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L'attivita' di Private Banking in Italia: fattori di successo. IL CASO INTESA SANPAOLO.

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INDICE

Introduzione 3

Capitolo 1 – Il concetto di private banking e le caratteristiche

di domanda e offerta 7

1.1 Il private banking: definizione e caratteristiche 7

1.2 La struttura della domanda 9

1.2.1 La ricchezza delle famiglie italiane 9

1.2.2 Focus sulla clientela private 15

1.2.3 La segmentazione della clientela private potenziale 20

1.3 La struttura dell’offerta 25

1.3.1 Le categorie di intermediari 25

1.3.2 I profili organizzativi 32

Capitolo 2 – La gamma di prodotti e servizi offerti 38

2.1 L’asset management 38

2.1.1 Il modello operativo 46

2.1.2 L’asset allocation 51

2.1.3 La scelta delle asset class 55

2.2 Gli altri servizi dell’offerta private 60

2.2.1 Il Real Estate wealth management 63

2.2.3 L’Art Banking 73

Capitolo 3 – Value proposition e rapporto banca–private banker–cliente 80

3.1 L’open architecture 82

3.2 L’information and communications technology come

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3.2.1 CRM 87

3.2.2 Multicanalità 93

3.3 Relationship manager, cliente e tecnologia 99

3.4 Le nuove sfide 103

Capitolo 4 – Il caso Intesa Sanpaolo 106

4.1 Intesa Sanpaolo Private Banking 111

4.1.1 L’organizzazione 112

4.1.2 L’offerta di prodotti e servizi 114

4.1.3 Le soluzioni tecnologiche e la comunicazione 117

4.1.4 Il posizionamento competitivo, i risultati 2014, e l’evoluzione

delle performance nel tempo 119

4.2 Banca Fideuram 130

4.2.1 L’organizzazione 131

4.2.2 L’offerta di prodotti e servizi 132

4.2.3 Le soluzioni tecnologiche e la comunicazione 136

4.2.4 Il posizionamento competitivo, i risultati 2014, e l’evoluzione

delle performance nel tempo 140

4.3 Considerazioni conclusive 148

Conclusioni 154

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3 INTRODUZIONE

Il mercato del private banking è animato da una molteplicità di concorrenti, anche tra loro molto eterogenei, che si confrontano con modelli di business differenti, avendo come target il segmento degli individui dotati di ingenti patrimoni.

Mentre agli albori l’attività di private banking consisteva quasi esclusivamente nell’offerta di servizi di investimento alla clientela benestante, volta alla conservazione nel tempo degli elevati patrimoni finanziari, successivamente l’offerta si è fortemente ampliata, con servizi di gestione dell’intero patrimonio del cliente, finanziario e non. L’evidente portata dei mutamenti che hanno interessato il settore del private banking rispetto alle sue caratteristiche originarie ha trovato manifestazione anche sul piano lessicale; l’attività in esame è sempre più spesso identificata in termini di “wealth management” piuttosto che “private banking”, per sottolineare che il focus viene posto sulle esigenze complessive del cliente, sulla costruzione di un’offerta globale, integrata e personalizzata che avvolga il cliente a 360 gradi, in tutti i campi di interesse di cui questo è portatore.

Conseguentemente, la value proposition del settore del wealth management è mutata ed evoluta profondamente; è indispensabile una visione dinamica, un atteggiamento di propositiva messa in discussione della propria strategia, per essere sempre pronti ad evolvere verso nuove modalità di offerta capaci di rispondere tempestivamente alle mutevoli istanze del mercato, sia dal lato della concorrenza sia dal lato della domanda. Nel Capitolo 1, dopo aver introdotto il concetto di private banking e wealth management, cercando di dare una definizione il più possibile esaustiva dell’attività in esame, analizziamo la struttura della domanda e dell’offerta.

Per ciò che concerne la domanda private potenziale, sulla base delle statistiche e dei Report sul tema, una volta inquadrata l’evoluzione e la composizione della ricchezza delle famiglie italiane, ci focalizziamo prima sulla ricchezza della clientela private a livello mondiale e poi sulla domanda potenziale private in Italia.

Sempre in tema di domanda, procediamo con l’analisi della sua segmentazione; per poter sviluppare ed offrire un servizio “tailor made”, l’operatore è chiamato ad eseguire una segmentazione altamente dettagliata del cliente con cui entra a contatto, segmentazione che deve tener conto di una molteplicità di variabili (patrimoniali e finanziarie; personali e familiari); un’adeguata segmentazione permette infatti una conoscenza più approfondita del cliente, dei suoi bisogni e delle sue propensioni,

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elementi essenziali per rafforzare la qualità del servizio e la fiducia e soddisfazione del cliente nel lungo periodo.

Relativamente all’offerta, individuate le categorie di intermediari che nel tempo si sono confrontate con l’attività di private banking/wealth management, e i nuovi player che potrebbero rappresentare una minaccia competitiva per le private bank tradizionali, evidenziamo quali sono gli operatori di spicco che ad oggi risultano attivi nel private banking a livello domestico.

Infine analizziamo le opzioni implementabili dagli operatori in termini di struttura organizzativa; alla luce dell’evoluzione della gamma di servizi e prodotti, sempre più orientata verso la gestione a 360 gradi del patrimonio familiare, finanziario e non, del cliente, le competenze e il know how richiesti si fanno sempre più complessi ed eterogenei; riteniamo pertanto necessario che il modello organizzativo adottato garantisca una chiara distribuzione delle skills all’interno e all’esterno della divisione private, con una netta suddivisione dei ruoli e la creazione di un network esterno di specialisti, così da garantire un’offerta ad elevato valore aggiunto in tutti i campi di interesse, senza ovviamente compromettere il carattere di riservatezza della relazione banker-cliente.

Il Capitolo 2 è dedicato all’esposizione della gamma di prodotti e servizi ricompresi nell’offerta private. L’attività in esame si è ormai spostata verso una gestione a 360 gradi su tutte le sfere, finanziarie e non, di interesse delle famiglie degli HNWI, andando oltre la sola attività di asset management e comprendendo servizi di pianificazione assicurativo-previdenziale, di ottimizzazione del passivo, di tax planning, di pianificazione successoria, di real estate wealth management, di art advisory, di corporate banking. Approfondiamo in particolare l’attività di Real Estate wealth management e Art Banking, il cui interesse trova ragione nell’elevato tenore di vita della clientela private, che alimenta la propensione verso investimenti in grado di offrire un rendimento emozionale intangibile, connesso al piacere estetico o al prestigio sociale.

Relativamente all’attività core di asset management, ci concentriamo sull’importanza di un modello operativo che garantisca una diagnosi approfondita del cliente, delle sue caratteristiche ed esigenze finanziarie, al fine di giungere ad una adeguata profilazione dello stesso e alla definizione della più adatta strategia di investimento, nell’ottica di soluzioni personalizzate. Altrettanto fondamentale, al fine di garantire la soddisfazione

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del cliente e la stabilità nel tempo della relazione, è la fase di monitoraggio e reportistica degli investimenti.

Nel Capitolo 3 individuiamo i punti focali che dovrebbero guidare la value proposition di un operatore private, tali da renderlo in grado di cogliere le nuove istanze della domanda e di fronteggiare al meglio le minacce provenienti dalla concorrenza. I principali fattori che dovrebbero connotare un’offerta private integrata e completa riguardano da un lato la modalità con cui l’operatore predispone la gamma di servizi e prodotti, dall’altro la modalità con cui viene gestita e curata la relazione con il cliente. Sotto il primo aspetto, la risposta può essere individuata nel concetto di “open architecture”: in un contesto in cui i clienti private non si accontentano più della sola gestione del patrimonio finanziario, ma richiedono un servizio di gestione e consulenza personalizzata e a 360 gradi in tutti i campi di loro interesse (finanziari e non), di essenziale importanza risulta la capacità di sfruttare esperienze specialistiche esterne alla singola organizzazione; in questa ottica il private banker si pone come soggetto in grado di strutturare, anche con prodotti e servizi di terzi, la migliore soluzione reperibile sul mercato, nell’ottica di piena soddisfazione dei bisogni del cliente.

