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La retorica tra technai e pseudo techna

Accompagnato da Cherefonte fuori dall’edificio in cui Gorgia, ormai

famoso in tutta la città, ha appena finito di tenere un lungo discorso epidittico, Socrate comincia a interrogare il retore sull’arte di cui questi si dice esperto: non gli interessa infatti assistere passivamente alle sue

performances, come farebbe un qualsiasi spettatore, ma vuole al contrario

dialogare con lui per conoscere la natura della sua presunta arte.

Come avremo modo di vedere più avanti, più felice di tutti è secondo l’etica

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socratica l’uomo che vive giustamente. Secondo a questo viene colui che, commessa ingiustizia, è pronto a salvare la propria anima lasciandosi punire, mentre colui che evita la punizione è destinato ad un’esistenza infelice.

La retorica, spiega Gorgia a Socrate, è definibile come l’arte del parlare (450c 1-2), e i suoi discorsi, che vertono “sul giusto e sull’ingiusto” (454b 6-7), sono in grado di “persuadere (peithein) attraverso la forza della parola i buleuti nel consiglio, il popolo riunito nell’assemblea e in qualunque altra adunanza di cittadini” (452e 1-4). Di questa arte poi, prosegue il retore, è possibile fare un uso legittimo o illegittimo: come il pugile può usare l’arte del combattimento per difendersi (e quindi in maniera lecita) o ingiustamente (per picchiare ad esempio i propri genitori) così il retore può usare la forza persuasiva del discorso per scopi buoni o cattivi.

A questa definizione di retorica Socrate risponde facendo innanzitutto notare che ogni arte presuppone l’uso di una certa persuasione. L’esperto in aritmetica persuade sul pari e sul dispari, il medico persuade il proprio paziente sulla bontà di determinate cure, ed è quindi sbagliato fare della forza persuasiva un elemento specifico della retorica. Ma soprattutto, se è vero che il retore persuade sul giusto, allora è necessario che egli conosca cosa è la giustizia, e che agisca in maniera giusta. Ottenuto il consenso di 112 Gorgia sul fatto che colui che conosce il giusto è anche necessariamente giusto, e agisce secondo giustizia (460b 6-8), Socrate ricorda al suo interlocutore di aver dichiarato che della retorica è possibile fare anche un uso illegittimo e quindi ingiusto: di conseguenza, o non è data la possibilità di un uso ingiusto della retorica, e il retore è colui che conosce la giustizia e fa sempre e solo un uso giusto della retorica, e così gli allievi ai quali la insegna, oppure Gorgia deve ammettere che il retore non conosce la giustizia. Ad ogni modo risulta chiaro che Gorgia è caduto in contraddizione, e che occorre ricercare un’altra definizione di retorica.

L’idea che la conoscenza della giustizia sia necessaria e sufficiente per

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realizzare l’azione giusta rispetta il celebre principio dell’intellettualismo socratico che, come avremo modo di vedere nel corso del capitolo, è destinato a tornare più volte nel corso del dialogo, costituendone lo sfondo etico.

È a questo punto del dialogo, passando a ragionare con Polo, che Socrate propone la sua definizione di retorica. La retorica non è un’arte, ma una pratica (empeiria, 462c 3), dice il filosofo, che produce attrattiva e piacere, e rientra nell’attività dell’adulazione (kolakeia), come la culinaria, la 113 cosmesi e la sofistica. Quando l’adulazione “striscia sotto” (hypodysa) un’arte, fingendo di essere l’arte sotto la quale sta (464c 6-7), si genera una pseudotecnica, vale a dire una pratica irrazionale e mirante a procurare esclusivamente piacere.

Tra le arti, prosegue Socrate, ce ne sono alcune che si dedicano al corpo (la ginnastica e la medicina) e altre che si occupano dell’anima: la legge e la giustizia. Ora, pur trattandosi di campi diversi, tutti questi saperi tecnici sono accomunati da alcuni elementi fondamentali:

1. Ciascun tecnico deve aver necessariamente appreso la sua techne da un maestro.

2. Ogni tecnico sa render conto (logon didonai) delle operazioni e dei processi del proprio campo, attraverso una conoscenza di tipo causale che gli permette di controllare e di prevedere le operazioni che la sua tecnica prevede.

3. Ogni azione tecnica ha come fine il bene dell’oggetto. 114

La ginnastica sarà quindi quella tecnica che persegue lo scopo di rendere e mantenere il corpo bello, forte e proporzionato, mentre la medicina si occuperà di restituire ad un corpo malato l’iniziale stato di salute. Come Si noti come nel Sofista (222e 5-8) il personaggio dello Straniero definisce

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l’arte adulatoria come l’arte “che mira al guadagno, il conversare gratificando e il lusingare interamente tramite il piacere, guadagnandosi solo il proprio mantenimento”.

Per un’analisi del rapporto tra tecniche e pseudotecniche vedi G.Cambiano,

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possiamo vedere, pur rivolgendosi entrambe al bene fisico, la ginnastica e la medicina differiscono in quanto al modo in cui realizzano tale bene: la prima è essenzialmente normativa, giacché prescrive esercizi che garantiscono al corpo bellezza e forza, mentre la medicina, intervenendo quando il corpo è ormai già malato, opera in senso correttivo, andando quindi a modificare la dieta e lo stile di vita del paziente, per ripristinarne la salute. Per quanto riguarda poi le tecniche dell’anima, avremo come corrispettiva della ginnastica la legislazione, quella parte della politica che stabilisce un sistema normativo, e corrispondente alla medicina sarà invece la giustizia, che interviene nel caso in cui una legge venga violata.

