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Capitolo 4. L’internazionalizzazione delle aziende vinicole

4.6 Scelta delle modalità d’ingresso

Con modalità d’ingresso si intendono “modalità tecnico-organizzative mediante le quali l’impresa rende disponibile la propria offerta sul mercato prescelto” (Valdani, 2006). Le alternative di fronte alle quali l’azienda è posta quando sceglie di internazionalizzarsi sono essenzialmente tre:

• l’entrata tramite esportazione: in base alla scelta se esportare direttamente o indirettamente. Come già accennato nel paragrafo delle strategie internazionali, le due modalità di ingresso si distinguono per l’impegno aziendale. Nel caso dell’esportazione diretta l’impresa può negoziare direttamente con gli importatori esteri o costituire una rete di vendita o una propria unità commerciale in loco. Per quanto riguarda, invece, l’esportazione indiretta, l’azienda delega la gestione dei rapporti con i mercati esteri a operatori specializzati nell’intermediazione commerciale che gestiscono la promozione, distribuzione e esportazione del prodotto;

• l’insediamento produttivo: in questo caso l’impresa produce nel mercato obbiettivo per servire il mercato locale e agisce da insider;

• gli accordi interaziendali: questa modalità di ingresso impone la collaborazione con soggetti locali in modo tale da sfruttare le conoscenze sulla domanda locale

Strategia transanazionale Strategia globale omogenea Strategia basata sul decentramento Strategia basata sull'export Co or di na m en to d el le a tt iv ità d ec en tr ate

Configurazione delle attività Decentramento

geografico Concentrazione geografica

Al

to

Ba

ss

del partner e allo stesso tempo trasferire il proprio know-how o le risorse utili per realizzare l’offerta alle imprese nel mercato estero. Gli accordi interaziendali possono assumere configurazioni diverse: franchising, concessioni di licenze, accordi di coproduzione, ecc…;

Inoltre, le modalità di ingresso sopra esposte si suddividono in ulteriori categorie, in base al grado di coinvolgimento internazionale e il grado di controllo sulle operazioni internazionali. Il primo riguarda principalmente il livello di investimenti e di risorse impiegate nell’operazione di internazionalizzazione, mentre il secondo fa riferimento al tasso di delega tra le attività della casa-madre e le unità insediate nel paese estero.

Figura 4.2, Gradi di internazionalizzazione Come indicato nella figura 4.2, nel primo quadrante si inseriranno quelle aziende nelle quali sia il grado di coinvolgimento internazionale sia il grado di controllo sulle operazioni internazionali è elevato, ed è il caso delle unità commerciali, produttive e integrate. Il secondo quadrante, invece, è caratterizzato da livelli di investimenti elevati ma una maggiore delega sulle attività come accade per esempio per le joint venture e gli investimenti di capitali di minoranza. Nel terzo quadrante si collocano le aziende con coinvolgimento minore, sia a livello di controllo che di investimenti come i contratti di licensing, franchising e piggy back oppure l’esportazione indiretta, la concessione e gli importatori distributori. Infine, nel quarto quadrante si inseriscono le imprese che si avvalgono di modalità di ingresso come l’esportazione diretta e il management contract, caratterizzate da basso tasso di investimenti e utilizzo di risorse ma elevato grado di controllo.

Grado di controllo sulle operazioni internazionali

Unità integrata Unità produttiva Unità commerciale Esportazione diretta Management contract Joint Venture Investimenti di capitale di minoranza Licensing Franchisin g Piggy Back Importatori distributori Subfornitura Esportazione indiretta G ra do di c oi nvo lgi m ent o in te rna zi on al e

