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I L CONTROLLO DEL RISCHIO L O SCHEMA DELL ’ AUTORIZZAZIONE

3. Segue Il criterio del bisogno

Dalle norme esaminate si evince quindi che un additivo, per essere autorizzato nell’alimentazione animale non soltanto non deve “fare male” ma deve anche “fare bene”180, cioè non basta dimostrare che l’additivo non è nocivo, ma è necessario dimostrare anche la sua utilità. Così come al contrario l’assenza di utilità, o del bisogno del prodotto è ragione sufficiente a negare l’autorizzazione.

Il controllo dell’utilità o del bisogno di un’attività o di un prodotto in sede di rilascio di un’autorizzazione può rappresentare un grosso freno all’innovazione (di un prodotto o di una attività nuova è difficile dire quanto potrà rilevarsi utile in futuro: si pensi solo ad internet una decina di anni fa). La previsione di un tale controllo appare legittima se finalizzata (come nel caso del regolamento sui medicinali) a verificare se l’assunzione di un rischio per la salute o l’ambiente possa ritenersi giustificata (in quanto controbilanciata da un beneficio), ma diventa discutibile quando un rischio reale per la salute non esiste.181 Detto in altri termini, è lecito dubitare che l’assenza del bisogno di un prodotto possa costituire una legittima giustificazione del diniego di autorizzazione nel caso in cui esso non abbia effetti

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Sulla funzione conformativa di talune autorizzazioni, che rendono l’interesse privato strumentale alla realizzazione dell’interesse pubblico attraverso l’accertamento che l’attività non soltanto “non faccia male” ma faccia anche bene, risponda cioè ad un bisogno del mercato si veda FRACCHIA, Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche soggettive, cit., p. 248 e ss., Id, Autorizzazioni amministrative, cit., p. 600.

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Sull’ambivalenza del criterio del bisogno, che può avere la funzione di relativizzare la tutela di un bene giuridico (salute o ambiente) giustificando l’assunzione di un rischio, ovvero di rafforzarne la protezione, impedendo di intraprendere attività che presentano solo rischi ipotetici perché non ce ne è necessità, cfr. KOCK,Grunzuege des Risikomanagements im Umweltrecht cit., 159.

sfavorevoli sulla salute o sull’ambiente, dal momento che nei trattati non esiste una norma che autorizza a subordinare la libertà di iniziativa economica all’accertamento del bisogno o dell’utilità dell’attività da autorizzare182.

Una tale conclusione mi pare sia avvalorata da alcune sentenze della Corte di giustizia concernenti la legittimità della legislazione di Danimarca, Olanda e Francia restrittiva delle importazioni e della vendita di alimenti e bevande arricchiti con vitamine183. In particolare le sentenze in questione esaminano una prassi interpretativa corrente in tali paesi per cui si subordinava l’autorizzazione all’immissione in commercio dei prodotti addizionati con vitamine alla dimostrazione che essi soddisfacessero un bisogno nutrizionale del paese.

Secondo la Corte tale prassi costituisce pacificamente una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione vietata ai sensi dell’art. 28 Tr CE. Nel valutare se essa possa considerarsi giustificata ai sensi dell’art. 30 Tr CE, il giudice comunitario afferma che spetta agli stati decidere quale livello di tutela della salute essi intendono garantire e in particolare il potere di scegliere se sottoporre a regime autorizzatorio alcuni prodotti che possono rappresentare un rischio per la salute. “Tale potere discrezionale relativo alla tutela della salute è

particolarmente importante qualora sia dimostrato che sussistono incertezze allo stato attuale della ricerca scientifica in merito a determinate sostanze, quali le vitamine, che in genere non sono nocive di per sé, ma possono produrre effetti nocivi particolari solo se consumate in misura eccessiva assieme al complesso degli

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La questione può sembrare scarsamente significativa se riferita soltanto alla materia dell’alimentazione degli animali: assume però maggiore pregnanza se si considera che l’argomento dell’assenza del bisogno o di utilità è invocato di frequente da chi richiede che prodotti o attività, spesso considerati rischiose semplicemente perché ancora poco conosciuti, vengano messi al bando. L’argomento dell’assenza del bisogno è spesso invocato, per esempio, a proposito degli OGM. Sul dibattito in Germania si veda VAN DEN DAELE,che critica il ricorso all’argomento del bisogno in relazione alla possibilità di proibire OGM di cui sia provata la non nocività (in Von rechtlicher Risikovorsorge zu politischer Planung. Begruendungen fur Innovationskontrollen in einer partizipativen Technikfolgenabschaetzung zu gentechnisch erzeugten herbizidresistenten Pflanzen, in BORA (a cura di) Rechtliches Risikomanagement, cit., p. 277).

