• Non ci sono risultati.

Le storie personali dei ragazzi intervistati al momento del loro arrivo a Genova

I ragazzi intervistati hanno iniziato a riferire della loro storia migratoria cominciando dal loro arrivo in città, spiegando in che modo i loro genitori si sono stabiliti, per poi poter dare loro la possibilità di vivere definitivamente a Genova:

“Quando sono arrivato io c’era già mia madre , mio padre è arrivato un po’

dopo e ora lui fa il muratore e lei fa la domestica.”

(Ragazzo ecuadoriano, 17 anni ).

I ragazzi inoltre hanno subito tutti dei momenti di separazione più o meno lunghi dai genitori, durante il quale sono stati affidati ai parenti stretti.

“… qua vivo con i miei, con mia madre mio padre e mia sorella… loro erano già in Italia quando sono arrivata … siamo stati separati due anni circa, io stavo dalle mie zie in Ecuador...”

( Ragazza ecuadoriana, 15 anni,).

Alcuni di loro hanno vissuto situazioni diverse; non tutti gli emigranti, infatti, hanno come obiettivo lo stabilirsi nel Paese d’arrivo, alcuni, infatti, provano a tornare nel loro Paese d’origine, cercando di portare a casa i soldi guadagnati e tentando di non far espatriare i propri figli: molte volte però questo è un tentativo fallito, le situazioni socio-economiche del Paese di provenienza non permettono il ritorno definitivo in patria, come racconta un ragazzo di 17 anni originario dell’Ecuador.

“Io sono venuto qua in un secondo momento, perché i miei genitori hanno fatto la scelta di emigrare, trovare un lavoro, e provare a mettere dei soldi da parte per poi tornare in Ecuador cercando di continuare la nostra vita tranquillamente… sono tornati a casa, ma hanno visto che la situazione era

peggiorata ancora, e non si poteva continuare a stare in Ecuador... alla fine siamo venuti tutti in Italia , compresi mio fratello e mia sorella…”

(Ragazzo ecuadoriano, 17 anni).

Altre persone invece hanno avuto un percorso in cui è stata presente solo una delle due figure genitoriali, e tuttora il nucleo familiare non si è ancora completato: nelle osservazioni teoriche questo può voler dire un possibile momento di distacco volontario nella coppia formata da padre e madre, la verifica empirica a volte smentisce questa possibile scelta, motivando la decisione dei genitori di restare separati per qualche tempo sostenendo che i percorsi migratori di ogni singola persona o famiglia hanno modalità di volgimento differenti gli uni dagli altri, e non per questo le situazioni di distacco dei due genitori devono rappresentare un malessere nella coppia, a volte si tratta di un semplice e temporaneo distacco per motivi di necessità o di tempistiche burocratiche per l’ottenimento, ad esempio, del permesso di soggiorno.

“Il rapporto con mio padre è un’esperienza nuova ogni giorno. Ho abitato in Ecuador con mia nonna per tantissimo tempo… il ruolo di mio padre è particolare nella mia vita, non è stato un ruolo prettamente educativo, da padre a figlia, perché mio padre non si è mai imposto da quel punto di vista con me… siamo sempre stati insieme a vivere da quando sono in Italia ma ho dovuto risolvere molte situazioni personali da sola, come ad esempio le pratiche burocratiche, ma probabilmente avrei fatto lo stesso in Sudamerica, se fossi stata in casa con mio padre. Mia madre invece è ancora in Ecuador, probabilmente arriverà l’anno prossimo e sono felice perché staremo assieme dopo quattro anni, anche se già quando vivevo in Sudamerica io stavo da mia nonna, per tenerle compagnia poiché era vedova di mio nonno e quindi sola.”

(Ragazza ecuadoriana, 21 anni).

Altre testimonianze invece riferiscono dell’arrivo in Europa tramite l’aiuto della famiglia ma senza il supporto diretto nel Paese d’arrivo del proprio nucleo familiare.

