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La responsabilita civile degli amministratori di S.r.l. e le novita introdotte dal Codice della crisi d?impresa e dell?insolvenza (D. Lgs. 14/2019)

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ACCADEMIA NAVALE

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

IN DIRITTO COMMERCIALE

La responsabilità civile degli amministratori di S.r.l. e le novità

introdotte dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

(D. Lgs. 14/2019)

LAUREANDO:

GM (CM) Alessandro DI TRIA

RELATORE: Prof. Alessandro BENOCCI

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INDICE:

Introduzione

Capitolo 1. L’organo amministrativo nelle S.r.l.

Premessa

1.1 Amministrazione della S.r.l. e i nuovi obblighi in capo agli

amministratori

1.2 Competenze: la nuova gestione esclusiva degli amministratori e

l’impatto sulla responsabilità

1.3 Nomina degli amministratori e il ruolo del nuovo art. 2475 c.c.

1.4 Compenso degli amministratori: rinvio alla disciplina delle S.p.a.?

1.5 Responsabilità del socio ex art. 2476, co. 7

Capitolo 2. La responsabilità civile degli amministratori della S.r.l.

Premessa

2.1

Una maggiore responsabilità con il Codice della crisi d’impresa e

dell’insolvenza

2.2

Responsabilità nei confronti della società

2.3

Obbligo di diligenza e di fedeltà degli amministratori

2.4

Specifici obblighi e gli assetti organizzativi societari previsti dal c.c.i.

2.5

Responsabilità e controllo dei soci

2.6

Esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli

amministratori

(3)

2.7

Nozione di danno risarcibile

2.8

Liquidazione del danno

2.9

Legittimazione attiva e revoca degli amministratori

2.10

Denunzia al tribunale: applicazione dell’art. 2409 alle S.r.l.?

2.11

Rinunzia e transazione

Capitolo 3. Forme ulteriori di responsabilità degli amministratori

3.1 Responsabilità verso i creditori sociali: novità per l’inosservanza degli

obblighi inerenti la conservazione dell’integrità del partimonio sociale

3.2 Responsabilità verso singoli soci o terzi

3.3 Responsabilità dei procuratori e degli amministratori di fatto

3.4 Esenzioni dalla responsabilità per gli amministratori

3.5 La responsabilità degli amministratori della private company

3.6 La responsabilità degli amministratori di S.r.l. in Germania e in

Italia

Conclusioni

Bibliografia

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INTRODUZIONE

Le società a responsabilità limitata, in linea generale, rispondono delle obbligazioni sociali esclusivamente con il proprio patrimonio, secondo quanto disposto dall’art. 2462 c.c., a partire dal quale il codice civile disciplina il modello societario che stiamo prendendo in considerazione. Questo comporta che, i creditori di una S.r.l., in caso d’insolvenza della società, non potranno chiedere l’escussione dei beni di proprietà personale dei singoli soci; ciò vale come principio generale per il modello capitalistico minore.

Si tratta di un’autonomia patrimoniale perfetta, la quale comporta che il patrimonio della società sia del tutto autonomo e distinto rispetto a quello personale dei soci e dell’amministratore.

Così, la responsabilità patrimoniale dei soci per le obbligazioni sociali della S.r.l. è circoscritta esclusivamente ai conferimenti di beni e denaro effettuati in sede di costituzione della società e agli apporti di beni e denaro eseguiti in seguito a favore della stessa. Questa è la sostanziale differenza rispetto alle società di persone, dove, al contrario, si parla di autonomia patrimoniale imperfetta, poiché il patrimonio dei soci illimitatamente responsabili, anche se distinto da quello societario, può essere aggredito dai creditori sociali nel momento in cui il credito verso la società non sia stato soddisfatto con l’escussione dei beni sociali.

L’elevato tasso d’innovazione che contraddistingue le società a responsabilità limitata riformata non si è infatti tradotto nell’introduzione di una disciplina pienamente autonoma e autosufficiente. La ricostruzione in via interpretativa delle regole sulla responsabilità degli amministratori e dei soci “cogestori” che contravvengono alla legge o all’atto costitutivo, si rivela particolarmente complessa.

Le S.r.l., con i D. Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 e 6, hanno subito una forte connotazione personalistica, pensata però per l’attività d’impresa a dimensioni ridotte, dove l’amministrazione è affidata ai soci.

Tuttavia, un nuovo intervento legislativo ha introdotto delle novità in tema di responsabilità degli amministratori di S.r.l.; a costoro spetta la gestione esclusiva dell’impresa e salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo, l’amministrazione della società è affidata a uno o più soci nominati con decisione dei soci stessi presa ai sensi dell’art. 2479 c.c..

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Con la pubblicazione del D. Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14 sulla Gazzetta Ufficiale è stato introdotto nel nostro ordinamento il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (c.c.i.), dando attuazione alla legge delega 19 ottobre 2017, n. 155.

Lo scopo primario della riforma in questione, è quello di anticipare i tempi di emersione della crisi, a partire dallo stesso lessico della materia. Infatti, non si parla più di

“fallimento”, ma di “liquidazione giudiziale”. L’attenzione del legislatore non si è

soffermata solo sugli strumenti di risoluzione della crisi, bensì sull’introduzione delle c.d. procedure di allerta e di composizione assistita della crisi (art. 12). Queste, consentono di agire attraverso un sistema di prevenzione che impedisca all’impresa di giungere ad uno stato d’insolvenza irreversibile. La maggior parte delle modifiche legislative entrerà in vigore decorsi 18 mesi dalla pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale.

Riguardo al profilo di responsabilità degli amministratori, il 16 marzo 2019 sono entrate in vigore le modifiche al codice civile disposte nell’ambito del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. La loro portata, prescinde dal contesto della crisi d’impresa, proiettando nuovi obblighi in capo agli amministratori di società, al fine ultimo di agevolare azioni di responsabilità nei loro confronti.

L’intervento legislativo ha apportato alcune novità in materia di responsabilità di amministratori di S.r.l. e questa tesi si pone l’obiettivo di evidenziarne le difformità rispetto alla disciplina previgente, in modo da percepirne le differenze, anche con riferimento al modello azionario.

In primo luogo sono state introdotte le “procedure di allerta”, in questo modo all’impresa è richiesto di dotarsi di un “adeguato assetto organizzativo” volto a prevenire le situazioni di crisi. È richiesta la predisposizione di controlli interni in seguito della modifica dell’art. 2477 c.c. e il conseguente adeguamento di Statuti e Patti Parasociali. Inoltre, si prevede un’estensione della responsabilità degli amministratori nelle S.r.l. che potranno dunque subire l’azione di responsabilità anche da parte di creditori sociali, come già accade per le S.p.a., quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. Con riferimento alla responsabilità degli amministratori l’art. 378 c.c.i. (D. Lgs. 14/2019), introduce nuovi obblighi in merito alla conservazione del patrimonio sociale. L’art. 2476 c.c. viene invece ampliato con il settimo comma che a sua volta estende il regime di responsabilità degli amministratori anche ai soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

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A tale disposizione, si aggiunge quanto previsto dall’art. 255, lettera b, c.c.i., ossia la possibilità, da parte del curatore fallimentare (ora commissario della liquidazione giudiziale), di promuovere o proseguire l'azione dei creditori sociali così come prevista per le società per azioni, dall'art. 2394 c.c. e per le società a responsabilità limitata dall'art. 2476, co. 6 c.c..

Il primo capitolo delinea la struttura dell’organo amministrativo di una società a responsabilità limitata, in particolar modo evidenziando le novità in materia, ossia i nuovi obblighi a cui sono soggetti gli amministratori e la loro “gestione esclusiva”.

