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STEFANO PIRANDELLO: OPERE

M. Martini “LʼArgante” è il nome di più riviste attive nella prima metà del Novecento; molto probabilmente quello che a noi interessa è o “LʼArgante:

3.3 RIFLESSIONI COMPLESSIVE

La collaborazione di Stefano con giornali, quotidiani e riviste inizia nel 1920 e si conclude nel 1968, quindi si prolunga per quasi cinquanta anni. Come già ricordato i primi articoli sono pubblicati su “La Tribuna”, mentre nel 1921 su “Noi e il mondo” appare la prima novella. Nel mese di marzo 1922 Stefano è assunto nella redazione de “Il Mondo” di Giovanni Amendola, ma dopo appena cinque mesi viene licenziato e infatti non vi sono sue pubblicazioni. Intanto egli inizia a collaborare a “Il Giornale dʼItalia” (sul quale pubblicherà una sola novella nel mese di agosto). Un anno molto importante è il 1925 in quanto il 13 agosto è alla Commissione Tecnica dellʼAgricoltura e viene nominato redattore del giornale “Il popolo dʼItalia agricolo” (che invece si chiamerà “La Domenica dellʼAgricoltore”). Intanto Stefano inizia (dal mese di settembre 1925) a collaborare con “Il Tevere” di Telesio Interlandi. Lʼimportanza delle due collaborazioni è indubbia, sia perché sono quelle più durature sia in quanto, proprio su questi giornali, saranno pubblicati il maggior numero degli articoli di Stefano.

Il 13 dicembre 1925 Stefano pubblica su “La Fiera letteraria” lʼarticolo

Prefazione allʼopera di mio padre (“Uno, nessuno, centomila”), firmato Landi.

Come ho avto modo di osservare ritengo che con questo pezzo Stefano sveli la propria identità: dʼora in poi è quasi inutile usare uno pseudonimo, tutti sanno che Landi è Pirandello. Perché Stefano abbia deciso di rompere questo gioco di nomi non è dato sapersi con certezza. Comunque è una scelta piuttosto singolare, anche perché Stefano decide di smascherarsi proprio con un articolo sul padre, motivo

che lo aveva indotto a usare gli pseudonimi.

Il 15 maggio 1927 sono iniziati ad apparire gli articoli su “La Domenica dellʼAgricoltore”, firmati ovviamente Stefano Pirandello. Il 24 ottobre 1930 egli pubblica la sua prima lirica in un giornale: si tratta di Tantalo su “Il Tevere”.

Non è stato semplice scandire la vicenda lavorativa di Stefano Pirandello, non solo perché questi intreccia molte pubblicazioni di vario genere (articoli con tematiche diverse, poesie, novelle e racconti che poi rielabora per trarvi drammi o commedie), ma soprattutto a causa del modo con il quale firma le proprie creazioni. Negli anni 1920-1922, 1924-1925, 1929, 1931-1932, 1936, 1939 e 1945 gli articoli sono siglati con lo pseudonimo “Landi”; solo un pezzo è con il vero cognome (nel 1925), poi però ne farà un uso costante negli anni 1927-1930. Inoltre, dal 1926 al 1931 vi è lʼuso dello pseudonimo “Fortunio” e nel 1943 appare “Testis Idoneus”. Infine a partire dagli anni Cinquanta Stefano sembra voler ritornare al suo vero cognome, Pirandello; tuttavia si firma ancora una volta Landi nel 1958 (ad esempio nei già ricordati articoli apparsi su “Paese Sera”) e poi sia nel 1962 che nel 1967 (nei monologhi composti per Paola Borboni).

A questo punto ritengo necessario aggiungere ulteriori spiegazioni, rispetto a quelle già date in precedenza, sia relativamente allʼuso degli pseudonimi sia sul perché Stefano li abbia alternati al suo vero cognome.

Alcuni suoi articoli riguardano lʼoperato del padre e quindi è chiaro che lo scopo è quello di non volersi far riconoscere come “il figlio che scrive a proposito del genitore” 85.

