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La storia di Myriam Il crudele Babour

Quando gli uomini in nero l’hanno portata via quella notte a Kocho, la piccola Myriam non ha detto niente, ma ha immediatamente riconosciuto la casa dove la stavano per rinchiudere. Era quella di suo zio, il padre di Sara. La casa dove veniva a giocare a carte con i suoi cugini, dove con Yasmine trascorreva interi pomeriggi a raccontarsi delle storie in giardino.

A Mossoul, Myriam è stata scelta per un nuovo capo. È stata registrata alla corte della giustizia come proprietà personale dell’amir Abou Takar. È un uomo della tribù di Metawata. Ormai lei gli

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appartiene, come un bottino di guerra. Tuttavia, dopo le firme dei contratti, Myriam è stata rinviata a Kocho.

Sua madre Hawin era imprigionata in questo villaggio ed è riuscita a scappare con altri prigionieri grazie all’aiuto di alcuni vicini musulmani. Gli uomini dell’ISIS hanno allora giurato di mettere le mani sui “traditori” che soccorrevano le donne yazidi. Hanno deciso di utilizzare Myriam come esca, pensando che gli stessi complici arabi si recassero senza dubbio ad aiutare la giovane ragazza una volta ritornata a Kocho.

Entrando nella casa di Sara, Myriam subisce uno shock: tutto è sottosopra, gli armadi sono stati svuotati, gli oggetti giacciono alla rinfusa per terra.

Myriam scoppia in lacrime pensando a tutti i ricordi che ha qui. Sente ancora risuonare le risate dei suoi cugini, ricorda le feste di famiglia fatte in salone...

Non riesce a credere che il suo destino le si sia rivoltato contro in poche settimane. Riflette su quello che era la sua vita prima. Tutte le mattine metteva l’uniforme e prendeva l’autobus per andare a scuola. Voleva diventare medico. Era un’allieva molto brava. Nel mese di giugno aveva ricevuto i voti migliori di tutta la classe agli esami. Quest’anno, non sarebbe tornata a scuola.

Ora invece si trova in questa nuova prigione in compagnia di altre tre giovani ragazze, di 20, 18 e 14 anni. Dormono tutte insieme in una stanza al secondo piano. Myriam resta per la maggior parte del tempo rinchiusa lì con loro. Sente il suono della televisione accesa nel salone. I suoi carcerieri guardano i programmi sul Corano. Sono molto religiosi e fanno le loro preghiere cinque volte al giorno. Sono arabi e vengono da un villaggio vicino a Kocho. Hanno una trentina di anni. Tutte le mattine portano degli zaini pieni di provviste, riso, farina e qualche verdura. Chiedono alle ragazze di preparare il pranzo e di fare le pulizie. Dormono al piano terra per dissuaderle dalla fuga durante la notte.

Il nuovo capo di Kocho si chiama Babour. Ha la barba a ciocche sparse, le grosse sopracciglia sormontate dalla testa calva. Ha i baffi rasati, come tutti i musulmani molto devoti, indossa una lunga tunica nera. È uno yazidi convertito all’islam. All’epoca, quando Saddam Hussein era ancora al potere, Babour frequentava le prostitute nei bordelli di Mosul. Era un giocatore di poker, un assiduo frequentatore delle bische e anche un gran bevitore. Doveva del denaro a tutti, era in debito fino al collo. Ebbe allora l’idea di convertirsi all’islam per tagliare i ponti con la comunità. Poi quest’anno, una volta stabilitosi a Mosul, si è unito al Califfato quando i jihadisti hanno preso la città.

Ora Barbour ha ricevuto l’incarico di dirigere il villaggio per conto dell’ISIS. Quando Kocho è stata assediata, Babour non ha esitato a tradire la propria famiglia, la quale era rimasta sul posto.

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Disse ai suoi genitori: “Non preoccupatevi, non servirà a nulla fuggire, sto con l’ISIS e a voi non accadrà nulla.” Ma sono stati fatti prigionieri come tutti gli altri.

