà appare un’illusione, perché quello che incide notevolmente in questi termini è la qualità dell’attività svolta, per cui non incide solo la remunerazione che si ottiene, ma anche il prestigio sociale che ne deriva e le caratteristiche intrinseche alle prestazioni lavorative.

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-Istruzione e Cultura. Il livello di istruzione è un fattore fondamentale dello status sociale delle persone: il sapere è fonte di arricchimento e promozione umana,

contribuisce all’accesso a tipi di lavoro qualitativamente migliori ed è, di per sé, fattore di prestigio sociale. L’insieme delle conoscenze e il grado di formazione culturale acquisito negli anni influenzano in misura decisiva, oltre che alla conoscenza di sé e alla fruizione dello status di cittadino, anche a determinare la collocazione sociale delle persone nella società, nel facilitare la frequentazione di ambienti socio-culturali più elevati, oltre che agevolare nella vita di relazione [Fondazione Zancan,2015]. Non è difficile concludere che, il livello di istruzione e formazione della cultura è quasi sempre determinante per la sua futura condizione di vita di ogni singolo individuo.

-Differenza di genere ed età . Questi due aspetti sono fortemente associati e determinati

dalle posizioni dell’economia e nell’organizzazione della società. Le donne

sperimentano in generale un rischio di povertà più elevato degli uomini, per diversi motivi. In primo luogo le donne sin dalle più antiche epoche storiche sono state considerate non adatte per certe professioni che richiedevano a sua volta determinate caratteristiche fisiche e mentali tali per cui avrebbero inciso sul ruolo principale della donna, ovvero quello di madre e moglie [Saraceno, 2012:98]. Anche se fortunatamente oggi le trasformazioni culturali, sociali, politiche ed economiche abbiano apportato dei profondi cambiamenti, purtroppo vi sono Paesi in cui ancora vige questa “regola”. Tuttavia le donne sono spesso più inattive e di conseguenza più vulnerabili rispetto agli uomini. In quanto il carico di lavoro famigliare rende particolarmente difficile alle “donne-madri” conciliare responsabilità domestica e partecipazione al mercato del lavoro, in un Paese come l’Italia in cui, la partecipazione al mondo del mercato è più contenuta che in altri Paesi Europei, ma anche i servizi di cura sono scarsi. A questo va ricordato l’aumento dell’instabilità coniugale e la conseguente crescita delle famiglie monogenitoriale. In secondo luogo, anche se occupate, lo sono più spesso part-time e con contratti atipici, e quando perdono il lavoro lo ritrovano più difficilmente. Sono pagate di meno a parità di mansioni con il sesso maschile e, per questi stessi motivi in età anziana hanno pensioni inferiori ( che siano pensioni proprie o di reversibilità).

-Relazionalità Familiare e Sociale. In questo caso si sottolinea l’importanza del

“legame di filiazione”, ovvero l’importanza che assume per ogni singolo individuo la presenza, la cura, protezione ed educazione della propria famiglia d’origine. Il legame

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di filiazione contribuisce alla crescita, all’equilibrio affettivo dell’individuo fin dalla sua nascita poiché gli assicura stabilità e protezione. A questa primaria struttura naturale e sociale vi si aggiunge l’importanza della società [Saraceno, Naldini, 2013]. Ovvero l’importanza riguarda la socializzazione extrafamiliare, in cui il soggetto nel corso della propria vita entra in contatto con altri individui nel quale avrà la possibilità di imparare a conoscere e farvi partecipe di diversi gruppi e diverse istituzioni. Per cui partecipare alla vita sociale al di fuori del quadro familiare è necessario affinché l’individuo si integri imparando a rispettare regole, norme che gli preesistono. I legami che ricadono in questo tipo di socializzazione sono molteplici, dal vicinato, al gruppo degli amici, i compagni di scuola, le istituzioni religiose, sportive, culturali ecc… In questi contesti l’individuo ha la possibilità di costruire e far affermare la propria personalità in relazione con gli altri, imparando ad allearsi con loro quanto a distinguersi o

contrapporvisi. E in ultimo, ma non per importanza, avrà la possibilità di poter disporre ed esercitare a pieno titolo dei propri diritti civili, economici e sociali così come viene previsto in tutte le società democratiche. Il tutto evidenzia come il sistema sociale delle appartenenze molteplici garantiscono contemporaneamente sia il conforto della

protezione sia la certezza del riconoscimento sociale.

