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Theoretical framework 1. Corporate credit spread e credit spread modelling

Nel documento Facoltà di Economia (pagine 80-83)

2.3 Quadro multi-teorico di riferimento: credit spread, rating e pricing in letteratura

2.3.1 Theoretical framework 1. Corporate credit spread e credit spread modelling

Per circa venti anni, le principali teorie in materia di finanza d’impresa hanno difeso la prospettiva secondo cui i rischi di fallimento e di non adempimento delle obbligazioni nei confronti dei tori dipendessero dalla specifica struttura del capital

’80, ad esempio, Myers (1984) riteneva che

vessero indebitarsi meno; e negli anni ’90 molte ricerche empiriche hanno confermato che la struttura del capitale dipendeva principalmente da fattori specifici del settore o dell’impresa, po ché ritenuti maggiormente in grado di modificarne il profilo di rischio complessivo (Harris e Raviv, 1991; John e John, 1991; Balakrishnan e Fox, 1993).

Successivamente, molti studi hanno cercato di invertire la prospettiva di analisi, ritenendo che la struttura finanziaria non fosse una conseguenza del particolare profilo di rischio dell’operazione, bensì fosse la principale determinante dell’esistenza di

delle relative decisioni di investimento, e che pertanto essa dovesse essere letta congiuntamente alla complessiva situazione di rischio Paese, e ad altri fattori di rischio

zian, Demirguc-Kunt, Maksimovic, 2001).

Sin dagli anni ‘90, la crescente attenzione posta dall’industria finanziaria, dalle Autorità, dal mo do accademico e della ricerca nei confronti del tema della valutazione e del

credito, ha favorito lo sviluppo di sofisticati modelli di

Il credit spread è normalmente inteso come la remunerazione che i finanzatori richiedono per sopportare il rischio di default o di perdite in caso di default (

di cambiamenti nel merito di credit

considerazione nel processo di valutazione e pricing di ogni nuovo finanziamento; ciò a viene in primo luogo durante la fase di rating assignment.

Project default risk and rating: come per le esposizioni corporate, tra le determinanti de particolare rilievo la probabilità di default del progetto e

sa associato, fattori che a loro volta riflettono la rischiosità complessiva del progetto studiate anche le determinanti del profilo di rischio del progetto le framework teorico è possibile estrapolare alcune considerazioni di base sul peso r lativo dei vari fattori di rischio tipici del project finance, che contribuiranno a definire

elementi costitutivi del modello di rating, presentato nel Capitolo 4. zione del multitheoretical framework di riferimento

Theoretical framework 1. Corporate credit spread e credit spread modelling

Per circa venti anni, le principali teorie in materia di finanza d’impresa hanno difeso la prospettiva secondo cui i rischi di fallimento e di non adempimento delle obbligazioni nei confronti dei

ori dipendessero dalla specifica struttura del capitale prescelta dall’impresa. A metà degli anni ’80, ad esempio, Myers (1984) riteneva che – a parità di altre condizioni - le imprese rischiose d vessero indebitarsi meno; e negli anni ’90 molte ricerche empiriche hanno confermato che la

e dipendeva principalmente da fattori specifici del settore o dell’impresa, po ché ritenuti maggiormente in grado di modificarne il profilo di rischio complessivo (Harris e Raviv, 1991; John e John, 1991; Balakrishnan e Fox, 1993).

Successivamente, molti studi hanno cercato di invertire la prospettiva di analisi, ritenendo che la struttura finanziaria non fosse una conseguenza del particolare profilo di rischio dell’operazione, bensì fosse la principale determinante dell’esistenza di fattori di rischio all’interno di un’impresa e delle relative decisioni di investimento, e che pertanto essa dovesse essere letta congiuntamente alla complessiva situazione di rischio Paese, e ad altri fattori di rischio firm-specific

Kunt, Maksimovic, 2001).

Sin dagli anni ‘90, la crescente attenzione posta dall’industria finanziaria, dalle Autorità, dal mo do accademico e della ricerca nei confronti del tema della valutazione e del pricing

o sviluppo di sofisticati modelli di pricing del rischio di credito.

