MILLENOVECENTOTTANTASEI, L’ANNO DELL’INTESA FALCUCCI-POLETT
1. Religione? No grazie
La fine del 1985 è caratterizzata dall’Intesa tra il Ministe- ro della P.I. e la CEI (14 dicembre) e la conseguente circolare applicativa (1), che subito scatena una ridda di critiche e accende, all’inizio del nuovo anno, il dibattito all’interno del mondo protestante. Ciò “assume un significato simbolico” scri- ve Anna Maria Marenco su Com-Nuovi tempi, “l’autonomia della scuola pubblica[...] viene ulteriormente colpita”. (2)
L’11 gennaio il quotidiano Avanti! esce con un articolo titolato Contro il nuovo insegnamento religioso nelle scuole. Protestano le Chiese evangeliche in Italia. (3) In questo articolo si fa riferimento ad un documento elaborato e diffuso dalla giunta della FCEI (4) che prende posizione contro la circolare del Min. Falcucci. (5).
Le voci protestanti cominciano a levarsi e lo stesso gior- no sul Corriere della sera il metodista Giorgio Spini invita i laici affinché dicano no. “Il cardinale Poletti ha affermato che questi accordi piacciono a tutti, salvo ad una frangia modesta. Per dimostrare che è in errore basta incoraggiare il massimo numero possibile di famiglie e di studenti a rispondere negati- vamente al quesito se vogliano o meno avvalersi dell’insegna- mento della religione cattolica. E’ un diritto garantito dalla legge. Essa dà diritto di accesso nelle scuole agli evangelici che siano invitati da studenti, famiglie od organi collegiali a portare il loro contributo ad un effettivo pluralismo ideologi- co. Non c’è che da servirsi di questa legge per fare subentrare una libera dialettica di concezioni dell’Evangelo all’uniformi-
tà del dogmatismo. Sempre che i laici abbiano voglia di fare sul serio, e non di starnazzare a vuoto soltanto”. (6) La Com- missione delle Chiese Evangeliche per i rapporti con lo Stato non tarda ad elaborare un documento di protesta contro l’In- tesa così com’è stata formulata .(7) Anche altre riviste evange- liche prendono posizione. Il direttore de Il Testimonio dedica l’articolo di fondo a questo tema, sottolineando il grosso peri- colo di una riclericalizzazione della scuola. “Il vecchio fonda- mento e coronamento è definitivamente morto, in pratica lo era già da un pezzo, ma ha generato però un nuovo stimolo a riclericalizzare la scuola. La prima grossa battaglia sarà sulle materie alternative alla religione che permetteranno una scel- ta consapevole e matura, se saranno ben impostate ed attuate. Ma ciò si vuole veramente? o forse, come ha tentato la Falcucci, si vuole far apparire la religione come il male minore, dando quindi un sì plebiscitario ad essa? Ciò vorrà dire tanti inse- gnanti (catechisti) in più, tante spese per lo Stato, tanta forza ideologica alla Chiesa cattolica. Perciò, mi ripeto, e continuo a pensare che i duri problemi della vita quotidiana spettano anche al credente e alla comunità dei fedeli e proprio per questo mi sento in dovere di rispondere allo Stato Italiano: Religione? no grazie”.(8) Anche la Federazione Donne Evan- geliche Italiane (FDEI) prende posizione ed elabora un suo documento che esprime perplessità di carattere pedagogico, ma anche costituzionale. (9) Intanto su La Luce si riaprono le riflessioni e Debora Spini si chiede quale posizione debbono prendere gli Evangelici italiani "su certe alzate di testa della Sen. Falcucci”, ma soprattutto affermando che “è necessario capire quale sia la strategia complessiva che sta dietro un episodio del genere”. (10) Franco Giampiccoli analizza gli artt. 9 e 10 dell’Intesa valdese-metodista, riflettendo ancora una volta sul significato reale di quel discusso art. 10. “Se l’affermazione programmatica dell’art. 9 è chiara, meno evi- dente è risultata la comprensione di quanto disposto dall’art. 10. A diversi osservatori, tanto cattolici che laici, questo dirit- to di rispondere è apparso una specie di finestra attraverso cui rientra l’insegnamento religioso confessionale escluso dal-