Relativamente invece al secondo aspetto, quello della relazione con il cliente, elementi essenziali sono la figura del relationship manager e il concetto di multicanalità. Il relationship manager si configura come l’interlocutore del cliente, come un professionista capace di comprendere in modo approfondito le esigenze del cliente, di indirizzarle e tradurle agli specialisti di ciascun settore e insieme a loro di individuare le soluzioni più opportune per il cliente stesso. Anche se la conoscenza personale e la comunicazione face-to-face restano i fattori più efficaci per costruire un rapporto di fiducia e mantenere quei connotati di riservatezza e accuratezza che devono caratterizzare la relazione in esame, risulta sempre più necessario che il relationship manager riesca ad adattarsi all’era digitale: in un contesto di multicanalità la soddisfazione del cliente dipenderà allora dalla qualità di tutti i canali offerti, sia fisici che virtuali, e dalla possibilità di utilizzare l’uno o l’altro in modo alternativo in base alla specifica convenienza.

Nel Capitolo 4 analizziamo l’attività private applicata a una esperienza concreta, quella del Gruppo Intesa Sanpaolo, al fine di ricercare se via sia una concreta corrispondenza rispetto agli elementi, delineati nei capitoli precedenti, che teoricamente dovrebbero caratterizzare un operatore private.

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A tal fine consideriamo il modello organizzativo, la gamma di prodotti e servizi e le innovazioni tecnologiche predisposte dalla divisione private del Gruppo in esame, che si compone sostanzialmente di due Reti private, quella di Intesa Sanpaolo Private Banking (rete di banker dipendenti) e quella del Gruppo Banca Fideuram (rete di banker promotori).

Inoltre, per ciascuno degli operatori presi in esame, analizziamo l’andamento delle performance prodotte nel periodo 2007-2014 per cercare di capire se e in che modo esse abbiano risentito delle conseguenze della Crisi finanziaria scoppiata nel 2007 e della successiva crisi del Debito sovrano che ha interessato il nostro Paese.

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7 CAPITOLO PRIMO

IL CONCETTO DI PRIVATE BANKING E LE CARATTERISTICHE DI DOMANDA E OFFERTA

1.1 IL PRIVATE BANKING: DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE

Il mercato del private banking è animato da una molteplicità di concorrenti, anche tra loro molto eterogenei, che si confrontano con modelli di business molto differenti, avendo come target il segmento delle famiglie appartenenti alla fascia alta dei soggetti in surplus. Proprio per la varietà che caratterizza l’attività di private banking sia in termini di operatori sia in termini di servizi offerti da questi diversi operatori, risulta difficile darne una definizione univoca. In prima approssimazione il private banking potrebbe essere definito come “un’attività di produzione e distribuzione di servizi di gestione, amministrazione e consulenza a favore di grandi patrimoni”1. Ma cosa si intende per grandi patrimoni? E a quali servizi facciamo riferimento? A tali domande non è possibile rispondere in modo puntuale dato che, come già detto, i confini del settore private sono aperti e mutevoli.

In primo luogo, molte società che conducono studi e ricerche sull’industria del private banking adottano segmentazioni patrimoniali della popolazione élite non perfettamente coincidenti, potendo prevedere soglie quantitative di ingresso più o meno elevate (500.000 dollari anziché un milione di dollari); anche gli operatori potranno quindi assumere scelte eterogenee al riguardo, sulla base dell’approccio con cui proporsi al mercato private.

In secondo luogo, per quanto riguarda l’offerta, la gamma di possibili servizi che un operatore può sviluppare per il cliente private è molto ampia, soprattutto se si guardano le tendenze degli ultimi anni; agli albori infatti, l’attività di private banking consisteva quasi esclusivamente nell’offerta di servizi di investimento alla clientela benestante, volta alla conservazione nel tempo degli ingenti patrimoni finanziari; successivamente poi l’offerta si è fortemente ampliata, con servizi di gestione dell’intero patrimonio del cliente, finanziario e non. Anche se la gestione dei patrimoni mobiliari e la relativa consulenza rappresentano ancora il core business, numerosi altri servizi sono entrati a pieno titolo a comporre un’offerta private che possa definirsi tale; chi ha l’ambizione di

1 RESTI Andrea (a cura di), “Il private banking: gestione del risparmio e della clientela – Strategie,

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servire in modo compiuto il segmento private non può pensare di presidiare solo la sfera degli investimenti finanziari2; anche se l’asset allocation (strategica e tattica) e la selezione degli strumenti e dei prodotti di risparmio gestito possono costituire ancora l’aspetto più critico e rilevante nella determinazione della performance finanziaria del portafoglio di investimento del cliente, l’offerta complessiva deve essere maggiormente diversificata, comprendendo, oltre ai servizi di investimento, anche servizi di pianificazione assicurativo-previdenziale, di ottimizzazione del passivo, di tax planning, di pianificazione successoria, di real estate wealth management, di art advisory, di corporate banking (dedicati al cliente private imprenditore).

Per tali ragioni, più che una definizione di contenuto risulta interessante e utile individuare un denominatore comune dell’attività di private banking; questo può essere trovato nella prospettiva che deve guidare gli operatori nella costruzione dell’offerta: non il prodotto ma il cliente. Il private banking è dunque un servizio rivolto a sviluppare soluzioni personalizzate e di alta qualità per la clientela. In altri termini, si pone l’enfasi sul concetto di effettiva personalizzazione e valorizzazione, e quindi non tanto sulla capacità del private banker di offrire un valido prodotto, quanto di costruirlo ad hoc in base alle specifiche esigenze di ogni singolo cliente. L’attività di private banking deve valorizzare il concetto di centralità del cliente, deve condurre a ragionare non solo in termini di cliente come homo economicus, bensì come individuo, cioè persona dotata di valori, di esigenze, di aspirazione e di gusti, con l’obiettivo di comprenderne anche la

sua dimensione economica3.

Muovendo da tale denominatore comune, il private banking può essere definito come “l’offerta di servizi personalizzati, di elevata qualità a un numero limitato di clienti con

bisogni finanziari complessi”4. Anziché focalizzarsi sul prodotto, il private banker deve

agire sul processo di interazione con il cliente, al fine di comprenderne i bisogni e le esigenze e costruire poi una proposta tailor made; in tal senso l’offerta deve essere di elevata qualità, cioè a elevato valore aggiunto per il cliente; questo risultato passa necessariamente attraverso l’instaurazione di una relazione stabile e di lungo periodo con il cliente, relazione basata sulla fiducia; l’attribuzione al singolo private banker di un numero limitato di clienti è appunto elemento essenziale per poter personalizzare la relazione con questi ultimi. Il relationship manager, con la sua capacità di esplicitare i

2 MUSILE TANZI Paola (a cura di), “Manuale del Private Banker”, Egea, Milano, Sesta edizione:2013. 3 OMARINI Anna, “La ricerca dell’eccellenza nei servizi di private banking e wealth management”. In:

MK. Vol.25, n.6, 2007, p.28-33

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bisogni latenti del cliente, di orientarne le scelte, di prevenirne i timori e le necessità, rappresenta una struttura portante del servizio alla clientela private.

L’evidente portata dei mutamenti che hanno interessato il settore del private banking rispetto alle sue caratteristiche originarie ha trovato manifestazione anche sul piano lessicale; l’attività in esame è sempre più spesso identificata in termini di “wealth management” piuttosto che “private banking”, per sottolineare che il focus viene posto sulle esigenze complessive del cliente, sulla costruzione di un’offerta globale, integrata e personalizzata che avvolgere il cliente a 360 gradi, in tutti i campi di interesse di cui questo è portatore. Nell’ambito del private banking tradizionale l’attenzione era posta sulla gestione degli asset finanziari della clientela, nell’ottica comunque di costruzione di soluzioni personalizzate. È dunque cambiata l’ottica operativa, dalla gestione patrimoniale alla gestione del patrimonio complessivo5; il cliente trova nella propria banca un centro di fiducia al quale può rivolgersi anche in caso di problematiche non prettamente finanziarie. L’analisi deve riguardare le esigenze complessive del cliente, relative sia alla sua sfera personale e familiare sia a quella professionale.

