Prato 1962-67
Giuseppe G. Gori Rino Vernuccio
Dal 1962 al 1967, Gori e Vernuccio elaborano diverse soluzioni progettuali relative al nuovo com- plesso scolastico per la scuola dell’obbligo da realizzarsi nel periferico quartiere pratese di San Pa- olo. L’area prescelta, ai tempi del progetto, era situata ai margini estremi dell’edificato e direttamen- te affacciata sull’aperta campagna.
La prima stesura del progetto prevede un primo stralcio basato sulla sola presenza della scuola media con la relativa palestra e il grande campo sportivo che ne caratterizza l’area di pertinenza esterna. La conformazione del lotto che si trova quasi intercluso alla viabilità circostante ad eccezione di uno stret- to passaggio che lo collega alla via Galcianese, determina la collocazione e l’orientamento degli edifici che vengono raggruppati in un sistema compatto posto ortogonalmente rispetto alla assialità di pene- trazione dell’area. Testa di questa assialità è il volume della palestra che si enuclea autonomamente dal- la conformazione generale, anche grazie alla caratteristica copertura a falde fortemente inclinate e sfal- sate tra di loro. L’impianto della scuola, si presenta a sua volta organizzato attorno ad una assialità cen- trale posta perpendicolarmente all’assialità che gestisce la viabilità esterna. Dal portico di ingresso dal quale è possibile raggiungere le funzioni legate alla direzione e agli spazi dedicati agli insegnanti, la di- stribuzione passa attraverso un grande spazio comune destinato ad attività polivalenti, sul quale si af- facciano le varie aule di insegnamento. Questo luogo, attraversato anche da cortili aperti che permet- tono di fondere lo spazio interno a quello esterno, termina con la biblioteca e l’aula destinata a funzio- ni speciali che funziona come terminale dell’asse che organizza gli ambienti interni. All’esterno, la scuo- la si presenta come una piastra a doppia altezza dalla quale emergono le falde inclinate dei corpi che ad essa si incastrano, sollevandosi in un espressivo movimento che mima l’idea del borgo. Tutta la com- posizione è caratterizzata in sezione da una compenetrazione tra i diversi livelli che permette affac- ci e sguardi tra le parti in modo da poter cogliere in ogni ambito la dimensione dello spazio generale. Come di consueto nel percorso di Gori e di Vernuccio, oltre alla rigorosa impostazione distributi- va, si evince anche una costante attenzione ai temi di illuminazione naturale. Soluzioni diverse si al- ternano infatti nelle varie parti dell’edificio, come grandi abbaini che si sollevano espressivamente dall’orizzontalità delle coperture, così come asole e tagli che portando luce all’interno, scandiscono all’esterno il volume secondo scansioni d’ombra e di luce. Gli esterni, vengono concepiti secondo il collaudato registro compositivo di fronti basati sull’alternanza di ampie superfici in mattoni a vista che si appoggiano su telai anch’essi in vista di c.a., alternati a generose superfici vetrate che denun-
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ciano i vari aspetti della vita didattica che dietro vi si svolge. Nelle versioni successive il progetto si amplia di nuove funzioni diventando un vero e proprio complesso scolastico che prevede oltre al- la scuola dell’obbligo anche una scuola materna e una scuola elementare, una micro piscina che si somma alla palestra, una mensa e una cucina, nonché altri servizi e strutture varie.
Nella versione del ’66 si nota la grande estensione del progetto e anche in questo caso si ricorre ai temi e alle soluzioni impiegate nella versione più ridotta, ovvero una piastra a due livelli variamen- te sagomata dal punto di vista planimetrico dalla quale emergono falde inclinate ad una o due pen- denze, bucata in punti particolari da patii e cortili interni in modo che il verde, l’aria e la luce entri- no direttamente fin nel cuore della struttura e da alcune emergenze significative che si pongono come episodi espressivamente autonomi nella continuità dei vari temi accomunanti.
Emergono con forza già da questo progetto, quelle che poi saranno le dinamiche compositive proprie di Rino Vernuccio, ovvero quel pensare la forma architettonica come una concatenazione di autono- mie formali ben distinte e linguisticamente riconoscibili. Per cui, in questo approccio, come sempre, ol- tre alla bontà dei singoli pezzi, conta il come questi pezzi si fondono tra loro, quindi è proprio nelle cer- niere, nelle pause, nelle cesure, nelle scansioni che si misura la qualità di questa architettura, arricchita in sede costruttiva da una ineccepibile costruttività affiancata da un potente approfondimento del detta- glio, del tutto inaspettato e inconsueto se si pensa che si tratta di edilizia scolastica. Nella versione defi- nitiva -parziale stralcio della soluzione progettuale finale- emerge con forza l’impostazione attenta e ri- gorosa di un progetto che fa del tema della scuola una felice dimostrazione di come esso altro non sia che il riflesso di una maturità civile e civica, che con coscienza investe nell’istruzione obbligatoria delle giovani generazioni. Per questo, il senso di dinamico rigore che la scuola di San Paolo esprime nelle sue forme, nella sua spasmodica attenzione ai vari aspetti della didattica, nella sua completezza e ricchezza di dettagli pensati per il benessere dei suoi abitatori, è da leggersi nella consapevolezza degli autori del grande potere veicolante dell’architettura, capace di trasferire valori e intenzioni attraverso la studiata appropriatezza delle sue forme, frutto di un pensiero sull’uomo, sulla sua formazione e sul suo futuro. L’impostazione e la definizione del complesso scolastico di San Paolo di Prato, nella sua chiara com- plessità, pare alludere anche alla ricerca di una possibile connessione ideale con il senso del terri- torio circostante. Per questo, l’aggregazione dei volumi pare indicare ad una dimensione rurale al- lora fortemente presente nell’area, affiancata dalla presenza più assertiva di pezzi architettonici che paiono alludere invece, all’espressività del capannone industriale, interpretata nell’uso andante del mattone faccia vista e nella scelta più volte ripetuta dei grandi “orecchi di luce”, che come nella pa- lestra e nella piscina servono ad illuminare zenitalmente lo spazio interno, mimando senza nomi- narli, gli shed delle coperture industriali che caratterizzano il territorio circostante.
Splendida declinazione del michelucciano concetto di variabilità, questo complesso scolastico incarna nelle sue molte volumetrie, l’idea dell’interscambiabilità simbolica tra l’edificio e la città, ovvero il pensa- re all’edificio come ad un vero e proprio pezzo di città. Questo porta i progettisti a realizzare una sor- ta di strada interna a più livelli, come vertebra di distribuzione e di espressione tra i vari episodi che for- mano la scuola. Ne deriva una spazialità interna fatta di ambiti diversi che si susseguono in una compe- netrazione percepibile al meglio solo attraverso la sezione. La lezione anche in questo caso è di matrice michelucciana, basata sulla sovrapposizione di piani di vita e di cavità che si innervano di pulsante vitali- tà in base al loro uso. Ma a differenza dei molti esempi michelucciani nei quali questo concetto si espli- cita, questo edificio si trova in campagna, quindi non prolunga la città dentro di esso ma prende il mo- dello della città per far diventare le sue molte parti, gli elementi di una vera e propria “città della scuola”.