è normalmente inteso come la remunerazione che i finanzatori richiedono per sopportare il rischio di default o di perdite in caso di default (rischio di insolvenza), non

credito della controparte (rischio di spread).

considerazione nel processo di valutazione e pricing di ogni nuovo finanziamento; ciò av-, tra le determinanti del-e il rating ad del- es-la rischiosità complessiva del progetto.

schio del progetto. Da ta-le framework teorico è possibita-le estrapolare alcune considerazioni di base sul peso re-, che contribuiranno a definire presentato nel Capitolo 4.

modelling

Per circa venti anni, le principali teorie in materia di finanza d’impresa hanno difeso la prospettiva secondo cui i rischi di fallimento e di non adempimento delle obbligazioni nei confronti dei

credi-e prcredi-esccredi-elta dall’imprcredi-esa. A mcredi-età dcredi-egli anni le imprese rischiose do-vessero indebitarsi meno; e negli anni ’90 molte ricerche empiriche hanno confermato che la

e dipendeva principalmente da fattori specifici del settore o dell’impresa, poi-ché ritenuti maggiormente in grado di modificarne il profilo di rischio complessivo (Harris e Raviv, Successivamente, molti studi hanno cercato di invertire la prospettiva di analisi, ritenendo che la struttura finanziaria non fosse una conseguenza del particolare profilo di rischio dell’operazione, fattori di rischio all’interno di un’impresa e delle relative decisioni di investimento, e che pertanto essa dovesse essere letta congiuntamente specific (Booth, Aiva-Sin dagli anni ‘90, la crescente attenzione posta dall’industria finanziaria, dalle Autorità, dal mon-pricing del rischio di è normalmente inteso come la remunerazione che i finanzatori richiedono per ), nonché quello

Alcuni ricercatori, negli anni ’60 e nei primi anni ‘70, hanno pertanto considerato lo spread come una misura alternativa del grado di rischiosità dei finanziamenti concessi dalle banche e delle

ob-bligazioni emesse dalle imprese (Johnson 1967; Silvers 1973; Pye 1974)49.

Generalmente, lo spread riflette numerosi fattori di rischio, quali le variabili macroeconomiche, i fondamentali finanziari dell’impresa, le dinamiche in atto nei mercati le condizioni di liquidità, gli eventuali effetti fiscali.

La letteratura in materia di corporate credit spreads (Beaver, 1966; Altman, 1968; Altman e Nara-yanan, 1996), parte dall’assunto che per addivenire alla definizione degli spread applicabili alle li-nee occorra in primo luogo comprendere quali ne siano le determinanti, ovvero i fattori in grado di influenzarne i movimenti. La probabilità di default e le perdite sul credito risultano essere le principali determinanti dello spread sulle linee di credito concesse dai finanziatori, insieme al va-lore dell’impresa e dei flussi di cassa, e al tasso di recupero. Pertanto, la quantificazione di tali e-lementi di rischio è essenziale ai fini di una successiva modellizzazione esaustiva e sensibile del credit spread.

I modelli sviluppati dagli studiosi sfruttano diverse metodologie e assunzioni statistiche, ma con-ducono pur sempre alla stima del credit score o rating, della probabilità di default e alla successiva incorporazione di tali fattori all’interno di un ulteriore modello, che è quello di pricing, che condu-ce alla definizione dello spread applicabile alle linee.

Tutte le varianti di modelli di pricing sviluppate risultano accomunate da tre elementi fondamen-tali: la dinamica dei tassi di interesse, il processo di default o rating transition process ed infine il processo di recupero.

Sebbene caratterizzati da una comune base di partenza, i modelli di determinazione e pricing del rischio di credito si sono sviluppati secondo due grandi strutture o scuole di pensiero: esistono, infatti, i cosiddetti modelli strutturali, basati cioè sul valore dell’impresa, e i modelli di tipo redu-ced, che prescindendo da qualsiasi valutazione sulla specifica struttura dell’impresa, prendono in considerazione direttamente i prezzi e gli spread di mercato. Dunque, mentre nei modelli struttu-rali la probabilità ed il rischio di default sono desunti dalla relazione tra il valore dell’impresa e quello del debito, i modelli reduced li considerano impliciti nei prezzi, negli spreads e nei rating di mercato (Li Kao, 2000).