Per comodità espositiva, in seguito si parlerà indifferentemente di “private banking” o “wealth management” per far riferimento all’attività in esame nella sua accezione più estesa.

Analogamente, il cliente a cui l’attività di private banking/wealth management è orientata verrà indicato indistintamente come “cliente private” o “HNWI”(High Net Worth Individual).

1.2 LA STRUTTURA DELLA DOMANDA 1.2.1 La ricchezza delle famiglie italiane

Dalle ultime statistiche elaborate da Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie

italiane6, risulta che alla fine del 2013 la ricchezza netta delle famiglie italiane, cioè la

somma di attività reali (abitazioni, terreni, ecc.) e di attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.) al netto delle passività finanziarie (mutui, prestiti personali, ecc.), era pari a

5 DELIA RUSSEL Theo, DI MASCIO Antonello, “Wealth Management: oltre il private banking. Le

nuove strategie integrate della gestione patrimoniale”, Il Sole 24 ORE, Milano, 2002, pag.87

6 Banca d’Italia, Supplementi al Bollettino Statistico – Indicatori monetari e finanziari – Numero 69 – 13

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8.728 miliardi di euro, corrispondenti in media a 144.000 euro pro capite e a 356.000 euro per famiglia. In particolare, le attività erano composte per il 60% da attività reali e per il restante 40% da attività finanziarie. Le passività erano di poco superiori al 9% delle attività complessive.

Rispetto al 2012, la ricchezza netta complessiva è risultata in calo dell’1,4% a prezzi correnti (e dell’1,7% a prezzi costanti, cioè in termini reali). In dettaglio, la flessione del valore delle attività reali 3,5%), dovuta al calo dei prezzi medi delle abitazioni (-5,1%), è stata solo in parte compensata da un aumento delle attività finanziarie (2,1%) e da una riduzione delle passività (-1,1%).

Fig. 1.1

Fonte: Banca d’Italia, Supplementi al Bollettino Statistico – Indicatori monetari e finanziari – Numero 69 – 13 Dicembre 2014.

La variazione della ricchezza complessiva può essere attribuita a due fattori: il risparmio (inclusivo dei trasferimenti in conto capitale) e i capital gains, che riflettono le variazioni dei prezzi delle attività reali e di quelle finanziarie, al netto della variazione del deflatore dei consumi. Rispetto al 2012, nel 2013 sono stati rilevati: -una crescita del risparmio, dopo otto anni di diminuzioni; -un andamento negativo dei capital gains, per effetto del calo dei prezzi delle abitazioni e delle altre attività reali non completamente

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compensati dai capital gains finanziari. Ne è derivata una riduzione della ricchezza netta pari a circa 150 miliardi di euro in termini reali.

Con riferimento alla serie storica considerata, cioè al periodo compreso tra il 1995 e il 2013, si può rilevare che: - il risparmio ha contribuito alla crescita del valore della ricchezza netta in misura superiore rispetto ai capital gains (rispettivamente 2/3 e 1/3), pur mostrando una generale tendenza flettere; -i capital gains sulle attività finanziarie sono risultati positivi fra il 1996 e il 2000 e negativi successivamente, ad eccezione degli anni 2004-05 e 2012-13; i capital gains sulle attività reali, espressi a prezzi costanti, sono risultati invece sempre positivi tra il 2000 e il 2007, in connessione con la sostenuta fase di rivalutazione degli immobili del decennio scorso, mentre dopo il 2007, con il perdurare della crisi economica, hanno assunto un segno negativo.

Fig. 1.2

Fonte: Banca d’Italia, Supplementi al Bollettino Statistico – Indicatori monetari e finanziari – Numero 69

– 13 Dicembre 2014.

Le figure di seguito illustrano la composizione dei tre aggregati costituenti la ricchezza netta delle famiglie, ossia attività reali, attività finanziarie e passività finanziarie.

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Fig. 1.3

Fonte: Banca d’Italia, Supplementi al Bollettino Statistico – Indicatori monetari e finanziari – Numero 69

– 13 Dicembre 2014.

Per quanto riguarda le attività finanziarie (Fig. 1.4), alla fine del 2013 esse ammontavano a 3.848 miliardi di euro, in crescita rispetto a fine 2012 (2,1% a prezzi correnti). In termini di composizione dell’aggregato, Il 43% era detenuto in azioni e partecipazioni in società di capitali, obbligazioni private, quote di fondi comuni di investimento, partecipazioni in altre società, titoli esteri e prestiti alle cooperative; poco più del 30% era detenuto in depositi bancari, risparmio postale e contante; inferiore al 5% era invece la quota investita direttamente dalle famiglie in titoli pubblici italiani; quasi il 19% del totale delle attività finanziarie era infine dato dalle riserve tecniche di assicurazione (che rappresentano le somme accantonate dalle assicurazioni e dai fondi pensione per future prestazioni a favore delle famiglie). Tra il 1995 e il 2013, la composizione delle attività finanziarie ha subito sensibili variazioni, registrando un incremento di obbligazioni private italiane e di riserve tecniche di assicurazione (in particolare nel ramo vita), a fronte di una contrazione delle quote di attività finanziarie in depositi bancari e in titoli pubblici italiani. La componente finanziaria della ricchezza, con le sue caratteristiche di efficienza e congruenza con i bisogni delle famiglie, assume un ruolo cruciale nell’assicurare che il risparmio accumulato negli anni possa assolvere in maniera efficace alle funzioni precauzionali e previdenziali che gli sono proprie (lo stesso ruolo non è garantito dalle attività reali come l’abitazione, più difficilmente liquidabili).

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Secondo Assogestioni, l’investimento in obbligazioni, in particolare, rappresenta una caratteristica distintiva del portafoglio delle famiglie italiane: il suo peso, particolarmente elevato, non ha eguali nelle altre economie sviluppate. Fino alla fine degli anni ’90 questo tipo d’investimento era diretto quasi esclusivamente verso i titoli di Stato; in seguito si è assistito ad un processo di sostituzione delle emissioni governative con titoli corporate, soprattutto bancari. L’investimento azionario, invece, vede la costante prevalenza delle attività non quotate. Gli investimenti indiretti effettuati per il tramite degli investitori istituzionali (fondi pensione, imprese di assicurazione e fondi comuni) rappresentano complessivamente il 25% del portafoglio finanziario delle famiglie, mentre in Francia, Germania, Regno Unito o USA questo indicatore si attesta stabilmente tra il 40% e il 50%. Nel corso degli ultimi quindici anni la partecipazione delle famiglie italiane a prodotti di investimento di lungo termine a carattere previdenziale o assicurativo è cresciuta molto lentamente, e il relativo peso sul portafoglio finanziario non ha mai raggiunto livelli paragonabili a quelli di altri Paesi sviluppati.

Fig. 1.4

Fonte: Banca d’Italia, Supplementi al Bollettino Statistico – Indicatori monetari e finanziari – Numero 69

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Fig. 1.5

Fonte: Banca d’Italia, Supplementi al Bollettino Statistico – Indicatori monetari e finanziari – Numero 69

– 13 Dicembre 2014.

Nonostante il calo degli ultimi anni, le famiglie italiane mostrano nel confronto internazionale un'elevata ricchezza netta, pari nel 2012 a 8 volte il reddito lordo disponibile; tale rapporto è comparabile con quelli di Francia, Giappone e Regno Unito e superiore a quelli di Stati Uniti, Germania e Canada.