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Corte di giustizia, sentenze del 23 settembre 2003 nella causa C- 92/01 Commissione/Danimarca; del 2 dicembre 2004 nella causa C-41/02 Commissione/Paesi Bassi; del 5 febbraio 2004 nella causa C-24/00 Commissione/Francia. Le sentenze sono in parte conformi ad un’altra emessa dalla Corte nella causa C- 174/82 Sandoz, ma se ne distaccano in relazione al punto che qui interessa, cioè la possibilità di subordinare il rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio all’accertamento di un bisogno nutrizionale.

alimenti la cui composizione è imprevedibile e incontrollabile.”184 Il diritto comunitario non osta in linea di principio a che uno stato vieti, salvo autorizzazione, la commercializzazione di prodotti arricchiti con vitamine, ma l’esercizio di tale potere discrezionale deve rispettare il principio di proporzionalità, nel senso che i mezzi impiegati devono essere limitati allo stretto necessario per garantire la tutela della salute e proporzionati all’obiettivo perseguito, il quale non avrebbe potuto essere raggiunto con misure meno restrittive per gli scambi intracomunitari. L’autorizzazione potrà essere quindi negata se, in seguito ad una valutazione condotta sulla base “dei dati scientifici disponibili più affidabili e dei risultati più

recenti della ricerca internazionale”, risulti che l’aggiunta di sostanze nutritive

all’alimento rappresenti un rischio reale per la salute umana (rischio che può, in virtù del principio di precauzione, essere non pienamente dimostrato nella sua esistenza e gravità, ma la cui valutazione non può comunque “basarsi su considerazioni

puramente ipotetiche”). Non è invece legittimo il diniego fondato puramente e

semplicemente sulla mancanza di un bisogno nutrizionale, dal momento che “il

criterio dell'esigenza nutrizionale della popolazione di uno Stato membro può avere un'incidenza all'atto della valutazione approfondita, effettuata da quest’ultimo, del rischio che l'aggiunta di sostanze nutritive ai prodotti alimentari può presentare per la salute. Tuttavia, …, la mancanza di un tale fabbisogno non può, di per sé, giustificare un divieto assoluto, sulla base dell'art. 30 CE, di commercializzare prodotti alimentari legalmente fabbricati e/o commercializzati in altri Stati membri”185.

La Corte di Lussemburgo giudica pertanto illegittime, in quanto contrarie al principio di proporzionalità le prassi dei paesi in questione, sulla base della considerazione che la mancanza di una di un’esigenza nutrizionale non può di per sé legittimare un divieto di commercializzare prodotti alimentari legittimamente fabbricati e commercializzati in altri stati membri, se una valutazione approfondita,

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Sentenze Commissione/Danimarca e Commissione/Paesi Bassi, punto 43.

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caso per caso, degli effetti che l’aggiunta di vitamine potrebbe provocare, non riveli l’esistenza di un rischio per la salute umana186.

Mi sembra si possa affermare che, almeno in questo caso, ciò che la Corte ritiene illegittimo per gli Stati membri dovrebbe (a maggior ragione) essere considerato tale per la Comunità, che ha competenze limitate rispetto ai primi. Se è vero che per la disciplina comunitaria degli additivi nell’alimentazione animale non si pongono problemi di tutela degli scambi intracomunitari (visto che gli stati sono egualmente destinatari del regolamento), essa deve comunque rispettare il principio di proporzionalità, che ha valenza costituzionale nell’ordinamento comunitario secondo quanto affermato dalla giurisprudenza consolidata delle corti europee e secondo quanto oggi espressamente previsto dell’art. 5 del Trattato CE, con riferimento all’azione della Comunità187. Alla luce del principio di proporzionalità secondo cui l’azione dei pubblici poteri, che impone un sacrificio della sfera individuale, deve essere strettamente necessaria (oltre che idonea e proporzionata) alla tutela dell’obiettivo perseguito, si deve ritenere che per vietare la commercializzazione di un prodotto non sia sufficiente il fatto che esso non passi un giudizio di utilità o di bisogno, qualora esso non esso non costituisca una reale minaccia a beni giuridici tutelati dall’ordinamento comunitario, quali la salute o l’ambiente.

Il criterio del bisogno (con conseguente diniego dell’autorizzazioni al prodotto che non si ritene in grado di soddisfare un bisogno riconoscibile) fa a pugni con i principi fondamentali del Trattato. Presuppone che sia lo Stato e non il consumatore a stabilire se un bene o un servizio corrisponde ad un bisogno di consumo: poggia su un criterio partenalistico che è l’opposto del principio di libertà cui il Trattato è informato.

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Cfr. Sentenze Commissione/Danimarca e Commissione/Paesi Bassi, punti 55-56 e Commissione/Paesi Bassi, punto 67 e Commissione/Francia 60-61.

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Sul principio di proporzionalità nell’ordinamento comunitario si vedano tra gli altri CRAIG, EU Administrative Law, cit., p. 655 e ss.; SCHWARZE, The principle of proportionality and the principle of impartiality in european administrative law, in Riv. Trim Dir. Pubbl., 2003, 53; GALETTA, Il principio di proporzionalità comunitario e il suo effetto di “spill over” negli ordinamenti nazionali, in Nuove Autonomie 4-5/2005, 541; MASSERA, I principi generali, in CHITI /GRECO (a cura di) Trattato di diritto amministrativo europeo, Parte generale, Tomo I, Milano 2007, 332.