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I provvedimenti successivi

Capitolo 1: Nascita del Monte di Pietà di Verona e quadro giuridico

3. I provvedimenti successivi

Subito dopo l’inizio dell’attività del Monte, e per tutta la sua vita, furono molti i provvedimenti emanati al fine di adeguare la normativa alle diverse situazioni che man mano venivano in essere, fino a giungere all’approvazione dei nuovi statuti, avvenuta nel 1574; passiamo dunque in rassegna le singole deliberazioni, soffermandoci brevemente solo a sottolineare le decisioni particolarmente significative.

Il 2 ottobre 1490 il Consiglio dei XII e L delibera di consentire ai Governatori di prendere a censo, cioè di ricevere a prestito pagando un interesse, in caso di bisogno, fino a quattrocento ducati, con obbligazione del Comune di Verona116, che viene dunque a costituirsi garante delle necessità finanziarie dell’istituzione benefica, accentuando quello stretto legame cui abbiamo accennato. Alla fine dello stesso mese, inoltre, il Consiglio inibisce la possibilità di rivestire incarichi nel Monte a coloro i quali si rifiutassero di pagare la dadìa imposta a beneficio del luogo pio117. L’anno successivo, per la precisione il 4 marzo, il massimo organo assembleare della città decide di chiedere a Venezia l’approvazione della novella istituzione,

113 Ivi, pp. 33-36.

114 BARBIERI, Origine ed evoluzione, pp. 8-9.

115 PULLAN, La politica sociale, II, p. 514 e pp. 643-645.

116 A.S.Vr, Antico Archivio del Comune, registro n. 522, 1490-1787, Raccolta di tutti li Capitoli, et Ordini,

spettanti al Governo, et Amministrazione del S. Monte di Pietà di Verona, c. 7v.

contemporaneamente accrescendo da uno a due ducati il massimale per le somme da concedere in prestito ai poveri118. Da sottolineare che il 2 settembre 1491 il Consiglio decide di ammettere ipso facto al rango di Governatore, quale rappresentante della classe dei mercanti, quel Massaro che decida di servire gratuitamente; allo stesso tempo si delibera di acconsentire a che il Massaro abbia un aiutante, da retribuirsi con un ducato all’anno119.

I provvedimenti successivi hanno portata minore fino al 1496, quando si fa salire da due a tre e da tre a quattro la somma erogabile su pegno, ma si prendono anche decisioni importanti circa il funzionamento delle massarie. L’11 marzo di quell’anno il Consiglio dei XII e L approva diciassette nuovi Capitoli, il cui punto fondamentale consiste, a nostro avviso, nel decidere che il Massaro resti in carica due anni (Capitolo primo), che sarà la durata effettiva dell’impiego fino al 1797120; contemporaneamente, viene fissato in due anni anche l’ufficio per i Notai (Capitolo quarto) e si istituisce la figura del Priore (Capitolo quinto), membro della Sessione chiamato ad una funzione di guida degli altri Governatori121. I punti successivi non rivestono un’importanza nodale e si limitano a specificazioni o lievi modifiche di norme precedentemente introdotte. Per ciò che riguarda, invece, Massari, Notai e Priore, abbiamo come la sensazione di trovarci in un momento in cui il Monte inizi a sentire l’esigenza di una maggiore strutturazione, in riferimento ad un’attività che sembra svilupparsi oltre le previsioni; ne è prova che il 18 dicembre 1496 il salario dei massari viene accresciuto fino a cinquanta ducati122.

Sul finire del secolo, invece, deve iniziare a farsi sentire con urgenza il problema del rapporto con gli ebrei, temibili concorrenti nell’attività feneratizia, se il 22 settembre 1497 il Consiglio chiederà a Venezia di confermare il divieto per i giudei di prestare denaro su pegno e di esigere interessi123. L’11 marzo 1499, poi, gli amministratori comunali si attiveranno per ottenere l’espulsione degli ebrei scovati a compiere attività usuraie124; su questo tema il Consiglio cittadino tornerà anche il 14 febbraio 1501, vietando ai figli di Davide usurai di soggiornare in città, come nei sobborghi e di avere rappresentanti a Verona125. Tuttavia, come accennato, una decisa opera di scomunica, che eliminasse la concorrenza ebraica per il

118 Ivi, cc. 8r-8v.

119 Ivi, c. 8v; ZAMPESE, Il Monte di Pietà di Verona, p. 26.

120 A.S.Vr, Antico Archivio del Comune, registro n. 522, 1490-1787, Raccolta di tutti li Capitoli, et Ordini,

spettanti al Governo, et Amministrazione del S. Monte di Pietà di Verona, cc. 10r-12r.