Il secondo capitolo, rappresenta il cuore dell’elaborato, e delinea i profili di responsabilità civile che gravano sugli amministratori di S.r.l. nei confronti della società, gli obblighi a cui sono tenuti, gli assetti organizzativi societari previsti dal c.c.i., oltre agli organi di controllo e all’azione di responsabilità.

Il terzo capitolo, infine, analizza le forme ulteriori di responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali, dei soci e dei terzi, oltre alle forme di responsabilità residuale. Da ultimo, presenta un paragone tra la disciplina della responsabilità degli amministratori in Italia e le rispettive forme in Inghilterra e in Germania.

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Capitolo 1 - L’organo amministrativo nelle S.r.l.

Premessa

In questo primo capitolo analizzeremo le modifiche normative che hanno riguardato l’organo amministrativo della società a responsabilità limitata e la relativa struttura.

In linea generale, l’autonomia statutaria che caratterizza le società a responsabilità limitata trova piena applicazione nella disciplina dedicata all’amministrazione; il legislatore ha, infatti, lasciato ampia libertà di scelta ai soci, in ordine alla configurazione dei modelli amministrativi da adottare.

La disciplina pre-riforma (D. Lgs. 17 gennaio 2003 n. 5 e 6) rinviava, nella maggior parte dei casi, alla disciplina prevista per il modello azionario, ma oggi non ci sono più norme di rinvio e la S.r.l rappresenta un modello autonomo. Si applica la disciplina della S.p.a. solo se questa è espressamente richiamata.

Le norme in materia di S.r.l. sono per la maggior parte dispositive e quindi derogabili. La riforma del 2003, altresì, riconosce ampia autonomia statutaria ai procedimenti decisionali della società e agli strumenti di tutela degli interessi dei soci, con particolare riferimento alle azioni di responsabilità1.

1.1 Amministrazione della S.r.l. e i nuovi obblighi in capo agli

amministratori

Con riferimento all’amministrazione della S.r.l., la relativa disciplina si articola in una sorta di confronto tra norme dispositive e norme statutarie. Le regole del codice, quindi, si applicano laddove lo statuto non preveda diversamente.

Il codice civile ha subito alcune modifiche da parte della recente riforma2. Innanzitutto,

l’art. 375 c.c.i. ha modificato l’art. 2086 del codice civile, prevedendo in capo all’imprenditore, sia che operi in forma societaria che collettiva, il dovere di istituire “un

assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e

1 Così è previsto dalla legge n. 366/2001, all’art. 3, co. 2, lettera e.

2 La riforma a cui si fa riferimento in questo caso è il D. Lgs. 14/2019, ossia il Codice della crisi d’impresa e

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della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

L’amministrazione di S.r.l. è disciplinata dall’art. 2475 c.c. il quale prevede che “La

gestione dell'impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086, secondo comma, e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale. Salvo diversa disposizione dell'atto costitutivo, l'amministrazione della società è affidata a uno o più soci nominati con decisione dei soci presa ai sensi dell'articolo 2479”.

Pertanto, lo statuto può prevedere uno o più amministratori, o che non tutti i soci siano amministratori, o anche amministratori non soci.

Il terzo comma dell’art. 2475 c.c. segue prevedendo che “Quando l’amministrazione è

affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione. L'atto costitutivo può tuttavia prevedere, salvo quanto disposto nell'ultimo comma del presente articolo, che l'amministrazione sia ad esse affidata disgiuntamente oppure congiuntamente; in tali casi si applicano, rispettivamente, gli articoli 2257 e 2258”.

Segue il quarto comma, il quale prevede che le delibere consiliari vengano prese a maggioranza dei componenti del consiglio stesso, ma che lo statuto possa stabilire che le decisioni siano adottate mediante consultazione scritta o sulla base di un consenso espresso per iscritto. In tal caso, dai documenti sottoscritti dagli amministratori, devono risultare con chiarezza l’argomento oggetto della decisione ed il consenso alla stessa.

Quindi, salvo diversa disposizione statutaria, l’amministrazione compete all’organo amministrativo che può essere monocratico o pluripersonale, inoltre il contratto sociale può distribuire le competenze tra soci ed amministratori con grande libertà. In ogni caso è riservata all’organo amministrativo la redazione del progetto di bilancio, la redazione dei progetti di fusione e scissione, la decisione di aumentare il capitale ai sensi dell’art. 2481 c.c.. Spetta agli amministratori anche la rappresentanza generale della società. Fondamentale è quanto sottolineato dalla riforma, ossia che la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori.

Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza ha aggiunto il quinto comma bis, in vigore dal 16 marzo 2019, prevedendo che “si applicano alle S.r.l., in quanto

compatibili, le disposizioni previste dall’art. 2381 c.c.” ispirandosi alla disciplina delle

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poteri, ivi comprese le disposizioni relative alla competenza organizzativa degli organi delegati ed al correlato obbligo, in capo a questi, di informare periodicamente il consiglio di amministrazione sull’andamento della società.

Prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. 14/2019, nella S.r.l. non esisteva una norma come quella dell’art. 2380 bis c.c., ed era dunque legittimo attribuire alla competenza assembleare decisioni di natura strettamente gestionale.

La recente riforma della Legge Fallimentare introduce una modifica dell’art. 2475 c.c. che ha fatto nascere un rilevante dibattito tra gli interpreti, in quanto apparentemente contraddittoria con l’impianto normativo della S.r.l., ma ad oggi sembra prevalere l’orientamento interpretativo “riduzionista” come lo ha definito il Consiglio Nazionale del Notariato, per il quale tale formulazione non comporta un’abrogazione neanche implicita delle norme che disciplinano il tipo di S.r.l..

In base all’attuale disciplina, la ripartizione di competenze tra assemblea ed amministratori in merito alla gestione dell’impresa sociale, è rimessa in larga parte all’autonomia statutaria e si pone anzi il dubbio se l’atto costitutivo possa concentrare tutti i poteri gestori in capo ai soci attribuendo ad essi anche l’amministrazione della società, dati gli ampi spazi concessi all’autonomia statutaria3. In mancanza di diversa previsione dell’atto costitutivo, resta tuttavia ferma la regola che l’amministrazione è affidata a uno o più soci, nominati con decisione dei soci medesimi. E, siccome l’art. 2479, co. 2 stabilisce che la nomina degli amministratori, se prevista nell’atto costitutivo, è riservata in ogni caso alla competenza dei soci, si reputano prevalentemente illecite le clausole che attribuiscono il relativo potere a terzi, quali gli enti pubblici non soci4.

I diritti sociali spettano ai soci in misura proporzionale alla partecipazione, rappresentata dalle quote da ciascuno possedute, anche se l’atto costitutivo può prevedere l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione di utili (art. 2468 c.c.).

3 La soluzione affermativa è largamente prevalente in dottrina (Abriani, Buoncore, Colombo). PETROBONI, Le competenze gestorie dei soci, 319 ss.

(10)

1.2 Competenze: la nuova “gestione esclusiva” degli amministratori e

l’impatto sulla responsabilità

Vediamo ora quali sono le competenze degli amministratori e quali sono le novità introdotte in materia dalla riforma.

L’amministratore di una S.r.l. è colui che ha poteri generali di direzione, gestione e rappresentanza della società. Può trattarsi anche di un non socio, quindi un soggetto esterno (art. 2475, co. 1 c.c.), se l’atto costitutivo lo prevede. Questo assetto può essere assunto anche da parte delle S.r.l. semplificate.

Con riferimento alle competenze degli amministratori, bisogna tener conto dell’art. 2479 c.c. in modo da esonerare una serie di decisioni che spettano esclusivamente ai soci, infatti

“i soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall’atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale sottopone alla loro approvazione”.