Poi, visto che Babour conosceva tutti gli abitanti del villaggio, ha supervisionato in parte la “scelta” delle donne. Denunciava le ragazze che fingevano di essere sposate. Informava gli uomini dell’ISIS dicendo: “Quella lì, la conosco, è vergine, non è sposata.”

Le compagne di sventura di Myriam le raccontano le peripezie degli ultimi giorni, sentendo le guardie discutere tra loro. Con i suoi uomini, Babour ha sequestrato tre ragazze yazidi che erano riuscite a fuggire durante la notte. Per punirle, le ha donate ai suoi uomini:

-Dovete prenderle per voi, queste criminali, così imparano a fuggire!

Le poverette hanno fatto credere di essere malate per evitare di essere toccate. Ma non hanno potuto fuggire dalla loro sorte. Sono state rinchiuse in una casa vicina.

Babour è un uomo furbo e manipolatore. Si fa passare per un intermediario. Ha ingannato la famiglia di una giovane donna prigioniera a Mosul. Promise loro di liberarla, e questi gli diedero il numero del telefono che la loro figlia nascondeva nella prigione. Quando Babour la contattò, lei gli rivelò che aveva nascosto dell’oro e dei gioielli sul tetto della casa prima di partire. Babour recuperò il bottino e poi denunciò la ragazza. Lei fu quasi picchiata a morte e, ovviamente, non fu mai liberata.

Ora Babour ha come missione quella di mettere le mani sugli arabi della regione che hanno aiutato gli yazidi a fuggire. Cerca di incastrare la famiglia di Myriam. Una sera, davanti a lei, contatta suo zio Raman e gli dice:

-Ho venduto Myriam ad un arabo per la cifra di 3000 dollari. Se mi rimborsi, la piccola è tua! Raman, dubbioso, risponde:

-Come posso essere sicuro di quello che mi dici? Passami Myriam al telefono. -Molto bene!

Vedendo l’espressione di odio sul volto della piccola, Babour capisce subito che Myriam l’avrebbe smascherato dicendo tutta la verità a suo zio. A quel punto Babour chiama un’altra ragazza e gli mette una pistola alla tempia. Le ordina:

-Dì: “Zio, sono Myriam, manda qualcuno a cercarmi!” La ragazza, terrorizzata, esegue gli ordini.

Raman cade nel tranello, e convinto di poter riprendere con sé Myriam afferma: -Molto bene Babour, abbiamo un accordo. Possiamo incontrarci?

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Raman è però un po’ preoccupato:

-È già notte, non è prudente metterci in strada a quest’ora. Babour lo rassicura:

-Myriam è già per strada, è salita su un pick-up rosso. Vieni a cercarla con i soldi. -Va bene. Ma non verrò io. Mando due amici con il riscatto.

-Molto bene. Aspetterò. Riagganciano.

Raman avvisa subito due arabi di una tribù del Sinjar, una tribù che è in buoni rapporti con la comunità degli yazidi. Accettano di partire per recuperare Myriam. Essendo musulmani, possono viaggiare facilmente nella regione e sono più in sicurezza.

Quando i due uomini arrivano al luogo di incontro, riconoscono Babour seduto in macchina con una donna sul sedile posteriore che indossa un velo nero dalla testa ai piedi. Dopo aver capito di potersi fidare, escono dalla macchina. A quel punto invece Babour li minaccia con la sua arma, li lega e li lancia nel retro del suo pick-up. La ragazza in macchina non era neanche Myriam.

Il quartier generale di Babour è una casa tutta nuova, in ceramica e marmo, abbastanza distante dal villaggio. È quella di Azad, la casa che aveva fatto costruire per Shirin. Babour ha fatto murare le finestre di una stanza per trasformarla in cella. Ci ha rinchiuso per un po’ un anziano ufficiale arabo dell’esercito iracheno prima di farlo giustiziare.

I due uomini mandati da Raman vengono torturati da Barbour. Il più giovane, di 16 anni, viene picchiato violentemente prima di essere liberato. Il più grande rimane prigioniero. Durante l’interrogatorio, ha cercato di convincere i suoi aguzzini di non aver mai aiutato degli yazidi prima d’ora. Ha detto loro:

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