121 Ivi, cc. 10r-12r. 122 Ivi, c. 13v. 123 Ivi, c. 13v. 124 Ivi, cc. 13v-14r. 125 Ivi, c. 14v.

sollievo dei poveri, lasciando l’incombenza del piccolo prestito solo al Monte di Pietà, giunge nel 1582, con il provvedimento che di seguito riportiamo126:

SOMMARIO

DELLA SCOMMUNICA MAGGIORE

CONTENUTO NEL DECRETO REDATTO DA MONSIGNOR REVERENDISS.

Vescovo di Verona, con auttorità apostolica sopra il Monte dei Pietà di Verona, l’assoluzione della quale S.S. Reverendissima si risserva à se solamente, eccetto in articolo di morte

IN DETTA SCOMMUNICATIONE INCORRERANNO IPSO FACTO & immediatamente tutti gli infrascritti

Li Magnifici Prior, Governatori, & Presidenti, & tutti li ministri di qualonque sorte stato, & officio, o maneggio del Santo Monte, li quali contrafaranno alle Leggi, Ordini, & Capitoli della Magnifica Città, & Santo Monte, come si dirà qui a basso. Et oltre ciò qualonque altra sorte, & qualità di persone, sia di qual grado, stato, ordine & conditione esser si voglia, che procurerano, aiuteranno, se intrometteranno per se, o per altri in qualsivoglia modo contra dette Leggi, Ordini, & Capitoli, come qui serà dechiarito.

- Imprestandosi danari a Forastieri, overo ad Hebrei sotto falsi nomi, overo ad altra sorte di persone, in qual si voglia modo, che sia contra la intenzione delli Capitoli, che sopra ciò dispongono.

- Imprestandosi danari sopra Scritti, non facendosi dar pegni equivalenti, secondo il tenor del Capitolo, che sopra ciò dispone.

- Restituendosi li pegni, overo accommondandosi al patron del pegno, ò ad altri per suo nome, non facendosi dar il danaro del pegno, o contracambio equivalente, secondo il tenor dell’altro Capitolo stesso, de generali, & in tutto come in essi Capitoli, che trattano sopra Scritti, o restitution de pegni.

- Rimettendosi pegni de Forastieri in qual si voglia modo.

- Prelevandosi in qual si voglia indebito modo per si, overo per altri delli danari del Santo Monte, o per farne mercantia, o per altro uso contrario alli ordini del Santo Monte, cosi di quelli de’ Monte di poveri, come ancho del Monte grande, per li quali ancho li paghasse il suo utile.

- Facendosi molte partide alli Monte de’ poveri per prevalersi delli danari à uso contrario alla disposition delli ordini.

Verona, ex curia Episcopali die 26 Maii. 1582

Iosephus Castellus Cancell.

Il problema dei rapporti tra cristiani ed ebrei per quel che concerne l’attività feneratizia è decisamente particolare e meriterebbe di essere trattato in un lavoro apposito; tuttavia sarà utile qualche accenno in proposito, non dimenticando che lo scontro religioso nei secoli non si è limitato al tema dell’usura. Ad esempio, sappiamo che in Francia i giudei sono accusati, insieme ai lebbrosi, dell’avvelenamento delle fontane e dei pozzi nel corso del terzo decennio del Trecento (editto di Filippo V del 26 luglio 1321)127, e anche in questo caso entrano in gioco fattori economici, legati allo sfruttamento delle risorse dei lebbrosari128. Altrettanto noto è il tentativo di legare gli ebrei alla diffusione della peste nera del 1347-1351, che comportò lo svilupparsi di numerosi episodi di violenza nei confronti dei ghetti: si inizia a Tolone (13-14

