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UN CASO PARTICOLARE: IL ROMANZO SUO MARITO –

STEFANO PIRANDELLO: OPERE

M. Martini “LʼArgante” è il nome di più riviste attive nella prima metà del Novecento; molto probabilmente quello che a noi interessa è o “LʼArgante:

5.6 UN CASO PARTICOLARE: IL ROMANZO SUO MARITO –

GIUSTINO RONCELLA NATO BOGGI Ò LO

La vicenda (sia editoriale che compositiva) del romanzo è una delle più intriganti di Luigi Pirandello 184

; i primi cenni allʼopera risalgono al giorno 1 gennaio 1904, quando – nel fascicolo 769 della “Nuova Antologia” – si annuncia che Pirandello sta scrivendo Suo marito. Lʼedizione avverrà nel 1911, presso lʼeditore fiorentino Quattrini. Treves non aveva accettato di pubblicare il testo avanzando come scusa il fatto di essersi già rifiutato di dare alle stampe un altro romanzo, di cui lʼautore è ignoto, Sua moglie, opera che avrebbe alluso alla vita di Pirandello e di Antonietta Portolano, «mettendola in ridicolo in modo tale che non si può [fare] a meno di riconoscerla» 185

. Quindi per scrupolo morale Treves decide di uniformare il suo atteggiamento anche nei confronti di Suo marito, dove era possibile rintracciare degli evidenti paragoni tra i due protagonisti (Silvia Roncella e Giustino Boggiolo – poi Boggiòlo) con Grazia Deledda e il marito Palmiro Madesani. Le allusioni a proposito di questo rapporto risalgono allo stesso Pirandello, che il 18 dicembre 1908 scrive a Ugo Ojetti: «Son partito dal marito di Grazia Deledda. Lo conosci? Che capolavoro, Ugo mio! Dico, il marito di Grazia Deledda – intendiamoci...» 186

. È probabile che Pirandello, durante la stesura del testo, abbia dato alcune anticipazioni relative al romanzo, cosicché

184 L. PIRANDELLO, Suo marito-Giustino Roncella nato Boggiòlo, a cura di F. Danelon, Milano, Rizzoli-BUR, 2013 e L. PIRANDELLO, Suo marito in ID., Tutti i romanzi, I, a cura di G. Macchia con la collaborazione di M. Costanzo, Milano, A. Mondadori, 1973, pp. 587-873.

185 F. DANELON, Nota al testo in L. PIRANDELLO, Suo marito-Giustino Roncella nato

Boggiòlo, pp. 43-44. Danelon cita, a sua volta, la lettera inviata da Treves a Pirandello da: M.

Grillandi, Treves, Torino, UTET, 1977.

186 L. PIRANDELLO, Carteggi inediti, p. 28. Analizzando la lettera di Pirandello a Ojetti sembra possibile supporre che in quegli anni, negli ambienti letterari, fosse ota la sottomissione di Madesani alla moglie Grazia Deledda.

negli ambienti letterari si era a conoscenza dellʼimminente uscita di un testo che traeva spunto dalla vicenda biografica della Deledda 187. Secondo Pirandello,

infatti, Treves si era rifiutato proprio in seguito allʼintervento della stessa scrittrice sarda 188

. Infatti egli scrive a Ugo Ojetti il 30 luglio 1911:

Mio caro Ugo, mi càpita un bel caso! Mando finalmente al Treves il ms del romanzo Suo marito che – come sai – è dedicato a te e – come non sai – mi è riuscito veramente bene e tale potrà avere – se gli saran candidi i fati – una gran fortuna. Ed ecco che cosa mi risponde il Trevs! Evidentemente la D[ele]dda, la quale ha saputo dellʼinvio da un giornale di Roma che mi ha «intervistato» è corsa al riparo dal Treves […] Ti assicuro, mio caro Ugo, che è una persecuzione ingiustissima! Io non ho preso dalla realtà che un semplice spunto, il che è perfettamente legittimo; poi ho lavorato liberamente con la fantasia, ho creato personaggi azioni e tutto 189.