-Differenze territoriali . Vivere in un luogo anziché in un altro può fare una grande

differenza. Vivere in aree rurali sarà diverso che vivere nei centri urbani . In quanto incide fortemente il sistema delle opportunità che offre il territorio, proposto anche sottoforma di stimoli e di incentivi da parte delle istituzioni locali e regionali oltre che statali. Il fattore ambientale incide sempre più fra le generazioni più giovani, sopratutto in termini di restrizioni delle opportunità e delle capacità/possibilità di investimento sul proprio futuro. Questo è quello che si verifica principalmente nel nostro Paese nel costante divario tra Nord e Sud. Già nel 1986 Ermanno Gorrieri, presidente della prima Commissione di indagine sulla povertà, segnalava come in Italia la povertà avesse una doppia caratteristica: era fortemente concentrata territorialmente (nel Mezzogiorno)34 ed era eminentemente familiare, nel senso che erano soprattutto i nuclei composti da tre o più componentia essere poveri. Questa doppia caratteristica si è rivelata persistente nel

34Come documentano Amendola et al. (2011), questa è una caratteristica che risale all’Unità d’Italia. Essi parlano, a questo

proposito, di “extra-richio” di essere se si vive nel Mezzogiorno piuttosto che nel Settentrione, un extra-rischio che nel corso dei centocinquant’anni dall’Unità è aumentato. Conte et al. (2011) mostrano come, nell’arco di tempo più breve che va dal 1985 al 2000, è anche aumentato il divario Nord-Sud nella percentuale della popolazione non povera, ma a rischio di diventarlo non appena qualche cosa si inceppi nel fragile equilibrio di bilanci compresi ( un figlio in più, una malattia, una spesa imprevista).

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corso dei quarant’anni trascorsi dal primo Rapporto sulla povertà in Italia, al punto che alcuni studiosi iniziarono a parlare di un modello di «povertà integrata» [Paugam, 2013]. Infatti la povertà derivante dalla base familiare e da una concentrazione

territoriale non produrrebbero anche esclusione sociale,in quanto i “poveri” si sentono appartenenti a una comunità di simili, in cui si condividono esperienze di deprivazione senza che questi divengano anche stigmatizzanti e producano isolamento, e anzi sollecitano solidarietà e condivisione, ma dall’altro lato si riducono le opportunità di uscita dalla condizione di povertà per tutti. Peraltro questo tipo di caratteristiche fanno sì che il tasso di persistenza e persino la sua trasmissione da una generazione all’altra siano un fenomeno più generalizzato che in altri paesi. Va osservato che solo nel nostro Paese c’è una così forte “territorializzazione” [Morlicchio e Morniroli, 2014].

Questi ambiti appena descritti sono solo alcuni dei contesti socio-relazionali che sono ritenuti rilevanti per lo studio dei percorsi di impoverimento nelle sue varie forme. Certamente si ribadisce ancora una volta che la povertà si presenta sotto varie facce, si parla di povertà abitativa, alimentare, educativa, monetaria ecc.; ma oltre ai numeri e alle misurazioni il significato sociale della povertà mette in luce i modi in cui le configurazioni sociali possono essere lette, come fattori che strutturano o non-

compensano le disparità originarie, ma potranno essere tematizzate anche come origine delle disparità di dotazioni tra gli attori. Ricordando sempre come nella dimensione dinamica della povertà, non si tralasciano quelli che possono essere piccoli o grandi cambiamenti biografici di ogni soggetto, insieme ad altrettanti trasformazioni dei contesti sociali in cui si è immersi. Tutti questi fattori insieme potrebbero essere in grado di alterare il parco delle opportunità a disposizione da parte degli attori coinvolti [Sen, 2000 in Morlicchio, 2014:67].