Mentre, sono in ogni caso riservate alla competenza dei soci: - L’approvazione del bilancio e la distribuzione degli utili; - La nomina degli amministratori;

- La nomina dei sindaci e del presidente del collegio sindacale o del soggetto incaricato di effettuare la revisione legale dei conti;

- Le modifiche dell’atto costitutivo;

- La decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale o una rilevante modifica dei diritti dei soci.

Quindi, salvo diversa disposizione statutaria, l’amministrazione compete all’organo amministrativo, tranne nei suddetti casi, dove le decisioni sono riservate esclusivamente ai soci. Il contratto sociale, tuttavia, può distribuire le competenze tra soci ed amministratori con grande libertà5.

Allo stesso modo, nella S.r.l., sono inderogabilmente di competenza dell’organo amministrativo (art. 2475, co. 5 c.c.) le seguenti prerogative:

- La redazione del progetto di bilancio;

- La redazione dei progetti di fusione e di scissione;

5 Tale soluzione è riconosciuta in dottrina (Abriani, Ambrosini, Benazzo, Buoncore, Colombo), rafforzata

dalle modifiche apportate dal D. Lgs. 37/2004 all’ultimo comma dell’art. 2475 c.c. La norma prevede oggi che alcune materie siano in ogni caso di competenza dell’organo amministrativo e non più del consiglio di amministrazione.

(11)

- La decisione di aumento di capitale, quando ad esso delegata dai soci.

Se si tratta di amministratore unico, questo concentra nella sua persona tutti i poteri di direzione, amministrazione e rappresentanza. Nello specifico, l’amministratore unico ha il potere di direzione nel compiere gli atti giuridici inerenti all’oggetto sociale, si occupa della organizzazione interna e ha potere di firma degli atti inerenti all’impresa. L’atto costitutivo può specificare i tipi di atto e il valore per i quali ha potere di firma o meno. Non sono rari, infatti, statuti societari che impongono limiti dettagliati di firma in capo all’amministratore.

Ha, inoltre, potere di rappresentanza nel manifestare all’esterno la volontà dell’assemblea. Gli amministratori possono compiere atti con i terzi in nome e per conto della società con effetti giuridicamente imputabili alla società stessa.

Spetta inoltre agli amministratori, tenere i libri obbligatori per la società e rispettare gli adempimenti pubblicitari presso il registro delle imprese (ad esempio quelli relativi alla loro nomina, al deposito del bilancio e all’aggiornamento dei dati che riguardano i singoli soci). Al di fuori di tali casi, l’atto costitutivo non può attribuire altre materie alla competenza esclusiva dell’organo amministrativo.

Il c.c.i., modificando l’art. 2475 c.c., prevede che “la gestione dell’impresa spetta

esclusivamente agli amministratori”. La novità, quindi, sta proprio in tale “gestione esclusiva” della società.

La norma, però, è stata al centro di un dibattito in dottrina che ha cercato di coniugarla con altre disposizioni societarie, rimaste inalterate dopo il c.c.i., tra cui l’art. 2479 c.c., secondo cui “I soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall'atto costitutivo,

nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione”.

Con riferimento alla ripartizione dei poteri, il Consiglio Notarile di Milano ha pubblicato la Massima n. 183, intitolata “Limiti dei poteri di gestione dei soci non amministratori nelle

S.r.l”6, nella quale si legge che possono ritenersi legittime “le clausole statutarie che

attribuiscano a soci non amministratori poteri decisionali inerenti la gestione dell'impresa, devono considerarsi invece incompatibili con il disposto di legge le clausole

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statutarie che attribuiscano a soci non amministratori il diritto o il potere di dare diretta esecuzione alle decisioni gestionali assunte dagli aventi diritto”7.

Tale disposizione pone un problema di coerenza sistematica nei confronti di altre norme, quali: il primo comma dell’art. 2479 c.c., inteso nel senso che è consentito affidare ai soci competenze gestorie; l’art. 2468, co. 3, c.c., che prevede la possibilità di riservare a singoli soci particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società; il co. 7 dell’art. 2476, c.c., per il quale sono solidalmente responsabili con gli amministratori i soci che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi.

Si ipotizza che, la nuova disposizione dell’art. 2475 c.c. non comporti alcuna abrogazione delle norme precedenti, in quanto destinata a spiegare i suoi effetti solo sul piano organizzativo, e che la norma sull’esclusività della competenza gestoria debba leggersi in stretta correlazione con il disposto dell’art. 2086 c.c., che impone “il dovere, per

l’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.”

L’introduzione della previsione per cui la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori solleva il problema del suo coordinamento, e della sua compatibilità, con quelle norme, introdotte dalla riforma del diritto societario, che sono comunemente lette come delega all’autonomia statutaria nella definizione delle competenze di soci e amministratori. Ci si riferisce in particolare alle norme che attribuiscono ai soci poteri amministrativi rilevanti, sia perché previsti dalla legge, sia perché pattiziamente fissati nello statuto.

La novella, quindi, non comporta in capo ad amministratori e soci di S.r.l. alcun obbligo di adeguamento immediato degli statuti esistenti, per quelle clausole – che devono anche oggi ritenersi legittime – le quali eventualmente ripartiscano la “gestione operativa” della società in maniera difforme rispetto al modello legale. La stessa conclusione deve valere per gli statuti delle S.r.l. che siano state costituite dopo l’entrata in vigore del nuovo co. 1

7 Tale orientamento è stato riconosciuto dal Consiglio Notarile di Milano con la Massima n. 183: Limiti dei poteri di gestione dei soci non amministratori nelle S.r.l..

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dell’art. 2475 c.c. (16 marzo 2019), che dunque possono continuare a prevedere legittimamente clausole in deroga alla disciplina legale in materia di “gestione operativa”, nei limiti suddetti.

La prassi statutaria potrà, ovviamente, attraverso l’interpretazione/applicazione dei nuovi enunciati legislativi, elaborare ulteriori clausole idonee a svolgere un ruolo ordinante della complessa materia ed a disciplinare più accuratamente gli assetti organizzativi dell’impresa8.

1.3 Nomina degli amministratori e il ruolo del nuovo art. 2475 c.c.

La norma di riferimento per l’attribuzione del potere gestorio nella società a responsabilità limitata è l’art. 2475, co. 1 c.c., prevedendo la regola secondo la quale è demandato alla decisione dei soci il potere di nominare gli amministratori, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo; regola però che sembra essere contraddetta dal dato letterale dell’art. 2479, co. 2 c.c., secondo cui la nomina degli amministratori è riservata alla competenza dei soci solo se prevista dall’atto costitutivo. Pertanto, vi è la necessità di chiarire la portata delle due norme al fine di risolvere tale contraddittorietà9.

Soluzioni diverse sono state prospettate anche in dottrina: si è dapprima riconosciuto il ruolo preminente dell’art. 2479, nel senso che la previsione ivi contenuta riserva la competenza alla nomina degli amministratori alla decisione dei soci, ma ne consente la derogabilità con espressa previsione statutaria 10 . Tale soluzione non appare sufficientemente motivata, in quanto propone una lettura che supera tout court il dato testuale dell’art. 2479 c.c. nella sua differente formulazione rispetto all’art. 2475 c.c., senza una più dettagliata giustificazione11.

8 Questa tesi è sostenuta dallo Studio n. 58/2019 affrontato dal Consiglio Nazionale del Notariato, Il nuovo articolo 2475 c.c., prima lettura, di Nicola Atlante, Marco Maltoni, Antonio Ruotolo.

9 Il contrasto tra le due norme è stato evidenziato da SANDULLI, Le decisioni dei soci in La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Santoro (Milano, 2003).

