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GLI SCAMBI EPISTOLARI “DIRETTI”

STEFANO PIRANDELLO: OPERE

M. Martini “LʼArgante” è il nome di più riviste attive nella prima metà del Novecento; molto probabilmente quello che a noi interessa è o “LʼArgante:

4.2 DAL 1915 ALLA FINE DELLA GUERRA

4.3.1 GLI SCAMBI EPISTOLARI “DIRETTI”

Le lettere intercorse tra padre e figlio a partire dal 1919 (e fino al 1936) sono raccolte nel volume Nel tempo della lontananza (1919 - 1936), a cura di Sarah Zappulla Muscarà. Qui sono pubblicate 79 lettere, 10 telegrammi, 3 cartoline e 1 vaglia di Luigi Pirandello, mentre di Stefano vi sono 52 missive e 3 telegrammi, in totale centoquarantotto carte riprodotte. È da precisare che tali lettere non corrispondono alla totalità, ma solamente a quelle conservate: Luigi infatti era sempre in viaggio e quindi è probabile che alcune missive siano andate perdute. Come nel carteggio del periodo di guerra anche qui alcune parti di lettere non sono state pubblicate «per volontà degli Eredi» e per «ragioni di riservatezza». La prima missiva riprodotta risale al 15 aprile 1919, scritta da Luigi a Torino e indirizzata indifferentemente a tutti i figli 99

; lʼultima è datata 30

99 Anche altre volte le lettere saranno infatti indirizzate indifferentemente a Stefano e Fausto, con

settembre 1936, sempre scritta da Luigi mentre si trovava a Berlino. Analizzando lʼinsieme delle missive notiamo che sono trattati problemi di vario genere, legati a questioni pratiche e di segreteria, altre volte riguardanti trattative di tipologie diverse. Non deve essere dimenticato che in altri casi è attestata la collaborazione letteraria tra padre e figlio.

In primo luogo presenterò lʼevoluzione del rapporto nelle sue varie fasi e successivamente, a causa dellʼeccessiva mole di lettere mi è sembrato utile porre lʼattenzione su alcune tematiche ricorrenti nellʼepistolario, come le ristrettezze economiche, il premio Nobel, le relazioni di Pirandello con lʼItalia e con il regime fascista e il rapporto tra Luigi e lʼestero (in relazione alle sue tourneé).

È doveroso iniziare analizzando le lettere in cui Stefano compie una vera e propria dichiarazione di totale obbedienza e dedizione verso il padre. Il 18 dicembre 1925 egli scrive:

[…] io sono con te, disposto a tutto fare, a seguirti con ogni sacrificio su ogni via. Mi sto un poʼ rovinando gli affari miei, ma non mi importa.

Al 20 maggio 1926 risale una lettera che non venne mai spedita. Qui Stefano vorrebbe parlare al padre di Marta Abba (conosciuta dal genitore due anni prima), in particolare del fatto che lei non è unʼamante, come credono in molti: il problema sta nella necessità di Luigi di avere qualcuno vicino. Stefano, infatti, afferma che Marta è:

[…] quella persona che ti è sempre stata necessaria, e che tu hai sempre tenuto accanto a te, a cui hai sempre tutto dato: che si è chiamata di volta in volta S. Secondo, io, Tozzi, la signorina Aillaud e ora Abba, e alla quale tu non hai mai chiesto altro se non che partecipasse con perfetto accordo nei tuoi giudizii, nei tuoi sfoghi […] dicendo senza pensarci due volte tutte le cose che ti veniva da dire.

unʼamante, ma – come scrive lo stesso Stefano nel prosieguo della lettera – un «risonatore», qualcuno su cui poggiare. Il figlio, infatti, afferma che lʼidea di Luigi era trovare tutto questo in Antonietta, cosa impossibile. Quindi nella missiva vi è una sorta di autogiustificazione per il comportamento del padre, cercando così di sminuire la figura di Marta Abba, paragonandola a una persona come molte altre che sono state utili a Luigi. La firma a conclusione della missiva è quantomai significativa poiché riassume il sentimento che Stefano ha avuto sempre verso il padre: «Il tuo devoto, angosciato, affezionatissimo figlio». Ancora una volta, il 10 giugno 1926, vi è una dichiarazione di dedizione assoluta da parte di Stefano:

[…] il mio vero animo, che […] avrebbe dato il suo sangue per convincerla (la madre, ndA) che tu eri un uomo da amare come ti amavo e ti amo io, con devozione assoluta. Ancora oggi che ho la mia famiglia – e sia lodato iddio, è una vera famiglia non so che cosa non farei per darti il sentimento reale che il mio affetto, il mio amore per te è una cosa importante, più libero e più schiavo del comune affetto dei figli per il padre […] Se sapessi quanto mi manca il poter parlare con te!