6.1 Povertà e Tempo

Analizzando nei paragrafi precedenti le diverse dimensioni con cui si può presentare il problema della povertà, intesa come un fenomeno multidimensionale, non si può tralasciare un altro aspetto importante quale: il tempo.

Quando si sostiene la rilevanza della dimensione diacronica nell’analisi della povertà, si fa riferimento a due aspetti, tra loro strettamente connessi. Il primo è legato al concetto

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del “corso di vita”: con esso si vuole evidenziare il fatto che la povertà assume forme diverse a seconda della fase di vita in cui si trova sia il singolo individuo sia una famiglia. «Fare riferimento al corso di vita significa analizzare la povertà in una prospettiva dinamica strutturata sia dagli ordinamenti istituzionali sia dagli orizzonti biografici individuali. Questi due livelli interagiscono definendo la struttura temporale dell’intero arco di vita degli individui» [Leisering e Leibfried, 1999 in Biolcati Rinaldi, 2011:55] Adottando la prospettiva del corso di vita per l’analisi della povertà, emerge quindi come questa sia «temporalizzata», ovvero strettamente legata a specifiche fasi di vita. Come tale ha un carattere che è maggiormente transitorio di quello comunemente dato per scontato, e rappresenta spesso per gli individui e le famiglie un episodio che è possibile superare35.

Il secondo aspetto a cui si fa riferimento è la “dinamicità”. Solo da recente si sta

imponendo la consapevolezza secondo cui la povertà si configura più come un episodio dalla durata variabile che non come uno stato sostanzialmente permanente. Adottando una prospettiva dinamica il quadro cambia radicalmente: «la povertà non è tanto una caratteristica di gruppi di individui, quanto piuttosto un evento o una fase nel corso di vita individuale. Le esperienze di povertà hanno un inizio, una specifica durata , un certo corso, e spesso una fine. Uscire dalla povertà è possibile. Essere povero in un certo punto nel tempo non implica necessariamente diventare un membro permanente di un gruppo di individui poveri» .L’abbandono di una prospettiva statica non è però di per sé sufficiente per cogliere il problema della povertà nei suoi vari aspetti. La dinamicità è stata infatti introdotta nello studio della povertà in un primo momento nella sola versione negativa, ovvero: « i termini ricorrenti erano quelli si circolo vizioso, rete di disagio, carriera di povertà» [Leisering e Leibfried, 1999; Saraceno, 2002; tr. it., 2004:21], a significare l’idea che un individuo , una volta caduto in un episodio di povertà, rimaneva impigliato in una rete che lo portava sempre più a fondo senza possibilità di risalita, ecco perché definita come “dinamicità negativa”. Solo

recentemente si è iniziato a dare un’interpretazione della dinamicità in termini neutri, ovvero sia un episodio di povertà può essere superato- e il più delle volte lo è – senza

35L’origine di questa prospettiva è da rintracciare nei lavori di B.S.Rowntree che, nel suo studio sulla povertà in una cittadina del

nord dell’Inghilterra alla fine del XIX sec., evidenziò come gli operai non fossero poveri per tuta la loro vita ma solo in certe fasi specifiche: nell’infanzia, successivamente alla nascita dei figli e nella vecchiaia. Questa stretta relazione tra povertà e corso di vita mette immediatamente in luce la rilevanza del tempo per lo studio di questo fenomeno. [Falkingham e Hills ,1995; Mayer,2001; Mayer e Tuma,1990; Olagnero, 2004; Saraceno, 2001 e 2002].

