Firenze, 1957-1958
Giuseppe G. Gori Domenico Cardini Rodolfo Raspollini Emilio Brizzi, strutture
Lettera di Bruno Zevi a Gori nel quale si dice:
«Carissimo Gori, ti scrivo per darti una notizia che certamente ti farà piacere. Sono stato consul- tato dal redattore della voce “architettura” dell’Enciclopedia Britannica in merito alle migliori opere realizzate in Italia nel 1961-62. Tra le migliori cinque opere, ho elencato l’Albergo e nuova Sede dell’Automobil Club a Firenze, pubblicato nel numero 81 della rivista. Ti prego di dare questa notizia anche agli altri autori dell’opera, a Emilio Brizzi, a Cardini e a Raspollini. Con i più cordiali saluti. Bruno Zevi» 1.
Nell’arco dei diversi segmenti temporali attraverso i quali si struttura e si evolve la progettualità ap- partenente alla Scuola Fiorentina, la felice corrispondenza tra la forma e la struttura pare essere tra gli altri, un tratto di innegabile comunanza.
Il complesso edificio della sede fiorentina dell’Automobile Club e dell’annesso albergo, progettato e costruito lungo la cerchia dei Viali di Circonvallazione dal gruppo formato da Emilio Brizzi, Do- menico Cardini, Giuseppe Gori e Rodolfo Raspollini, trae gran parte della sua forza, proprio dalla sua originale concezione strutturale, capace nella propria razionalità, di farsi vera e propria espres- sione architettonica.
Proprio grazie alla coerenza strutturale che le disomogenee funzioni ospitate al suo interno, diven- gono parte di un medesimo registro spaziale, capace di tenere insieme diversità e contraddizioni in una sorprendente unicità.
La diversità delle funzioni ospitate nell’edificio si riflette sull’uso e sulla fruizione dei suoi spazi, sog- getti a flussi diversi a seconda delle sue parti. Ad un uso intensivo da parte del pubblico, degli uffi- ci destinati alla esazione delle tasse e al Pubblico Registro Automobilistico, si oppone un uso dello spazio più contenuto da parte dei fruitori del club ACI, così come ancora differenziato appare l’u- so dello spazio da parte degli ospiti dell’albergo.
Proprio la soluzione strutturale, diviene il centro della soluzione capace di mettere insieme ogni di- versità di questo composito sistema architettonico. Una soluzione che si basa su possenti cavalletti
1 Lettera di Bruno Zevi a Giuseppe
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in cemento armato con travi a doppio sbalzo capaci di sostenere i cinque piani delle camere dell’al- bergo, in modo da portare appesi i sottostanti due piani nei quali trovano posto tutti gli Uffici per l’assistenza auto e il PRA. Il legame tra la funzione ricettiva e gli uffici viene risolto mediante uno svi- luppo armonico dei volumi che da un punto di vista complessivo si impostano sul tema della pia- stra e della torre. Nella piastra si organizzano le varie funzioni che vedono sul viale l’accesso prin- cipale agli uffici e alle parti comuni dell’albergo, mentre sulla via ortogonale al viale Amendola, cioè via Giotto, si apre il corpo ribassato degli uffici collaterali. Il cuore dell’intero edificio è rappresen- tato dal vasto salone destinato al pubblico, posto ad una quota ribassata rispetto a quella stradale, e sul quale si affacciano i due livelli della piastra interamente illuminati dal vasto lucernario zenita- le realizzato con struttura in acciaio e lastre in perspex stampato che formano un disegno astratto. La visione michelucciana della variabilità, cioè quella di una città abitata prima che dalle forme dell’ar- chitettura, dalla pulsazione dei suoi flussi, pare incarnarsi al meglio in questo edificio. Il vasto spazio di ingresso offre la doppia possibilità di scendere nel salone, o di salire nello spazio ballatoio che si apre a tutta altezza proprio in corrispondenza del salone sottostante. La spazialità dell’insieme, pare mo- dellata dal flusso dei suoi fruitori che in questo spazio libero e all’apparenza indifferenziato nel quale pare vigere la sola