L’art. 2476, 2 co., c.c., disciplina sufficientemente contenuto e legittimazione attiva del diritto di controllo. Invece, nulla è previsto – oltre che sui limiti – sull’indisponibilità del diritto.
Nella ricerca di dati testuali dirimenti, un primo elemento da prendere in considerazione si rinviene nel vecchio art. 2489 c.c., il quale, al contrario, assegnava al diritto di controllo natura indisponibile, sanzionando con la nullità «ogni patto contrario» al riconoscimento di tale diritto.
Con la conseguenza che – in riferimento all’art. 2476, 2 co., c.c. – non si comprende se il legislatore, non riproponendo quella stessa chiosa, abbia inteso rendere disponibile il diritto di controllo o, invece, implicitamente indisponibile.
In generale, tutta la disciplina della S.r.l. non offre chiare indicazioni su come interpretare formulazioni del genere. A questo proposito, si è rilevato infatti che «il linguaggio usato dal testo normativo non consente di separare con
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sufficiente chiarezza ciò che è permesso e ciò che non è permesso all’autonomia statutaria»1.
Infatti, il legislatore, nel disciplinare alcuni profili, fa esplicitamente salva la diversa volontà statutaria, come per la libera circolazione delle partecipazioni (art. 2469, 1 co., c.c.) o per la rinunzia e la transazione sull’azione di responsabilità contro gli amministratori (art. 2476, 5 co., c.c.). E, quindi, sembra lasciare intendere che, laddove non sia prevista tale salvezza, la norma debba qualificarsi come inderogabile.
In altre ipotesi, invece, lo stesso legislatore vieta espressamente una diversa pattuizione statutaria, come nel caso delle ipotesi di recesso legale (art. 2473, 1 co., c.c.) o delle decisioni «in ogni caso» riservate ai soci (art. 2479, 2 co., c.c.), avvalorando, allora, l’idea opposta che, nel caso in cui manchi tale espressa interdizione, la norma debba considerarsi dispositiva2.
Allora, tale tecnica legislativa3 può suscitare il dubbio circa la derogabilità
del diritto di controllo del socio, tant’è vero che questo è stato – o, meglio, è tuttora – l’aspetto a cui la dottrina ha dedicato maggior attenzione nell’ambito dell’art. 2476, 2 co., c.c.4.
Ad essere precisi, la questione da dipanare riguarda la derogabilità in peius del diritto in esame – ovverosia la possibilità che esso venga compresso
1 In questi termini la critica di G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società a responsabilità
limitata, in Riv. soc., 2003, I, p. 100, sul complesso normativo dedicato alla S.r.l. dalla riforma del
2003, che – fra le altre cose – ha mancato l’obiettivo di approntare a quella una disciplina esaustiva, con la conseguenza che – nonostante la volontà di emancipare la S.r.l. dalla società azionaria – le lacune andranno necessariamente colmate con il ricorso all’analogia e, quindi, soprattutto con l’applicazione di norme pensate per la S.p.a.; il risultato dell’attività legislativa non convince neanche C. MONTAGNANI, Informazione e controlli nelle nuove società a responsabilità limitata, Padova, 2008, p. 213, secondo cui il legislatore pare «più preoccupato di non incorrere in ripetizioni linguistiche che della certezza dei precetti»; in questo senso anche C. IBBA, I limiti dell'autonomia
statutaria (note preliminari), ne La nuova s.r.l. Prime letture e proposte interpretative, a cura di F.
Farina, C.Ibba, G. Racugno, A. Serra, Milano, Giuffrè, 2004, p. 45; A. NIGRO, La società a
responsabilità limitata nel nuovo diritto societario: profili generali, ne La nuova disciplina delle società a responsabilità limitata, a cura di V. Santoro, Milano, Giuffrè, 2003, p. 9; infine, si veda la
recente monografia specificamente dedicata a questo problema di P. BUTTURINI, I diritti del socio
di s.r.l. e autonomia statutaria, Padova, 2017.
2 Si esprime così ancora G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società a responsabilità limitata, cit., p. 100.
3 «Fonte di incertezza», queste le parole di G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società a
responsabilità limitata, cit., p. 100 ss., il quale si sofferma anche sui costi della poca chiarezza –
rappresentati dalla necessità di ricorrere a professionisti del diritto – che, sicuramente, sono più onerosi per le piccole-medie imprese di cui la S.r.l. costituisce modello elettivo.
4 O, addirittura, nell’ambito dei diritti di voice complessivamente considerati, almeno secondo P. BUTTURINI, I diritti del socio di s.r.l. e autonomia statutaria cit., p. 73.
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statutariamente, in tutto o in parte – e non, invece, quella in melius, pacificamente ammessa dalla dottrina5, su cui non ci si intende soffermare, se non per cenni.
Orbene, se la norma e, in generale, il complesso normativo sulla S.r.l. non paiono fornire indicazioni risolutive, occorre chiedersi quale sia la direzione auspicata dal legislatore, quale emerge dai lavori preparatori e, in particolare, dal c.d. Progetto Mirone6, dal quale sicuramente si evincono interessanti elementi da valutare.