I primi modelli strutturali del rischio di credito furono quelli di Merton (1974), Black e Cox (1976) e Geske (1977). Nella maggior parte dei casi, gli Autori analizzano la struttura a termine dei credit spread cercando di esplicitare la relazione funzionale esistente tra spread e maturity dei finanzia-menti, o verificando l’impatto di cambiamenti nella struttura del capitale dell’impresa sul credit spread applicabile ai corporate bonds, o infine individuando l’esistenza di fattori sistemici nella de-finizione degli spread (Bielecki e Rutkowski, 2002; Lando 1997).

Tuttavia, i modelli strutturali si sono dimostrati poco funzionali ai fini del pricing dei prestiti poi-ché, partendo dall’assunto che il valore di un’asset possa essere osservato e misurato in qualsiasi momento della vita dell’impresa, concludono che il default non è mai una sorpresa. In realtà, il va-lore di un dato asset iscritto nel bilancio di una impresa non è facilmente osservabile, e inoltre, per costruire i payoffs che deriverebbero agli investitori in caso di default o fallimento, occorre-rebbe conoscere in ogni momento la gerarchia completa delle passività di un’impresa. I prblemi naturalmente aumentano se l’asset in questinoi ha una qualche componente di immaterialità. I modelli di tipo reduced-form considerano, invece, il momento del default e di altri eventi atti-nenti il credito come variabili esogene, mentre il pricing è dato dallo spread risk neutral e

49 Tale interpretazione si basa su una concezione attuariale della neutralità al rischio, per cui per un investitore raziona-le dovrebbe essere indifferente scegliere tra i cash flow attesi-default risk adjusted attualizzati al tasso risk free e i cash flow attesi-non default risk adjusted attualizzati ad una tasso rischioso, determinato sulla base della rischiosità dell’emissione obbligazionaria. Pertanto, il premio per il rischio di default (default premium) su una linea di debito è di-rettamente collegato alle componenti del rischio di credito; ed il valore di una obbligazione esposta a rischio di default, al netto del premio per il rischio di default, è equivalente al valore di un’obbligazione risk free.

l’ammontare eventualmente ricevuto in caso di default è parametrato alle passività dell’impresa senza perciò necessitare dell’intera gerarchia del debito.

I Reduced-form models sono stati sviluppati originariamente da Artzner e Delbaen (1995), Duffie, Schroder e Skiadas (1996), Jarrow e Turnbull (1995), Madan e Unal (1993) e ne esistono tre ma-cro classi che rappresentano altrettante possibili varianti o approcci: default based (Jarrow e Tur-nbull, 1995), rating transition ( Jarrow, Lando e TurTur-nbull, 1997) e spread models ( Duffie e Single-ton, 1997).

Nei modelli più semplici, la frequenza dei default o delle migrazioni e la probabilità di recupero sono considerati processi esogeni. In Jarrow, Lando, e Turnbull (1997) l’intensità del fenomeno di rating migration è assunta come costante; Litterman e Iben (1991), Duffie et al. (1996), Duffie e Singleton (1999), Lando (1998), considerano la frequenza delle migrazioni come processi casuali. Jarrow et al. (1997) cercano di modellizzare l’evoluzione del rating durante la vita economica dell’asset considerando la probabilità di default come un dato esogeno, ottenibile dalle matrici di transizione di Moody’s o Standard & Poor’s.

Lando estende il framework di Jarrow et al. (1997) rilasciando l’ipotesi di indipendenza tra tassi di interesse e probabilità di default, addivenendo pertanto ad un modello che individua una dipen-denza tra rischio di credito e di mercato, mentre Turnbull (2003) analizza la struttura a termine della PD e calcola il break even spread, considerando nel proprio modello anche le commissioni e i costi associati al capitale ecomico. Come si vedrà nel Capitolo 4, tale framework costituirà la base del nostro modello di pricing (loan pricing model).

In conclusione, i modelli strutturali richiedono input di tipo firm specific per costruire il processo di default, e tipicamente la causa del default è individuata in una riduzione del valore dell’asset detenuto dall’impresa, al di sotto di una soglia prefissata. Di contro, i Reduced form models

consi-derano il default come un processo imprevedibile e casuale50.