Per ciascuna di queste arti esiste una pseudoarte, un’abilità o pratica irrazionale, incapace di render conto del proprio oggetto e dei propri strumenti e che, invece di tendere al bene, mira esclusivamente al piacere. Nello specifico, la pseudo tecnica e forma di adulazione corrispettiva alla ginnastica è la cosmesi; quella della medicina è la culinaria; quella della giustizia è la retorica; e quella della legislazione la sofistica. Come riassume Socrate servendosi di un’efficace equazione:

L’agghindarsi (he kommotike) sta alla ginnastica (gymnastiken) come la sofistica (sophistike) sta all’arte della legislazione (nomothetiken) e (…) la culinaria (opsopoiike) sta alla medicina (iatriken) come la retorica (retorike) sta alla giustizia (dikaiosynen) (Gorg., 465c 1-3).

La retorica è quindi niente altro che una pratica irrazionale e adulatoria, e costituisce la contraffazione della giustizia: se il tecnico della giustizia conosce il giusto e l’ingiusto e sa di conseguenza insegnare rispetto alla giustizia, al contrario il retore ignora cosa la giustizia realmente sia, ma, ciò nonostante, finge di saperlo e, adulando e incantando l’ascoltatore, genera in lui credenze prive di verità. Il retore non può quindi essere annoverato tra i veri tecnici, perché non possiede alcun campo rispetto al quale può dirsi

esperto e competente, e non ha nessuna verità da insegnare, ma solo credenze da inculcare. Rivolgendo il proprio discorso 115 alla parte irrazionale (anoia) dell’anima dell’ascoltatore, il retore va in modo ingannevole e incantatore ad adulare e compiacere l’interlocutore, cercando di accordare quanto più possibile la propria anima alla sua, rallegrandosi e addolorandosi per le stesse cose di quello. Il retore è quindi in breve definibile come colui che sa pensare come l’ascoltatore che vuole persuadere: è un abile imitatore che, totalmente disinteressato rispetto alla verità sull’oggetto di cui parla, guarda all’opinione che l’interlocutore ha di quel oggetto e la fa abilmente sua, adattandovisi passivamente. Sotto 116 questo aspetto, il retore è quindi molto simile al poeta. Come abbiamo già avuto modo di vedere nel capitolo precedente analizzando la critica all’epica tradizionale, secondo Platone il poeta non sa rendere conto di ciò che scrive, ed è, proprio come il retore, un imitatore e un ingannatore che riproduce la realtà senza conoscerla. Non a caso, rivolgendosi al suo ultimo interlocutore, Callicle, Socrate stesso dirà del componimento poetico che esso:

(…) costituisce una specie di retorica che ha come spettatore tutto un popolo di ragazzi, di donne, di uomini, di schiavi e di liberi tutti assieme; una retorica che non ammiriamo per nulla (Gorg., 502d 5-7). Tuttavia, andando avanti con l’analisi della retorica, Socrate specifica significativamente che non su tutte le anime le credenze che il retore cerca

Così Gorgia si esprime sul logos nel suo Encomio di Elena: “Il discorso è un

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signore potente che con un corpo piccolissimo e del tutto invisibile le azioni più divine porta a compimento: può infatti far cessare la paura, eliminare il dolore, infondere gioia, far crescere la compassione”. (Le traduzioni sono da Gorgia,

Testimonianze e Frammenti, a cura di R.Ioli, Carocci, Roma 2013).

Cfr. A. Fussi, Retorica e potere. Una lettura del Gorgia di Platone, Edizioni

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di generare attraverso la persuasione attecchiscono allo stesso modo: come è più facile che un cuoco seduca con le proprie pietanze una tavola di bambini, allo stesso modo si riveleranno particolarmente persuasive e incantatrici le parole che il retore sceglierà di rivolgere ad un pubblico di gente che non sa (me eidosin, 459a 4) e che, incapace di rendersi conto della natura adulatoria della retorica, si mostra particolarmente incline a lasciarsi ingannare e incantare dalle parole del retore. La retorica quindi non è, come aveva voluto far credere inizialmente Gorgia, onnipotente: il retore può sì persuadere qualcuno rispetto a qualcosa apparendo più competente di ogni tecnico in materia, ma, oltre al fatto che la sua sarà una competenza illusoria, la sua operazione di persuasione riuscirà solo a patto che di fronte a lui si trovi qualcuno che, proprio come lui, ignora l’argomento della discussione.

Riassumendo, il retore non è semplicemente colui che ignora la verità, ma piuttosto colui che non reputa importante conoscerla. Per riprendere il celebre esempio del cavallo che Socrate fa al personaggio di Fedro nell’omonimo dialogo, il retore è colui che, ignorando così come il suo interlocutore cosa sia un cavallo, e però “sapendo soltanto che Fedro considera cavallo l’animale domestico che ha le orecchie più lunghe” (Phaedr., 260b 3-4), riesce a elaborare un lungo discorso di lode sull’asino convincendo il suo interlocutore ad acquistare quest’ultimo per la sua grande utilità