Secondo quanto testimonierà Stefano proprio la similitudine con la Deledda indusse Luigi Pirandello a non pubblicare più, in vita, questo romanzo. I rapporti tra Luigi e la scrittrice sarda non sembrano essere molto buoni: i due probabilmente si conobbero nellʼambiente vicino alla rivista “Nuova Antologia”, ma anche frequentando i comuni amici Giovanni Cena (scrittore e redattore della “Nuova Antologia”) e la compagna Sibilla Aleramo: la casa dei due, in Via Flaminia a Roma, era un punto di incontro per i letterati, tra i quali anche Pirandello e la Deledda 190. Vi sono, inoltre, delle testimonianze che dimostrano

quanto il rapporto tra i due fosse deteriorato: ad esempio Arnaldo Frateili, nel suo

DallʼAragno al Rosati: ricordi di vita letteraria, afferma che: «La Deledda

mostrava una certa avversione solo per Pirandello, al quale non perdonava di avere adombrato la sua situazione matrimoniale nel romanzo Suo marito» 191

. Quindi sia grazie alle affermazioni dello stesso Pirandello, sia a quelle di

187 F. DANELON, Introduzione in L. PIRANDELLO, Suo marito-Giustino Roncella nato

Boggiòlo, p. 9

188 F. DANELON, Nota al testo, pp. 43-44 189 L. PIRANDELLO, Carteggi inediti, p. 60 190 Ivi, p. 342

191 A. FRATEILI, DallʼAragno al Rosati: ricordi di vita letteraria, Milano, Bompiani, 1963, Cfr: F. DANELON, Introduzione, p. 11

Frateili viene attestato non solo che il romanzo traeva spunto dalla vita della Deledda, ma anche che tra i due celebri premi Nobel non vi fu un rapporto molto amicale.

Nonostante questi problemi lʼattenzione di Pirandello per lʼopera, però, non viene meno e così verso il 1934 tornò a rivedere il romanzo, riscrivendo i primi quattro capitoli, iniziando il quinto e dando al testo il nuovo titolo: Giustino

Roncella nato Boggiòlo.

Il ruolo di Stefano Pirandello è importante in quanto è lui a curare per primo la pubblicazione del romanzo dopo la morte del padre. Il progetto prevedeva lʼedizione di tutti i romanzi di Luigi Pirandello nella collezione “Omnibus” di Mondadori, cosa che accadrà nel 1941 avendo come curatore Stefano. Questi aveva scritto ad Arnoldo Mondadori il 22 novembre 1939 192, sulla

necessità di stampare Suo marito insieme a tutti gli altri romanzi. Si evince che Mondadori avesse avanzato agli eredi di Pirandello le sue perplessità circa tale pubblicazione dopo quasi trenta anni dalla princeps; Stefano invece oppone la necessità di dare alle stampe il testo:

[…] tanto il personaggio della scrittrice quanto quello del marito sono così vivi artisticamente e così autonomi, così personaggi di Pirandello, che – al giorno dʼoggi – nessuno andrà più a pensare al modello da cui il Babbo tolse appena il pretesto, lʼavvio, qui il suo romanzo. I pettegolezzi letterari, e poi quelli di almeno due generazioni fa, sono diventati lontanissimi dallʼattenzione del pubblico […] il Babbo stesso, dopo avere, per un riguardo umano, sacrificato per qualche tempo quel suo lavoro, non intendeva certo di sacrificarlo definitivamente: e ci teneva tanto, che sʼera rimesso a riscriverlo interamente. Abbiamo, dal rifacimento, per intero i primi due (lunghi) capitoli, e il principio del terzo. E il titolo nuovo: Giustino Roncella nato Boggiòlo. Vedrete che è forse il romanzo più gradevole alla lettura che il Babbo abbia scritto. […] Daremo cioè la parte riscritta fin dove arriva: e lì – avvertendo il lettore con una nota – attaccheremo il testo della prima edizione, da dove il racconto séguita. E in appendice daremo invece tutta la parte soppressa della prima edizione […]

Quindi Stefano oppone il fatto che il continuo ripensamento sul romanzo, nel

192

corso degli anni, da parte di Luigi implica lʼattualità del testo nel panorama letterario paterno, nonostante sia escluso dalle stampe da quasi trenta anni. Luigi ha rielaborato lʼopera, ha trovato un nuovo titolo; non vi sono, quindi, motivazioni per non pubblicarla anche perché i “pettegolezzi” (relativi al paragone con Deledda) non hanno più ragione di esistere. Nellʼedizione Mondadori 1941 (la seconda del testo) appare solo unʼavvertenza e una nota di Stefano. Non sono presenti ulteriori annotazioni o appendici, per non appesantire i lettori: vi è la prima parte, cioè quella “riscritta” negli anni Trenta, alla quale segue il testo secondo la prima edizione del 1911. Sarà poi nellʼedizione di Macchia-Costanzo (1973) che il romanzo verrà filologicamente messo in ordine: prima lʼedizione Quattrini 1911 e in appendice (oppure di seguito come nellʼedizione BUR a cura di Danelon) la parte nuova. Per lʼedizione 1941 Stefano scrive unʼAvvertenza 193,

