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1.3 LA STRUTTURA DELL’OFFERTA 1 Le categorie di intermediar

1.3.2 I profili organizzat

Considerando l’attività di private banking svolta da quegli operatori che non nascono come private bank specializzate, ma che sono entrati nel business private solo in un secondo momento (si fa riferimento soprattutto alle banche commerciali, che rappresentano nel nostro paese le strutture più diffuse), è interessante analizzarne le diverse soluzioni organizzative adottate. In linea generale, alcuni istituti bancari hanno optato per lo sviluppo di unità ad hoc per l’attività di private banking, mentre altre hanno costituito private banks separate, seppur di propria emanazione, facenti cioè parte del medesimo gruppo bancario.

Sicuramente la costituzione di una private bank separata (si veda il caso Intesa Sanpaolo Private Banking) può conferire all’attività una maggiore immagine di specializzazione e differenziazione rispetto all’operatività generale del gruppo bancario; l’esistenza di un Consiglio di Amministrazione e di un Collegio Sindacale indipendenti possono conferire alla business unit quell’autonomia utile a trasmettere al cliente indipendenza e

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quindi maggiore garanzia degli interessi dello stesso23; il cliente potrebbe percepire il servizio offerto come maggiormente focalizzato sulla soddisfazione delle esigenze più sofisticate di cui è portatore, e come meno esposto al rischio di conflitti di interesse con le fabbriche prodotto controllate dallo stesso gruppo bancario; in realtà il rischio di conflitti di interesse è comunque sempre presente, visto che la società del gruppo è giuridicamente autonoma rispetto ad esso ma non economicamente tale. Comunque, l’appartenenza ad un gruppo bancario attribuisce vantaggi importanti rispetto a una private bank indipendente, connessi alla possibilità sia, in un primo momento, di attingere alla clientela d’élite già appartenente al gruppo, sia di esercitare politiche di cross selling, e in generale, in caso di necessità, di poter contare sulla struttura e sulle risorse del gruppo. Molte funzioni comuni possono poi essere condivise tra le varie società del gruppo. Inoltre, anche se dotata di una specifica struttura, la private bank godrà dell’immagine e della reputazione che nel tempo il gruppo di appartenenza è riuscito a costruire.

Nel caso in cui invece la banca opti per l’inserimento dell’attività di private banking all’interno dell’organizzazione già esistente, con una divisione ad hoc, i modelli organizzativi teoricamente adottabili sono molto variegati.

Un modello classico, anche se forse ormai poco efficiente, vede la presenza di un unico soggetto, il private banker, che cura sia gli aspetti commerciali di gestione della relazione con il cliente sia gli aspetti tecnici legati alla gestione del patrimonio (scelte di asset allocation, consulenza, ecc.). Il private banker è affiancato da un ufficio analisi e ricerche. In un contesto in cui l’attività di private banking si è spostata verso l’accezione più ampia di wealth management, cioè gestione integrata a 360 gradi dell’intero patrimonio del cliente, finanziario e non, risulta difficile pensare che un singolo soggetto possa avere una versatilità tale da poter rispondere autonomamente a tutti gli interessi del cliente, riuscendo a gestire attivamente sia l’aspetto commerciale sia i variegati campi tecnici.

Un modello alternativo vede allora la separazione tra chi si occupa degli aspetti commerciali di gestione della relazione con il cliente, il relationship manager, e chi svolge le attività più propriamente tecniche, il portfolio manager, cioè un gruppo di esperti tecnici che si occupano dei portafogli di un certo numero di clienti sulla base

23 SCARDOVI Claudio, PICCININI Fabio, BAZZECCHI Alessia, Strategie di business e organizzative

per il private banking: trend evolutivi oltre la crisi dei mercati internazionali. In: Banche e Banchieri. Vol. 37, n. 1, 2010, p.42-48.

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delle informazioni, in termini di esigenze e bisogni, elaborati dal relationship manager nella relazione con i propri clienti.

Per garantire il necessario livello di interazione, condivisione e scambio di informazioni tra relationship manager e portfolio manager, queste due figure possono essere formalmente inserite all’interno di un team; in tal modo relationship manager e portfolio manager sono periodicamente chiamati a riunirsi per discutere e valutare eventuali problematiche riscontrate dal lato commerciale o da quello tecnico, assicurando una collaborazione sinergica e tempestiva a vantaggio del cliente.