126 A.S.Vr, Santo Monte di Pietà, Versamento 11 ottobre 1956. 127 C. GINZBURG, Storia notturna, Torino, Einaudi, 1989, p. 7 e p. 12. 128 Ivi, p. 9.

aprile 1348) e si prosegue in tutta la Provenza129. Avvicinandoci alla nostra realtà spaziale, ricordiamo che gli ebrei che gestivano i banchi di prestito nella Repubblica veneziana cominciarono a immigrare dalla Germania e dall’Italia centro-meridionale tra la metà e la fine del XIII secolo, ma furono chiamati a Verona solo nel 1408130, anche se non sono escluse presenze antecendenti131. L’intento era quello di ridurre gli interessi esorbitanti imposti dagli usurai cristiani132, anche se non v’è dubbio che si fece di tutto per tenere i giudei in una

posizione d’inferiorità giuridica (è del 1422 l’obbligo di portare il segno distintivo). In ogni caso il rapporto tra le autorità venete e i figli di David seguì un andamento ciclico, dettato dalle diverse congiunture economico-finanziarie. Osserva a tal proposito Braudel:

Se si traspone sotto forma di quadro cronologico la lista delle persecuzioni, dei massacri, delle espulsioni e delle conversioni forzate che formano il martirologio della storia degli Ebrei, si nota una correlazione tra i movimenti della congiuntura e quelle misure feroci. Queste ultime dipendono sempre dalle perturbazioni della vita economica, le accompagnano. Non sono soltanto gli uomini, i principi, o i «perversi» – di cui non neghiamo la parte avuta – a porre fine alle facilità di vita e agli splendori delle comunità ebraiche occidentali […]. La colpa maggiore risale alla recessione globale del mondo occidentale. […]

Come la recessione secolare del 1350-1450 ha respinto i mercanti ebrei verso l’Italia e la sua economia al riparo, la crisi del 1600-50 li trova nel settore, anch’esso al riparo, del Mare del Nord. In quegli anni il mondo protestante li ha salvati, privilegiati, ed essi, a loro volta, hanno salvato, privilegiato il mondo protestante. […]

Ma i reciproci adattamenti tra congiuntura e vicissitudini del popolo ebreo non valgono soltanto per i grandi avvenimenti e le fasi lunghe, ma anche per le crisi particolari, quasi sul filo degli anni e dei giorni133.

L’economia, dunque, contribuisce a muovere le scelte politiche. La storia degli israeliti è contraddistinta da continui spostamenti causati dall’alternarsi di visioni politiche differenti nei diversi domini nei quali risiedevano: come ricorda Braudel, quando Milano nel 1597 decide di sbarazzarsi dei suoi ebrei, essi raggiungono Vercelli, Mantova, Modena, Verona, Padova e altre località vicine134. L’importanza del contesto politico nell’andamento dei rapporti

cristiani-ebrei è testimoniata anche dagli episodi della guerra dell’impero contro i turchi del 1686; nella Serenissima cresce l’entusiasmo dopo il provvidenziale intervento a difesa di

129 Ivi, p. 36.

130 Il Consiglio Civico vota, alla presenza del podestà veneziano Zaccaria Trevisan, il 31 dicembre 1408,

deliberando, con 18 voti a favore e 5 contrari, di accogliere gli ebrei. Il patto stipulato tra la città e i giudei stabilisce, in virtù della logica del male minore, di acconsentire ad un’attività feneratizia con la richiesta del 25% di interesse; G. BORELLI, Momenti della presenza ebraica a Verona tra Cinquecento e Settecento, in Gli ebrei a Venezia – Secoli XIV-XVIII, a cura di G. COZZI, Milano, Edizioni di Comunità, 1987, pp. 282-283.

131 Varanini ricorda la documentata presenza in città di almeno un prestatore ebreo sin dal 1382 (Bonaventura

iudeus); G.M. VARANINI, Appunti per la storia del prestito e dell’insediamento ebraico a Verona nel

Quattrocento, in Gli ebrei a Venezia – Secoli XIV-XVIII, a cura di G. COZZI, Milano, Edizioni di Comunità, 1987, pp. 616-617.