In effetti, gli italiani si sono storicamente caratterizzati per un’elevata propensione al risparmio. Dal dopoguerra e fino alla metà degli anni ’90 il tasso di risparmio delle famiglie italiane è stato particolarmente elevato, tra il 20% e il 30% del reddito disponibile; ciò ha consentito l’accumulo di un ingente stock di ricchezza. A partire dal 1995 è tuttavia iniziato un processo di graduale convergenza del tasso di risparmio delle famiglie italiane rispetto a quelli registrati nelle economie limitrofe, prime fra tutte Francia e Germania, con una conseguente riduzione dell’incidenza del risparmio sul reddito disponibile, che si è attestato in questi pochi anni al 15-17%. La crisi finanziaria 2007-2008 ha inciso anche sulla ricchezza delle famiglie italiane; come mostrano i dati Istat i redditi disponibili sono diminuiti pesantemente; è aumentato il ricorso a passività finanziarie. Si è quindi assistito ad una profonda flessione della propensione al risparmio. Sul finire del 2008, dopo un periodo di relativa stabilità durato quasi un decennio, con il progressivo peggioramento della crisi economica, il tasso di risparmio

delle famiglie ha subito un’ulteriore flessione che lo ha portato dal 15% al 12%7.

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Nonostante ciò va precisato che il tasso di risparmio delle famiglie italiane risulta secondo soltanto a quello delle famiglie francesi e tedesche. Si conferma quindi una buona capacità delle famiglie italiane di risparmiare, nonostante i tempi difficili. Ciò è confermato dalle ultime statistiche elaborate da Banca d’Italia ed esposte all’inizio di questo paragrafo, statistiche da cui emerge una crescita del risparmio tra il 2012 e il 2013, dopo anni di flessione.

1.2.2 Focus sulla clientela private

Ogni anno dal 1997 ad oggi le dinamiche nel settore degli High Net Worth Individuals (HNWI), ovvero degli individui o dei nuclei familiari con oltre un milione di dollari di asset liquidi, sono fotografate e analizzate dal World Wealth Report di Capgemini;

l’ultima ricerca disponibile è il “World Wealth Report 2015”8, elaborato da Capgemini

e RBC Wealth Management, che realizza un focus sugli HNWI a livello globale. Secondo il report in questione, nel corso del 2014 sia il numero di HNWI che la ricchezza da essi detenuta è continuata a crescere, seppure a ritmi molto più lenti rispetto al passato, registrando il secondo tasso di crescita più lento degli ultimi cinque anni (2009-2014). Se poi si fa un confronto con il 2013, l’indebolimento del trend appare evidente: durante il 2014 la popolazione globale degli HNWI è cresciuta del 6,7% contro 14,7% del 2013; la ricchezza globale detenuta dagli HNWI è cresciuta del 7,2% mentre durante l’anno precedente aveva registrato una crescita del 13,8%.

Mentre l’area Asia-Pacifico e quella del Nord America hanno continuato a registrare rispetto agli anni precedenti un trend crescente del tasso di crescita degli HNWI e della loro ricchezza, l’area dell’America Latina e quella Europea hanno registrato durante il 2014 un’evoluzione sotto tono, che spiega i risultati globali 2014 sopra esposti. In particolare, con riferimento all’Europa, essa ha mantenuto un tasso di crescita sostanzialmente stabile pari al 4% annuo, senza registrare alcuna accelerazione né in termini di crescita della popolazione di HNWI né in termini di ricchezza per essi disponibile. L’unica regione che invece ha registrato una contrazione sia del numero di HNWI (-2,1%) che della loro ricchezza (-0,5%) è stata l’America Latina.

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Fig. 1.6 - HNWI Population, 2009-2014 (by Region)

Fonte: Capgemini Financial Services Analysis, 2015

Fig. 1.7 - HNWI Wealth Distribution, 20019-2014 (by Region)

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Fig. 1.8 - Composition of Global HNWI Population by Wealth Bands, 2014

Fonte: Capgemini Financial Services Analysis, 2015

Come nei precedenti anni, la crescita della popolazione degli HNWI è largamente dovuta ad un ristretto numero di paesi. USA, Giappone, Germania e Cina hanno raccolto più dei due terzi (67%) della crescita globale degli HNWI registrata nel 2014. Insieme, USA e Cina guidano più della metà di tale crescita globale. Rispetto all’anno precedente, la classifica dei mercati top 10 in termini di popolazione degli HNWI è rimasta invariata, e vede l’Italia al decimo posto. Il posizionamento dell’Italia tra i paesi con il maggior numero di HNWI conferma la situazione presentata da Banca d’Italia nella Relazione sulla Ricchezza delle Famiglie Italiane (si veda paragrafo 1.2.1), cioè di paese caratterizzato da una quota di ricchezza finanziaria netta in capo alle famiglie elevata rispetto all’area euro.

La composizione media di portafoglio degli HNWI è rappresentata dalla Fig. 1.9, sia a livello globale che per singole aree geografiche. Interessante notare che gli investimenti in equity hanno leggermente superato la liquidità nei portafogli degli HNWI a livello globale; la detenzione di capitale di rischio è aumentata di due punti percentuali mentre la detenzione di liquidità è diminuita di un punto, determinando un lieve ribilanciamento di tali componenti nei portafogli; ribilanciamento che comunque sembra più dovuto ad un incremento del valore degli asset sottostanti che ad un’attiva scelta di riallocazione di portafoglio; ciò comunque può contribuire ad aumentare la propensione al rischio degli individui. Nonostante tali dati, a livello globale, gli HNWI mantengono più di un quarto della loro ricchezza in liquidità; tra le ragioni che

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spingono tali individui a detenere liquidità, le principali sono quella di mantenere il loro elevato stile di vita e quella di proteggersi dalla volatilità dei mercati.

Fig. 1.9 – HNWI Financial Assets (by Region)

Fonte: Capgemini and RBC Wealth Management Global HNW Insights Survey, 2013, 2014, 2015

Fig. 1.10 – Reasons Why HNWIs Hold Cash (by Region)

Fonte: Capgemini and RBC Wealth Management Global HNW Insights Survey, 2015

Focalizzando l’attenzione sul mercato italiano del private banking/wealth management, è interessante far riferimento all’indagine annuale redatta da Magstat, Studio indipendente nato nel 1995 che realizza indagini su vari aspetti del mercato bancario, tra cui, appunto, l’indagine annuale sul Private Banking in Italia. La prima di queste

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indagini sul mercato del private banking nel nostro Paese risale al 2004; l’indagine 2014, a cui faremo riferimento, rappresenta l’undicesima edizione. Secondo Magstat nel 2013 gli operatori di private banking attivi in Italia hanno realizzato circa 678 miliardi di euro di masse gestite, su un totale potenziale stimato intorno ai 920 miliardi; da ciò si conclude che risultano ancora consistenti le masse potenziali non catturate dagli operatori; la quota stimata al 2013 di masse non ancora raggiunte era pari al 26,3% (242 miliardi di euro)9.

Secondo l’analisi Aipb solo poco più della metà della clientela potenziale usufruisce di un servizio di private banking; questo nonostante il fatto che la clientela attiva giudichi i private bankers con voti tra il buono e il molto buono nell’81% dei casi; la presenza di una elevata quota di domanda potenziale ancora latente è probabilmente il segno della presenza di incertezze e punti interrogativi tra gli italiani benestanti su come instaurare

un vantaggioso rapporto con il private banking10.

Fig. 1.11 - L’evoluzione del comparto secondo Magstat

Fonte: Il Sole 24 Ore, “Big più forti nel Private Banking che lentamente torna a crescere”, 12 luglio 2014.