10 In questo senso, cfr. AMBROSINI, sub 2475, in Società di capitali, commentario a scura di

Niccolini-Stagno D’alcontres, Napoli 2004, III, 1567.

11 Non può, perciò, intendersi la formulazione letterale dell’art. 2479 come una semplice svista del legislatore

a cui sembra alludere Santoni, in ragione del fatto che, come evidenzia MOZZARELLI, il legislatore pur sollecitato a precisare la formula dell’art. 2479 non l’ha modificata negli interventi correttivi al decreto delegato sulla riforma delle società di capitali ed inoltre perché è necessario cercare di attribuire un significato alla norma stessa.

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Un’ulteriore ipotesi ricostruttiva proposta, si fonda sul riconoscere alle due norme una differente funzione12: l’art. 2475 riguarderebbe la legittimazione passiva (chi possa essere nominato amministratore), così che verrebbe unicamente a stabilire come regime legale la nomina dei soci alla carica gestoria e la sua derogabilità (nomina anche di terzi estranei alla società) con espressa previsione dell’atto costitutivo; per contro l’art. 2479 atterrebbe alla legittimazione attiva (a chi spetti il potere di nomina).

La norma, però, limitandosi a prevedere che la riserva alla competenza decisionale dei soci in ordine all’attribuzione dell’incarico gestorio opererebbe solo in conseguenza ad un’espressa previsione statutaria, non detterebbe una diversa regola legale suppletiva, cioè la regola di default; pertanto non individuerebbe il modello legale, che dovrebbe trarsi da altre norme della disciplina societaria che possano assolvere a tale scopo.

A questo proposito si è ritenuto che il regime legale a cui si dovrebbe rinviare sarebbe quello proprio delle società di persone di cui all’art. 2257 c.c., traendosi così dal disposto dell’art. 2479 l’operatività della regola dell’attribuzione del potere gestorio a tutti i soci in via disgiuntiva in mancanza di diversa disposizione statutaria13.

Questa ricostruzione, però, non può essere accolta, perché riduce la portata dell’art. 2475. La norma dell’art. 2475, infatti, non si limita a fissare la legittimazione passiva, dal momento che non ripropone tout court la precedente previsione codicistica dell’art. 2487 che, stabilendo espressamente “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo,

l’amministrazione deve essere affidata ad uno o più soci”, si riferiva unicamente ai

legittimati passivi, ma ha un contenuto più ampio, quale appunto la previsione della competenza decisionale dei soci in ordine alla nomina degli amministratori. La previsione relativa a tale competenza non può essere intesa come di mero rinvio all’art. 2479 e non avere valenza precettiva.

Pertanto, l’art. 2475 è una norma volta a regolare la legittimazione attiva e di qui il permanere della contraddittorietà tra questa e la previsione dell’art. 2479; ne consegue che risolvere tale contrasto comporta chiarire se la disciplina legale in tema di attribuzione del potere gestorio nella S.r.l. sia regola prevista nell’art. 2475, co. 1, o se invece, in virtù dell’art. 2479, co. 2, venga ad operare la diversa regola di cui all’art. 2257, co. 1, in tema di società di persone.

12In questo senso, cfr. ALLEGRI, L’amministrazione delle società a responsabilità limitata dopo la recente riforma, in Santoro, La nuova disciplina delle società a responsabilità limitata, Milano, Giuffrè, 2003. 13 A questa soluzione è pervenuto DE ANGELIS, in Amministrazione e controllo nelle società a responsabilità limitata, Rivista delle Società, 2003, 474.

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Quindi, con riferimento all’inciso iniziale dell’art. 2475 c.c. “salvo diversa disposizione

dell’atto costitutivo”, si rileva come questo legittimi l’inserimento di clausole nell’atto

costitutivo che attribuiscono a singoli soci o a gruppi di soci il diritto di nominare uno o più amministratori senza la necessità di una decisione ai sensi dell’art. 2479 c.c..

Tale tesi sembra confermata anche da altre disposizioni:

- dall’art. 2479, co. 2 n. 2, che riserva “alla competenza dei soci” la nomina degli amministratori solo “se prevista nell’atto costitutivo”;

- dall’art. 2463, co. 2 n. 8, il quale sancisce che l’atto costitutivo deve indicare “le

persone cui è affidata l’amministrazione” e non anche la nomina dei primi

amministratori, come previsto invece in materia si S.p.a. e di società cooperative rispettivamente dagli artt. 2328 e 2521 c.c.;

- dal mancato rinvio all’art. 2383, co. 1 c.c. il quale statuisce che “la nomina degli

amministratori spetta all’assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori, che sono nominati nell’atto costitutivo”;

- dall’art. 2468, co. 3 che prevede la possibilità per l’atto costitutivo di attribuire a singoli soci particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società tra i quali potrebbero rientrare quelli relativi alla nomina degli amministratori.

Si deve comunque generalmente ritenere che nella S.r.l., salvo diversa previsione dell’atto costitutivo, gli amministratori siano nominati dai soci con decisione presa ai sensi degli artt. 2479 o 2479 bis, a seconda di quanto da essi stabilito nell’atto costitutivo, nel silenzio del quale la nomina è rimessa ai soci riuniti in assemblea14.

L’atto costitutivo può poi nominare direttamente gli amministratori, oppure rimettere alla decisione dei soci la determinazione del numero degli amministratori, compreso il passaggio dalla forma monocratica a quella collegiale e viceversa. Infatti, il mancato rinvio alla norma in tema di S.p.a. che contemplava tale facoltà, non costituisce più un ostacolo nella nuova disciplina.

Tornando all’atto di nomina degli amministratori, i primi amministratori sono nominati nell’atto costitutivo (art. 2463, co. 1, n.8). Possono essere uno o più di uno e devono essere soci, salvo che l’atto costitutivo non disponga diversamente.

14 Cfr. CAMPOBASSO M., Diritto Commerciale 2, Diritto delle società, Utet, 2019, 9°edizione, pag. 571 e

(16)

Il secondo comma dell’articolo 2475 c.c. dispone poi che, all’atto di nomina degli amministratori si applicano il quarto e quinto comma dell’art. 2383 c.c. in materia di società per azioni. Di conseguenza:

- entro trenta giorni dalla notizia della loro nomina gli amministratori devono chiederne l’iscrizione nel registro delle imprese indicando per ciascuno di essi il cognome ed il nome, il luogo e la data di nascita, il domicilio e la cittadinanza, nonché a quali tra essi è attribuita la rappresentanza della società, precisando se disgiuntamente o congiuntamente (art. 2383, co. 4 c.c.);

- le cause di nullità o di annullabilità della nomina degli amministratori che hanno la rappresentanza della società non sono opponibili ai terzi dopo l’adempimento della pubblicità di cui al comma precedente, salvo che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza (art. 2383, co. 5 c.c.).

Quanto ai requisiti soggettivi degli amministratori, la loro individuazione è affidata all’autonomia statutaria. Infatti, non essendo più richiamate le norme relative all’ineleggibilità e alla decadenza degli amministratori di S.p.a. (art. 2382 c.c.), nessuna specifica norma risulta più applicabile alle S.r.l., salvo che non sia previsto dall’atto costitutivo.

Lo stesso dicasi per la durata in carica degli amministratori, in relazione alla quale non sono previste limitazioni legali: di conseguenza l’atto costitutivo potrà stabilirla liberamente o non prevederla affatto.

Sempre il co. 2 non rinvia più, a differenza del precedente art. 2487, al co. 1 dell’art. 2383 c.c. che sancisce la competenza assembleare in ordine alla nomina degli amministratori di S.p.a., né al co. 3 dello stesso articolo che prevede la rieleggibilità degli amministratori e la loro revocabilità in qualsiasi momento dell’assemblea, fatto salvo il diritto al risarcimento dei danni in caso di revoca senza giusta causa.