in cui precisa che «lʼA. non permise più la ristampa», pur non essendo «unʼopera chʼEgli avesse rifiutato». Stefano comunica che il non averla più stampata è stato «uno scotto» che il padre «volle pagare per aver preso ispirazione da voci che circolavano sui casi dʼuna illustre scrittrice», precisando che questa fosse dal padre molto stimata e che la sua vicenda privata fu solo uno spunto, in quanto le corrispondenze «non andavano, se mai, oltre pochi dati di fatto». A questo punto Stefano, dopo avere affermato che ormai dopo molti anni il romanzo «viveva per se stesso», senza esservi più occasioni di raffronti con la Deledda, scrive di come Luigi sia voluto ritornare su questo lavoro: nellʼedizione 1911 il romanzo ha sette capitoli; Luigi, negli ultimi anni, ha rimaneggiato i primi quattro e lʼinizio del

193 S. PIRANDELLO, Avvertenza in L. PIRANDELLO, Suo marito-Giustino Roncella nato

quinto. A questo punto si era fermato, perché secondo Stefano lʼintervento da fare sugli altri capitoli non sarebbe consistito in una semplice rielaborazione, bensì in una vera e propria «creazione», quindi Luigi mise il tutto da parte per dedicarsi maggiormente ad altri lavori, contemporanei alla rilettura di Suo marito. LʼAvvertenza si chiude con la disamina di quale, secondo Stefano, è la scelta migliore per presentare la doppia redazione dei testi, concludendo di proporre il romanzo «per metà rifatto e il seguito nella prima stesura», facendo riferimento, quindi, per i primi capitoli allʼultima volontà di Luigi, mentre per gli ultimi attenendosi allʼedizione 1911 in quanto non esiste una successiva rielaborazione di tali parti.

Si comprende che il caso di Suo marito non riguarda una collaborazione diretta tra Stefano e Luigi; ho ritenuto comunque opportuno riportare questo caso in quanto dimostra e chiarifica il lavoro di Stefano attorno allʼopera paterna anche dopo la morte del genitore.

CAPITOLO VI

Proposta di analisi sul rapporto tra le vicende familiari di Stefano e le sue opere

Nel corso del mio lavoro ho delineato il rapporto tra Luigi e Stefano Pirandello, sia da un punto di vista familiare che letterario. Mi sembra opportuno fare un riscontro anche su alcuni testi di Stefano, già citati in precedenza. Infatti la quasi totalità delle sue opere ruota attorno a delle particolari situazioni familiari.

Il problema, come noto, è determinato dalla malattia di Antonietta, che ha costretto il resto della famiglia a rivedere i rapporti interni. Stefano, essendo il figlio maggiore, ha evidentemente risentito più degli altri della situazione. Quindi in lui da un lato nasce il desiderio di libertà da una condizione opprimente, ma al tempo stesso il bisogno costante della presenza paterna.

Stefano dunque ha trasposto le varie vicessitudini familiari nelle sue opere (anche se con “sfumature” diverse). Così nei suoi testi ricorrono temi come lʼoppressione familiare (ne Lʼuccelliera), il rapporto ossessivo padre-figlio e la necessità dellʼaffetto paterno (in Un padre ci vuole e ne La casa a due piani), il bisogno della pace familiare (ne Il falco dʼargento). Inoltre nella commedia Un

gradino più giù è affrontata con chiarezza lʼassenza della figura materna.

Lʼoppressione familiare, come anticipato, è presente ne Lʼuccelliera. La commedia affronta la storia di Nonna Maria che gestisce una casa famiglia nella quale sono ospitati sia dei suoi nipoti che altri bambini tutti orfani. Con loro risiede anche la signorina Eulalia, figlia di Maria: la donna nubile vive la quasi totalità delle sue giornate in una camera, chiusa senza volere vedere nessuno, soffrendo – si presume – di qualche forma depressiva. Eulalia può vagamente

ricordare Antonietta Portolano: la madre di Stefano, infatti, essendo malata di nervi spesso aveva la necessità di vivere in solitudine (ricordo i continui viaggi in Sicilia). Lʼuccelliera (dalla quale prende il titolo la commedia) è la grande gabbia nella sala, ma è metafora della condizione di vita in cui i ragazzi sono costretti a vivere: la famiglia di Nonna Maria è protettiva e donatrice di affetti e attenzioni che altrimenti non sarebbero possibili per gli orfani, ma può essere anche una gabbia, una prigione dalla quale non si può evadere. La nipote, Anna, ad esempio, è lʼunica che cerca di ribellarsi a questa situazione; infatti allʼarrivo di un nuovo ragazzo ospite nella villa Anna chiede alla nonna: «Cip, cip, un altro in gabbia, cip, sì, sapete? Vero? comʼè? chi è? è come noi? orfano?» 194

.