132 PULLAN, La politica sociale, II, pp. 487-489. Del resto, il podestà e i provveditori del comune di Verona, sotto

vincolo di giuramento, erano tenuti ad impedire che giudei o cristiani esercitassero l’usura. Indipendentemente dall’appartenenza religiosa, l’usura era punita con la perdita del capitale e degli interessi, ma si poteva arrivare anche al bando perpetuo dal territorio; Verona e il suo territorio, Volume V, Tomo I, a cura di L. VECCHIATO, F.

VECCHIATO, Verona, Istituto per gli Studi Storici Veronesi, 1995, p. 124.

133 F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, Einaudi, 2002, p. 869. 134 Ivi, p. 860.

Vienna operato dalle truppe di Giovanni Sobieski; il popolo veneziano, che parteggia, in questo caso, per gli Asburgo, avvia episodi di intolleranza contro ebrei e francesi, accusando i primi di procurare armi ai Turchi135. Per quel che riguarda, nello specifico, i monti di pietà, non possiamo negare che la loro fondazione fu accompagnata da una crescita del sentimento anti-ebraico, ma che va senz’altro contestualizzato nel più generale ambito economico- sociale. Certo è che le autorità veronesi decidono l’espulsione dei giudei nel 1499, dando inizio ad un secolo di contrasti che coinvolgeranno anche la Serenissima, ma tale provvedimento non porterà all’estinzione della presenza fisica ed economica degli ebrei nella città, tant’è che, come osservato da Pullan, se ne trovano ancora nel 1509136 e nel 1520137. Come si giunge dunque alle manovre restrittive dell’ultimo quarto del XVI secolo? Venezia, del resto, sa benissimo che l’espulsione degli ebrei danneggerebbe gravemente le sue finanze; ma la Serenissima inizia a convertirsi ad una maggiore inimicizia nel 1550, quando emana un nuovo ordine di allontanamento, coincidente con un periodo di notevole peggioramento delle condizioni e delle finanze degli israeliti138. Non possiamo tuttavia tralasciare l’irrigidimento generalizzato dell’atteggiamento religioso, iniziato negli anni Quaranta del Cinquecento, avviato in seguito al diffondersi dell’eresia luterana: Giovanni Pietro Carafa, dopo il 1542, assume, col Cardinale di Burgos Juan Alvarez de Toledo, la direzione dell’Inquisizione; inizia il Concilio di Trento; Carlo V dà il via alla guerra con i principi protestanti riuniti nella Lega di Smalcalda, vinta dalle forze cattoliche a Muehlberg nell’aprile del 1547139. Motivazioni economiche, politiche e religiose si mischiano nella rinata lotta ai giudei e nel 1547 Verona chiede, ed ottiene, il divieto per gli ebrei di prestare ad interesse nel suo territorio. Tuttavia, il perseguimento di una tale politica non sarebbe stato possibile se la vita dei monti di pietà non avesse assunto una dimensione quantitativa tale da poter affrontare in autonomia le esigenze finanziarie dei ceti meno abbienti, anche se una completa sostituzione dei banchi francescani a quelli ebraici nella città di Cangrande non avvenne mai140, diversamente dal caso di Vicenza, dove l’erezione del Monte di Pietà (1486) porterà i giudei a scomparire dal territorio cittadino141.

135 Verona e il suo territorio, V-I, pp. 449-450. 136 PULLAN, La politica sociale, II, p. 503. 137 Ivi, p. 546.

138 Ivi, p. 569.

139 P. MERLIN, La forza e la fede. Vita di Carlo V, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 243; PULLAN, La politica

sociale, II, p. 570.

