sulle politiche regionali
7.6 Prospettive di sviluppo del sistema
Due Regioni su diciotto hanno dichiarato di non essere a conoscenza dell’ipotesi di riordino del sistema d’internazionalizzazione produttiva e di istituzione di un sistema unico di rappresentanza all’estero.
La Tabella 12 indica i livelli d’importanza che le Regioni attribuiscono alle diverse azioni possibili per la creazione di un sistema di rappresentanza unitaria all’estero:
• l’integrazione e la razionalizzazione delle funzioni già svolte
dagli Enti operanti all’estero;
• l’integrazione delle strutture logistico organizzative già
esistenti all’estero;
• la formalizzazione di accordi e convenzioni interistituzionali
per la definizione di percorsi comuni d’azione.
Tabella 12.
Livello di importanza attribuito alle azioni future per lo sviluppo del sistema unitario all’estero
Livelli d’importanza attribuiti Azioni future per lo sviluppo
del Sistema unitario all’estero basso medio alto
Agire sull’integrazione delle strutture logistico organizzative
già esistenti all’estero 11,1% 38,9% 50,0%
Favorire l’integrazione e la razionalizzazione delle funzioni
già svolte dagli Enti operanti all’estero 11,1% 27,8% 61,1%
Creare figure professionali che possano svolgere un ruolo
di coordinamento unitario ma non semplicistico del sistema 27,8% 38,9% 33,3%
Definire modalità e prassi di confronto per la definizione
di strategie comuni d’azioni 11,1% 53,5% 44,4%
Formalizzare accordi e convenzioni interistituzionali
per la definizione di percorsi comuni d’azione 16,7% 33,3% 50,0%
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Relativamente agli effetti delle azioni contenute nel testo del d.d.l. di riordino del sistema, le Regioni hanno formulato le aspettative presentate nella Tabella 13 che segue.
Tabella 13.
Livello di importanza attribuito alle azioni future per lo sviluppo del sistema unitario all’estero
Aspettative di ricaduta conseguenti al d.d.l. di riordino del sistema di internazionalizzazione
distribuzione delle risposte
Riduzione dei costi di gestione e promozione 15,9%
Aumento dei livelli di efficacia dell’azione all’estero 31,8%
Riqualificazione d’immagine del Sistema Italia 20,5%
Aumento dei livelli di riconoscibilità dell’identità regionale 15,9%
Specializzazione delle attività e delle funzioni dei soggetti 9,1%
Nessun impatto in particolare 4,5%
Non sa rispondere 2,3%
Totale 100,0%
Fonte: Consorzio M.I.P.A.
7.7 Conclusioni
L’indagine di campo è stata effettuata con lo scopo di ricomporre il quadro conoscitivo degli strumenti, delle attività e delle relazioni in essere al 2003, nell’ambito dell’esercizio del potere regionale di sostegno pubblico all’internazionalizzazione produttiva. Scopo secondario era quello di identificare tre Regioni che, per le loro caratteristiche, potessero rappresentare dei casi meritevoli di approfondimento. La scelta è caduta sulle Regioni Toscana, Emilia Romagna e Lombardia, che rappresentano tre diversi approcci alle politiche pubbliche per l’internazionalizzazione, ciascuna con un forte connotato territoriale (si vedano i capitoli 9, 10 e 11).
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In linea generale, dall’indagine emergono modelli di comportamento differenziati tra le Regioni; in particolare, per quel che riguarda l’assetto giuridico e organizzativo dello Sprint:, si va dal modello “Regione”, più diffuso nel Mezzogiorno d’Italia, al modello “Agenzia”, più praticato nel Nord. C’è anche il modello “Camere di commercio”, che connota ad esempio la Lombardia, nella quale lo Sprint è stato progettato e avviato più recentemente, secondo una maggiore vocazione alla rappresentanza estera e basato sul sistema camerale, storico interlocutore privilegiato del sistema imprese. Il modello “Ice”, infine, è stato scelto soprattutto, ma non solo, dalle Regioni first movers, cioè quelle che per prime hanno avviato lo Sprint.
Al di là del modello delineato, si nota come solo in pochi casi l’esercizio della funzione di sostegno all’internazionalizzazione territoriale sia demandata come funzione esclusiva ad un’unità organizzativa a questo dedicata, sebbene tutte le amministrazioni regionali abbiano oramai strutture e risorse impegnate alla funzione. Stessa cosa vale per le risorse finanziarie, quasi sempre identificate in un capitolo di bilancio, il cui ammontare proveniente da conferimenti propri regionali è piuttosto variabile da caso a caso; a queste risorse se ne aggiungono altre, spesso provenienti da fondi strutturali, che portano il budget complessivo sulla soglia dei 580 mila euro per il Nord, dei 650 mila euro per il Centro e dei 1,3 milioni di euro per il Mezzogiorno d’Italia.