“I miei genitori lavorano nelle ambasciate, e grazie a questo sono riuscito ad entrare abbastanza velocemente in Italia, anche se sono arrivato in Europa tramite Belgrado, dove sono rimasto un po’. In seguito mi sono iscritto all’università per stranieri a Perugia, ma mancavano dei documenti fondamentali per potermi stabilire in Italia in maniera regolare, così sono dovuto tornare in Africa per compilare le ultime pratiche burocratiche.”

(Ragazzo della Guinea, 20 anni).

I casi in cui la famiglia non è presente sono vari, come differente è la casistica dei giovani che non hanno nel Paese di arrivo un nucleo familiare diretto, ma usufruiscono della famiglia “da parte” di madre o padre:

“Per adesso sono qua a Genova, e vivo con la famiglia di mia madre, i miei genitori sono rimasti in Perù, contano però di venire il prima possibile in Italia”

(Ragazza peruviana, 19 anni) .

Il supporto d’altre strutture in alcuni casi quindi, è stato fondamentale: Genova, in questo caso particolare, si è dimostrata efficiente nell’accoglienza di un ragazzo immigrato.

“Inizialmente mi sono appoggiato alla comunità di Sant’Egidio, sono stati loro a supportarmi all’arrivo a Genova mi ha accolto una famiglia dove sono rimasto sei o sette mesi e poi mi sono stabilito da solo… probabilmente ho avuto un percorso un po’ diverso da tanti altri ragazzi, perché pur non avendo la famiglia con me io mi sono potuto appoggiare a questa struttura, che è stata come una seconda casa , dove ho incontrato molte persone amiche che mi hanno dato il calore dell’accoglienza che si ricerca nel momento dell’arrivo in un Paese che non si conosce per niente.” (Ragazzo della Guinea, 20 anni).

Sempre riguardo ai genitori, è stato possibile verificare come sia il padre che la madre dei ragazzi delle seconde generazioni di immigrazione non siano riusciti a portare in Italia la qualifica lavorativa che possedevano nel Paese di origine.

“Mio padre faceva un mestiere diverso quando era in Ecuador: era maestro di scuola elementare, ma nel mio Paese non c’e’ distinzione per la materia, i maestri si occupano di tutto… arrivato qua però non ha trovato altro che fare il muratore e con quello ha continuato...”

(Ragazza ecuadoriana, 15 anni).

Altre persone invece hanno trovato il loro “riscatto” personale, essendo nel proprio Paese senza fissa occupazione.

“Mia madre non lavorava proprio… ora invece ha un lavoro come domestica ed è un’occupazione fissa. Lei è felice, dopo molto tempo riesce ad avere un’occupazione fissa”

(Ragazza ecuadoriana, 15 anni).

Specie nella comunità ecuadoriana, i lavori di genere differiscono poco fra loro:

la donna di solito è domestica o badante, l’uomo è operaio o muratore.

Nonostante la quantità di tempo che passa dall’arrivo in Italia, questa è una condizione che è stata rilevata empiricamente in tutte le interviste.

Si verifica inoltre la condizione di migrazione al femminile della comunità ecuadoriana, ovvero la partenza delle donne come primo passo per la ricerca di un futuro stabile di tutta la famiglia in Italia.

“Mio padre fa il muratore , mia madre la domestica in casa delle persone anziane”

(Ragazzo ecuadoriano, 17 anni).

“Quando sono arrivato io c’era già mia madre in Italia , mio padre è arrivato qualche tempo dopo, assieme a me… ora lui fa il muratore e lei fa la domestica…” (Ragazzo ecuadoriano, 17 anni).

“E’ stato poco traumatico per me l’arrivo in Italia, perché io avevo non solo mio padre che mi aspettava, ma anche mia zia e altri parenti vicino, era un riavvicinamento in senso più completo… mi sono sentita a casa… in Ecuador vivevo solo con mia nonna da parte di madre ed era molto tempo che non avevo contatto con la famiglia di mio padre…”

(Ragazza ecuadoriana 20 anni).

Outline

Documenti correlati