Le tematiche del rapporto ossessivo tra un padre e un figlio e il bisogno dellʼaffetto paterno sono proposte sia in Un padre ci vuole che ne La casa a due

piani. La prima commedia si apre con il figlio Oreste alla ricerca del padre

Ferruccio. Veniamo a conoscenza che alcuni anni prima tutta la famiglia, ad eccezione di Oreste e Ferruccio, è morta in un incidente causato proprio dal padre. Oreste così ha abbandonato i suoi promettenti studi scientifici e si è totalmente dedicato a Ferruccio, lasciando andare in rovina lʼazienda di famiglia, creando dei debiti. Ferruccio però ha deciso di rifarsi una vita con la giovane Clelia. Oreste cerca in tutti i modi di ostacolare la relazione; il padre si oppone ai tentativi del figlio per lʼamore che prova nei confronti di Clelia. Non vi è un vero finale: la conclusione è lʼabbraccio tra padre e figlio, quindi si comprende che tra loro è ritornata lʼarmonia precedente lʼincontro di Ferruccio con Clelia, ma si presume che la storia dʼamore tra il padre e la giovane donna avrà un seguito. È possibile

194

rapportare lʼossessione di Oreste verso Ferruccio alla necessità di Stefano di avere sempre vicino il padre e di assisterlo continuamente. Nella commedia, inoltre, vi è un uomo anziano che si innamora di una giovane (Ferruccio e Clelia): non può non essere ricordato il caso di Luigi Pirandello con Marta Abba 195

. Ne La casa a

due piani viene narrata la storia della famiglia Assalente. I coniugi Federico ed

Evelina sono talmente innamorati che non si sono occupati dei loro figli. Il titolo è collegato proprio alla vicenda narrata: la casa degli Assalente è disposta su due piani. Nel corso della storia si comprende che questo ha implicato la divisione della famiglia: in una parte della casa hanno da sempre vissuto i figli, mentre i genitori, invece di vivere con loro, sono sempre stati nel piano superiore, in unʼ alcova separata dal resto dellʼabitazione, per coltivare in maniera esclusiva il loro amore. Il punto di svolta della storia sta nella malattia di Evelina; questa prima di morire fa promettere al marito che si prenderà cura dei figli. Ciò non accade: i figli Lidia e Piero si allontanano dalla casa, mentre Fabio – dopo uno scontro col padre – si toglie la vita. Una delle ultime battute del suicida è: «Dalle pace, non amar più lei, ama noi, papà, amaci, amala in noi: padre nostro!» 196

. Questa è la richiesta spasmodica di affetto. A mio avviso il rapporto tra lʼopera e la vita di Stefano è proprio nelle battute finali di Fabio: il bisogno di affetto provato dal figlio e la richiesta continua per la presenza del padre 197

.

Il bisogno della pace familiare, della tranquillità domestica, è affrontato nella commedia Il falco dʼargento, incentrata appunto sullo stile di vita normale

195 Inoltre la Abba e Pirandello si sono conosciuti nel 1924, anno in cui Stefano scrive il nucleo originario del testo, Il minimo per vivere.

196 S. PIRANDELLO, La casa a due piani, in ID., Tutto il teatro, II, p. 570

197 Devo precisare però che Luigi Pirandello non fece mai mancare né affetto né sostentamento ai figli, ma Stefano da parte sua, come ho già osservato, ha sempre necessitato della presenza del padre.

ed equilibrato condotto da Filippo ed Emma Rigagni. La famiglia piccolo- borghese vive la sua quotidianità in modo ordinario. Lo sconvolgimento sta nellʼarrivo di Aldo, fratello di Emma. Questi tenta di convincere il cognato Filippo a investire dei soldi in un affare in India. Inizialmente Emma non vuole poiché teme che la stabilità domestica venga sconvolta. Dopo alterne vicende Filippo decide di partire per lʼIndia insieme ad Aldo. A questo punto però entra in scena Cynthia – moglie di Aldo. È il momento di svolta della storia; Cynthia infatti riferendosi ad Aldo afferma: «No: Filippo non può avere capito […] Bada, Emma: glieli vuole prendere! glieli vuole rubare!». Aldo interviene dicendo alla moglie: «Se tu mʼavessi dato una creatura mia... […] Una creatura mia! Da darle la mia anima! Voglio la continuazione del mio sangue!» 198

. Si comprende così il piano di Aldo: crescere i figli al posto di Filippo, con lʼallontanamento forzato (in India) del vero padre. Dopo queste rivelazioni Emma rompe il nascente affare e quindi viene a ricompattarsi la famiglia Rigagni. Ne Il falco dʼargento la speranza di facili guadagni attraverso lʼIndia avrebbe potuto distruggere la pace familiare, tanto necessaria ai Rigagni, così come lo era stato per Stefano e la sua famiglia.