9 INCORVATI Lucilla, “Big più forti nel Private Banking che lentamente torna a crescere”, In: Il SOLE

24 ORE, 12 luglio 2014.

10

http://www.finanza.com/promotore-finanziario-fondi-comuni-investimento/Italia/notizia-fondi/Private_banking_in_Italia_l_analisi_dell_Aipb-427203 “Private banking in Italia, l’analisi dell’Aipb”, Redazione Finanza, Milano 22 ottobre 2014

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1.2.3 La segmentazione della clientela private potenziale

La clientela private viene tradizionalmente segmentata sulla base di un criterio

patrimoniale, riferito all’ammontare di ricchezza finanziaria detenuta. Si tratta di una

prima generica suddivisione non sufficiente a descrivere l’universo e la varietà della popolazione in esame. Un primo limite di questo criterio sta nel fatto che si considera al fine della segmentazione della clientela solo l’ammontare di asset investibili dal cliente, ovvero le disponibilità finanziarie di quest’ultimo, tralasciando il valore delle attività reali eventualmente posseduto, valore che al contrario, soprattutto nel nostro Paese, rappresenta una percentuale predominante della ricchezza netta complessiva posseduta (a tal proposito, si veda il paragrafo 1.1.1). Dal momento che l’attività di private banking si è nel tempo evoluta, sviluppando servizi integrati a 360 gradi su tutto il patrimonio del soggetto, finanziario e non, il limite del criterio patrimoniale si è fatto sempre più chiaro; è ovvio infatti che la segmentazione della clientela non è un esercizio fine a se stesso, ma uno strumento essenziale e funzionale all’elaborazione e implementazione di un adeguato modello organizzativo e di vendita.

Nonostante la chiara inadeguatezza del criterio patrimoniale a fungere da valore discriminate nella gestione della clientela élite, esso rimane comunque il primo criterio applicato in quanto largamente diffuso tra gli operatori del settore. Nello specifico, il criterio in esame individua come clienti private tutti gli individui che detengono una ricchezza finanziaria superiore a 500.000 dollari (anche l’Associazione Italiana Private Banking adotta tale soglia per le sue analisi); più precisamente si è soliti distinguere tre classi di clienti private:

-gli High Net Worth Individual (brevemente HNWI), con disponibilità finanziarie comprese tra i 500.000 dollari e 5 milioni di dollari;

-i Very High Net Worth Individual (V-HNWI), coloro che possiedono una ricchezza finanziaria superiore ai 5 milioni, fino a 30-50 milioni di dollari;

-gli Ultra High Net Worth Individual (U-HNWI), con disponibilità finanziarie superiori ai 30-50 milioni di dollari.

Un segmento che si pone a cavallo tra la clientela Mass Market (clienti con patrimoni finanziari inferiori ai 100.000 dollari) e quella Private è il segmento dei così detti Affluent, detentori di ricchezza finanziaria compresa tra i 100.000 e i 500.000 dollari.

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Tale classe di clientela, pur non possedendo ingenti volumi finanziari, rappresenta una importante opportunità per l’attività di private banking, fonte di possibile nuova domanda futura; infatti un soggetto che rientra nella fascia alta degli affluent potrebbe meritare di essere trattato come un cliente private, seguito cioè da un private banker, se si ritiene esprima un elevato potenziale futuro (si pensi ad esempio ad un giovane imprenditore il cui ciclo finanziario è in una fase crescente). Ecco perché la segmentazione patrimoniale deve essere intesa in senso dinamico, sulla base dell’analisi congiunta di variabili di natura diversa.

Si deve inoltre precisare che le varie classi individuate sulla base del criterio patrimoniali non sono univocamente riconosciute, e molte società che conducono studi e ricerche sull’industria del private banking adottano una diversa segmentazione patrimoniale della popolazione élite; è il caso di Pricewaterhouse, che in uno dei suoi

ultimi Survey11 adotta una piramide della ricchezza diversamente composta:

-Wealthy: con patrimonio finanziario compreso tra 500.000 dollari e un milione di dollari;

-High-net-worth: con patrimonio finanziario compreso tra un milione di dollari e un 20 milioni di dollari;

-Very-high-net-worth: con patrimonio finanziario compreso tra 20 milioni di dollari e 50 milioni di dollari;

-Ultra-high-net-worth: con patrimonio finanziario superiore a 50 milioni di dollari. Ovviamente questo aspetto può essere visto come un ulteriore elemento di debolezza del criterio patrimoniale.

Di seguito, per comodità espositiva, nonostante le segmentazioni sopra esposte, si utilizzerà il termine “HNWI” per riferirsi all’intero universo di clientela private (e non alla sola fascia bassa della stessa).

Per poter sviluppare ed offrire un servizio “tailor made”, come richiesto da questa fascia di popolazione, più sofisticata ed esigente rispetto a quella che rientra nell’area del Retail, l’operatore è chiamato ad eseguire una segmentazione più approfondita del cliente con cui entra a contatto. Fondamentale al fine di garantire una consulenza altamente personalizzata è porre al centro del modello operativo il cliente e i suoi specifici bisogni. Il cliente private non è un cliente qualsiasi, soprattutto perché è in

11 PriceWaterHouseCoopers, “Global Private Banking and Wealth Management Survey 2011”,

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prima persona consapevole di essere un cliente “esclusivo” per l’intermediario, di avere esigenze più sofisticate rispetto alle fasce meno abbienti, e quindi pretende di essere

servito in modo adeguato12. Un’adeguata segmentazione permette una conoscenza più

approfondita e dettagliata del cliente, dei suoi bisogni e delle sue propensioni, elementi essenziali per rafforzare la qualità del servizio e la fiducia e soddisfazione del cliente nel lungo periodo.

Per una corretta profilazione della clientela occorre tener conto di più variabili; di seguito vengono illustrate alcune delle principali.

Variabili patrimoniali e finanziarie: oltre che la dimensione degli asset finanziari

investibili presso l’intermediario, si prendono in considerazione altri aspetti; in particolare occorrerà fare un’analisi incrociata del patrimonio complessivo e del reddito del cliente.

Relativamente agli asset finanziari è opportuno approfondire due aspetti: da un lato la composizione attuale degli asset finanziari (asset class tradizionali quali obbligazioni, azioni, liquidità e eventuali investimenti alternativi in hedge fund, private equity e real estate) potrebbe fornire indicazioni interessanti in termini di propensione al rischio dell’individuo; dall’altro lato, in un contesto competitivo sempre più animato, è fondamentale, anche se difficile, conoscere la dimensione complessiva del patrimonio finanziario del cliente, anche la parte eventualmente posseduta presso competitors; ciò può permettere di inquadrare il cliente in termini di propensione o meno ad instaurare relazioni stabili e di lungo periodo con l’intermediario; un cliente che affida il proprio patrimonio a più operatori da un lato espone a maggiori rischi di instabilità della relazione, dall’altro può però rappresentare per l’intermediario un’interessante opportunità per aumentare la propria percentuale di asset under management, attraverso l’offerta di un servizio superiore a quello dei competitors che riesca a attrarre tutto il patrimonio del cliente, sviluppando cioè la sua share of wallet .

Oltre agli asset finanziari è indispensabile conoscere il valore e la composizione del patrimonio non finanziario (immobili, terreni, opere d’arte), dato che l’offerta alla clientela élite è sempre più orientata verso la consulenza a 360 gradi in tutti i campi di interesse del soggetto e verso la gestione integrata del patrimonio complessivo suo e della sua famiglia.

12 RESTI Andrea (a cura di), “Il private banking: gestione del risparmio e della clientela – Strategie,

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Per quanto riguarda l’analisi del reddito del cliente, si fa riferimento ai flussi in entrata (al netto di quelli in uscita) che egli è in grado di generare in primo luogo con l’attività lavorativa (ma anche grazie a eventuali rendite di natura diversa); in particolare è utile analizzare le caratteristiche di tali flussi in termini di stabilità e di evoluzione prevista nel tempo; è allora interessante comprendere a che punto del suo ciclo finanziario il soggetto si trovi, e cioè se sia in una fase crescente o decrescente della sua capacità di generare flussi, in quanto da ciò dipenderanno le esigenze di gestione del patrimonio stesso.