Dal punto di vista operativo, gli obiettivi prioritariamente perseguiti dalle amministrazioni intervistate testimoniano essenzialmente che quasi tutte pongono tra le priorità la promozione all’estero dei prodotti regionali; seguono, per il Nord e il Sud, il sostegno all’import-export e, per il Centro, l’esportazione dei modelli locali di produzione.
Le dotazioni strumentali delle strutture per l’internazionalizzazione, quando non siano riferite a modelli per “Agenzia”, sono sorprendentemente limitate: una su tre non ha attivato un sito internet o una sezione web dedicata all’offerta di
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servizi informativi alle imprese, benché rimandi a quelli attivi presso altri partner territoriali; una su cinque gode di spazi di lavoro adeguati per la gestione di tutte le attività, comprese quelle di servizio all’utenza. Un terzo, inoltre, non ha apposto alcuna segnaletica utile all’utenza (imprese) per identificare la struttura come regionale o a partecipazione regionale. Contrariamente a quanto avviene per gli uffici di servizio che operano nel territorio nazionale, regionale, le rappresentanze estere delle Regioni sono sempre riconoscibili dall’utenza esterna mediante segnaletica che riporta l’identificativo dell’amministrazione di riferimento, anche e soprattutto quando si tratta di strutture in compartecipazione.
Il personale che opera presso le strutture per l’internazionalizzazione è sia dipendente dalle amministrazioni regionali, sia personale estraneo alle stesse. Nessuna Regione ha potuto avviare lo Sprint e le relative funzioni senza avvalersi, anche per la sola parte operativa, di personale esterno all’amministrazione, a riprova del fatto che lo Sprint rappresenta un organismo di coordinamento dei soggetti aderenti alla rete.
Per quel che riguarda le rappresentanze estere, quasi tutte le Regioni hanno istituito delle strutture esterne che, a diverso titolo e con formule giuridiche e organizzative variegate, svolgono funzioni di accompagnamento all’internazionalizzazione produttiva. Sono state censite in tutto quarantadue rappresentanze estere regionali, identificate in: Info Point, Desk, uffici Antenna, uffici decentrati, che rappresentano sedi presso le quali si svolgono attività operative di servizio nei confronti del doppio binario d’internazionalizzazione. Esse assumono forme di partecipazione regionale piuttosto diversificate, si va dalla convenzione, alla partnership, al vero e proprio decentramento funzionale. La Lombardia, in particolare, risulta avere il più alto numero di rappresentanze estere: essa presenta un organizzazione particolare, definita come evoluzione del modello camerale; ciò perché originariamente ideata come connessione tra nodi reticolari formati da pre-esistenti forme di collaborazione territoriale ed interistituzionale tra soggetti pubblici e privati,
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posizionati nelle diverse province lombarde. Questa Regione parrebbe presentarsi come un esempio compiuto di integrazione territoriale e di unitarietà della rappresentanza del sistema regionale all’estero proprio perché, cogliendo l’opportunità della connessione alle reti pre-esistenti del sistema camerale e della rete degli uffici Ice all’estero, ha assunto un ruolo capofila nella coesione interistituzionale per l’internazionalizzazione regionale.
Gli strumenti di pianificazione e programmazione delle linee di attività per l’internazionalizzazione sono piuttosto diversificati da Regione a Regione; non pare emergere una prassi prevalente, quasi tutte le Regioni hanno strumenti ideati sulla base delle proprie specificità. Per quanto riguarda le attività di servizio effettivamente svolte, si tratta per la metà di servizi promozionali e organizzazione eventi espositivi e informativi e, in modo marginale, di servizi informativi per l’accesso agli strumenti agevolativi e, ancora meno, di servizi di orientamento per il partenariato estero e l’assistenza e l’accompagnamento alle imprese per la progettazione e realizzazione di interventi d’internazionalizzazione.
Il monitoraggio dei livelli di attività di servizio alle imprese è una funzione scarsamente presidiata, seppure se ne intuisce l’importanza per il governo della traiettoria di sviluppo delle medesime strutture di appartenenza: la metà delle Regioni intervistate non ha potuto fornire un dato sui livelli delle proprie attività di servizio alle imprese. E ciò anche se si tratta, in quasi tutte le Regioni, di una funzione per la quale sono destinate risorse umane e finanziarie, spesso di non trascurabile entità. Per quel che riguarda le fonti informative raramente si fa ricorso ad analisi qualitative sul territorio, finalizzate all’integrazione delle basi informative nazionali.
È possibile, infine, guardare ai risultati di questa indagine ponendosi dal punto di vista degli elementi definiti nel capitolo cinque come condizioni essenziali perché i soggetti coinvolti nei processi di riforma dei sistemi di sostegno all’internazionalizzazione costituiscano effettivamente una “rete” capace di svolgere un ruolo di moltiplicatore delle conoscenze.
