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Capitolo 2. La responsabilità civile degli amministratori della S.r.l.

2.4 Specifici obblighi e assetti organizzativi societari previsti dal c.c.i.

Vediamo ora quali obblighi specifici, oltre quelli di diligenza e di fedeltà, gravano in capo agli amministratori di una S.r.l..

Tra questi, vi rientra la postergazione dei finanziamenti dei soci e tale disciplina, dettata dall’art. 2467 c.c., è stata integrata e ampliata dal Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza. Il primo comma nella versione pre-riforma prevedeva che “Il rimborso

dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito”.

Per evidenti ragioni di natura sistematica, la riforma all’art. 383 c.c.i., elimina le parole “e,

se avvenuta nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere sostituito”, che ha introdotto nel testo dell’articolo 164 del medesimo codice.

Cosa si intenda per finanziamento soci lo rinveniamo dal secondo comma dell’art. 2467 c.c., secondo il quale “ai fini del precedente comma s’intendono finanziamenti dei soci a

favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.

La postergazione, nella forma prevista dall’art. 2467 c.c., presuppone che ci si trovi in situazioni di rischio d’insolvenza, le quali possono verificarsi nel caso in cui la società sia sottocapitalizzata. Il pericolo in questi casi è che il rischio d’impresa sia trasferito ai creditori o se a fronte di perdite i soci, effettuino finanziamenti in modo da aumentare l’indebitamento della società, in luogo di un ragionevole conferimento94.

93 Cfr. CAVALIERE, Le cause di scioglimento, in AIELLO Le operazioni societarie straordinarie, Cedam,

2011.

La postergazione riguarda “sia ai finanziamenti direttamente erogati dal socio sia a quelli

indiretti, ossia in buona sostanza anche ai finanziamenti erogati da terzi ma garantiti dal socio”. Perciò “è qualificabile finanziamento non solo ogni apporto del socio da cui derivi un debito della società, e non abbia diversa causa giuridica”, ma anche le varie garanzie

prestate dal socio nell’interesse della società rientrano nel concetto normativo di

“finanziamento in qualsiasi forma effettuato”, poiché è evidente che proprio la prestazione

di garanzie reali o personali rilasciate dal socio è ciò che consente alla società di ricorrere a prestiti altrimenti non ottenibili”95.

Il Tribunale di Padova il 16 maggio 2011 ha affermato che nella fattispecie dell’art. 2467 c.c. rientrano le operazioni di credito tipiche, le prestazioni di garanzie reali o personali dei soci, i finanziamenti indiretti del socio erogati da terzi, ed in particolare le fattispecie di interposizione fittizia o reale di finanziamento erogato da terzi correlati o comunque riconducibili al socio.

La postergazione si pone quindi la finalità di risolvere quelle situazioni che si possono verificare in concreto in tutte le società di capitali, ovvero che il prestito del socio a favore della società in precario equilibrio finanziario abbia una finalità sostitutiva del capitale di rischio ed è stata introdotta a tutela dei terzi creditori. Si tratta di una norma di carattere generale, applicabile anche alle S.p.a.96.

L’art. 2467 c.c. è volto, quindi a postergare il rimborso del finanziamento dei soci, ponendosi in tal modo, la finalità di contrastare ipotesi di sottocapitalizzazione nominale così da ridurre l’esposizione al rischio d’impresa da parte dei soci. In questo modo, i capitali sono a disposizione della società sotto forma di finanziamento e non di conferimento.

Dobbiamo comparare questo fenomeno con quanto previsto per le S.p.a. e quindi valutare se la S.r.l., per le sue dimensioni ridotte o per la sua compagine sociale (familiare o comunque ristretta), sia idonea a legittimare l’applicazione della disposizione in oggetto97. L'art. 2467 c.c. fa riferimento a due criteri per valutare se il finanziamento soci è da considerarsi postergato o meno:

- eccessiva sproporzione nel rapporto indebitamento/patrimonio netto;

- ragionevolezza di un conferimento in relazione alla situazione finanziaria in cui volge la società.

95 Trib. Udine, 21 febbraio 2009. 96 Trib. Venezia, 10 febbraio 2011. 97 Cassazione, 7 luglio 2015, n. 14056.

Tali criteri rilevano al momento del finanziamento, il quale nasce proprio postergato e così non rileva l’eventuale successivo inasprimento delle condizioni societarie98.