140 PULLAN, La politica sociale, II, p. 547.

141 G. ZALIN, Il passaggio dall’attività di prestito alla attività di intermediazione degli ebrei veneti nel Cinque e

Questo incremento (effettivo o potenziale) delle risorse di taluni dei Monti, e un tale allargamento delle loro possibili attività, rese praticamente realizzabile l’attacco alle funzioni economiche degli Ebrei, poiché, con l’evoluzione verificatasi nella loro struttura, i monti erano ora in grado di sostituire più completamente i banchi degli Ebrei, soprattutto se, come avveniva a Verona, essi erano autorizzati a prestare a «qualunque persona». Secondo ogni evidenza, il problema della crescente pressione demografica aveva indotto le autorità, attraverso un processo lento e tortuoso, a preoccuparsi maggiormente della disponibilità di fondi per i prestiti ai poveri, nella crescente consapevolezza che il denaro a disposizione dei Monti era del tutto insufficiente. Può anche essere che, data la sempre maggiore povertà, i tassi di interesse relativamente alti richiesti dagli Ebrei fossero assolutamente eccessivi, e avessero provocato incidenti come i pogrom avvenuti ad Asolo. I Monti di Pietà offrivano ora un sostituto completo dei banchi di prestito ebraici, ed i cittadini di Verona, Padova, Crema, Conegliano ed Asolo ritenevano ormai di potersi affidare completamente a questi istituti142.

Dalla metà del secolo XVI la situazione muove solo al peggioramento, giungendo al culmine con il decreto di espulsione degli ebrei sia dalla capitale che da tutti i domini veneziani, approvato dal Senato il 18 dicembre 1571143; tale disposizione seguiva di quasi cinque anni quello analogo decretato nello Stato Pontificio da Papa Pio V il 26 febbraio 1567144. Risulta singolare tale comunanza d’agire operata proprio in quei due Stati italiani che più degli altri si erano rivelati tolleranti e ospitali nei confronti degli ebrei145, mentre nel Regno di Napoli tali provvedimenti erano stati deliberati già dal 1540-1541146. Tuttavia questa manovra, nella Serenissima, non fu portata a compimento e la vendetta veneziana nei confronti dei figli di David, desiderata anche a causa dell’infittirsi dei loro rapporti con l’impero turco147, si fermò a metà strada148. Fondamentalmente, l’attività di prestito degli israeliti è trasformata, al fine di assimilarla a quella dei monti di pietà149, con una drastica riduzione dei tassi di interesse, e ridotta ad una presenza nei piccoli centri, mentre nelle città essi si danno soprattutto alla mercatura150. È nell’ambito di questo “giro di vite” che vanno intesi i duri interventi legislativi veronesi, come quello citato del 1582. Lo strascico di queste ostilità sarà più intenso in Terraferma che nella Dominante a partire dagli anni Settanta del XVI secolo151: il miglioramento delle condizioni economiche (1575-1595) coincide con un

142 PULLAN, La politica sociale, II, p. 579. 143 Ivi, p. 591.

144 J. BEECHING, La battaglia di Lepanto, Milano, Bompiani, 2002, pp. 160.

145 Ivi, p. 159. Ricordiamo che sin dagli inizi del Cinquecento Venezia aveva adottato severi interventi di tutela

nei confronti degli ebrei, come il divieto di battesimo per i nati ebrei che non avessero compiuto i 14 anni, adottato nel 1502; R. CALIMANI, Storia del ghetto di Venezia, Milano, Mondadori, 1995, p. 275.

146 L. DE ROSA, Banchi pubblici, banchi privati e monti di pietà a Napoli nei secoli XVI-XVIII, in Banchi pubblici,

banchi privati e monti di pietà nell’Europa preindustriale, Genova, Società Ligure di Storia Patria, 1991, p. 501.

147 Ricordiamo che il 7 ottobre 1571 la flotta cristiana guidata da Giovanni d’Austria sconfigge i Turchi a

Lepanto; in quest’occasione, come in altre già ricordate, gli ebrei vengono accusati di collaborazionismo col nemico; cfr. anche ZALIN, Il passaggio dall’attività di prestito, p. 265.

148 BRAUDEL, Civiltà e imperi, p. 861; PULLAN, La politica sociale, II, p. 596.

149 Anche se, come sottolinea Lane, la riduzione al 5% del tasso legittimamente riscuotibile dagli ebrei usurai fu

possibile perché il governo impose ad altri ebrei, prosperi trafficanti di abiti usati e mercanti internazionali, di aiutare gli usurai; F.C. LANE, Storia di Venezia, Torino, Einaudi, 1991, p. 350.