la porta dell’art. 9. E non pochi hanno sintetizzato questi due articoli con la battuta: i Valdesi non chiedono di fare un insegnamento religioso confessionale nella scuola pubblica; ma se glielo chiedono lo fanno. Inutile indignarsi per questi fraintendimenti. Meglio ricercarne la causa, riscontrabile nel- la poca chiarezza con cui l’art. 10 appare formulato. Tale poca chiarezza è in gran parte imputabile a due diverse esigenze che sono confluite in questo diritto di rispondere, la cui for- mulazione ha subìto leggeri cambiamenti nel corso della ela- borazione dell’Intesa. Da una parte vi era l’esigenza, sentita particolarmente alle Valli valdesi in una situazione di densità demografica protestante, di veder assicurata l’agibilità delle strutture scolastiche per le minoranze evangeliche e ciò senza oneri finanziari per la pubblica amministrazione, al di fuori dei programmi e dell’orario scolastico e senza che ciò costitui- sca equiparazione con l’insegnamento cattolico (Sessione con- giunta del Sinodo valdese e della Conferenza metodista 1977, art. F). Dall’altra vi era l’esigenza di poter rispondere a richie- ste provenienti dalla scuola per portare un contributo origina- le allo studio del fatto religioso e delle sue implicazioni condotto dalla scuola nell’ambito del suo programma complessivo e delle sue materie curriculari. Tali interventi erano pensati nello spiri- to dei decreti delegati del 1974 che intendevano promuovere una nuova concezione della scuola come comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica (DPR 31.5.74 n. 416, art. 1). Nel primo caso si trattava di permettere un insegna- mento anche di tipo catechetico, destinato agli evangelici e collocato di conseguenza al di fuori della scuola (con la sola utilizzazione degli edifici scolastici); nel secondo caso si trat- tava di permettere contributi-testimonianze nel quadro di un insegnamento curriculare moderno che si avvale anche di in- terventi esterni, inserito di conseguenza nella scuola e da essi richiesti e gestiti. Con preoccupazioni diverse queste due linee erano ugualmente rispettose dell’indicazione centrale conte- nuta nell’art. 9. Di fatto è la seconda linea che ha dato in questi anni un contenuto all’art. 10 dell’Intesa. In ogni ordine di scuola si sono moltiplicate (con punte considerevoli in oc-
casione del centenario di Lutero) richieste di intervento rivol- te da parte di insegnanti o consigli di classe alle Chiese evan- geliche per un contributo allo studio della Riforma, allo stu- dio del Valdismo medioevale, alla presentazione delle diverse confessioni cristiane, ecc. Non c’è stato invece alcuno spazio per realizzare quanto ipotizzato nella prima linea “. (11) Frat- tanto il Ministro porta delle correzioni al testo, correzioni esposte al Senato, ma che non soddisfano l’opposizione, come si legge su Com-Nuovi tempi: “Il Ministro ha incassato ben scarsi successi, anche se non ha avuto alcuna deplorazione (su questo logicamente si è ricomposto l’arco delle forze go- vernative), le attività alternative restano nelle nebbie e la pa- tata bollente di inventarle e gestirle è passata agli organismi periferici della scuola. Le due ore di religione nelle elementari e materne restano con la loro gestione confessionale, eserci- tata attraverso lo strumento del conferimento della idoneità agli insegnanti amministrato dalla curia vescovile. Se nelle materne i contenuti non saranno disciplinari questo è perché è il grado di scuola che non lo consente; la divisione fra bambini e fra insegnanti idonee o non idonee resta. La possi- bilità di scelta a 14 anni deve essere avallata da un genitore o da chi ne fa le veci e non è chiaro che cosa succeda se vi è contrasto fra genitore e minore. L’ora di religione, magari ai bordi, resta nell’orario scolastico. Dunque ben scarsa la sel- vaggina nel carniere dell’opposizione”.(12)
Le voci di dissenso evangeliche continuano a farsi sentire “Ciò che ha a che fare con la coscienza e la libertà non è la religione, ma la fede”, scrive Marco Rostan, su Gioventù evan- gelica, “per questo noi protestanti sosteniamo che la religione non può essere insegnata come un’altra materia, per questo sosteniamo che l’Evangelo può essere proposto come appello, come sfida all’uomo, e non come spazio particolare dove af- frontare i problemi fondamentali, ultimi, della vita. E’ un Evangelo troppo comodo quello che si occupa solo di questi problemi: dall’origine del mondo, al dolore, alla morte. L’Evan- gelo se è accettato, ha a che fare con tutta la vita quotidiana, nella sua concreta realtà. Gli interrogativi sul senso della vita,
