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Chi contratta le città? Potenzialità e ambiguità del diritto dei beni comuni Spunti dal progetto torinese Co-City

1. Il progetto Co-City nella cornice del diritto dei beni comuni urban

Questo scritto intende presentare brevemente i risultati fino a oggi raccolti con la ricerca svolta in seno a Co-City1. Tale progetto, condotto da Città di To- rino, Università di Torino, ANCI e Fondazione Cascina Roccafranca, è finanziato dall'Unione Europea (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale) e inquadrato nella prima call del programma UIA-Urban Innovative Actions2.

La ricerca, connessa alla sperimentazione del regolamento torinese sui beni comuni urbani, si sta sviluppando a dieci anni dai lavori della commissione Rodotà, che imposero la categoria dei beni comuni all'attenzione pubblica (MATTEI,REVIGLIO,RODOTÀ,2007), e attesta l’importanza e originalità del di- battito italiano sui commons. Infatti, in assenza di interventi del legislatore statale sul diritto dei beni contenuto nel Codice civile, negli ultimi anni il baricentro di tale dibattito si è spostato (non casualmente) ai livelli municipali, divenuti un vero e proprio laboratorio (DI LASCIO,GIGLIONI,2017). Significativi i dati: dal 2014 quasi duecento Comuni italiani hanno adottato regolamenti sui beni co- muni urbani, aprendo così una stagione di ripensamento delle forme d'uso dei patrimoni pubblici (anche se nulla vieta di estendere il ragionamento, con i do- vuti adattamenti, ai beni in proprietà privata).

Un processo di diffusione così rapido obbliga a interrogarsi sul rapporto tra diritto dei beni comuni e democrazia dei luoghi. Ebbene, il carattere saliente delle dinamiche in corso di sviluppo nei contesti urbani sembra un’ambivalenza che mescola potenzialità e ambiguità. I principali aspetti di tale ambivalenza – i soggetti, il ruolo dei patti di collaborazione, le sfide al diritto vigente – sono presentati in questo scritto, ma occorre chiarire che essa ha ragioni profonde: infatti le tecniche normative e gli usi delle stesse non sono neutrali e hanno an- zi un ruolo infrastrutturale, con implicazioni su azioni e forme di autogoverno dei luoghi di vita.

Del resto, in una fase storica in cui le trasformazioni urbane sono sempre più estrattive è chiaro che i significanti vuoti della rigenerazione e dei beni co- muni possono aprire spazi di realizzazione del diritto alla città, tanto quanto supportare strategie di cooptazione neocorporativa (assorbite nelle relazioni capitalistiche urbane). In tal senso, le ricerche condotte in Co-City stanno ten- tando di rispondere all’interrogativo su chi contratta le città prendendo congedo

1 Per il progetto Co-City si veda <http://www.comune.torino.it/benicomuni/co-city/index.shtml> (ul-

timo accesso: novembre 2018).

2 Chi scrive fa parte del gruppo di ricerca giuridica dell'Università di Torino, insieme ai professori Ugo

da tendenze che, all’insegna di ottimistici unanimismi, si risolvono in una de- politicizzazione del diritto dei beni comuni urbani. Superare simili impostazioni permette di articolare l’indagine sulle forme di governo dei com-

mons e di operare scelte analitiche capaci di conferire alle stesse effettività. 2. I soggetti dei beni comuni

Attualmente, nell'ambito del progetto Co-City sono state raccolte circa 130 proposte di varia natura e complessità, tutte presentate in vista della conclusio- ne di patti di collaborazione con la Città di Torino. Un tale successo di partecipazione non è un unicum nel panorama italiano. Altri comuni (Cortona, Trento, Verona) sono stati in grado di stipulare con i c.d. cittadini attivi nume- rosi patti di collaborazione. Sono degni di nota in particolare i casi di Bologna e Napoli: nel 2014 il capoluogo emiliano è stato la prima città a dotarsi di un regolamento sui beni comuni, e in questi anni sono stati conclusi (in linea con questa peculiare sensibilità) centinaia di patti; al contrario il comune parteno- peo ha consapevolmente scelto di non dotarsi di un regolamento, facendo con la delibera di Giunta n. 446 del 2016 la scelta originale di individuare spazi di

rilevanza civica ascrivibili al novero dei beni comuni già interessati da forme di occupa-

zione e uso collettivo3.

La specificità napoletana, data dal riconoscimento di esperienze militanti ben identificabili sul piano politico, non elimina però l'opportunità di chiedersi – specie in tessuti con movimentazione sociale meno intensa – chi sono i sog- getti dei beni comuni.

La questione risulta molto interessante, ad esempio, nel contesto torinese in cui, nell'ambito del progetto Co-City, la cura di porzioni di città è al centro di iniziative caratterizzate da aspetti di novità. Da un lato, la gestione collettiva di un bene comune urbano può essere un’occasione inedita di cooperazione per differenti attori del territorio (come associazioni di promozione sociale, asso- ciazioni sportive dilettantistiche, comitati di quartiere). Dall'altro lato, numerose proposte provengono da soggetti e comunità distanti dai circuiti del tradizionale attivismo politico o del mondo associativo più strutturato. A tal proposito assume un rilievo particolare l'attivazione di gruppi informali, ossia di comunità allo stato fluido – non suscettibili di assumere la forma di un'entità

3 La delibera n. 446, nel riconoscere alcune esperienze di occupazione, rinvia alla redazione di una o più

bozze di regolamento d'uso civico o altra forma di autorganizzazione civica da riconoscere in apposite convenzioni collettive.

giuridica stabilmente organizzata e individuabile grazie a un singolo rappresen- tante legale – che identificano in uno spazio urbano un bene comune di cui prendersi cura in maniera generativa.

La pluralità e varietà dei soggetti che assumono iniziative di governo condi- viso e di autogoverno è foriera di positive complicazioni nella ricostruzione del diritto dei beni comuni urbani. Infatti, la cooperazione tra più attori del territo- rio attorno a uno stesso bene impone la ricerca di forme di gestione ed equilibri talvolta complicati, ma può tradursi in maggiore utilità comune gene- rata a beneficio di tutti. Inoltre, l'attivazione di gruppi informali e di soggetti nuovi attesta il potenziale politico dei beni comuni urbani, i quali possono es- sere veicoli di reinvenzione delle forme della partecipazione politica in un periodo come quello odierno, di evidente crisi dei corpi intermedi generalisti (partiti e sindacati in primis) affermatisi nel secolo scorso.