Negli anni si sviluppa quindi una collaborazione tra padre e figlio: dalle lettere emerge soprattutto un lavoro segretariale da parte di Stefano 100. Tutte le

missive di Luigi sono testimonianze alle quali appellarci, perché in ognuna di esse vi sono rischieste, compiti: ad esempio il 24 settembre 1926 il padre elenca al figlio alcune cose che deve fare per suo conto, rispondendo alla “London General Press”. Il 12 aprile 1928, a proposito del film che dovrebbe farsi sui Sei

personaggi, Luigi chiede a Stefano se può avere una «spintarella politica», cioè

«parlare a Interlandi per questa spintarella». Sono commissioni che esulano dal vero lavoro di Stefano. Anche le lettere del figlio danno testimonianza del lavoro segretariale, con problematiche relative al teatro, alle messe in scena, ai dissidi

100

È sempre stato così, soprattutto dopo la rottura con Manuel Aguirre nellʼestate 1926 e infatti il 9 settembre Luigi invia «i due moduli» da spedire alla Banca Commerciale di Milano, uno firmato da Stefano e lʼaltro da Fausto: è la successione ad Aguirre, come procuratori di Luigi.

con la Società italiana degli autori (vedi in seguito). Ad esempio la missiva del 28 ottobre 1926 è un elenco di tutto ciò che Stefano svolge per il padre: quindi troviamo cenni alle difficoltà per la vendita di alcuni terreni in Sicilia e del villino romano in Via Panvinio e le conseguenti ipotesi sul guadagno da ricavare, una serie di proposte letterarie e delle informazioni su alcune trattative (con Marco Praga, Livingston), ma anche una lamentela: «Sono già tre mesi compiuti da che ho scritto lʼultima volta quattro righi di roba mia»; il lavoro per il padre assorbe Stefano, che da parte sua non può comporre. Il 16 ottobre 1931 Luigi, ormai Accademico dʼItalia, comunica al figlio di essere stato designato come oratore nelle celebrazioni per ricordare Giovanni Verga e quindi chiede a lui di reperire le carte (del 1920) che contenevano il discorso per il celebre siciliano in occasione dei suoi ottantʼanni. Anche la missiva del 25 maggio 1934, ad esempio, è un elenco di cose che Stefano ha sbrigato per conto del padre: un invito della Società degli autori polacchi, una lettera dalla “Comédie Française”. Il 17 settembre dello stesso anno Stefano scrive:

[…] mi sono impazzito a cercare fra le tue carte, le mie e in tutti i cassetti i contratti dellʼArgentina, che mʼhai fatto richiedere da Rissone (lʼamministratore della Compagnia Marta

Abba, ndA).

Il 22 settembre, invece, Stefano informa il padre a proposito del successo e delle richieste di sue opere allʼestero (in Argentina, Ungheria, Romania). Lʼelenco di queste lettere dimostra quanto i rapporti tra padre e figlio siano scandidti dal “lavoro segretariale”, molto spesso cadenzato da pressanti richieste e conseguenti risposte che distolgono Stefano dal suo lavoro.

I rapporti, però, non saranno sempre idilliaci, né Stefano sarà sempre felice del suo lavoro, né il padre lo ricompenserà adeguatamente. Il 7 aprile 1933

Stefano lamenta che tutti vanno nella sua casa a chiedere del padre, oppure telefonano per tale motivo; nessuno si interessa a lui. Poi continua così:

Vedi, caro Papà mio, che tu hai sì ragione di telegrafarmi “potresti almeno sprecarti”: ma non perché, come mostri di credere, io sia avarissimo di me e appena tu volti le spalle mi dia in preda al mio cieco egoismo di artista e di uomo felice a casa sua con la moglie e i figli; anzi, perché io non faccio altro che sprecarmi dalla mattina alla sera, ed è una vera stupidaggine incorrere poi nel rimprovero per non aver avuto la forza di scriverti due righe […] Ma che ci vuoi fare! Io sono sempre quello che arriva a farsi pagare il medico.