regola della trasparenza e della fluidità, possono coglierne la sua interezza e la sua esatta razionalità. Il volume all’esterno offre una sua appartenenza a quei dettami di composizione sin- tattica ai quali pare guardare la progettualità di Scuola Fiorentina. Pur nella razionalità e nel nitore ge- nerali, ogni singolo pezzo pare scandirsi sulla sommatoria di tutti i possibili elementi che lo compon- gono, così da creare una semplicità raggiunta per sommatoria di parti. Come di consueto nella poe- tica di Gori, l’attacco a terra dell’edificio assume un ruolo prioritario. In questo caso, pare addirittura scandirsi in due parti distinte, connotate dalle ampie superfici vetrate del piano terra che accoglie gli ingressi e dalla fascia aggettante sul filo del piano terra, della piastra nella quale gli unici elementi che la caratterizzano sono i ritmi strutturali delle travi binate. In posizione arretrata rispetto al doppio filo del basamento, si colloca il volume dentellato dell’albergo, nel quale i marcapiani in cemento armato in vista scandiscono la massa di intonaco bianco nella quale le aperture vengono riunificate nel tratto filante di asolature verticali che definiscono l’angolo di ogni dentellatura.
Sulla via Giotto, il piccolo volume degli uffici assicurativi si pone come una scatola vetrata nella qua- le il disegno dell’infisso pare essere la sola nervatura, coperta da una lastra orizzontale che agget- ta fortemente sul filo di facciata.
Pur presentando l’unione di volumi e temi nettamente distinguibili tra loro, è proprio nella stessa relazione tra le varie parti che risiede la bontà dell’opera. Un’opera impostata sulla propria chiari- ficazione costruttiva, sulla propria emblematicità volumetrica, sulla propria forza distributiva, non- ché sull’essere espressione di una teoria progettuale, ma anche e soprattutto sulla forza del detta- glio e sulla sua perfetta esecuzione tecnica. Si veda il disegno semplicissimo ma al contempo effica- cissimo dei parapetti interni, giocato sul rapporto tra lastra di vetro e corrimano in legno, così co- me i parapetti che diventano seduta.
Il tema della fluidità, vero cavallo di battaglia dell’intero razionalismo, si declina in questa architettu- ra, in una sua particolare e raffinatissima versione, dove tutto pare smaterializzarsi in modo che lo sguardo possa abbracciare non solo i vari spazi dell’architettura, ma anche costantemente sottolinea- re e fare propria la relazione con l’esterno. Un esterno che “entra” nella composizione come luce so-
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lare, come vista della città, come alterità alla quale sempre riferirsi come traguardo percettivo finale. La coerente relazione tra forma e struttura permette di creare sempre un rapporto di relazione con essa, suddividendo lo spazio in temi e sottotemi che vi appartengono. Ampie specchiature di intonaco vanno a dialogare con la presenza puntuale di travi e pilastri, mentre pannellature in legno dogato sottolineano il bilanciamento tra le varie parti, così come una spazialità di relazione percepi- bile attraverso la sezione, stabilisce contatti visivi tra livelli diversi, partecipando lo spazio di una to- talità che diviene il registro tonale più prezioso. A questi, si aggiunge l’uso generalizzato delle lastre di cristallo traslucido che vengono utilizzate quali parapetti di scale e ballatoio, quali schermature di corridoi e di rampe di scale, a dilatare lo spazio in una continuità visiva tra sopra e sotto, interno ed esterno, sconosciuta prima d’ora in un edificio pubblico moderno fiorentino.
Bibliografia: L’Automobil Club dà l’esempio trasferendo la sede nel viale Amendola, in «La Nazione», del 15 Marzo 1960; Complesso A.C.I. a Firenze, in «Bollettino Tecnico del Collegio Ingegneri di Firenze», n. 4, Aprile 1960; G.K. KoeniG, Architettura in Toscana 1931-1968, Editori RAI, 1968; G. GoBBi, Itinerari di Firenze Moderna, Firenze, Ali-