L’omesso richiamo di tali norme, troverebbe una sua giustificazione, secondo parte della dottrina, nella “non congruità” del riferimento alla competenza assembleare rispetto al nuovo regime di nomina degli amministratori.

Quanto alla rieleggibilità degli amministratori, dovrebbero considerarsi valide sia le clausole contenute nell’atto costitutivo che rinviano alla disposizione all’art. 2483, co. 3, sia quelle che vietano o limitano la possibilità di rielezione; qualora, invece, l’atto costitutivo nulla dica sul punto, la rieleggibilità dovrebbe essere considerata la regola, anche tenendo conto che parte della dottrina in materia di S.r.l. ammette la nomina degli amministratori per tutta la durata della società.

(17)

Per quanto attiene la qualificazione tipologica della S.r.l., va accolta la posizione ampiamente sostenuta in dottrina, secondo cui la società a responsabilità limitata va qualificata come società di capitali per la presenza degli indici caratterizzanti quest’ultima, come15:

- le partecipazioni sociali, determinate come frazioni del capitale sociale prefissato nel suo ammontare e proporzionali al conferimento;

- la libera trasferibilità delle stesse e di conseguenza la naturale variabilità della compagine personale;

- la sussistenza della disciplina in tema di capitale sociale relativa alla sua formazione, conservazione e modifica;

- l’ammissibilità della costituzione unilaterale della società.

Detto ciò, deve ritenersi necessario, per il corretto funzionamento dell’attività sociale, la creazione dell’organo gestorio, e quindi inammissibile la mancanza dello stesso16. Non si

ha mancanza, nel caso in cui l’incarico amministrativo sia attribuito a tutti i soci, poiché in tale ipotesi ciascun socio è preposto all’ufficio amministrativo, ma permane la distinzione sulle regole relative all’esercizio della funzione gestoria e quelle relative alla posizione di socio; si deve, invece, parlare di assenza qualora si conferisse il potere di amministrare alla pluralità dei soci in quanto tali e quindi quale elemento qualificante e connaturato della qualità di soci17, come avviene nell’ipotesi di cui all’art. 2257, co. 1 c.c., in cui

l’attribuzione della carica gestoria a tutti i soci disgiuntamente, in mancanza di diversa disposizione statutaria, è ricondotta alla qualità di soci.

Il quinto comma dell’art. 2475 c.c., coordinatamente con il terzo della stessa norma, stabiliscono che il regime legale di esercizio della funzione gestoria è il sistema consiliare e che lo stesso è derogabile, riconoscendo all’autonomia statutaria il potere di prevedere sistemi alternativi quali l’amministrazione disgiuntiva o congiuntiva, però salvo quanto disposto nell’ultimo comma del presente articolo.

Quindi, per l’esercizio delle funzioni indicate nel quinto comma, deve operare in via esclusiva un consiglio di amministrazione; la decisione degli amministratori deve essere assunta “in ogni caso” nel rispetto dei requisiti qualificanti il metodo collegiale, quali

15 La posizione assunta dalla dottrina è stata espressa da SPADA, in Classe e tipi di società dopo la riforma organica, Riv. Dir. Civ., 2003, I, 492 ss.

16 Cfr. BARTALENA, 155 ss.; GUERRERA F., La responsabilità deliberativa nelle società di capitali, Giappichelli, 2004.

17 Precisa come questa ipotesi non si identifichi tout court con la c.d. assemblea amministratrice già prevista

(18)

l’adozione a maggioranza, maggioranza in specie calcolata per teste, con modalità che consentano agli amministratori di partecipare al procedimento di formazione della stessa, garantendo, quindi, l’informazione preventiva, la discussione e la manifestazione del voto. Individuate così le modalità a cui si riferisce il quinto comma dell’art. 2475, deve riconoscersi che la norma viene a stabilire la necessarietà della presenza nella S.r.l. di un organo amministrativo che svolga le sue funzioni secondo le regole proprie del sistema gestorio capitalistico18.

Ulteriore conferma di tale necessarietà, è fornita dalla previsione dell’art. 2475 bis che detta il regime di rappresentanza legale nella S.r.l., stabilendo che “gli amministratori

hanno la rappresentanza generale della società”19; l’attribuzione ex lege all’organo amministrativo del potere rappresentativo è da intendersi inderogabile e pertanto richiede l’essenzialità della presenza dell’organo stesso, in quanto funzionale all’esercizio di quel potere.

L’art. 2463 c.c. stabilisce espressamente che, nell’atto costitutivo, devono essere indicate le persone a cui è affidata l’amministrazione, con il che si richiede l’esplicita designazione nominativa dei primi amministratori.

Quindi non può ammettersi il silenzio dell’atto costitutivo sulla nomina degli amministratori; di qui la necessità di chiarire cosa comporti tale eventuale mancata indicazione20. Non vi è dubbio che, in caso di omessa nomina degli amministratori nell’atto costitutivo, grava in capo al notaio rogante l’obbligo di chiedere ai soci stipulanti di colmare tale lacuna, pena l’impossibilità di procedere all’iscrizione dell’atto stesso, perché incompleto, nel registro delle imprese.

La mancata indicazione, se certamente non può determinare la nullità della società ex art. 2332 c.c., norma applicabile alle S.r.l. in quanto espressamente richiamata nel terzo comma dell’art. 2463, comporta altre rilevanti conseguenze: la società viene ad esistenza priva dell’organo gestorio e ciò determina l’impossibilità in senso oggettivo, per la società stessa, di svolgere l’attività che costituisce l’oggetto sociale secondo le regole tipiche della S.r.l.21. Tutto ciò, comporta l’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, previsto dall’art. 2484, n. 2 c.c. come causa di scioglimento della società. Pertanto, sarà necessario

18 LOZZO afferma che il consiglio di amministrazione è organo necessario in ragione del 3° e 5° co. dell’art.

2475 c.c..

19 Il co. 2 dell’articolo in questione stabilisce, inoltre, l’inopponibilità ai terzi delle limitazioni statutarie ai

poteri rappresentativi al pari di quanto previsto in tema di S.p.a.. 20

Tale quesito è stato posto da BARTALENA in GUERRERA, La responsabilità deliberativa nelle società

di capitali, 153.

(19)

un intervento che modifichi l’atto costitutivo con la decisione di nomina degli amministratori, impedendo così l’operare della causa di scioglimento della società.

Inoltre, non può valere la considerazione contraria secondo cui la previsione del n. 2 dell’art. 2484, che espressamente individua gli amministratori come coloro su cui grava il dovere di convocare senza indugio l’assemblea, sarebbe inapplicabile nell’ipotesi in esame caratterizzata dalla mancanza degli stessi22. Va osservato che, nonostante tale mancanza, si può addivenire comunque alla convocazione dell’assemblea ad opera dei soci, in ragione della previsione contenuta nell’art. 2479, co. 1 c.c. che detta una regola che attiene certamente alla competenza del gruppo, in quanto attribuisce ai soci che rappresentano almeno un terzo del capitale, il potere di sottoporre alla decisione dei soci materie ulteriori rispetto a quelle legalmente loro riservate, e non solo, ma anche al procedimento, poiché riconosce agli stessi il potere strumentale di convocare l’assemblea per tutte le materie di sua competenza. Pertanto, al fine di eliminare la causa di scioglimento, saranno necessari l’intervento della minoranza dei soci qualificata ex art. 2479 c.c., diretto a convocare senza indugio l’assemblea e la conseguente delibera modificativa-integrativa dell’atto costitutivo che provvederà così alla nomina degli amministratori, delibera che dovrà essere assunta con le maggioranze richieste dall’art. 2479 bis, co. 3 c.c..