85 In questa casistica ricordo che rientrano, ad esempio, Pirandello intimo firmato Landi (5 marzo 1922 su “Comœdia”), i pezzi siglati “Fortunio”, Se Pirandello scrivesse il romanzo di Adamo ed

Per lʼuso del vero cognome, invece, è da ricordare che la maggior parte degli articoli così siglati sono composti essenzialmente dal 1925 al 1930 e sono tutti legati fra loro dal tema dellʼagricoltura. È come se Stefano volesse abbinare il suo nome solamente ad articoli a tematica agricola. Egli infatti firma le novelle e i racconti del periodo come “Landi”. È possibile vedere in questo un desiderio di rendersi estraneo al mondo del padre, dovuto a un inevitabile, dʼaltronde, complesso di “inferiorità” verso un genitore così famoso. Non è difficile, quindi, affermare che egli vuole relegare la sua produzione, riscontrabile certamente tramite il vero cognome, a tematiche “lontane” dalla letteratura, mentre preferisce usare pseudonimi per le novelle e i racconti: è il rifiuto di esporsi, un sentimento di subalternità dato dallʼincapacità di confrontarsi con il padre, in quanto queste produzioni narrative sono il campo di azione del genitore. Si vede, pertanto, la necessità di differenziarsi dallʼoperato del celebre padre, mantenendo una propria peculiarità.

Sarah Zappulla Muscarà propone lʼipotesi che Stefano sia stato indotto a usare il suo vero nome dal Direttore de “La Domenica dellʼAgricoltore” Ferraguti, per dare pregio al giornale 86. In realtà il nostro usa il suo vero cognome anche in

altre testate (come “Lʼillustrazione italiana” e “Il Tevere” 87

), sempre parlando di agricoltura, come mi pare di avere già sufficientemente argomentato. Inoltre anche Interlandi, fondatore e direttore de “Il Tevere”, avrebbe potuto parimenti a

(rispettivamente il 31 luglio e il 19 ottobre 1926 su “Il Tevere”), Luigi Pirandello pittore (“La Lettura”, gennaio 1943), firmato “Testis Idoneus”.

86 S. ZAPPULLA MUSCARÀ, Stefano Pirandello giornalista e novelliere, p. 184

87 Ad esempio negli articoli: La “Battaglia del Grano”. Voci del popolo contadino in “Il Tevere” (13 dicembre 1925), mentre su “LʼIllustrazione Italiana” in Agricoltura. Unʼ arma per trionfo dei

vegetariani (19 febbraio 1928) e Agricoltura. Una bonifica alle porte di Milano. Le “selvagge brughiere lombarde”(1 aprile 1928).

Ferraguti insistere affinché Stefano usasse il suo vero cognome per arricchire un giornale di recente fondazione: ma questo non accadde. Quindi è sì plausibile lʼipotesi che Ferraguti volesse avvalorare la sua testata con un cognome illustre, ma al tempo stesso vi è la volontà di Stefano di procedere per questa strada. Sicuramente se il nostro Landi avesse voluto firmare Pirandello su “Il Tevere” o nelle altre testate nessuno lo avrebbe ostacolato, in quanto un cognome del genere ha sempre valore; pertanto tutto è dipeso dalla sua volontà di avvicinare il nome “Stefano Pirandello” alla tematica non letteraria (senza cercare le cause in interventi di altre persone) distanziandosi dalla produzione narrativa e rimarcando così il suo forte desiderio di percorrere una strada autonoma.

Solo a partire dagli anni Cinquanta, su pressioni di suoi conoscenti e per la distribuzione in Francia de Il falco dʼargento, Stefano riprende il suo cognome, senza peraltro abbandonare del tutto lo pseudonimo Landi: è una sua maschera e Stefano non può farne a meno. Ritengo certo, pertanto, che dietro lʼuso degli pseudonimi vi sia un vero e proprio assillo, unʼidea fissa che accompagna Stefano per tutta la vita. Basti ricordare un suo interessante appunto dellʼautunno 1971, quindi pochi mesi prima della morte:

Che è questʼinflazione di Landi? Allora quando accadde lʼimposizione ero il solo Landi in circolazione. Ma hai voglia a nasconderti dietro un dito. Tutti sanno che non sei altro che un eterno figlio Stefano di Pirandello 88.