Diverso è il caso in cui si ha a che fare con il mantenimento o il rinnovo di un finanziamento già concesso: in questi casi un finanziatore diligente pretenderebbe il rimborso del finanziamento, il quale, anche se non nasce come postergato, può divenire tale a seguito del deteriorarsi delle condizioni della società.

Il legislatore ha previsto che per distinguere i finanziamenti postergati da quelli che non lo sono, richiede di accertare se la causa del finanziamento è menzionata nel contratto sociale. Inoltre, il finanziamento si intende postergato secondo il criterio della ragionevolezza, cioè deve essere concesso in ragione del rapporto sociale e che in quelle condizioni non sarebbe stato concesso da un terzo finanziatore.

Parte della dottrina sostiene che la postergazione produce effetti durante il periodo di funzionamento della società e il finanziamento dei soci non potrà, in nessun caso, essere rimborsato prima di aver soddisfatto i debiti nei confronti di terzi.

Vi sono però alcune condizioni, al verificarsi delle quali, si può procedere al rimborso dei finanziamenti:

1. i debiti verso terzi devono essere stati completamente soddisfatti, o quanto meno sussistano sufficienti mezzi finanziari per soddisfarli;

2. l'originario squilibrio patrimoniale-finanziario, che ha prodotto la postergazione, sia stato superato.

Per questo motivo, questa parte della dottrina, sostiene che il divieto di rimborso previsto dall’art. 2467 c.c., non è imperativo e gli amministratori possono procedere al rimborso solo nei due casi sopra citati.

Secondo un’altra parte della dottrina, invece, se accadesse ciò, si creerebbero alcuni problemi applicativi, perché la conseguenza sarebbe quella della liquidazione della società e il conseguente concorso fra creditori.

Perciò, la postergazione trova applicazione solo quando esiste un concorso. Questo non impedisce che, nel normale svolgimento della vita societaria, il socio venga rimborsato del suo finanziamento se nel frattempo il credito è giunto a scadenza e pertanto è divenuto

esigibile99.

Il diritto dei soci alla restituzione è elemento discriminante per procedere a una distinzione delle forme di finanziamento dei soci: i conferimenti e i prestiti.

La società può ricorre a due fonti di finanziamento:

1. capitale proprio o di rischio, destinato a permanere durante l'attività e la vita della società;

2. capitale di credito o di terzi, destinato a essere rimborsato e ad avere una remunerazione non dipendente dai risultati economici della società.

I soci, quindi, possono apportare conferimenti o prestiti; questi si distinguono sulla base della causa giuridica sottesa al trasferimento di denaro alla società e in base alla volontà delle parti coerentemente alle finalità dell’operazione.

Il conferimento verso la società non comporta un obbligo immediato di restituzione, la quale si verificherà in sede di riduzione di capitale, di liquidazione della società o recesso di un socio.

Il prestito, invece, comporta per la società un obbligo di rimborso del capitale con gli eventuali interessi. I prestiti possono trasformarsi in conferimenti se il socio rinuncia alla restituzione.

Il principio di postergazione dei finanziamenti dei soci ha comportato nuove incombenze agli amministratori, i quali devono vigilare l’equilibrio finanziario dell’impresa e quindi di valutare i casi in cui sia opportuno chiedere ai soci di apportare conferimenti piuttosto di finanziamenti.

La formulazione normativa non è del tutto chiara e lascia spazio a differenti interpretazioni.

Una prima ipotesi di responsabilità è relativa ai rimborsi in deroga e/o violazione del principio di legge. La dottrina si è chiesta se il limite alla restituzione dei finanziamenti sia un divieto assoluto, tale da rendere illecito ogni rimborso preventivo e da determinare in caso di inosservanza la conseguente responsabilità degli amministratori per la violazione

99 In tal senso, cfr. M. De Mari, Gli assetti organizzativi societari, in Assetti adeguati e modelli organizzativi,

cit., 33; P. Montalenti, La corporate governance degli intermediari finanziari: profili di diritto speciale e

riflessi sul diritto societario generale, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi, III,

Torino, 2014.

degli obblighi fissati dalla legge o se si tratta di un principio derogabile se vi sono risorse sufficienti a soddisfare tutti i creditori.