Variabili personali e familiari: si parte dai dati più semplici, che sono sempre richiesti

al momento del primo incontro con la clientela (non solo quella private), cioè i vari dati anagrafici quali età, sesso, area geografica di residenza, composizione della famiglia, professione. Dati comunque fondamentali per comprendere le esigenze del cliente e della famiglia.

Relativamente all’età anagrafica del soggetto, il “World Wealth Report 2015”13 redatto

da Capgemini e RBC Wealth Management, rileva che gli individui più giovani appartenenti alla categoria degli HNWI presentano un più ampio range di bisogni, specifiche esigenze e aspettative che spesso rimangono insoddisfatte. Rispetto alla parte più anziana della popolazione in esame, manifestano un maggior interesse per tutti gli aspetti della loro sfera finanziaria, e spesso un più elevato grado di insoddisfazione nei confronti del proprio private banker; sono proprio i giovani ad essere maggiormente propensi ad abbandonare il proprio wealth manager a favore di chi può rispondere più prontamente ai propri bisogni.

Approccio agli investimenti: occorrerà comprendere il profilo del cliente in termini di

propensione al rischio, propensione all’innovazione, conoscenze in ambito finanziario, propensione alla delega. Si tratta di un aspetto tra i più complessi da estrapolare e comprendere, ma fondamentale per la soddisfazione futura del cliente e quindi per la costruzione di un rapporto duraturo con lo stesso.

La propensione al rischio è funzione di più variabili, quali il carattere, il patrimonio disponibile, gli obiettivi finanziari, le esigenze proprie e della famiglia, l’orizzonte

13http://www.it.capgemini.com/world-wealth-report-2015-di-capgemini-e-rbc-wealth-management

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temporale14; se già presente può essere utile analizzare la composizione attuale del suo

portafoglio di asset finanziari, che può descrivere le preferenze del soggetto per investimenti più o meno rischiosi; un soggetto interessato solo alla sottoscrizione di titoli di Stato o di obbligazioni emesse da grandi società assimilabili (in termini di probabilità di insolvenza) sarà un soggetto fortemente avverso al rischio. Lo stesso

Report di Capgemini rileva15 che rispetto ai bisogni comuni a tutti gli HNWI,

l’importanza di tali bisogni cambia a seconda dell’età del cliente; ad esempio, i clienti più anziani attribuiscono una maggiore importanza alla capacità di comprendere lo specifico grado di avversione al rischio (75,5% vs 68,9% per i giovani), segno della probabile maggiore propensione al rischio degli younger HNWI.

La comprensione del livello di consapevolezza finanziaria è importante per impostare un dialogo comprensibile e chiaro con il cliente; un interlocutore esperto nel campo sarà compiaciuto di uno scambio dinamico di informazioni anche tecniche; un cliente con scarse competenze finanziarie dovrà invece essere messo a suo agio con un linguaggio semplice ma capace di renderlo consapevole degli obiettivi, dei rischi e in generale dei vari trade-off in gioco nella gestione del suo patrimonio.

Per quanto riguarda l’orientamento alla delega, intendendo con ciò il minore o maggiore desiderio di partecipare attivamente alla gestione del proprio patrimonio, questo può dipendere dal carattere dell’individuo, disinteressato alla gestione del proprio denaro e del proprio patrimonio e quindi disposto ad affidarsi completamente alle scelte del banker di cui deve però avere piena fiducia; la delega può essere però anche una necessità, nel caso di soggetto fortemente impegnato nel proprio lavoro, che quindi non ha tempo materiale per dedicarsi alla gestione della propria ricchezza; in questo caso la delega, poiché “forzata”, potrebbe essere accompagnata da un atteggiamento di diffidenza e preoccupazione del cliente; risulta ancora più importante che il private banker trasmetta una solida fiducia al cliente, da alimentare con un’attività di reportistica dettagliata e frequente a favore dello stesso.

Generalmente un soggetto con buone conoscenze in campo finanziario e scarsa propensione alla delega rientrerà nella categoria dei così detti “active investors”, cioè soggetti attivi nelle proprie scelte di investimento, dinamici nelle relazioni con il proprio private banker, orientati all’utilizzo dei più avanzati strumenti di comunicazione ed

14 DELIA RUSSEL Theo, DI MASCIO Antonello, “Wealth Management: oltre il private banking. Le

nuove strategie integrate della gestione patrimoniale”, Il Sole 24 ORE, Milano, 2002, pag.95

15http://www.it.capgemini.com/world-wealth-report-2015-di-capgemini-e-rbc-wealth-management,

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elaborazione dati; è ovvio che il wealth manager dovrà impostare un modello di offerta e comunicazione diverso da quello che potrebbe essere adatto per un “passive investor”. L’offerta di un servizio soddisfacente per il cliente necessita quindi di una mole notevole di informazioni sullo stesso. Tuttavia, nella pratica, difficilmente il soggetto sarà disposto a fornire al proprio interlocutore finanziario un livello di informazioni così articolato e completo. E’ difficile che un cliente, soprattutto ai primi incontri, sia disposto a fornire informazioni dettagliate sul proprio patrimonio e sulla propria famiglia. Il livello di approfondimento e di precisione delle informazioni raccolte, aumenta con la crescita della fiducia che l’individuo ripone nel proprio Private Banker. Questo significa che l’operazione di costruzione di un database informativo accurato per ogni nucleo-cliente potrà avvenire solo col trascorrere del tempo e attraverso un’attenta e puntigliosa attività di relazione cliente-consulente16.

1.3 LA STRUTTURA DELL’OFFERTA 1.3.1 Le categorie di intermediari

L’offerta di private banking ha visto nel corso degli anni l’ingresso nel business di una molteplicità di operatori, caratterizzati da modelli aziendali molto eterogenei. Sul mercato si confrontano operatori con modelli di offerta molto variegati per dimensioni, vocazione, posizionamento. Le diverse tipologie di attori possono essere a grandi linee suddivisi come segue:

-Private partnerships17 (banchieri privati): rappresenta la prima forma organizzata di private banking, sviluppatasi già nell’Ottocento in Svizzera, pioniera di tale business, che vedrà nuove tipologie di concorrenti entrare nell’arena competitiva solo nei primi anni del Novecento. Si tratta di partnership tra banchieri che assumono responsabilità personale e illimitata, impegnando il proprio patrimonio personale a garanzia dell’operatività svolta; questa peculiarità può essere considerata come un fattore che incentiva una gestione più prudente del patrimonio dei clienti, volta a salvaguardare i

16 LIPPI Andrea,” Gli investimenti non finanziari nel private banking: scelte strategiche, aspetti

tecnico-valutativi e modalità di customer relationship management”, tesi di dottorato, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2007, pag.34

17 MAUDE D. Maude, MOLYNEUX P. ,“Private banking: maximising performance in a competitive

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loro interessi e quelli dei partner stessi, visto che i banchieri rispondono illimitatamente con i propri mezzi. Ciò che contraddistingue tale offerta di private banking è sicuramente il carattere di riservatezza, confidenzialità, personalizzazione della relazione; inoltre è tradizionalmente un’attività maggiormente orientata alla gestione conservativa del patrimonio; infine, le private partnership possono vantare una specializzazione esclusiva nel campo nella gestione della clientela private (anche se l’offerta era in origine limitata ai servizi di investimento), specializzazione che non si ritrova nei principali competitor quali le banche universali. Nel tempo tuttavia le tradizionali partnership di banchieri privati hanno dovuto fare i conti con la necessità da un lato di aumentare le proprie dotazioni patrimoniali, dall’altro di acquisire sempre maggior competenze e capacità, anche in termini di capitale umano; per rispondere a tali esigenze e non essere espulsi dal mercato, alcune di queste private banks hanno cercato di stringere nuove partnership e alleanze strategiche tra di loro, al fine di mantenere indipendenza dai grandi gruppi bancari; altre sono passate alla forma giuridica di responsabilità limitata, continuando comunque a mantenere una porzione rilevante del capitale di proprietà, e facendo sottoscrivere la rimanente parte dell’equity al pubblico (essenzialmente alla propria clientela); molte sono invece state oggetto di take over o assorbimenti in gruppi bancari di maggiori dimensioni.