Lo scritto è importante poiché testimonia il fatto che Stefano stesse pensando ancora agli pseudonimi e quindi al rapporto col padre negli anni Settanta, dopo quasi cinquanta anni di attività e oltre trentacinque dalla morte del genitore. È possibile affermare che lʼattenzione alla firma e il rapporto con il

88

padre non siano stati una problematica secondaria, ma principale e costante nella vicenda biografica di Stefano.

CAPITOLO IV

Il rapporto tra padre e figlio

A mio avviso è necessario iniziare il capitolo analizzando la seguente citazione di Sarah Zappulla Muscarà:

[…] il padre viveva con lui (Stefano, ndA) […] ciò oltre a levare a lui il tempo per dedicarsi al proprio lavoro di scrittore e danneggiarlo nella carriera era anche causa di un grave esaurimento e di serie malattie della moglie Olinda e di disordine e dissesto nella loro vita domestica 89.

Si potrebbe riassumere tutta la vicenda dei rapporti tra Luigi e Stefano Pirandello con questo breve scritto? Senza dubbio le affermazioni riportate corrispondono a verità, ma è doveroso indagare nel modo migliore quelle che furono le relazioni tra padre e figlio. Il brano citato si riferisce alla situazione venutasi a creare nellʼaprile 1933, quindi molto avanti nella cronologia della loro vita, pochi anni prima della morte di Luigi; questi era rientrato a Roma, dopo le varie peregrinazioni, andando ad abitare nello stesso palazzo del figlio. Inoltre durante i periodi estivi degli anni precedenti le famiglie di Stefano e Luigi avevano vissuto assieme a Castiglioncello.

Grazie a queste considerazioni è possibile cogliere quella che è stata realmente una costante nella vita di Stefano: la presenza del padre: non tanto una presenza fisica, quanto della personalità e dellʼanimo di Luigi, cioè le lettere, le commissioni, le opere. La convivenza vi è stata, ma solo saltuariamente. Quindi è possibile comprendere già a questo punto che negli anni il rapporto tra padre e figlio è stato caratterizzato da momenti di affetto e collaborazione, ma anche da periodi delicati e difficili, in cui sono state prese dai due protagonisti posizioni

89 S. ZAPPULLA MUSCARÀ, Note a Nel tempo della lontananza in L. e S. PIRANDELLO, Nel

divergenti e anche contrastanti.

Dopo questa presentazione dellʼargomento che verrà affrontato è necessario percorrere cronologicamente lʼevolversi dei rapporti tra padre e figlio. Pertanto sono fondamentali i due volumi di carteggi, già citati: Il figlio

prigioniero. Carteggio tra Luigi e Stefano Pirandello durante la guerra 1915 - 1918, a cura di Andrea Pirandello e Nel tempo della lontananza (1919 - 1936), a

cura di Sarah Zappulla Muscarà. I testi raccolgono molte delle lettere intercorse tra padre e figlio nei periodi ricordati: qui vi è unʼattestazione “diretta” dei loro rapporti e quindi il carteggio vero e proprio tra i due congiunti. Oltre a ciò vi è unʼaltra preziosa testimonianza nelle lettere “indirette”, cioè missive scritte da Luigi e Stefano ad altri interlocutori in cui entrambi hanno modo di parlare lʼuno dellʼaltro. Ad esempio quelle del padre a Ugo Ojetti (raccolte in Carteggi inediti

con Ojetti-Albertini-Orvieto-Novaro-De Gubernatis-De Filippo a cura di S.

Zappulla Muscarà) oppure le molte lettere di Stefano alla moglie Dodi, a Valentino Bompiani, Corrado Alvaro e altri 90

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90 S. ZAPPULLA MUSCARÀ, E. ZAPPULLA, La vita e lʼopera e L. PIRANDELLO, Carteggi