Qui Stefano è provocatorio nei confronti del padre. Il riferimento al “pagamento del medico”, probabilmente, è da spiegare in relazione alla dipendenza economica che lega il figlio al padre, della quale Luigi si lamenta molto spesso. Stefano è come se volesse dire al genitore che nonostante i servizi che presta al padre, questi è sempre pronto a rinfacciargli alcune questioni di minor conto, come il pagamento del medico. Nel prosieguo della lettera Stefano elenca alcune problematiche relative a ciò che fa per il padre e conclude:

Son miserie, Papà mio, miseriole […] fra queste miseriole io affondo, lentamente irrimediabilmente, ogni giorno di più. Non servo a niente e a nessuno, ma sono il luogo comodo di tutti.

Si comprende che Stefano non sopporta più questo gravame paterno: è tutto sulle sue spalle, ma viene criticato e non può pensare a se stesso e alla sua famiglia. Egli vive la sua vita in modo diverso rispetto a quella di un normale figlio dedito alla sua casa, poiché lui, a quasi quaranta anni, sta sempre dietro agli affari del padre.

Luigi, da parte sua, non risparmia critiche (più o meno gravi) al figlio per la gestione delle sue trattative; il 9 novembre 1926 scrive: «sono di nuovo senza tue lettere e dunque senza notizie» e di seguito: «Le tue lettere non riescono mai a darmi un quadro completo di tutta la situazione», riferendosi ai problemi legati al villino di Via Panvinio e al premio Nobel. Ancora Pirandello insiste:

«Bisognerebbe che tu mi tenessi a giorno delle notizie di tutti gli affari in corso». Il giorno 11 novembre vi è una missiva piuttosto densa di attacchi verso Stefano:

Appena assicurata con questa vendita (del villino – che però avverrà solo tre anni dopo, ndA) la nostra posizione, avocherò a me del tutto la trattazione dei miei affari, trovando qualcuno adatto alla corrispondenza con gli agenti, gli editori, glʼimpresarii, insomma un segretario e amministratore mio particolare […] Mi bisogna un segretario pratico […] Non sarà facile trovarlo. Intanto, Stefano, fai lo sforzo di mettermi al corrente di tutto

La lettera risale al periodo immediatamente successivo alla rottura con Aguirre, quindi Stefano stava facendo da segretario amministrativo al padre da pochi mesi.

Il figlio, in altre occasioni, lamenterà con il padre lʼeccessivo carico di lavoro, dovuto al fatto che – a differenza di quanto promesso nella lettera – Luigi non sgraverà mai totalmente Stefano da questi impegni. Alcune volte lʼira di Pirandello verso la gestione dei figli sarà molto accesa; ad esempio il 25 gennaio 1927 lʼillustre genitore scrive:

Al solito, per ciò che si riferisce agli affari non ci capisco nulla […] senza che mi si dia conto di quello che esce, di quello [che] entra […] Ah, cari, mi avete reso, meglio, avete reso a voi stessi un bel servizio assumendovi la procura dei vostri affari! […] Io farò presto a farmi saltare la testa. E vi ringrazierò del favor che mi avrete fatto.

Luigi è molto duro con i figli, prospetta anche la possibilità di morire a causa delle loro mancanze 101

. Comunque è interessante che il padre insista sul termine “vostri”: tutti gli affari sono per i figli, sono loro che ne avranno un tornaconto. Altre situazioni di attrito non mancheranno: il 12 maggio 1928 Luigi rimprovera Stefano per alcuni articoli sul “Corriere della Sera”. I due si erano fraintesi in quanto il padre voleva scrivere sul teatro in Italia, mentre il contratto

101 In altre lettere Luigi denuncerà, a causa di situazioni eccessivamente pesanti, la possibilità di morire: «nulla mi lega qui e nulla mi tiene, se non il pensiero di trovare il modo di uscire – non per me, per gli altri – da questa situazione; per me, il modo dʼuscirne, è sempre facile» (20 gennaio 1929); «affogo in una tristezza senza più riparo né altro scampo, fuori che nella morte» (31 gennaio 1931).

finale prevede dei lavori sul teatro “internazionale” e così Luigi scrive: «Non so come a te sia potuto venire a mente “questo teatro internazionale”». Tali lettere stanno a dimostrare quanto siano forti i legami sul piano amministrativo: in molte missive, infatti, ricorrono termini come “Vedi di sbrigartela”, in quanto Luigi delega al figlio tutti gli affari gestionali.