Quindi, resta essenziale l’esplicita attribuzione nell’atto costitutivo dell’incarico gestorio. L’art. 2475, co. 1 c.c., fissa la regola di default, propria delle S.r.l., secondo cui è riconosciuta in capo alla pluralità dei soci la competenza “primaria” sull’attribuzione dell’incarico gestorio e quindi sulla nomina degli amministratori.

L’art. 2468, co. 3 c.c., consente di prevedere nell’atto costitutivo “l’attribuzione a singoli

soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società”23. L’attribuzione deve riguardare il socio in quanto persona, e il contenuto della stessa va inteso ricomprendere il diritto tanto di nominare uno o più amministratori, quanto di essere nominato amministratore24.

Tuttavia, i soci possono derogare a tale disposizione, e la pluralità dei soci ha due possibilità: può riconoscere in capo al singolo socio il potere concorrente ma circoscritto alla designazione di alcuni componenti dell’organo gestorio; oppure può esercitare il diritto ad essere amministratore.

22 Soluzione affermata sempre da BARTALENA, in GUERRERA, La responsabilità deliberativa nelle società di capitali, 755.

23 Nonché anche l’attribuzione di particolari diritti riguardanti la distribuzione degli utili.

(20)

Quanto alla durata della carica gestoria non vi è alcuna norma limitativa, ma si ammette che nella S.r.l. possa valere tanto la nomina a tempo determinato, quanto quella a tempo indeterminato, a seconda che i soci abbiano, con un’esplicita previsione statutaria fissato la durata, precisando i suoi termini, oppure non abbiano disposto nulla, intendendo in tal caso attribuire la carica a tempo indeterminato25. Quindi, anche in caso di carica a tempo indeterminato, la competenza a nominare gli amministratori è pur sempre in capo ai soci secondo le regole proprie della stessa; pertanto in caso di estinzione del rapporto di amministrazione, la decisione di nomina dei nuovi amministratori non dovrà essere adottata con le maggioranze richieste per le modifiche statutarie.

Con riferimento alla revoca dalla carica amministrativa, la normativa della S.r.l. si limita a disciplinare ex art. 2476, co. 3 c.c. il potere del singolo socio di chiedere la revoca giudiziale al tribunale per gravi irregolarità e non detta espressamente alcuna disposizione relativa alla revoca da parte della collettività dei soci. Tale mancanza, si comprende se rapportata alla specificità della normativa della S.r.l., in ordine alla nomina degli amministratori e alla durata della carica: si applicherà, pertanto, la regola più conforme al modello legale, o a quello derogatorio fissato statutariamente dai soci stessi26. Per individuare le ipotesi di revoca, le modalità della stessa e i soggetti legittimati, il riferimento è da farsi alle regole dettate in materia di società di capitali, in quanto la S.r.l. va ricondotta a questa struttura tipologica. Le regole a cui riferirsi, si distinguono a seconda della modalità adottata relativa alla durata della carica amministrativa: infatti, in caso di nomina a tempo determinato e conseguente previsione del reclutamento ciclico degli amministratori, non può non applicarsi la disciplina delle S.p.a. dettata dall’art. 2383, co. 3 c.c.; disciplina che prevede come soggetti legittimati all’esercizio della revoca la collettività dei soci e non solo, ma stabilisce che la decisione deve essere adottata secondo le medesime modalità previste per la nomina e prevede la revocabilità in qualsiasi momento, anche in mancanza di giusta causa, salvo in questo caso il diritto al risarcimento del danno in capo agli amministratori. Quindi, la revoca può avvenire sia per giusta causa, sia ad nutum, salvo il risarcimento del danno; la legittimazione a decidere sulla revocabilità è attribuita alla pluralità dei soci, in quanto connessa e conseguente alla

25 Posizione sostenuta unitamente da: AMBROSINI, ALLEGRI, MORANDI, SANTONI, OLIVERO,

CAGNASSO.

26 In questo senso, cfr. AMBROSINI, MOZZARELLI, ALLEGRI, AMBRIANI in Amministrazione e rappresentanza, in La nuova S.r.l..

(21)

competenza ad essi spettante di nominare gli amministratori ex artt. 2475 e 2479, co. 2, così che la decisone di revoca è assunta con le stesse maggioranze previste per la nomina. In caso, invece, di nomina a tempo indeterminato, per l’individuazione delle ipotesi di revoca, può ritenersi che rilevi il riferimento ad una norma propria della disciplina delle società di capitali, quale l’art. 2456, 1° e 2° co., c.c., in tema di revoca degli amministratori di società in accomandita per azioni: tale norma concerne l’ipotesi di carica gestoria a tempo indeterminato27, in quanto attribuita di diritto ex art. 2455 c.c. ai soci accomandatari, stabilendo che la revoca degli amministratori deve essere deliberata dai soci e avviene anche in assenza di giusta causa, salvo il risarcimento del danno.

Nell’ipotesi in cui sia riconosciuto in capo al socio il diritto ad amministrare, la carica gestoria inerisce e qualifica la posizione di socio, pertanto sarà necessario il consenso unanime per la modificabilità del diritto “amministrativo”28. La revoca è potere che spetta agli altri soci, con esclusione del socio amministratore da revocare.

Nell’ipotesi, invece, in cui sia riconosciuto al socio il diritto di designare uno o più amministratori, egli stesso ha anche la facoltà di revoca.

1.4

Compenso degli amministratori: rinvio alla disciplina delle S.p.a.?

Vediamo ora se la carica di amministratore preveda o meno un compenso per la sua esecuzione.

Secondo i principi del sistema vigente, quello di amministratore di società è un contratto che si presume oneroso.

In sostanza, con l’accettazione della carica, l’amministratore di società acquisisce il diritto a essere compensato per l’attività svolta, in esecuzione dell’incarico affidatogli. Se questa è la regola generale, ci si chiede, però, se l’incarico dell’amministratore possa essere svolto anche a titolo gratuito.

La questione circa il diritto degli amministratori a percepire un compenso deve essere risolta valutando se tale compenso sia o meno disponibile. Si tratta, cioè, di stabilire se tale

27 Per FERRI jr., sub 2456, in Società di capitali. Commentario, 1367-1368, la nomina a tempo

indeterminato è un elemento naturale, essendo ammissibile la sua derogabilità da parte dei soci, attraverso un’apposita previsione nell’atto costitutivo.

28 Questa regola è però derogabile da un’apposita previsione statutaria che preveda la modificabilità a

maggioranza secondo le modalità delle modifiche statutarie, sorgendo in tal caso il diritto di recesso in capo al socio.

(22)

diritto possa essere in qualche modo derogato da una clausola dello statuto. In questo senso è l’orientamento della giurisprudenza prevalente, precedente e successiva alla riforma del diritto societario (D. Lgs. 6/2003), per il quale “il diritto al compenso degli

amministratori è disponibile e può anche essere derogato (e quindi escluso) da una clausola dello statuto della società, che condizioni lo stesso al conseguimento di utili, ovvero sancisca la gratuità dell’incarico”.

In sostanza, se lo statuto prevede come meramente eventuale l’attribuzione di un’indennità in favore degli amministratori, all’amministratore non spetta alcun compenso in assenza di un’espressa delibera dell’assemblea dei soci, senza che possa trovare applicazione quanto stabilito dall’articolo 36 Cost., in merito al diritto del lavoratore a percepire una retribuzione proporzionata e sufficiente alla quantità e qualità del lavoro prestato, applicabile solo al lavoro subordinato29.