Tuttavia anche questo modello, seppur superando il problema dell’eccessivo accentramento in capo ad un unico soggetto di competenze altamente eterogenee, rimane focalizzato sull’attività di private banking strettamente connessa alla gestione di portafogli di asset finanziari, che come più volte puntualizzato non esaurisce l’attività di wealth management. E’ necessario dunque fare un passo avanti anche in termini organizzativi, per arrivare ad un business model che delinei in modo chiaro la distribuzione del know how all’interno e all’esterno della divisione private. In tale ottica il relationship manager assume una funzione più complessa: oltre a occuparsi degli aspetti commerciali è chiamato a coordinare uno staff di specialisti tecnici, “architetti di

prodotto”24, ognuno specializzato in un preciso campo di competenza (asset allocation,

real estate, pianificazione successoria, pianificazione fiscale,…), in modo da offrire al cliente un servizio completo e altamente qualificato. Questi specialisti possono sia appartenere all’organizzazione sia essere esterni a questa; è quindi fondamentale la creazione da parte della banca di un network esterno di specialisti altamente professionali, che consentano alla stessa di esercitare il proprio compito di centro di fiducia per il cliente, svolgendo un ruolo di consulenza anche nei campi in cui essa non agisce direttamente25.

24 DE ANGELI Sergio (a cura di), “Il private banking in Italia: Aspetti tecnici e profili organizzativi”,

V&R, Milano, 2007 (ristampa), pag.87

25 DELIA RUSSEL Theo, DI MASCIO Antonello, “Wealth Management: oltre il private banking. Le

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Fig. 1.12 - Modello organizzativo Divisione Private

Fonte: nostre elaborazioni

Considerando il grado di integrazione sussistente tra l’unità operativa private e la banca nel suo complesso, si possono distinguere modelli che realizzano una spiccata flessibilità organizzativa, dotando l’area private di elevata autonomia, anche procedurale, rispetto alle altre aree della banca, e modelli che al contrario presuppongono un’elevata integrazione organizzativa, perseguendo economie di scala e sinergie commerciali tra le diverse aree di operatività. In particolare, molto interessante è il modello teorico elaborato da Aipb (Associazione Italiana Private Banking) nel suo

Report 201326; vengono delineati tre modelli organizzativi alternativi equamente diffusi

tra gli operatori italiani:

-Modello “Unità”: è il modello che conferisce il maggior grado di autonomia e flessibilità organizzativa all’area private; la Direzione Private è dotata di autonomia per quanto riguarda le scelte strategiche, sia in ambito commerciale (es. marketing e comunicazione) che in ambito organizzativo (es. risk management, risorse umane, controllo di gestione); restano invece in capo alla Direzione Generale della banca le attività di Audit e Compliance e le scelte tecnologiche.

-Modello “Divisione”: è il modello intermedio in termini di integrazione con l’organizzazione banca nel suo complesso, in quanto l’area private non gode di autonomia nelle scelte strategiche, che sono prese a livello di Direzione Generale;

26 ZANABONI B., MARCIANO L., FORNEZZA F., CALVI PARISETTI G., MAGGI S., DEVECCHI

C., FRIGERIO C., ALTIERI L., CUCCU A., PIRONI S., BERTONCELLI F., ZANABONI C. (a cura di), “Il mercato del Private Banking: Efficacia commerciale ed efficienza operativa nel private banking”, AIPB, Milano 2013

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l’autonomia è limitata alle scelte di coordinamento della rete commerciale e alla sua operatività.

-Modello “Canale”: è il modello meno flessibile; la struttura commerciale private non solo non ha autonomia in tema di scelte strategiche, ma non ha neppure deleghe rispetto a temi organizzativi e operativi.

Fig. 1.13 - Modello “Unità”

Fonte: Ufficio Studi AIPB

Fig. 1.14 - Modello “Divisione”

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Fig. 1.15 - Modello “Canale”

38 CAPITOLO SECONDO

LA GAMMA DI PRODOTTI E SERVIZI OFFERTI