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Seguivo con interesse e personale partecipazione emotiva l’andamento delle rivolte arabe già dal loro nascere, quando la notizia del suicidio di Bouazizi rimbalzò dai telegiornali del mondo e dalle pagine del web. Amante della democrazia e della libertà, cause che mi spinsero a lasciare il mio paese nel 1979 alla volta dell’Italia, passavo le giornate davanti allo schermo televisivo, preso dall’euforia delle ribellioni contro regimi che detestavo e nei quali riconoscevo corruzione e la prima fondamentale causa del degrado delle nazioni arabe. Seguendo le notizie che si allargavano come una chiazza di petrolio che incendiava il Nord Africa fino a invadere pressoché l’intero Medio Oriente, puntavo lo sguardo sulle donne, gli uomini e i giovani che correvano a perdifiato nelle strade delle città per fermarsi nelle piazze a gridare il loro coraggioso لحرإ “irḥal, va via!”, ai Presidenti che da una vita stavano sulla sedia del potere.

Ascoltavo compiaciuto gli slogan che chiedevano libertà, democrazia, lavoro e dignità, scanditi a ritmo serrato dalla massa riversata per le vie della Tunisia e mi

commuovevano i discorsi accorati dei giovani e le loro ragioni; in breve accolsi con gioia anche le urla che scuotevano Piazza Tahrir al Cairo, scandite dalla medesima foga di quelle tunisine.

Mi resi allora conto della potenza e della ricchezza che la mia lingua, l’arabo, riesce ad avere. Un eloquio comune, che correva tra le vie, saliva dalle piazze per arrampicarsi sull’etere e poi invadere la rete come il sangue nuovo che viene immesso nelle vene di un malato. Erano parole e slogan in prosa rimata, urlati in arabo classico, a volte frammisto a parole di dialetti locali, da gente di tutte le età. Tra queste parole ne emergono alcune cadute in disuso, recuperate dai giovani, e altre che sono veri e propri neologismi da prestiti dal francese e dell’inglese, che testimoniano la vivacità della lingua araba e la sua capacità di accogliere e creare meticci linguistici, oltre a una spiccata disponibilità nel seguire l’andamento dei tempi.

Durante lo svolgimento delle rivolte, mi aveva colpito la velocità con cui l’ondata di ribellione si era propagata dal Nord Africa all’intera area mediorientale, andando a coinvolgere anche paesi, quali la Siria, lo Yemen, il Bahrein, l’Oman e la stessa Arabia Saudita, caratterizzati da regimi apparentemente abbastanza stabili. In quest’ottica, non si può trascurare il ruolo delle immagini, delle notizie e dei filmati trasmessi in life dai network satellitari in lingua araba, tra i primi Al Jazeera e Al Arabiyya, che hanno fatto da vera e propria cassa di risonanza nel raccogliere il malcontento di quei paesi in cui una leadership ormai totalmente scollata dalla realtà, non rispecchiava più la volontà dei propri cittadini. Sono inoltre da sottolineare alcuni tratti comuni che collegano una popolazione di circa 400 milioni di arabi sparsi su un territorio che si estende dall’Iraq in Oriente fino al Marocco in Occidente, ravvisabili in una comune cultura e fede, ma soprattutto nella lingua.

Consultando la rete alla ricerca di notizie, informazioni e dettagli sulla rivolta, notai l’evidente uso, oltre all’arabo classico, dei succitati neologismi, parole

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composte e prestiti, tanto nei testi pubblicati sulle pagine del Social Network che nel corso di interventi vocali o postati sui blog, in particolare da parte dell’utenza più giovane fino a estendersi anche tra il pubblico più maturo.

Ho deciso di limitare, se non meglio quasi escludere dal mio studio, i Social più diffusi, e con questo intendo Facebook e Twitter, in ragione del limitato utilizzo della lingua araba classica fuṣḥā su di essi, e la prevalenza dei dialetti locali unitamente al largo uso della scrittura arabese ovvero l’arabo trascritto con lettere latine e coadiuvato da numeri, essenzialmente utilizzato per i brevi e immediati testi su sms e Twitter), ma anche per il basso o medio livello culturale che allora caratterizzava le pagine, allora ulteriormente penalizzate da rigide regole tecniche e amministrative.

Per la veste scientifica della ricerca che mi ero prefisso, ho pertanto cominciato a selezionare i blog e i siti ufficiali secondo alcuni stretti e mirati criteri:

- il riferimento specifico alle zone geografiche che coprono le aree investite dalla rivolta araba e altre di indiretta influenza;

- gli argomenti trattati, e in questo caso non solo legati ai fondamenti della primavera araba ma anche al nuovo uso della lingua a partire dalle piazze fino ai siti e blog, nonché viceversa, classicamente pubblicati in lingua araba fuṣhā, con la sola eccezione dei dialetti inclusi in alcuni menù contenenti interventi diretti degli utenti;

- l’aggiunta di altre aree non toccate dalle rivolte arabe ma dove l’uso della rete risulta attivo e in qualche caso più libero, quali il Libano e una parte dell’Iraq; - la tipologia di utenti che usano la rete, il pubblico a cui si rivolgono e il genere

di linguaggio usato.

La scelta dei siti tematici e dei blog è in effetti legata al vasto materiale che viene in essi pubblicato o trattato, alla facilità che offrono nella consultazione e

ricerca di termini curiosi quali i derivati da lingue straniere oppure gli “arabizzati”, i prestiti e le parole composte.

La mia innata curiosità mi ha portato a esplorare con estrema attenzione la rete con lo scopo di scoprire la dinamicità della lingua araba e le sue infinite capacità di adeguarsi all’uso moderno, soprattutto in ambiente giovane e all’interno della Nuova Tecnologia. L’arabo è una lingua antica, considerata da parecchi studiosi quasi estinta e cristallizzata; essa è invece ritornata con forza ad attrarre i giovani arabi, invogliati nel mettersi a confronto con una realtà linguistica non limitata a ‘casa loro’ bensì estesa all’intero mondo arabo.

Il mio lavoro è iniziato copiando su file i link selezionati allo scopo, iniziando con quelli tunisini seguiti a breve dagli egiziani, per poi allargarsi, quasi nell’immediato, a quelli siriani, assai attivi in quanto strettamente coinvolti nei moti di rivolta. In seguito, e per l’effetto domino causato dai tumulti, ne ho aggiunto altri, come quelli libici e yemeniti.

Con il passare del tempo i miei interessi hanno cominciato a superare i confini delle zone coinvolte dalle rivolte e allargarsi verso l’Iraq, il Libano, la Giordania e persino l’Arabia Saudita, il Qatar, l’Algeria e il Marocco.

L’ampliamento costante del mio spazio di lavoro è stato soprattutto determinato dalla ricerca della maggior influenza linguistica straniera, dal più intenso contatto con l’estero e dal maggior numero di pubblico giovanile, selezionato sulla base di una buona preparazione culturale e il sapiente e scrupoloso utilizzo degli strumenti della rete. Ho poi aggiunto anche alcuni Siti ufficiali di testate giornalistiche ed emettenti televisive, al fine di valutare l’influsso dei neologismi anche nei network di pubblica informazione.

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