Quando si analizza un processo di internazionalizzazione si intende anche sottolineare la sequenzialità che caratterizza le scelte della modalità d’ingresso nel tempo. Il processo di internazionalizzazione, dunque, sarebbe soggetto ad evoluzione, in base agli stimoli e ai cambiamenti sia interni che esterni all’azienda. Tale procedimento, dunque attraverserebbe diverse fasi in termini di impegno e risorse, fino a raggiungere il massimo grado di investimenti sostenuti nel progetto e massimo grado di controllo delle operazioni internazionali (Valdani, 2006). In particolare, soprattutto nei primi stadi del processo, l’esportazione rappresenta la modalità migliore e più importante per accedere ad un mercato straniero. Ad esempio, per i mercati emergenti in cui le imprese devono stabilire rapidamente la propria presenza, l'esportazione indiretta potrebbe essere preferibile all'esportazione diretta poiché i costi di avvio sono inferiori e l’entrata nel mercato straniero risulta più veloce. L'esportazione è considerata la modalità di accesso al mercato estero più comune, in particolare tra le PMI a causa dei rischi minimi di impresa, del basso impegno di risorse e dell'elevata flessibilità di azione che offre (Young, Hamill, Wheeler e Davies, 1989). Leonidou e Katsikeas (1996) dividono il processo di sviluppo delle esportazioni in tre grandi fasi: pre-engagement, initial e advanced. La fase di pre- engagement comprende tre tipi di imprese: quelle che vendono i loro beni esclusivamente all’interno del mercato domestico, coloro che prendono in seria considerazione l'attività di esportazione e quelli che erano soliti esportare in passato ma non lo fanno più. La fase iniziale, invece, è caratterizzata da imprese coinvolte in una sporadica attività di esportazione che può essere distinta tra quelle che hanno il potenziale per aumentare il loro coinvolgimento all'estero e quelle che non sono in grado di far fronte alle esigenze di esportazione e quindi passare a un comportamento marginale di esportazione o al completo ritiro dalle vendite all'estero. Nella fase avanzata, infine, le aziende esportatrici possiedono una vasta esperienza all'estero. In genere, si ritiene che le PMI non scelgano strategie di ingresso più complesse dell’esportazione nel processo di internazionalizzazione mentre altre modalità di ingresso come licensing, franchising, joint venture, alleanze strategiche e filiali solitamente sono prese in considerazione esclusivamente dalle multinazionali (Caves, 1982). Pellicanò e De Luca (2016) hanno condotto una ricerca qualitativa sull’internazionalizzazione delle cantine calabresi e da tale studio è emerso che tutte le aziende vinicole prese a campione hanno deciso di adottare una forma semplice di esportazione diretta. Ad esempio, partecipando alle fiere e limitandosi ad evadere l’ordine ricevuto in quel frangente. Lo studio evidenzia come una volta stabilito il contatto con l'acquirente, di solito tramite fiere o altri eventi nel

settore del vino, le aziende si limitiamo a inviare loro il prodotto senza alcun coinvolgimento nella distribuzione sul mercato estero e soprattutto senza nessun tipo di supporto. Il modo in cui tutte le cantine intervistate gestiscono le loro esportazioni, può essere definito come una chiara strategia di marketing "push" che, secondo Palmer (2009), più mirata al distributore o al grossista piuttosto che ai consumatori finali (strategia "pull").

4.6.1 La coopetizione come alternativa

Con il termine coopetizione intendiamo una strategia aziendale che unisce le caratteristiche di competizione e cooperazione. Essa si realizza tra imprese concorrenti che scelgono di collaborare limitatamente a certe attività del proprio business al fine di raggiungere determinati obiettivi comuni. Essa prevede un esplicito accordo preliminare tra due o più imprese, che stabiliscono quali attività dovranno essere svolte in modo congiunto e quali invece saranno eseguite in autonomia. In tal modo, la coopetizione permette alle imprese di ottenere i benefici tipici della cooperazione senza, però, in questo modo rinunciare allo sviluppo autonomo della propria attività.

I vantaggi della coopetizione includono:

• il vantaggio informativo, ovvero l’accesso alle informazioni difficilmente ottenibili dalle imprese singolarmente;

• il vantaggio transazionale, derivante dalla possibilità di accedere a determinati beni a condizioni più favorevoli, come nel caso di piccole produzioni che non coprono il fabbisogno di alcuni importatori;

• il vantaggio di mercato, grazie alla disponibilità di una rete di vendita condivisa. Alcuni autori ritengono che un approccio orientato alla coopetizione rappresenti una delle strategie imprenditoriali che le piccole imprese dovrebbero adottare per competere sui mercati internazionali, minimizzando i limiti relativi alle loro dimensioni e favorendo il processo di apprendimento interno (Korsakiene e Tvaronaviciene, 2012).