Occorre chiedersi a questo punto come, all’interno di tale framework teorico, possano essere in-quadrati i credit risk model sviluppati dagli intermediari creditizi in ottica Basilea 2 (sui quali ci si soffermerà più approfonditamente nel corso del lavoro, Capitolo 3, e ai quali è possibile ricondur-re i modelli di rating e pricing impiegati per i case studies di cui al Capitolo 4.

Dato che i modelli reduced (Jarrow e Turnbull, 1995; Jarrow e altri, 1997; Duffie e Singleton, 1999) generalmente utilizzano parametri di LGD esogeni, i modelli IRB introdotti con Basilea 2 possono essere assimilati ad essi (Jockivuolle e Peura, 2003); d’altra parte, l’inizio della storia dei modelli rating based può essere ricondotto proprio a Jarrow, Lando e Turnbull (1997), che determinano i credit spreads in funzione della PD e del recovery rate in caso di default (pari a 1-LGD). Tale mo-dello, tuttavia, assumeva che la PD fosse funzione dello spread sul credito in un dato istante, e che dunque lo spread sul credito non variasse nel tempo. Era pertanto incapace di cogliere la dinami-ca dei credit spreads e i fenomeni di rating migration, che sono invece dinami-catturati nei modelli di rating Basilea 2 compliant mediante le matrici di migrazione.

Balanger, Shreve e Wang (2004) mettono in relazione i credit spread con la distanza dall’epoca del default; Madan e Unal (2000) studiano la sensibilità della struttura a termine dei credit spread a variazioni dei tassi di interesse e del valore degli asset liquidi (cassa e titoli), distinguendo gli asset dell’impresa in interest bearing e non interest bearing assets. All’aumentare del valore degli asset liquidi e dei tassi di interesse diminuiscono i credit spread. Jockivuolle e Peura (2003) calcolano la expected loss given default, mettendo in relazione il valore del collateral e la PD.

50

Un terzo possibile approccio al tema del credit risk modeling è quello che parte dalla considerazione della struttura a termine dei risk-free bonds e dei defaultable bond (Duffie e Singleton, 1999; Bielecki e Rutkowski, 2002; Schonbucher, 1998). Questi modelli non si basano sui fondamentali dell’impresa e cercano di individuare una relazione possibile tra gli altri due framework teorici rappresentati dai modelli strutturali e reduced, tentando in un certo senso di riconciliarne le differenti prospettive di analisi.Ad esempio, Duffie e Lando propongono un modello di tipo reduced form in cui l’intensità del default è determinata endogenamente. Tale tipologia di modelli sono pertanto conosciuti come modelli “misti”.

Tuttavia, già prima di Jarrow, Lando e Turnbull, Fons (1994) si era soffermato sulla struttura a termine del rischio di credito, prendendo in considerazione tre variabili (credit spread, likelihood of default e recovery rate) e analizzando, per date categorie di rating, come variava lo spread al variare della maturity. L’Autore concludeva verificando il modello della crisis-at-maturity, secondo cui le imprese con un elevato livello di leverage possono incontrare difficoltà di rifinanziamento alla scadenza, difficoltà che si esprimono in spread superiori per scadenze più brevi. Infatti, men-tre le obbligazioni con rating ricompreso nell’intervallo dell’investment grade mostrano spread stabilmente crescenti, sebbene a tassi molto bassi, o in alcuni casi (per rating appartenenti all’intervallo high yield) decrescenti in presenza di maturity superiori ai 5 anni, le obbligazioni con rating B o inferiore mostrano spread molto più elevati (oltre 4% a fronte di spread inferiori all’1% e allo 0,5% per le altre categorie) nel breve termine, ma che tendono a diminuire in maniera deci-samente sensibile per medie e lunghe scadenze.

In definitiva, dall’analisi delle teorie su corporate credit spread e credit spread modelling è possibi-le desumere che possibi-le variabili ripossibi-levanti ai fini del pricing sono:

- il rating

- la maturity o scadenza - il risk free rate

- l’inclinazione della curva dei rendimenti

Secondo il modello di Abid e Naifar (2006), che studia le determinanti dei Credit Default Swap ra-tes, le variabili di cui sopra spiegano oltre il 60% del valore totale di un CDS, sebbene, tra tutte, la più importante sia il rating.

Nel documento Facoltà di Economia (pagine 80-83)

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