Prevale l’orientamento che ammette la restituzione anticipata, rispetto ad altri creditori, solo se sussistono le condizioni per soddisfare questi ultimi o se sia venuta meno la condizione di squilibrio tra indebitamento e patrimonio netto.

Per quanto riguarda, invece, i rimborsi eseguiti nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, non essendo gravati dall’obbligo di restituzione al curatore, a differenza di quanto previsto dall’art. 2467 c.c. per quelli avvenuti nell’anno precedente, non sembrano essere oggetto di revocatoria e quindi esenti da conseguenze pregiudizievoli.

Nel caso in cui i finanziamenti siano stati restituiti in violazione di quanto previsto dall’art. 2467 c.c., è prevista la restituzione delle somme e, inoltre, sono integrati i presupposti per la responsabilità civile e penale degli amministratori.

La legittimazione all'esercizio dell'azione in sede civile è riservata al curatore del fallimento e l'amministratore risponde secondo le ordinarie norme di legge, ai sensi degli artt. 2392 e seguenti c.c..

Gli amministratori sono gravati da un ulteriore obbligo previsto all’art. 2482 bis c.c.

“quando risulta che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza di perdite”, si

applicano gli artt. 2447 (per le S.p.a.) e 2482 ter c.c. occorre specificamente convocare l’assemblea, cioè l'organo legittimato a deliberare la riduzione del capitale.

Il presupposto è caratterizzato da una riduzione del patrimonio della società di oltre un terzo rispetto al valore storico del capitale sociale, secondo quanto indicato nell’atto costitutivo100. Quindi, le perdite, non rilevano finché il patrimonio netto sia superiore o pari ai due terzi del capitale nominale. È necessario che siano state esaurite tutte le riserve e si giunga ad erodere la quota di patrimonio netto rappresentata dal capitale sociale101. Al verificarsi di queste condizioni, gli amministratori sono obbligati “senza indugio” a convocare l’assemblea dei soci per rimediarvi.

Il compito in questione, rientra tra i generali doveri di diligenza e corretta amministrazione dell’organo amministrativo e dipende dalle dimensioni dell’impresa, dal sistema di controllo interno e dalla complessità dell’assetto organizzativo.

100 Questa soluzione è condivisa da Colombo, Spolidoro, Ferri jr, Bartalena, Sfameni.

101 In tal senso, anche la nozione di perdita rilevante delineata dall'art. 15 della seconda direttiva comunitaria;

Gli amministratori, una volta convocata l’assemblea dei soci, in questa sede dovranno sottoporre loro tre documenti, sulla base dei quali i soci sono chiamati a decidere sui provvedimenti da adottare:

1. la situazione patrimoniale, rappresentata da un vero e proprio bilancio infrannuale e come tale predisposto da parte degli amministratori;

2. la relazione dell’organo amministrativo; 3. le osservazioni del collegio sindacale.

La documentazione in oggetto deve essere depositata nella sede della società almeno otto giorni prima dell’assemblea (art. 2482 bis, co. 2, c.c.), in modo che i soci possano prenderne visione, a meno che l’atto costitutivo non preveda diversamente.

I soci, in questa sede, sono chiamati ad adottare la decisione che ritengono più opportuna tra:

1. non prendere alcun provvedimento riportando la perdita “a nuovo”, qualora si ritenga che la stessa derivi da una momentanea situazione di crisi e ne sia previsto il riassorbimento;

2. procedere con la copertura della perdita, con apporti dei soci o rinuncia dei loro crediti vantati nei confronti della società;

3. deliberare la riduzione del capitale sociale, che in tal caso è comunque facoltativa102.

Ulteriore obbligo specifico che possiamo rinvenire è quello sancito dall’art. 2475 c.c., già analizzato in precedenza, con riferimento agli assetti organizzativi societari. Infatti la riforma, con vigenza dal 16 marzo 2019, ha posto in capo agli amministratori di S.r.l. “il

dovere di approntare un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa” con il fine di una “rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”.

102 Cfr. ABRIANI N., La riduzione del capitale sociale nella S.p.a. e nelle S.r.l., profili applicativi.