Infatti, l’art. 3 dello schema di disegno di legge7 richiamato è piuttosto
eloquente; nel tratteggiare i principi ai quali doveva ispirarsi la riforma della S.r.l., suggeriva al legislatore delegato di «prevedere un’ampia autonomia statutaria» (lettera b) in generale e, in particolare, anche riguardo «alle strutture organizzative, ai procedimenti decisionali della società e agli strumenti di tutela degli interessi dei soci, con particolare riferimento alle azioni di responsabilità» (lettera f).
L’ampio spazio riconosciuto dal legislatore delegante all’autonomia statutaria ha indotto taluno a pensare che tutte le disposizioni non qualificate fossero da leggere come dispositive.
Tuttavia, una lettura complessiva delle norme sulla S.r.l. porta ad escludere tale soluzione8. Infatti, vi sono alcune disposizioni che – pur non esplicitamente indisponibili – pare non possano essere derogate dalla volontà delle parti. Un esempio è rappresentato dall’art. 2479, 5 co., c.c., il quale prevede che ogni socio ha diritto di partecipare alle decisioni assembleari e che il suo voto conta in proporzione alla sua partecipazione9.
5 Si veda, ex multis, N. ABRIANI, Controllo individuale del socio e autonomia contrattuale nella
società a responsabilità limitata, in Giur. Comm., 2005, II, p. 162 ss., che elenca vari esempi di
clausole integrative della disciplina legale, alcune migliorative del diritto, altre, invece, deputate a regolarne le modalità di esercizio; si veda anche il commento a tali esempi di C. MONTAGNANI,
Informazione e controlli nelle nuove società a responsabilità limitata cit., 247 ss.
6 Vedi supra cap. II, § 1, nt. 2.
7 Il cui contenuto è ripreso quasi verbatim dall’art. 3 della legge delega n. 366 del 2001.
8 In questa direzione C. IBBA, I limiti dell'autonomia statutaria (note preliminari) cit., p. 45 ss.; C. MONTAGNANI, Informazione e controlli nelle nuove società a responsabilità limitata cit., p. 215, che, a titolo esemplificativo, fa riferimento all’art. 2479, 5 co., c.c., come norma da intendersi inderogabile, anche se non qualificata espressamente tale dal legislatore.
9 Infatti, il legislatore ha sentito l’esigenza di prevedere in modo espresso una deroga a tale disposizione con il d.l. n. 179 del 2012, per consentire alle start-up innovative (e ora a tutte le P.M.I.) di creare categorie di quote sprovviste del diritto di voto o che attribuiscono al socio diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione, proprio in deroga all’art. 2479, 5 co., c.c. Cfr. M.
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Tutt’al più, non è da escludere, invece, che questo impianto normativo e, in particolare, l’ampia autonomia statutaria riconosciuta giustifichi una sorta di «presunzione di derogabilità, destinata a venir meno solo in presenza di elementi che facciano propendere per la non modificabilità statutaria di un determinato assetto normativo»10.
In altri termini, per tutte le previsioni non espressamente indisponibili varrebbe una presunzione di derogabilità, superabile solo laddove si riscontrino elementi – a tutela di esigenze tipologiche, degli interessi dei soci o dei terzi – che, invece, lascino dedurre l’intangibilità di quelle previsioni11.
Con riguardo all’art. 2476, 2 co., c.c., e concentrandosi ancora sul testo del Progetto Mirone, un primo elemento a sostegno dell’inderogabilità della norma potrebbe rinvenirsi, anzitutto, nel dato tipologico della «rilevanza centrale del socio», altro caposaldo della disciplina sulle S.r.l. così come novellata nel 2003.
Al socio di S.r.l. è affidato un ruolo da protagonista nelle vicende sociali: egli non è semplicemente un investitore, al contrario, è una sorta di “imprenditore”, direttamente interessato alla vita societaria, in grado di comprendere e valutare il
CIAN, S.r.l. PMI, s.r.l., s.p.a.: schemi argomentativi per una ricostruzione del sistema, in Riv. soc., 2018, IV, p. 845. In verità, c’è anche chi ritiene, invece, questa previsione (in ogni caso) suppletiva, si veda, da ultimo, M. SPERANZIN, S.r.l. piccole-medie imprese tra autonomia statutaria e
ibridazione dei tipi (con particolare riferimento alle partecipazioni prive del diritto di voto), in Riv. soc., 2018, II, p. 345 ss. Per prima cosa, ferma restando la necessità che nella compagine sociale sia
presente almeno un socio imprenditore, provvisto del diritto di voto, gli altri potrebbero disporre di tale diritto, perché il diritto di voto è qualcosa di diverso dal diritto – indisponibile, invece, secondo l’Autore – di partecipare alle decisioni (al quale testualmente fa riferimento l’art. 2479, 5 co., c.c.) e di impugnarle. In secondo luogo, anche il principio di proporzionalità del voto alla partecipazione sociale detenuta pare derogabile, alla luce dell’art. 2468, 2 e 3 co., c.c.