A creare un certo stupore stanno tre lettere, datate 22 ottobre – 13 e 20 novembre 1927. Leggendo le missive è sorprendente il tono arrogante e pieno di risentimento di Luigi verso Fausto e Stefano, suoi procuratori. Comprendiamo così anche le cause che hanno indotto Luigi a non spedire queste missive (infatti tali lettere sono note tramite Marta Abba 102

). Le tre epistole, quindi, non fanno parte effettiva del carteggio, ma indicano quanto il padre – in quel momento – fosse adirato coi figli, al punto di scrivere frasi del genere a Stefano: «Guarda bene a quello che hai fatto; mettilo in bilancia con quello che fecero tua sorella e il signor Aguirre». Luigi inoltre si domanda come può comportarsi nei confronti del figlio, rispetto a Lietta e al marito. Luigi, adirato, scrive: «Basta! Basta! Basta!», volendo avocare a sé la procura e conclude la lettera così: «Parlarti dʼaltro è ormai inutile» 103. Quindi la tensione arriva, in certi momenti, a picchi elevati, senza però

creare delle conseguenze traumatiche nei rapporti fra i due: le tre missive

102 S. ZAPPULLA MUSCARÀ, Note a Nel tempo della lontananza, p. 370. Si ritiene che Luigi scrisse queste tre lettere durante una tournée a Napoli o a Palermo. Luigi non spedì le missive ed è stato supposto che, essendo probabilmente sulla sua scrivania siano andate nelle mani di Marta Abba. Le lettere sono state rese note solo molti anni dopo: infatti vennero consegnate ad Andrea Pirandello delle fotocopie di un dattiloscritto che riproduceva le epistole suddette. Pertanto noi siamo a conoscenza di queste missive grazie a delle fotocopie di trascrizioni degli originali. Le missive vennero copiate negli Stati Uniti da un ignoto che prese visione delle carte manoscritte appartenute alla Abba; è però singolare che queste non siano conservate nella donazione dellʼattrice alla Princeton University. In definitiva manca lʼoriginale e pertanto si può anche dubitare che le lettere non sono davvero opera di Luigi Pirandello.

avrebbero potuto rompere definitivamente i legami e infatti non vennero mai spedite.

Non deve credersi, però, che le lettere siano caratterizzate soltanto da questi temi: dipendenza e ribellione del figlio verso il padre e lamentele del padre verso il figlio. Infatti si parla spesso di letteratura e proprio grazie ad alcune missive è chiarificato il lavoro collaborativo tra Luigi e Stefano per alcune opere. Testimonianze del genere riguardano i soggetti cinematografici Il pipistrello e

Donna Mimma, lʼarticolo I muriccioli, un fico, un uccellino e lʼIntroduzione al Teatro italiano 104

.

Dopo questa panoramica introduttiva sui rapporti tra padre e figlio, analizzati da entrambe le parti basandosi sia sui momenti di dedizione che di attrito, sia su collaborazioni segretariali che letterarie, per arricchire la trattazione ho deciso di analizzare lʼevolversi di determinati argomeni presenti, in maniera costante, nel carteggio. Sono problemi, perlopiù, legati allʼattività di segretario svolta da Stefano.

Uno degli argomenti maggiormente affrontati da Luigi è quello del denaro e della dipendenza economica che lega a lui i suoi figli. Già nella prima missiva, datata 15 aprile 1919, il Maestro afferma: «Qui la vita costa un occhio: non si mangia per meno di 14 lire a pasto […] tre pacchetti (di sigarette, ndA) per 5 lire!! È unʼindecenza!». Nonostante le lamentele per il costo della vita, la maggior parte delle polemiche riguardo ai soldi è relativa ai compensi non percepiti e alla dipendenza dei figli, problema importante per la mia trattazione. Stefano molte

104 La collaborazione letteraria tra padre e figlio è affrontata in dettaglio nel capitolo V di questa tesi.

volte chiede al padre dei sussidi; da parte sua Luigi non sempre è disposto a corrispondere e quindi si creano dei litigi. Nonostante il successo le condizioni finanziarie non sono buone. Stefano, ad esempio, il 5 dicembre 1925 scrive:

[…] debbo pagare anche lʼascensore, 5.750 lire – perciò ho risoluto di prendere da te, sempre che tu ne abbia la possibilità, tutto quelle che mi serve per la quota anticipo dei mobili e per lʼascensore: cioè quindicimila lire, che aggiunte alle 46 già avute, faranno 61.