Pertanto, se lo statuto sociale prevede la gratuità dell’incarico o la mera eventualità della corresponsione del compenso, salvo che sia stata adottata una delibera assembleare che abbia stabilito la corresponsione di compensi o indennità, l’amministratore non potrà avanzare alcuna richiesta di compenso alla società.

Inoltre, questo principio si applica indipendentemente dal fatto che l’amministratore sia o non sia socio della società, essendo lo statuto vincolante sia per i soci sia per i terzi che rivestono incarichi nella società.

A livello operativo, quanto detto vale nella misura in cui l’incarico sia conferito in seguito all’inserimento di tale clausola nello statuto sociale.

Nella S.r.l., la clausola statutaria che attribuisce al consiglio di amministrazione la facoltà di delegare parte dei propri poteri ad uno o più dei suoi componenti, determinandone anche il compenso, è inidonea ad integrare i fatti costitutivi del diritto al compenso degli amministratori, né vale ad attribuire al consiglio la competenza a determinare la remunerazione spettante ai delegati poiché non si può prescindere dalla previa determinazione e delimitazione dell’ammontare complessivamente dovuto dagli amministratori, così come fissato dall’assemblea nel rispetto dell’ordinario regime delle competenze tra organi sociali30.

29 Così è stato stabilito dal Trib. Milano, con la sentenza n. 9762/2017, Cassazione, Sez. Lav., n. 15382/2017. 30 A questa conclusione è giunto Trib. Bari, Sez. II civ., 6 maggio 2015, Valentina D’APRILE.

(23)

Tra le disposizioni di legge che si occupano dell’amministrazione della S.r.l., nessuna di queste contiene alcun cenno al profilo della remunerazione dell’organo amministrativo o degli amministratori delegati.

Prima della riforma delle società del 200331, la norma di riferimento in tema di amministrazione della S.r.l. rinviava espressamente all’art. 2389 c.c. in tema di S.p.a., recependo la disciplina dettata per il modello azionario a proposito dei compensi degli amministratori. Oggi, tale rinvio non è più previsto e, al riguardo, i principali interrogativi da parte della giurisprudenza pratica e teorica sono sorti in merito alla possibilità che questa lacuna abbia, o meno, uno specifico significato. Secondo parte dei commentatori, se per effetto di scelte adottate nell’ambito dell’autonomia statutaria è possibile assegnare preminenza agli aspetti personalistici tipici delle società personali, deve essere inibita l’applicazione analogica della disciplina delle S.p.a.32, viceversa, nel caso in cui la S.r.l. presenti elementi caratteristici di un’organizzazione capitalistica l’applicazione analogica dell’art. 2389 c.c. sembra imporsi33.

Nella disciplina delle società a responsabilità limitata, il legislatore ha attribuito ai soci un ruolo centralissimo nella determinazione delle regole di funzionamento della società, delegando loro non solo la predisposizione delle regole di funzionamento, ma anche l’allocazione delle competenze tra organo sovrano e organo di gestione della società, salvo quel numero limitato di ipotesi in cui la competenza assembleare collegiale è inderogabile. La possibilità di effettuare scelte organizzative diversificate, concerne sia l’individuazione delle persone cui l’amministrazione è affidata, sia il metodo secondo il quale l’organo di gestione dovrà agire, ed anche la distribuzione delle competenze tra assemblea e organo amministrativo varia inevitabilmente, al variare delle competenze che l’atto costitutivo vorrà riservare ai soci.

Lo statuto legale della S.r.l. è in larga parte modellabile dall’autonomia statutaria.

Per quanto concerne il profilo delle deleghe gestorie, sebbene nella disciplina del consiglio di amministrazione della S.r.l. non siano espressamente contemplati organi delegati, non vi sono ragioni per non ritenere ammissibile l’attribuzione di deleghe ad un comitato esecutivo o a singoli amministratori, poiché la società a responsabilità limitata non incontra

31 Il riferimento, in questo caso, è alla riforma organica delle società di capitali, di cui alla legge delega 3

ottobre 2001, n. 366, Delega al Governo per la riforma del diritto societario in G.U. n. 234 dell’8/10/2001.

32 In questo senso, cfr. BONAFINI, Compensi degli amministratori, in Marchetti, Bianchi, Notari, in Commentario alla riforma delle società, Maffei Alberti, Cedam, 2017, 347.

33 Cfr. FOLLADORI “Sulla determinazione del compenso degli amministratori di S.r.l.”, in Giur. Comm.,

(24)

limiti dimensionali e l’adozione del regime amministrativo consiliare la avvicina al modello della S.p.a., di cui può condividere le esigenze organizzative34.

Una scelta come quella di attribuire ai soci la competenza a determinare il compenso spettante agli amministratori e di lasciare all’autodeterminazione dell’organo consigliare l’indicazione della remunerazione spettante agli amministratori delegati, appare assolutamente in linea con il potere riconosciuto ai soci di regolare i loro rapporti alle strutture organizzative e “ai procedimenti decisionali della società e agli strumenti di

tutela degli interessi dei soci”.

L’art. 2463, co. 2 c.c., impone al contratto di società di indicare le norme relative al funzionamento della società, comprese quelle sull’amministrazione, nonché di individuare le persone cui è affidata la gestione della società. Sotto il profilo della remunerazione dell’organo amministrativo, è indubbio che l’atto costitutivo possa occuparsi degli emolumenti dei gestori35. Quindi i soci, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, e forti della possibilità di orientare le proprie scelte organizzative, hanno la possibilità di stabilire nell’atto costitutivo, tanto l’astratta derogabilità di funzioni ad alcuni membri del consiglio di amministrazione, quanto la competenza a determinare il compenso degli amministratori delegati, nonché le modalità e i criteri di determinazione dei compensi. Un problema sorge quando l’atto costitutivo non contenga alcuna clausola in merito alla remunerazione dell’organo amministrativo e dei consiglieri delegati. Al riguardo si potrebbe astrattamente sostenere la tesi secondo cui nella S.r.l. spetti agli stessi amministratori determinare il proprio compenso, anche a prescindere dai casi di particolari deleghe. Tale soluzione appare, però, difficilmente percorribile per due ragioni: l’art. 2463, co. 2 c.c. impone ai soci, in sede di atto costitutivo, di dettare le norme in tema di amministrazione; in secondo luogo manca un referente normativo che faccia propendere verso tale tesi.

Quindi, a meno che non si voglia sostenere la gratuità dell’incarico, che pure da taluni è stata proposta, ma che rappresenta una tesi che cede in toto dinanzi ad una presunzione di onerosità largamente condivisa 36, appaiono ipotizzabili due soluzioni, tra l’altro sovrapponibili, per risolvere la questione “competenza sui compensi”: è possibile sia ritornare a parlare di applicazione analogica della più dettagliata disciplina dettata sul

34 Questa posizione è sostenuta da RIVOLTA, I regimi di amministrazione nella società a responsabilità limitata, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum, Campobasso G.F. (Torino, 2007),3, 527.

35 Questa posizione è sostenuta da SANGIOVANNI, La quantificazione del compenso dell’amministratore di S.r.l., Trib. Ancona, 11 maggio 200, in Giurisprudenza di merito n. 11/2011.

36A sostenere l’ipotesi della presunzione di onerosità è PORTALE in Compenso quantitativo del consiglio di amministrazione e delibere assembleari modificative del criterio di remunerazione.

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punto per la S.p.a.; sia ritenere che ogni amministratore possa chiedere l’intervento del giudice, affinché la società sia dichiarata tenuta e condannata a pagare una congrua remunerazione37.