Tuttavia, la coopetition, per essere veramente profittevole, richiede che all’interno della rete sia presente lo scambio di conoscenze e la condivisione delle risorse in termini di know how su ricerca, produzione, marketing e così via. La condivisione delle conoscenze, però, può diventare un incentivo per l'ulteriore sviluppo e innovazione di prodotti o di processo. Di conseguenza, le reti sono una fonte di vantaggio competitivo soltanto se assumono una dimensione strategica (Carson et al., 2004) e proattiva (Sarkar et al., 2001).

L'apertura a una rete di relazioni e una più ampia collaborazione tra competitors consente alle imprese di accedere a importanti risorse e di attivare processi di crescita internazionale, tramite l’apertura di nuovi canali di distribuzione e di comunicazione, ad esempio. Vrontis et al. (2011) sostengono che sia per il mercato internazionale che per quello locale, i produttori di vino devono comprendere l'ambiente competitivo e in particolare identificare chi sono i veri concorrenti. Gli autori propongono che per una vera analisi della concorrenza ci deve essere una chiara distinzione tra vini locali ed esteri, considerando il country of origin effect, fondamentale nella strategia di branding. Un esempio significativo in questo senso può essere considerato la collaborazione (o coopetizione) tra la cooperativa italiana Caviro e la società francese Val d'Orbieau (il quinto gruppo vinicolo in Francia), basato sullo scambio di know-how per l'ottimizzazione di processi organizzativi e per lo sviluppo di informazioni di marketing utili a contrastare i competitors del Nuovo Mondo. Nel contesto della coopetizione giocano un ruolo fondamentale le istituzioni, sia private che pubbliche, che in questo senso devono supportare l’internazionalizzazione delle imprese. Esse devono, in particolare, coadiuvare le imprese nella partecipazione alla rete di aziende, nella connessione con le realtà straniere e possedere capacità di interconnettere le aziende tra loro e di stabilire relazioni che siano costanti nel tempo (Festa et al., 2017).

Nel contesto delle strategie di internazionalizzazione, la letteratura ha identificato "nuove forme di internazionalizzazione" o “metodi relazionali", evidenziando la loro flessibilità rispetto agli scenari tradizionali. Ad esempio, la “prospettiva reticolare” (Johanson e Mattson) interpreta i mercati come reti di relazioni tra imprese. Come spiegato in precedenza la percezione della mancanza di risorse e informazioni è risultata vincolante ai fini dell'internazionalizzazione. La teoria della coopetizione, però, propone un approccio graduale, specialmente per le piccole imprese con una conoscenza limitata dei mercati esteri (Knight and Cavusgil, 1996). Un esempio di caso studio sulla coopetition è l'analisi di Festa et al. (2017) che evidenzia l'importanza della rete tra le piccole imprese del settore vitivinicolo. Dalla ricerca condotta emerge il vantaggio della coopetizione in grado di collaborare con altre istituzioni e imprese del sistema territoriale (con riferimento ad altri prodotti alimentari tipici, ma anche al turismo, all'ambiente, alla cultura), considerando la promozione del territorio non strettamente legato alla filiera vinicola. In futuro, i nuovi modelli di relazioni e contratti tra le aziende dovranno essere studiati unendo le forze e mirando a ottenere migliori informazioni sui mercati esteri, a

organizzare un'azione di comunicazione efficiente, a promuovere prodotti destinati a specifici mercati e alla creazione di sinergie.

La capacità di costruire reti e relazioni, o in altre parole, di collaborare con cantine all’interno di un'area definita, può migliorare le prestazioni complessive di un vino sui mercati internazionali, come dimostra il caso della cantina cooperativa nella Regione Veneto in Italia (Rizzo e Bonuzzi, 2008).