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Il primo problema è posto dal fatto che obiettivo prioritario, seppure non unico, delle Regioni è quello di promuovere all’estero i prodotti regionali. Implicitamente, di conseguenza, esse tendono a trasmettere all’ester(n)o una propria immagine, talvolta meglio specificando quella rappresentata dalle istituzioni nazionali. Quello che va capito è che rapporto ci sia tra queste politiche e la necessità di costruire una vision comune nazionale.
I quesiti che sono stati posti alle Regioni per valutare quale sia la percezione diffusa dell’internazionalizzazione come funzione istituzionale svolta da soggetti a rete, orientati da una logica unitaria, non ci mette in condizioni di comprendere quanto la costruzione di un’immagine regionale finisca col contrapporsi alla costruzione di un’immagine nazionale. Ci permettono invece di capire quale sia la percezione, da parte delle Regioni, del livello di coordinamento tra le istituzioni coinvolte. Sebbene nessuna lo voglia definire alto, le Regioni sembrano convinte che il coordinamento si attesti ad un livello medio-alto, soprattutto per quel che riguarda il coordinamento con le istituzioni nazionali. Stupisce, a parere di chi scrive, che la percezione dell’unitarietà del sistema nazionale sia così diffusa, nonostante il poco tempo trascorso dalla riforma costituzionale che legittima l’operato regionale a favore dell’internazionalizzazione. Vengono infatti considerati punto di forza il livello di coordinamento nazionale raggiunto, migliorato rispetto al passato, e la tendenziale convergenza alle strategie tipiche di un “fare sistema”.
Il principale elemento di criticità rispetto ai problemi di coordinamento è individuato (con accentuazioni differenti tra le Regioni) nel sistema di regolamentazione e, conseguentemente, nella definizione di funzioni e compiti. Questa indicazione vale sia quando ci si riferisce al coordinamento con le istituzioni nazionali sia tra istituzioni regionali; in questa stessa direzione si citano anche l’inadeguatezza degli assetti degli Enti operanti nel settore (che ne limiterebbe la funzionalità), la scarsa propensione alla coesione interistituzionale e, quindi, la difficoltà nel programmare una condivisa agenda politica. Le testimonianze fornite dalle Regioni
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sembrano dunque indicare che é giudicato sostanzialmente inadeguato il livello di specializzazione funzionale raggiunto.
Il fatto che le Regioni, oltre a sottolineare la necessità di rafforzare il coordinamento con gli Enti strumentali dello Stato, con i soggetti privati e con gli Enti locali, abbiano nei fatti sviluppato
partnership territoriali, così come la constatazione che le Regioni
inizino a porsi l’obiettivo della maggiore collaborazione e coesione con le istituzioni degli altri livelli di governo locale, può essere considerato un indice di un qualche livello di coscienza della necessità di una identificazione dei partecipanti al sistema e di identificabilità esterna del sistema nel rispetto dell’identità individuale.
La propensione a fare sistema espressa dalle Regioni, almeno da quanto è stato dichiarato in sede d’intervista, è piuttosto alta. Ne è una conferma il fatto che l’adesione ad iniziative di rappresentanza unitaria all’estero sia ritenuta da tutti gli intervistati come un’opportunità promettente. Solamente il 7% delle Regioni pensa all’apertura di nuove sedi regionali all’estero. Non vi è intenzione di attivare iniziative del tutto autonome rispetto alle altre istituzioni territoriali e nazionali. Con alcune delle tipologie di soggetti della rete, piuttosto, le Regioni hanno aperto, in condivisione, sedi di rappresentanza economico commerciale all’estero, soprattutto, con la rete estera degli uffici Ice e del sistema camerale.
Le aree di maggiore attenzione affinché il disegno di rappresentanza unitaria estera si sviluppi nel prossimo futuro sono identificate nell’integrazione e razionalizzazione di funzioni e ruoli dei soggetti partecipanti, nell’integrazione logistica e organizzativa delle sedi già esistenti all’estero, nella formalizzazione di accordi per la definizione delle azioni congiunte nei paesi obiettivo per l’internazionalizzazione. Si richiamano, in sostanza, elementi riferibili alle condizioni del modello reticolare.
L’ultimo dei quattro elementi del modello, la definizione delle regole e delle responsabilità individuali, è quello che maggiormente dovrà svilupparsi nel prossimo futuro, soprattutto se si considera che il quadro normativo di funzionamento del sistema
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(strumenti, assetti procedurali, linea del comando, altro) è il principale aspetto critico che le Regioni percepiscono come vincolante per lo sviluppo dell’unitarietà.
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