Partendo dalla prima delle due soluzioni proposte, è necessario riflettere preliminarmente sulla possibilità, in via generale, di ricorrere all’analogia con le regole della S.p.a. per integrare la disciplina della S.r.l.. Il ricorso all’analogia è legittimato solo ove lo statuto ometta di regolamentarne la materia, attribuendo ad uno degli organi societari la competenza a decidere sia sul compenso spettante agli amministratori, sia sulla speciale remunerazione di carica spettante ai consiglieri delegati. Al riguardo, sembrerebbe che la soluzione non possa essere ancorata a posizioni nette, quale quella che esclude ogni rinvio alla disciplina della società azionaria o quella che applica, sempre e comunque, le regole della S.p.a.38, ma che, invece, debba essere necessariamente legata alle esigenze della singola società.

In conclusione, se è pur vero che la preminente volontà del legislatore della Riforma, di attribuire una più marcata identità alla S.r.l. si scontra con la possibilità di ricorrere all’interpretazione analogica delle norme sulla S.p.a. per le fattispecie in cui la disciplina della S.r.l. nulla prevede, è altrettanto vero che, nel tentativo di voler coordinare le due opposte esigenze, di far emergere il tipo sociale S.r.l. da una parte, e di ottenere una disciplina applicabile ai vuoti normativi dall’altra nella S.r.l. capitalistica.

Percorrendo la via dell’interpretazione analogica, se l’atto costitutivo tace in merito ai compensi degli amministratori, ovvero prevede l’onerosità dell’incarico ma non ne indica la misura, la determinazione del compenso dei gestori spetterà ai soci, mentre la determinazione del compenso per gli organi delegati spetterà all’organo gestorio39.

La determinazione del compenso potrà avvenire mediante semplice decisione dei soci, oppure mediante una vera e propria deliberazione assunta in assemblea, oppure, se gli amministratori vengono delegati dal consiglio allo svolgimento di particolari compiti, sarà stabilita con decisione del consiglio stesso, in assoluta autonomia o rispettando un eventuale limite fissato dall’assemblea, se lo statuto così dispone (art. 2389, co. 3 c.c.).

37 La possibilità dell’intervento del giudice che condanni la società a remunerare gli amministratori è stata

sostenuta da SANGIOVANNI V., 2753 e ha trovato conferma nella pronuncia della Cassazione, 20 febbraio 2009, n. 4261, Guida al diritto, 2009, XII, 54.

38 In proposito, la più recente giurisprudenza di merito sull’applicabilità alla S.r.l. della disciplina del

controllo giudiziario prevista per la S.p.a. ha trovato riscontro in Trib. Bologna, Sez. spec. Impresa, 4 febbraio 2015, Red. Giuffrè, 2015.

39 È opinione pressoché unanime che rientri nella competenza del consiglio di amministrazione la

determinazione della remunerazione degli amministratori delegati, purché nominati in virtù di un’espressa previsione statutaria. Questo è stato sostenuto da RAINELLI, BONAFINI.

(26)

Considerando la soluzione della determinazione dei compensi ad opera del giudice, l’amministratore potrà far valere il diritto soggettivo perfetto relativamente alla percezione del compenso per un’opera già prestata40.

1.5 Responsabilità del socio ex art. 2476, co. 7

Nella S.r.l., la scelta del sistema degli organi societari e delle rispettive competenze è in larga parte lasciata alla discrezionalità dei soci nell’esercizio della loro autonomia statutaria, tranne per determinate materie. I margini di manovra del contratto sociale sono, infatti, tali da rendere possibile una struttura organizzativa a stampo personalistico, con diretta applicazione delle regole dettate per l’amministrazione delle società di persone. La legge, consente anche una «individualizzazione» dei poteri gestori, ammettendo che poteri di amministrazione possano essere attribuiti a singoli soci. Pertanto la S.r.l., si candida a rappresentare il tipo societario nel quale le intese tradizionalmente affidate ai patti parasociali possono tradursi in regole organizzative statutarie. Né la legge sembra voler costringere i soci a scegliere fra modelli predefiniti: è ipotizzabile anche un assetto “misto”, nel quale si sposino aspetti di tipo corporativo con quelli di carattere personalistico41.

L’attribuzione di poteri gestori ai singoli soci o alle decisioni comuni degli stessi, con svuotamento istituzionale delle competenze dell’organo amministrativo, non comporta, nella S.r.l., a differenza delle società di persone, il “costo” della responsabilità per le obbligazioni sociali verso i terzi. La neutralità è confermata dal fatto che i soci della S.r.l. possono abbandonare il metodo collegiale nella formazione delle loro decisioni e dell’organo amministrativo: la legge richiede l’esigenza scritta delle manifestazioni di volontà raccolte al di fuori di ogni riunione e affida in toto all’autonomia statutaria la fissazione delle regole al riguardo.

Alla conquistata libertà di accesso alla responsabilità limitata dei soci, non corrisponde però, nella riforma, una resa senza condizioni all’irresponsabilità del socio. Se allo status di socio unico (o di socio «tiranno») o ai poteri gestori del socio in assenza di

40 In questo senso, cfr. RENNA, Nomina, cessazione e compensi degli amministratori di s.r.l., Impresa, società e fallimento, 2008.

41 In questo senso si sono orientati Abriani, Ambrosini, Briolini, Rescigno M., e in particolare TOMBARI in Commentario dedicato a Portale, 721 s.; Trib. Milano, 9-7-2009, n. 81629 in Giur. Comm., 2011, II, 147,

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organizzazione corporativa, non corrisponde più la responsabilità per le obbligazioni sociali, l’art. 2476 co. 7 c.c., in tema di azione di responsabilità contro gli amministratori, prevede che siano “solidalmente responsabili con gli amministratori […] i soci che hanno

intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”.

La relazione ministeriale spiega che con questa norma s’intende tener “conto delle

caratteristiche del tipo societario in questione e della circostanza che nella concreta realtà in esso molto spesso l’effettivo potere di amministrazione non corrisponde all’assunzione della relativa veste formale e che, pertanto, la mancata assunzione della prima non può divenire un facile strumento per eludere la responsabilità che deve incombere su chi la società effettivamente gestisce”. All’interprete, poi, è espressamente demandata dalla

relazione l’individuazione, “con riferimento alle specifiche circostanze del caso

concreto”, delle “caratteristiche che dovrà assumere il comportamento del socio per comportare l’assunzione della responsabilità prevista dalla disposizione”.

Proprio il riferimento soggettivo alla figura del socio, oltre alla formulazione del presupposto di responsabilità (l’aver “intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento

di atti dannosi”), induce a svincolare la previsione normativa dalla figura

dell’amministratore di fatto. Quest’ultimo può essere, infatti, anche un non socio (e sarebbe irrazionale ogni ipotesi di restringere nella S.r.l. ai soli soci la responsabilità da amministrazione di fatto); l’amministratore di fatto poi, nell’attuale costruzione giurisprudenziale, è un vero e proprio sostituto dell’amministratore formale, la cui attività gestoria è connotata da una tendenziale sistematicità e pervasività, incompatibile certamente con il dettato dell’art. 2476 co. 7, che fa riferimento anche alla sola autorizzazione di specifici atti dannosi42.

Altra, dunque, è la ratio della norma e la sua collocazione nel sistema della responsabilità dei soci di S.r.l. e in generale delle società di capitali. In particolare, ci si può interrogare se la norma in questione sia il contrappeso della scelta di estendere l’ambito di applicazione della limitazione di responsabilità del socio di società di capitali al socio unico (normalmente dominus e gestore della società) e di renderla compatibile, comunque, con un assetto organizzativo personalistico.

42In questo senso, cfr. RESCIGNO M., Etero gestione e responsabilità nella riforma societaria fra apertura e incertezze: una prima riflessione, in Le società, pp. 331-336, 2003.

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