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progetto per la Chiesa del quartiere Cep

Nel documento Giuseppe Giorgio Gori. Opera Completa (pagine 98-102)

Bigiano Basso, Pistoia, 1956

Giuseppe G. Gori Mauro Cammelli

Vincenzo Michelagnoli, strutture

Nella relazione dell’appalto concorso relativo alla progettazione della Chiesa del quartiere CEP di Bigiano Basso a Pistoia, datata ottobre 1956, Gori riporta in premessa una sorta di generale tona- lità culturale e operativa di riferimento entro la quale meglio interpretare questo suo lavoro pro- gettuale.

Questa tonalità proviene dal composito sentimento michelucciano sui rapporti tra arte, architettu- ra e Chiesa che in quegli stessi anni, il Maestro toscano professava in occasioni e in momenti diver- si, seguendo una sua ormai consueta e consolidata strada. Questa sua visione, può ricondursi all’i- dea di un’arte come preghiera, ovvero, all’idea di una composizione delle forme dell’edificio Chiesa, non legate alla sola espressione di propaganda religiosa, ma coacervo di quella variabilità fatta del battito pulsante e vitale delle infinite e mutevoli relazioni che concorrono a formare l’idea di una Chiesa intesa quale corpo vitale nella città del dialogo. Da questa visione discende una progettua- lità nella quale «occorre considerare la povertà quale legge risanatrice e fondamentale del nostro operare per controllare le nostre convinzioni, l’intensità dei nostri sentimenti, la nostra ricchezza in- teriore che sola può consentirci di costruire con i materiali più comuni e vili e dare forma ad una forma eloquente» 1.

Nella progettazione della Chiesa di Bigiano Basso, Gori chiarisce in maniera nitida i diversi concet- ti generali che informano il percorso compositivo intrapreso. Tutto il complesso religioso che con- templa l’edificio della Chiesa, della canonica e di tutti gli altri spazi interni ed esterni della parrocchia, si pone come una vera e propria polarità nel tessuto circostante, affidando alla sagoma esile e svet- tante del campanile, il ruolo di vero e proprio segnale urbano. L’aula, presenta in pianta una perfet- ta assialità centrale, il cui spazio viene definito da murature leggermente concave in modo da “ab- bracciare” i fedeli nel proprio sottolineare l’idea dell’assemblea. La copertura viene affidata ad una esile volta variabilmente sagomata secondo un profilo concavo lungo la sua sezione longitudinale in modo da creare oltre ad una caratterizzazione espressiva inconsueta, anche una sottolineatura del- la dimensione longitudinale che collega l’ingresso all’altare, quasi un invito ad entrare e a focalizzare l’attenzione verso l’abside. La volta viene immaginata come una volta Sap, ovvero, realizzata in late- rizio intonacato all’interno e semplicemente impermeabilizzato all’esterno.

1 Cfr. G. Michelucci, La Chiesa nella

città, relazione tenuta da Giovanni Mi-

chelucci al Congresso di Architettura sacra di Bologna, pubblicata in varie parti su il «Giornale del Mattino», del 24-25-26 e 27 settembre 1955.

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La forma del rapporto tra le pareti concave e la volta sagomata, risponde anche a precise conside- razioni di ordine strutturale. Sfruttando, infatti, la componente verticale di scarico della volta eccen- trica di y quale elemento compensatore dell’eccesso di spinta, si crea un momento di segno oppo- sto a quello della spinta, proporzionale all’eccentricità y. La relazione che quindi lega l’abbassamen- to della volta con la bombatura dei muri è una relazione iperbolica. Quindi il valore di y, ovvero, la bombatura delle murature perimetrali, è quello che consente di ottenere una sollecitazione al pie- de del muro in mezzeria esattamente uguale a quella analoga in estremità. La forma e il rapporto che ne deriva tra pianta e copertura, scelto sul loro variare il limite staticamente conveniente, ov- vero, capace di eliminare la spinta della volta tramite i muri in calcestruzzo armato, determina quin- di una eloquente forma esatta. Come esatte, dice Gori, lo sono le architetture della tradizione co- struttiva rinascimentale toscana.

A queste considerazioni sulla legittimità strutturale della forma, se ne affiancano altre sul tema della luce. La conformazione sagomata della volta, permette diversi tipi di ingresso della radiazione lumi- nosa con altrettanti diversi risultati sull’architettura. Dalle due volte poste agli estremi del volume, risolte con vetri colorati e cotto sfalsato montato alla maniera dei fienili, si ottiene una luce colora- ta che va a inondare gli estremi dello spazio, trasformandosi al centro in una luce morbida e soffu- sa grazie alla forma della volta stessa. Questa luce, sottolinea il senso di uniformità dell’interno e ri- porta all’idea dell’unitarietà dell’assemblea, in dialettica con le luci che provengono dalla parte bas- sa delle murature che puntualmente tramite asole o fessure vanno ad illuminare il fonte battesima- le, i confessionali, nonché lo spazio dell’abside.

Come nel precedente progetto per la Chiesa di San Bartolomeo a Prato di pochi anni prima, Go- ri ricorre ad un medesimo espediente compositivo per connotare l’ingresso della Chiesa e il suo rapporto con il sagrato. Dalle due murature perimetrali laterali, si estrude un piano leggermente in- clinato in c.a. che separa il corpo quadrangolare della facciata della sovrastante lunetta della volta. Questo, permette di proteggere l’ingresso a tutta altezza, pensato con un infisso in legno e rame apribile in più settori, ma anche di creare un filtro, un ulteriore luogo intermedio tra Chiesa e città che si antepone al sagrato vero e proprio.

Lo stesso tema del filtro, della mediazione e dell’inter-esterno si replica anche negli spazi della ca- nonica e degli uffici, nei quali, pensiline, sedute e cambi di quota, donno all’insieme quel preciso to- no claustrale da sempre mirabile esempio di relazione tra la dimensione pubblica e quella privata. Cotto, pietra, cemento armato e legno sono i materiali del progetto. Mentre per l’interno delle pa- reti concave, Gori ipotizza uno spesso rivestimento in filaretto di pietra naturale greggio lasciato in vista, per l’esterno ipotizza quattro varianti diverse che vanno da un rivestimento delle strutture in c.a. con listelli di cotto liscio, con listelli di cotto chiaroscurato alternati a listelli di marmo bianco, oppure come all’interno in filaretto naturale di pietra sbozzata alla mazza, o in ultima analisi, come lo stesso Gori pare preferire, in cemento armato lasciato in vista, realizzato su cassero di legno pial- lato, oleato e disposto a disegno e sul quale emerge nella parte basamentale, una “processione” di figure alte circa 1 m realizzate con casseforme di gesso incavate nel cemento.

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Nel documento Giuseppe Giorgio Gori. Opera Completa (pagine 98-102)