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che vi siano da percorrere tappe predeterminate verso il «baratro». Questa diversa interpretazione della dinamicità è supportata da una concezione dell’individuo come un attore sociale che ha sì dei vincoli ma anche delle risorse per farvi fronte [Biolcati, Rinaldi, 2011].

6.2. I nuovi poveri Oggi

Nell’aprile del 2016, veniva resa nota la testimonianza da Paolo Sestio per conto della Banca d’Italia davanti alle Commissioni riunite Lavoro e Affari sociali della Camera dei deputati, affermando che: « il sistema di protezione sociale italiano è tuttora privo di uno strumento universale di contrasto alla povertà, che nel nostro Paese da molto tempo è significativamente più diffusa e accentuata che negli altri principali Paesi Europei. Le misure esistenti appaiono poco efficaci e scarsamente mirate, sia nel caso dei trasferimenti monetari sia nel caso dei servizi; risentono inoltre della mancanza di una logica unitaria. L’urgenza di superare tali criticità è stata accresciuta dalla crisi, che ha raddoppiato l’incidenza della povertà assoluta .[…] L’incidenza della povertà è più elevata nel Mezzogiorno e nelle famiglie nelle quali dove il capofamiglia è senza occupazione, avere un lavoro non necessariamente mette però al riparo dal rischio di povertà» [Becchetti,Saraceno, 2016:11].

Indipendentemente dalla definizione rispettivamente assoluta o relativa che viene adottata per definire la povertà, ricordando ancora una volta da Smith a Rowntree a Townsend , la regola principale di fondo non è la semplice sussistenza fisica, ma come afferma Chiara Saraceno è:

« (…) alla “sussistenza sociale”: alle risorse necessarie per stare nella propria società. Per questo, tra l’altro, sia i panieri di beni sia gli standard medi di riferimento cambiano, nel tempo e anche da un paese all’altro: per tenere conto non solo, del diverso costo della vita, ma anche della diversa composizione di ciò che fa essere “adeguati” nei vari contesti» [Saraceno, 2015:85].

Per tanto i sociologi oggi hanno coniato l’espressione “nuove povertà”, oppure “povertà grigie” [Dovis ,Saraceno 2011:4], proprio per sottolineare il fatto che a preoccupare non è più tanto e solo la dimensione del fenomeno, in senso numerico, bensì il buco nero di queste nuove situazioni che non risiede tanto nella quantità, bensì nella

“qualità”. Per capire meglio ecco alcuni esempi della vita reale ed attuale: una persona analfabeta , o senza l’acqua corrente in casa, che viva oggi in una città europea o statunitense, è più povera di una stessa persona o famiglia in analoghe condizioni di settant’anni fa, quando essere analfabeti e non avere l’acqua corrente era un fenomeno

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diffuso tra i ceti popolari, meno stigmatizzati e meno escludente di quanto non sia oggi. Non possedere in casa degli elettrodomestici come la lavatrice o un frigorifero, non avere il televisore, un telefono, e sempre più anche l’accesso a internet, rappresentano degli indicatori di disagio, di una carenza di risorse che può escludere da una serie di opportunità. Tuttavia si va oltre il concetto di povertà in senso materiale ma si

approfondisce l’esistenza di uno stato di «deprivazione»che comporta l’incapacità di effettuare una serie di specifici consumi e attività – dal riscaldamento adeguato al pagamento delle bollette e dell’affitto, dall’impossibilità di pagare le spese mediche a quella di fare un pasto proteico almeno ogni due giorni, fino all’impossibilità di sostenere una spesa necessaria improvvisa. Date le condizioni in cui versa la società odierna , con le politiche di divaricazione sociale degli ultimi anni e la recente crisi finanziaria hanno portato alla povertà fasce di popolazione fino a ieri abituate a condurre una vita dignitosa [Ranci, Pavolini, 2015]. Tuttavia sorge spontanea la domanda: - Chi sono i poveri o, per meglio dire, i “nuovi” poveri oggi? - Non si può dare una risposta precisa, in quanto i poveri non sono più quelli classicamente intesi di