-Banche Universali: si tratta essenzialmente di grandi banche multinazionali, che oltre al private banking offrono alla propria clientela un’ampia varietà di servizi. Solo a partire dagli anni Sessanta del novecento alcune banche internazionali (nella forma organizzativa di banca universale), fino a quel momento orientate ad un’offerta tipicamente mass market sono entrate anche nel segmento private, per soddisfare la clientela d’élite che non trovava nei loro tipici servizi un’offerta all’altezza di quella proposta da operatori maggiormente specializzati in tale campo. La forza di questa classe di operatori sta nella possibilità di sfruttare sinergie di vario tipo, e soprattutto operative, connesse alla condivisione, tra le varie parti del gruppo bancario, di competenze comuni, applicazioni tecnologiche comuni, processi di back office condivisibili, potendo quindi spalmare su più linee di prodotto i costi informatici, umani, regolamentari; inoltre un ingente vantaggio deriva dalla possibilità di sfruttare un network di relazioni molto ampio, e dotazioni patrimoniali ingenti; infine importante è la possibilità di offrire servizi di corporate banking e di investment banking, così da rappresentare una soluzione attraente soprattutto per il target di clienti

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imprenditori/industriali rientranti nel segmento private. Il punto di debolezza è riscontrabile nel fatto che, seppur avendo cercato di sviluppare un servizio specifico attraverso anche l’acquisizione all’esterno di risorse in grado di diffondere un’esperienza relazionale tradizionalmente assente, le banche multinazionali permangono scarsamente capaci di offrire un servizio effettivamente personalizzato e incentrato sul singolo cliente; ulteriore punto a sfavore è la maggior presenza di conflitti di interesse, visto che tali banche svolgono anche attività di vendita di propri prodotti e quindi potrebbero essere tentate a privilegiare l’inserimento nei portafogli di tali prodotti o la fornitura di consulenza eccessivamente orientata all’offerta di questi. -Banche commerciali domestiche: tali intermediari hanno nel tempo introdotto un processo di segmentazione della clientela in surplus in primo luogo basato sul criterio patrimoniale; analogamente alle banche universali, sono stati spinti dalla consapevolezza di non poter rispondere con un’unica offerta standardizzata alle esigenze espresse da una eterogeneità di clientela; la segmentazione è quindi funzionale all’implementazione di servizi specializzati rivolti alle specifiche categorie di clienti, e in tale ottica alla costruzione di un’offerta altamente personalizzata rivolta proprio alla clientela d’élite. Distinguendo tra servizi retail e servizi tipicamente private gli intermediari hanno provveduto a distinguere tali aree strategiche d’affari anche in termini di canali distributivi, mantenendo comunque una spiccata enfasi nelle politiche di cross selling.

-Investment banks: sono entrate nel business del private, soprattutto attraverso

operazioni di M&A con retail brokerage houses18, attratte dall’aspettativa di stabilità e

significatività dei rendimenti, visto che la loro operatività tradizionale nel mercato dei capitali si caratterizza al contrario per ciclicità e volatilità dei guadagni. I principali punti di forza di questi intermediari, che possono rappresentare un’attrazione per la clientela private sono: la presenza di team di analisti esperti nelle ricerche di mercato, l’esperienza nell’attività di gestione di fondi (tradizionalmente per clienti istituzionali), la capacità di realizzare significative performance negli investimenti, la presenza geografica internazionale, l’esperienza nelle attività di risk-management e di corporate finance, quest’ultima di grande interesse per quei HNWIs che devono la propria ricchezza allo svolgimento di un’attività imprenditoriale. Si fa riferimento in generale

18 DE ANGELI Sergio (a cura di), “Il private banking in Italia: Aspetti tecnici e profili organizzativi”,

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alla possibilità di individuare interessanti sinergie tra le skills e il know how sviluppati nell’ambito del settore capital market e quelle competenze richieste per essere competitivi nel settore del private banking. Tuttavia, tali operatori manifestano anche rilevanti punti di debolezza nell’approccio al private banking: sono tipicamente “product oriented”, tendono ad offrire soluzioni standardizzate; manca quindi un elemento essenziale per il successo nel segmento private, cioè lo spiccato orientamento al cliente e al servizio, la capacità di instaurare una relazione personale, discreta e intima con lo specifico HNWI, e di offrire soluzioni tailor made. Altro elemento di debolezza può derivare dal fatto che le investment banks tipicamente non offrono servizi retail (servizi di intermediazione finanziaria tradizionali, essenzialmente connessi agli strumenti di pagamento), servizi che invece sono richiesti anche dai clienti d’élite. Infine potrebbe mancare il carattere di indipendenza necessario ad offrire un servizio di consulenza privo di conflitti di interesse.

-Non-banks: sono entrate nel settore private più recentemente, nell’ambito del più ampio processo di penetrazione nel business del retail banking. Risultano particolarmente esperti nell’area marketing e vendite, abituati al contatto con il cliente finale; possono quindi attrarre la clientela sfruttando le capacità relazionali già sviluppate. Facendo qualche esempio specifico, le compagnie di assicurazione offrono rendite individuali, servizi di estate planning e di financial planning; le società di revisione possono offrire servizi di consulenza fiscale e financial planning; gli studi legali soprattutto servizi di trust, estate planning e consulenza fiscale. Relativamente ai punti di debolezza, valgono le considerazioni fatte per le investment banks in tema di impossibilità ad offrire alcuni prodotti e/o servizi di natura strettamente bancaria.

-Family Office: sono strutture multidisciplinari che si occupano della gestione integrata dei grandi patrimoni. I family office sono nati alla metà dell’Ottocento negli Usa, con lo scopo di seguire il patrimonio di una famiglia attraverso le generazioni. La prima forma di family office sviluppatasi è quindi quella dei Single-Family Office, che gestiscono il patrimonio di una sola famiglia. Poiché tale forma richiede una dotazione patrimoniale elevatissima, superiore ai 200 milioni di euro, per giustificarne gli ingenti costi, nel tempo si sono sviluppate altre forme di family office, in particolare i Multi-Family Office, che offrono servizi a più famiglie che possono essere azioniste oppure no della struttura. Si può ulteriormente distinguere tra Family Office indipendente e Family Office di matrice bancaria; il primo opera in assenza di conflitti di interesse in quanto

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non possiede prodotti e servizi per la gestione del patrimonio ma seleziona sul mercato i gestori e i prodotti migliori; il secondo invece opera in conflitto di interesse, anche se molte banche pongono dei limiti alla percentuale di patrimonio investibile in propri prodotti, provvedendo quindi ad un’offerta multi brand nella logica di open architecture.

Il “World Wealth Report 2015”19 individua tre categorie di “non traditional players” che

possono rappresentare una minaccia competitiva per le società di wealth management/private banking tradizionali:

-Automated Advisory Services (Servizi di consulenza automatizzati): si tratta di servizi esclusivamente online che forniscono, senza supporto di capitale umano, la possibilità di eseguire investimenti semplificati e gestione di portafoglio. Si rivolgono generalmente alle fasce più basse della clientela private, il cui patrimonio non è cioè eccessivamente complesso, e soprattutto ai soggetti maggiormente orientati agli strumenti digitali e “fai-da-te”, soprattutto i più giovani. I vantaggi di questi servizi sono le basse commissioni, la facilità e velocità di utilizzo. Tuttavia a differenza dell’offerta private tradizionale, i servizi automatizzati non forniscono attività di consulenza personale e contengono solo un range di investimenti base (ETFs: Exchange Traded Funds, cioè fondi di investimento o Sicav negoziati in borsa come un’azione e che hanno come unico obiettivo quello di replicare l’indice al quale si riferiscono (benchmark) attraverso una gestione totalmente passiva). Inoltre non permettono di instaurare quel rapporto di fiducia che è tipico della relazione banker-cliente, impedendo allo stesso tempo di poter costruire un’offerta tailor made fondata sulla comprensione degli specifici bisogni del cliente. Soddisfano ovviamente solo necessità di gestione e investimento degli asset finanziari dell’investitore (non offrendo una gestione del patrimonio complessivo, finanziario e non).