150 PULLAN, La politica sociale, II, pp. 597-598.

151 Infatti, ancora nel 1568, in particolare il giovedì santo, papa Pio V «aveva elencato nella bolla In Coena

mutamento nella politica papale introdotto da Sisto V, cui si accompagna un intensificarsi dell’opera del capitalismo ebraico nei traffici marittimi mediterranei152, tant’è che Lane è indotto ad affermare che

[…] dopo il 1590 gli ebrei erano trattati assai bene a Venezia. I cristiani andavano ai concerti nel ghetto e gli ebrei assistevano alle regate e agli spettacoli teatrali all’esterno di esso; frequentavano insieme le sale da gioco, e ascoltavano, chi aveva gusto a queste cose, i sermoni gli uni degli altri. Il numero degli ebrei crebbe ad almeno 2500; e si dovettero costruire i casamenti più alti di Venezia, alcuni anche di sette piani, per dare alloggio a tante persone in uno spazio ristretto153.

Nell’entroterra, invece, e in special modo a Verona e Padova si intensifica il moto restrittivo, che porterà all’istituzione del Ghetto. Dal 1480 il doge Giovanni Mocenigo aveva dimostrato di voler usare la mano pesante, mentre dal canto suo il 14 febbraio 1501 il Consiglio dei XII e L sottolineava con gravità la volontà di tenere lontani gli ebrei154. Dal 1526,

invece, il Consiglio civico veronese inizia a chiedere l’autorizzazione a chiudere i banchi ebraici, ma la Serenissima riuscì a procrastinare la decisione fino al 1547155, quando agli ebrei veronesi venne proibito il prestito su pegno con lettera ducale del 4 dicembre, inviata dal doge Francesco Donà ai rettori di Verona Domenico Morosini e Giovanni Marcello156. La disposizione venne aggravata nel 1578, quando agli israeliti scaligeri fu proibito anche l’accettare pegni da portare al Monte di Pietà: questo significò che la comunità ebraica doveva ora sopravvivere con i soli proventi della strazzeria (raccolta e vendita di stracci) e delle poche professioni liberali consentite ai giudei (tra cui la medicina). Inoltre, dal 1574 il Senato veneziano aveva subordinato la presenza ebraica nella città atesina al confino in un quartiere preciso, ma solo nel 1593 il Vescovo Valier157 riuscì a convincere le autorità locali a mettere

esigeva obbedienza né mai avrebbe potuto transigere. La bolla vietava, in primo luogo, l’accoglimento di nuclei non cattolici (per Venezia era chiaro il riferimento agli Ebrei, ai Greci ortodossi che si erano fatti costruire da poco dal Sansovino la loro cattedrale di San Giorgio, agli studenti protestanti, soprattutto tedeschi, che frequentavano l’università padovana)»; A. ZORZI, La Repubblica del Leone. Storia di Venezia, Milano, Bompiani, 2002, p. 372.

152 BRAUDEL, Civiltà e imperi, p. 870. 153 LANE, Storia di Venezia, p. 350.

154 BORELLI, Momenti della presenza ebraica, p. 286.

155 «Nel 1526, i due oratori a Venezia della città di Verona, i «domini» Francesco Baioloto e Tomio Colpano,

supplicano la Serenissima Signoria che «attesa la grande et insopportabile estorsione et manzerie che fano gli Ebrei feneranti in quela Città et Territorio» venga concesso alla città il potere d’impedire agli ebrei di fenerare». Il doge Andrea Gritti, con ducale datata 2 gennaio 1526, benignamente accondiscende con il solo termine temporale che «finito sia il tempo dela restituzion dell’ultimo imprestedo fatto per essi ebrei alla Signoria nostra»»; BORELLI, Momenti della presenza ebraica, p. 286.

156 Ivi, p. 281.

157 Considerato uno dei maggiori esponenti, dopo la Controriforma, all’interno della Serenissima, del partito dei