Nella stessa lettera, alcune righe dopo, è affermato: «[...] non ne ho più da metter fuori, e sono fuori con più di seicento lire...». Questo chiarifica quanto sia lampante la dipendenza economica. Non si tratta ovviamente di sottrazioni senza il consenso paterno, ma sono comunque delle spese continue che faranno adirare Luigi. Altri casi del genere sono i seguenti: il 6 giugno 1926, ad esempio, il padre comunica ai figli che continueranno ad avere «tutto quanto deriva e deriverà ancora dai miei lavori», precisando però che «si faccia ognuno da sé». Il genitore auspica una vita autonoma per loro; vedremo invece che negli anni seguenti non sarà possibile. Nel novembre 1926 Stefano scrive ancora:

Fausto ha bisogno in questo mese di un supplemento per scarpe, calze, cornici, quadri, ecc. (come

si sa Fausto è stato un pittore di successo, ndA) Glielo do senzʼaltro. Anchʼio avrei bisogno di un

regalo per la nascita di Giorgio (il suo terzogenito, ndA): quanto posso prendere?

Non spetta a me giudicare la questione, ma è piuttosto scontato che di fronte a tali insistenze un padre possa risentirsi. Il giorno 8 dicembre 1928 Luigi parla ai figli del:

[...] peso vivo dei vostri assegni mensili che mi schiacciano addiritura lʼesistenza. Ho 61 anni; e mi vedo ancora costretto a campare alla giornata […] assillato dalle continue preoccupazioni di provvedere ai vostri bisogni, come se foste ancora bambini o ragazzi, mentre già siete tutti in età da provvedere a voi stessi.

Il successivo 20 gennaio 1929 il Maestro, stanco dellʼassillo economico causatogli dai figli, riassume in una lettera indirizzata a Stefano tutti i proventi di questʼultimo, cercando di fargli comprendere che non vi è bisogno di ulteriori

sussidi da parte sua:

[…] ti feci notare che tu, a preferenza degli altri figli, Fausto e Lietta, tʼavvantaggiavi a ogni modo, sia pur con qualche tuo sacrifizio o lavoro, di quattro cose: e cioè il provento della mia modesta pensione (quella dovuta agli anni di insegnamento a Roma, ndA), lʼalloggio gratis, quanto ti resta del fitto della tua casa in Via Piemonte, il pagamento degli articoli della “Nación”. Il che, a mio avviso, unito al tuo stipendio di giornalista di L. 1800 e al resto che riesci a guadagnare con altri articoli o novelle, poteva costituire […] un modo di vita sufficiente.

La situazione non è semplice per lʼeconomia della famiglia di Stefano; è possibile leggere la lettera secondo diversi punti di vista. Il padre lamenta le continue sussistenze avvalendosi anche di ragioni concrete, ma al tempo stesso erra nel confrontare Stefano ai fratelli. Ho già osservato che il suo lavoro non è riducibile a “quattro cose”: addirittura il nostro è costretto quasi sempre a distogliersi dai suoi impegni. Inoltre lo scambio delle case era dovuto a una reciproca comodità: siccome lʼabitazione in Via Piemonte (dove abitava Stefano) era facilmente affittabile rispetto al villino in Via Panvinio sulla Nomentana, la famiglia decise di fare questo trasferimento. Così avevano un provento dallʼaffitto e al tempo stesso mantenevano il villino in buone condizioni. Inoltre gli articoli inviati al giornale sud-americano, “Nación”, sono firmati da Luigi, anche se il lavoro è tutto del figlio (al quale, giustamente, vanno i proventi). Quindi Stefano è costretto a spendere il suo tempo in questi affari (pratiche per la vendita della casa, articoli che non firma) e di conseguenza cresce la fama di Luigi, il quale mantiene alta la sua notorietà nellʼAmerica Latina soltanto grazie a Stefano.

Il 6 agosto 1929, sempre a proposito dei soldi, Luigi rimprovera il figlio poiché doveva (non è conservata tale lettera) essersi lamentato per le sue condizioni economiche, al che il padre risponde:

[…] uno degli incubi della tua vita è “la miseria”. Hai torto, Stenù mio […] Tu hai circa quattromila lire al mese e la casa gratis. […] Non dico che hai da sguazzare, con la moglie e tre figli, ma di miseria non devi parlare […] Se non riesci a camparci, il difetto devʼessere nella regola

e nellʼeconomia.

Quindi Luigi pianifica la condizione di vita del figlio, affermando che è colpa delle sue cattive doti organizzative se non riesce a vivere con questi soldi. Sappiamo inoltre (marzo 1930) che il Maestro doveva pagare anche un debito contratto proprio da Stefano 105. Come se tutte queste polemiche non vi fossero

state, alcuni anni dopo (20 aprile 1933) Stefano, facendosi portavoce della moglie, chiede al padre dei rimborsi di circa trecento lire: «per quei cinque giorni in più di te e Cele (Celestina Abba sorella di Marta, ndA), col poʼ di rinfresco di quella