-Open Investment Communities: si tratta di piattaforme che forniscono ai partecipanti consigli di investimento, sfruttando i dati e le informazioni provenienti dai portafogli di altri utenti; le linee guida sono fornite da investitori tipo, più che da wealth manager esperti. Questi new players rappresentano sicuramente una nuova fonte di informazione in tema di investimenti, che i wealth manager tradizionali non potranno ignorare nel loro approccio con il cliente, rappresentando una “nuova voce” nelle discussioni con la clientela in tema di consulenza.

19http://www.it.capgemini.com/world-wealth-report-2015-di-capgemini-e-rbc-wealth-management,

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30

-Third-Party Capability Plug-ins: si tratta di network tra società tra loro indipendenti specializzate in uno specifico aspetto del wealth management, con particolare enfasi per quegli operatori specializzati nell’attrare nuova clientela e creare contenuti su misura, facendo leva sui propri social media. Tale nuovo player più che una minaccia dovrebbe rappresentare un’opportunità per i wealth manager tradizionali impegnati nella gestione dei costi, nella ricerca di nuova clientela e nella ricerca di specifiche capacità non possedute. Le private banks tradizionali devono superare la paura di perdere il controllo dei propri processi, anche non core, e aprirsi a nuove forme di collegamenti.

In Italia gli operatori di spicco attivi nel private banking sono soprattutto i grandi istituti bancari, banche commerciali che hanno creato al loro interno una divisione private (es. Unicredit) o hanno creato una banca autonoma specializzata nel private banking (es. Intesa Sanpaolo Private Banking), e che ricercano il vantaggio competitivo nel presidio capillare del territorio, nella conoscenza della clientela, nell’ampia gamma di prodotti e servizi offerti. In particolare, le banche commerciali domestiche fanno leva su una base clientela ampiamente sviluppata nel corso degli anni con l’approccio del business retail, a partire dalla quale hanno costruito un modello di servizio differenziato nei confronti della clientela élite, con una spiccata attenzione per la fascia bassa di quest’ultima, cioè affluent e high net worth individual; puntano quindi in primo luogo sulla valorizzazione del patrimonio di clienti posseduto e sulla possibilità di catturare il cliente private prima

che diventi tale, accompagnando gradualmente la clientela affluent20.

Oltre agli istituti bancari di origine italiana, si riscontra la presenza di grandi banche d’affari internazionali.

A fianco di questi operatori si rileva però anche la presenza di enti creditizi di minori dimensioni specializzati in tale ambito operativo (operatori di nicchia).

Anche nel nostro Paese ci sono poi esperienze di Family Office, soprattutto nella forma multi-family, che dà accesso a possessori di patrimoni relativamente più contenuti anche se sempre notevoli (possono partecipare a un multi-family office famiglie con capitale di almeno 10 milioni di euro, contro i 200 milioni richiesti per costituire un single-family office). Prima della nascita del family office erano i commercialisti, gli avvocati e i notai di famiglia a svolgere questa funzione; di conseguenza, molte strutture indipendenti di family office si sono formate, nel nostro Paese, a seguito

20 RESTI Andrea (a cura di), “Il private banking: gestione del risparmio e della clientela – Strategie,

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31

dell’instaurazione di partnership tra specialisti di tali discipline. A seguito della legge di ratifica della Mifid, dal 2009, è consentito ai family office nella forma di srl (e in generale alle società di consulenza indipendente non Sim) di iscriversi in un elenco separato dell’Albo, che consente loro di svolgere attività di consulenza, con certe limitazioni operative («senza detenzione, neanche temporanea, delle disponibilità liquide e degli strumenti finanziari della clientela e senza assunzione di rischi da parte della Società stessa»); questa ratifica ha consentito loro di esercitare il servizio di consulenza in materia di investimenti senza dover prima passare alla forma di spa e chiedere autorizzazione alla Consob per diventare Sim di consulenza.

Infine SIM, SGR e studi di consulenza manageriale e fiscale si limitano ad offrire quei servizi di private banking connessi alla propria specifica operatività.

Il report 2014 di Magstat, società di consulenza che monitora l’evoluzione delle strutture di private banking in Italia, rileva che a fine 2013 erano attivi 244 player,

suddivisi come segue21:

-58 banche italiane con una divisione di private banking, -29 banche d’affari straniere,

-10 banche italiane indipendenti specializzate nel private banking, -22 boutique finanziarie, SGR, SIM,

-5 reti di promotori finanziari, -120 family office.

Insieme questi intermediari gestiscono un patrimonio pari a 678,3 miliardi di euro (in crescita dai 648,7 miliardi di un anno prima) e si occupano di 857.726 clienti.

Nel corso del 2013 soprattutto le banche d’affari straniere ma anche le banche commerciali italiane hanno registrato un incremento dei propri patrimoni, mentre SGR, SIM e boutique finanziarie hanno realizzato performances negative. Secondo Marco Mazzoni, a capo di Magstat, “nel 2013 è aumentato il peso dei player con patrimoni tra i

5 e i 20 miliardi mentre è diminuito quello delle piccole strutture”22.

All’interno di ciascuna tipologia studiata da Magstat, le strutture leader risultano le seguenti:

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http://www.finanza.com/promotore-finanziario-fondi-comuni-investimento/Italia/notizia-fondi/Private_banking_in_Italia_l_analisi_dell_Aipb-427203 “Private banking in Italia, l’analisi dell’Aipb”, Redazione Finanza, Milano 22 ottobre 2014

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32

-Unicredit PB, Intesa Sanpaolo PB e Ubi Banca detengono il 56% del mercato private gestito da banche commerciali italiane con divisioni o con banche autonome specializzate nel private banking; inoltre esse rappresentano il 29,7% del mercato private servito in Italia.

-BNL-Bnp Paribas, Ubs Italia e Credit Suisse Italy detengono il 51,3% del mercato private gestito dalle banche d’affari straniere, ed il 9,9% del mercato private servito. -Banca Esperia, Banca Leonardo e Invest Banca detengono il 72,2% del mercato private gestito dalle banche italiane indipendenti specializzate nel private banking ed il 3,8% del mercato private servito.

-Ersel Sim, Banor Sim e Finint Alternative I.M. Sgr detengono il 59,7% del mercato private gestito dalle boutique finanziarie, sgr, sim ed l’1,6% del mercato private.

-Banca Fideuram da sola detiene il 49,3% del mercato private gestito delle reti di promotori finanziari specializzate nel private banking, ed il 5,7% del mercato private servito.

-Le prime tre strutture di family office (Unione Fiduciaria, Tosetti Value Sim e Argos) detengono il 31,6% del mercato private gestito dai family office, e l’2,6% del mercato private servito.

1.3.2 I profili organizzativi

Considerando l’attività di private banking svolta da quegli operatori che non nascono come private bank specializzate, ma che sono entrati nel business private solo in un secondo momento (si fa riferimento soprattutto alle banche commerciali, che rappresentano nel nostro paese le strutture più diffuse), è interessante analizzarne le diverse soluzioni organizzative adottate. In linea generale, alcuni istituti bancari hanno optato per lo sviluppo di unità ad hoc per l’attività di private banking, mentre altre hanno costituito private banks separate, seppur di propria emanazione, facenti cioè parte del medesimo gruppo bancario.

Sicuramente la costituzione di una private bank separata (si veda il caso Intesa Sanpaolo Private Banking) può conferire all’attività una maggiore immagine di specializzazione e differenziazione rispetto all’operatività generale del gruppo bancario; l’esistenza di un Consiglio di Amministrazione e di un Collegio Sindacale indipendenti possono conferire alla business unit quell’autonomia utile a trasmettere al cliente indipendenza e

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