Un caso particolare è Un gradino più giù; qui viene presentata la storia di Valerio Alberici e delle sue ossessive attenzioni verso il figlio Alberico, minorato psichico. La madre di Alberico nonché moglie di Valerio è morta. Quindi manca la presenza femminile: questo caso in apparenza non ha corrispondenze con la vicenda di Stefano e si potrebbe al massimo supporre che lʼassenza della donna (dovuta alla morte) sia rapportabile alla mancanza di Antonietta dalla vita dei figli, a causa della malattia. In realtà, però, le relazioni più eclatanti con la vita

198

familiare dei Pirandello sono nella figura di Annunziata Alberici, figlia di Valerio. La ragazza non compare mai in scena, ma si comprende che il suo lavoro, secondo i piani del padre, sarebbe quello di assistere il fratello (al posto della madre assente); infatti Valerio viene colto da unʼira furente quando scopre che la figlia si è innamorata. La ragazza avrebbe dovuto vivere per sempre con il fratello e quindi Valerio non sopporta che abbia una relazione amorosa. Questo caso ricorda la vicenda legata al matrimonio di Lietta Pirandello. Infatti anche il nostro Luigi visse una situazione di disperazione simile a quella di Valerio: in seguito al matrimonio di Lietta egli considerò se stesso come una vittima, in quanto per la seconda volta era stato abbandonato da una donna (dopo lʼallontanamento dovuto al ricovero di Antonietta) 199

. La vicenda di Un gradino più giù vede poi la morte di Annunziata dovuta a un progressivo stato di malessere; Valerio quindi decide di dare ad Alberico come moglie Gianna, colei che aveva fatto da “vicemadre” ad Annunziata. Valerio chiede alla donna di porsi però a livello del figlio, appunto “un gradino più giù”, arrivando quindi a destabilizzare la fermezza psichica di Gianna.

Se queste sono le opere nelle quali si proietta la reale vicenda familiare di Stefano, tuttavia anche in altri testi il tema della famiglia resta dominante, nonostante non sia rapportabile direttamente ai Pirandello. Uno di questi casi è nella tragedia Sacrilegio massimo. Sullo sfondo dellʼeccidio delle Fosse Ardeatine è presentata la storia di Sara e Davide – madre e figlio. La donna ha il rimorso per

199 Il matrimonio è nel 1921; ad esempio Fausto Pirandello scrive: «[...] ci ritrovammo mio padre e me sullʼacciottolato con un grande struggimento per la separazione e il rivolgimento che recava alla nostra famiglia il matrimonio di mia sorella», oppure anche Stefano scrive a Dodi il 6 agosto 1921: «Papà […] non fa altro che pensare a Lietta e ci ripete dieci volte al giorno che non sa più che stare a fare e che la sua vita è finita». Cfr: S. ZAPPULLA MUSCARÀ, E. ZAPPULLA, La

non potere proteggere il figlio dalla morte, causata dallo sterminio nazista:

Davide, anima mia...anima mia che io dovevo salvare! […] Io che sapevo! […] lʼodio, la minaccia sempre su noi […] Dio! non è colpa mia ora? […] se potessi ringoiarti in questo grembo, e tenertici al riparo. Ma no: perché mi parve bello sgravarmi...e vederti! 200

Sara rimpiange di avere dato alla luce Davide, essendo a conoscenza delle continue persecuzioni che hanno da sempre tormentato il popolo ebraico. Anche la tragedia Lʼinnocenza di Coriolano, ambientata nella Roma antica attorno alla figura di Coriolano (personaggio principale che però non appare mai) ha nello sfondo storico una vicenda familiare complessa. Il padre di Coriolano è morto e così la madre Volumnia ha dovuto prendere su di sé quelle prerogative che secondo il mos spettano al padre, ossia dare al figlio una educazione e la disciplina. Pertanto a Coriolano è venuto meno lʼaffetto materno, poiché Volumnia ha trasmesso al figlio quei valori che solitamente sono compito del padre.

Anche in uno dei monologhi composti da Stefano per Paola Borboni, Figli