su ciò che è giusto o no, sui rapporti umani, su pace e guerra, solidarietà e violenza, gioia, dolore, matrimonio, famiglia (è l’elenco di alcuni problemi da affrontare, secondo i vescovi, nell’ora di religione cattolica) non sono perciò di competenza di una particolare materia e soprattutto questa materia non ha alcuna abilitazione ad essere quella più capace di appro- fondirli e di offrire delle risposte. Siamo perfettamente d’ac- cordo sulla necessità che questa ricerca di senso faccia parte del progetto educativo e formativo della scuola pubblica (che certo è spesso carente e si deve costruire nella programmazio- ne interdisciplinare); non siamo d’accordo sul fatto che la scuola appalti ad una particolare confessione, alla Chiesa cat- tolica, la gestione di questa ricerca, deleghi a tale chiesa le risposte e i valori. E per di più contestiamo che l’insegnamen- to cattolico, impartito dai soli insegnanti autorizzati dalla gerarchia e sui soli libri di testo muniti di visto diocesano, possa considerarsi un adeguato contributo alla formazione culturale (e spirituale) dei giovani. A chi risponde che, accan- to all’ora di religione cattolica, ci potrebbe essere l’ora di religione ebraica, valdese, l’ora di morale laica, ecc. rispon- diamo che questo non sarebbe pluralismo, ma pluriconfessionalismo; che una reale formazione ha bisogno di confronto, della presentazione contraddittoria della realtà, compresa quella religiosa, e non della giustapposizione di in- segnamenti, di dottrine di sapere”.(13)
Anche a livello locale si moltiplicano le prese di posizio- ne, come a Firenze, dove il Consiglio dei pastori, invia una lettera ai membri delle chiese e agli insegnanti evangelici, per ribadire la netta posizione del non avvalersi. (14) Mentre si hanno notizie di continue proteste ai capi d’Istituto di molte scuole. A Roma il Provveditore agli studi riceve i rappresen- tanti del Comitato romano per la laicità della scuola, della FNISM, del CGD, della FCEI, delle Comunità israelitiche di Roma, delle Comunità di base, del MCE, che chiedono garan- zie affinché nelle scuole non si svolgano pratiche di culto, assimilabili ad attività didattiche e affinché venga ampia e pluralistica informazione nell’imminenza della scelta per l’an-
no successivo. (15) La situazione è dunque incandescente, alla fine di questo anno scolastico che prelude una serie di scelte per il prossimo anno. Per la scuola materna e dell’obbligo le cc.mm. 128-130 prevedono, per coloro che non si avvalgono dell’IRC, delle attività alternative programmate dal collegio dei docenti, tenuto conto delle proposte dei genitori. I temi riguarderanno i valori della vita e della convivenza civile, la collocazione oraria all’inizio o alla fine delle lezioni. Per le superiori(c.m. 131) oltre alla possibilità di un corso alternati- vo, è previsto lo studio individuale. In proposito Franca Long, vice presidente del Consiglio della FCEI, espone in un’intervi- sta la posizione della Federazione. “E’ noto che noi proponia- mo di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattoli- ca. Dato che questo insegnamento viene proposto a tutti, an- che ai non cattolici, ecco le ragioni per cui lo rifiutiamo, come cristiani e anche come laici: è un insegnamento di privilegio, pagato da tutti i cittadini, ma controllato dalle autorità eccle- siastiche; soprattutto nelle scuole materne e nelle elementari costituisce un’indebita interferenza nel processo educativo; nega, e questo è molto grave, la libertà di insegnamento. Noi ben conosciamo la ricchezza della cultura religiosa, ma non vogliamo delegare questo settore a una istituzione esterna alla scuola pubblica (la Chiesa cattolica, appunto); vogliamo inve- ce che la scuola promuova nel suo piano di studi una ricerca sui valori e la storia di tutte le religioni; chiediamo anche che le strutture scolastiche siano messe a disposizione di proposte religiose confessionali al di fuori del normale orario delle lezioni e senza oneri per lo Stato, come previsto dall’Intesa con la Tavola valdese”. (16)
La stessa Federazione è tra i firmatari di una petizione rivolta al Parlamento per modificare la normativa sull’IRC. L’iniziativa viene dal CGD che, esprimendo preoccupazione per il precoce indottrinamento teologico che la scuola per- mette e favorisce, chiede una rapida revisione dell’Intesa tra il Ministero della P.I. e la CEI, e la collocazione della religione in orario scolastico aggiuntivo pomeridiano nelle elementari, nelle medie inferiori e superiori. Per quanto riguarda le scuo-
le materne, la petizione chiede il ritorno alla situazione ante- cedente l’Intesa che non prevedeva l’IRC. Si chiede anche l’abrogazione della normativa che permette l’insegnamento diffuso della religione cattolica nella scuola elementare.(17)