10 Così C. IBBA, I limiti dell'autonomia statutaria (note preliminari) cit., p. 46; opinione condivisa da N. ABRIANI, Controllo individuale del socio e autonomia contrattuale nella società a
responsabilità limitata cit., p. 168; P. BUTTURINI, I diritti del socio di s.r.l. e autonomia statutaria cit., p. 25. Contra C. MONTAGNANI, Informazione e controlli nelle nuove società a responsabilità
limitata cit., p. 215, nt. 115, secondo cui il legislatore ha segnalato espressamente le norme
derogabili o quelle suppletive; in mancanza di indicazioni «l’interprete deve qualificare la precettività delle singole disposizioni sulla base degli interessi di volta in volta coinvolti, senza potersi avvalere di alcun principio generale di derogabilità».
11 Questi limiti all’autonomia statutaria sono tratteggiati da A. NIGRO, La società a responsabilità
limitata nel nuovo diritto societario: profili generali cit., p. 9 ss., il quale elenca tutta una serie di
disposizioni – fra cui l’art. 2476, 2 co., c.c. – da qualificare come inderogabili (anche se non espressamente qualificate tali dal legislatore) perché a tutela: (i) degli interessi dei creditori e dei terzi in genere; (ii) dei singoli soci; (iii) di esigenze tipologiche. Per quest’ultimo limite cfr., in particolare, C. IBBA, I limiti dell'autonomia statutaria (note preliminari) cit., p. 44 ss. Ancora, nella stessa direzione, si veda la ricostruzione operata da G. ZANARONE, Introduzione alla nuova società
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rischio d’impresa, di autotutelarsi e, addirittura, di adottare decisioni con rilevanza gestoria12. Inoltre, l’impossibilità (fino a poco fa), per la S.r.l., di reperire finanziamenti sul mercato del capitale di rischio restringeva la compagine sociale: ciò alimentava ancora di più la centralità della figura del socio, già valorizzata dal legislatore grazie all’attribuzione di rilevanti poteri uti singulus.
Pertanto, sulla scorta di ciò, tale elemento tipologico, contrastante con quello dell’ampia autonomia statutaria, porterebbe ad escludere la disponibilità dei diritti di controllo.
Insomma, una lettura del genere premia una valutazione della rilevanza centrale del socio come limite all’autonomia statutaria, perché elemento connotante il tipo S.r.l., non modificabile neanche dalla volontà delle parti.
Questa, però, non è l’unica lettura possibile, in quanto in dottrina ne è stata valorizzata un’altra, incentrata – non sul contrasto, ma – sul coordinamento di questi due principi ispiratori della disciplina sulle società a responsabilità limitata. In particolare, taluno ha ritenuto che la rilevanza centrale del socio può essere considerata come componente di rafforzamento dell’autonomia statutaria, non come suo limite, evidenziando che i soci – proprio perché centrali – devono esser lasciati liberi di approntare la disciplina dei loro rapporti ad essi più congeniale13. In altri termini, il ruolo centrale del socio e l’affermazione del suo carattere di “imprenditore” significherebbero soltanto che egli è in grado di negoziare con gli altri soci le condizioni di entrata e di permanenza nel rapporto sociale14.
A questo punto, però, va subito rilevato che la compagine sociale della S.r.l., a seguito delle recenti novità legislative, ha perso la sua tradizionale chiusura, non
12 Ancora, i quotisti possono descriversi come «soci che non si limitano ad investire un capitale monetario e attendere i risultati economici di un’impresa gestita da altri, ma partecipano all’elaborazione delle strategie aziendali, imprimendovi il loro inconfondibile suggello», si esprime in questi termini, riferendosi ai soci di S.r.l., G. TERRANOVA, sub Art. 2467 c.c., in Società di
capitali. Commentario a cura di G. Niccolini - A. Stagno D’Alcontres, III, Napoli, Jovene, 2004, p.
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13 Si veda, fra i tanti, P. BUTTURINI, Rilevanza centrale del socio e autonomia statutaria nella s.r.l., in RDS, 2011, p. 924 ss., il quale mostra di prediligere questa seconda lettura.
14 Così M. SPERANZIN, S.r.l. piccole-medie imprese tra autonomia statutaria e ibridazione dei tipi
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essendo più formata esclusivamente da soli soci imprenditori, ma potendo contare anche su soci investitori.
Il riferimento è inequivocabilmente alle dirompenti novità (già richiamate) che consentono alla S.r.l. P.M.I. di aprirsi al mercato di capitali.
Per l’appunto, la novità è tale da imporre un nuovo approccio al tema della disponibilità del diritto di controllo, partendo proprio dalla consapevolezza che la compagine sociale della S.r.l. può accogliere sia soci imprenditori che soci investitori. Perciò, l’assunto che ha caratterizzato buona parte del dibattito di ci si deve occupare – l’indiscussa rilevanza centrale del socio – oggi viene ad incrinarsi, almeno nel caso in cui la compagine della S.r.l. sia formata anche da meri finanziatori.
Detto ciò, quindi, pare opportuno approcciare il problema tenendo distinta la fattispecie S.r.l. aperta – come si qualificherà nel prossimo paragrafo – da quella chiusa. Questa scelta si impone come doverosa data la diversità delle esigenze che si presentano nei due casi opposti.