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Capitolo 3. Il recepimento della direttiva in Italia

VI. Le pronunce delle corti italiane

VI.6 Tribunale di Milano, 25 maggio 2013

Un ulteriore esempio di applicazione giurisprudenziale della qualifica di host provider attivo si trova nell’ordinanza emanata dal Tribunale di Milano il 25 maggio 2013597. La vicenda prende avvio dal fatto che i titolari di due enti no profit, volti alla difesa dell’infanzia e alla promozione del benessere sociale in Italia e nel mondo, avevano rilevato che, digitando i nomi delle due associazioni sulla striscia di ricerca di Google, si ottenevano come risultato della ricerca frasi offensive. I rappresentanti degli enti avevano richiesto al motore di ricerca di rimuovere, nell’ambito dei servizi “Google Autocomplete” e “Ricerche Correlate”, i termini offensivi associati alle denominazioni degli enti. A tal riguardo, Google aveva adempiuto solo parzialmente alle richieste, in quanto aveva proceduto alla rimozione delle associazioni ai termini “truffatore” e “truffa” unicamente a partire dall’anno 2013 ed aveva omesso di intervenire sul collegamento ai termini “setta” e “plagio”. Insoddisfatti della reazione del provider, gli interessati avevano adito il giudice milanese, richiedendo in via cautelare la rimozione di tutti i collegamenti con termini come “truffa”, “plagio”, “setta” e sinonimi.

Il giudice di prime cure, tuttavia, aveva rigettato la richiesta attorea per difetto di fumus boni iuris598. Nel valutare la sussistenza di responsabilità in capo a Google, il Tribunale aveva chiarito che l’applicabilità delle esenzioni di cui al d.lgs. 70/2003 non poteva essere esclusa sulla base dell’offerta dei servizi “Google Autocomplete” e “Ricerche Correlate”. Secondo la ricostruzione del giudice, infatti, il primo riproduce le richieste maggiormente effettuate dagli utenti mediante un calcolo statistico, mentre il secondo fornisce l’indicazione delle pagine web indicizzate e rese accessibili dal motore di ricerca a partire dalle parole chiave inserite. I termini suggeriti da questi servizi, pertanto, sarebbero frutto di un procedimento algoritmico del tutto automatico, che escluderebbe ogni influenza dello stesso provider.

Il giudice, dunque, una volta accertata l’applicabilità in astratto delle esenzioni di cui agli articoli 14-16 del d.lgs. 70/2003, era passato alla concreta valutazione delle stesse: qualificando il motore di ricerca come caching provider e rilevando la neutralità della sua condotta, esso aveva risolto in senso positivo tale questione.

Il giudicante aveva poi proseguito il suo ragionamento prendendo in considerazione l’applicabilità delle ipotesi di responsabilità di cui all’articolo 17: esso aveva offerto una

597 Tribunale di Milano, 25 maggio 2013, Responsabilità civile e previdenza, 2013, 1996, commentata da

BUGIOLACCHI,Evoluzione dei servizi di hosting provider, conseguenze sul regime di responsabilità e limiti dell’attuale approccio case by case, in op. loc. cit.

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Tribunale di Milano, 25 marzo 2013, Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2013, 152, commentata da T. SCANNICCHIO, Il provider non risponde degli accostamenti diffamatori prodotti automaticamente dal motore di ricerca, in op. loc. cit.

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corretta interpretazione dello stesso e, preso atto dell’assenza di un dovere di spontanea attivazione del provider per la rimozione dei contenuti illeciti in assenza di un apposito ordine dell’autorità competente, aveva escluso la responsabilità di Google.

Gli attori hanno però impugnato il provvedimento, offrendo così occasione al Tribunale di Milano di tornare sui suoi passi e dare ancora una volta una lettura fuorviante del regime di responsabilità degli internet service provider.

Innanzitutto, il giudice offre una nuova qualificazione del motore di ricerca, rigettando la sua natura di caching provider e riconoscendo nel servizio offerto un’attività di hosting599. Esso poi, rifacendosi alle deroghe di cui al "considerando" 42 della direttiva e-Commerce e all’interpretazione della Corte di Giustizia600, si interroga sull’idoneità dei servizi “Autocomplete” e “Ricerche Correlate” ad escludere un ruolo meramente tecnico ed automatico del provider e a squalificarlo così dall’applicazione delle esenzioni. È a questo proposito che la pronuncia del Tribunale di Milano acquista il suo profilo più grottesco: il giudice infatti, pur riconoscendo il carattere automatico di tali servizi, esclude la neutralità della condotta di Google. Nelle parole dello stesso Tribunale, “l’automatismo del software che produce l’aggregazione di parole non è sinonimo di neutralità dell'ISP, a cui vanno interamente attribuite (…) sia le iniziali scelte tecniche e imprenditoriali dell’attivazione delle funzioni de quibus - come si è detto non necessarie alla semplice memorizzazione dei contenuti - sia le concrete aggregazioni di parole nella tendina Autocomplete o nell'elenco Ricerche correlate”. L’organo giudicante dunque, ben lontano dal riscontrare nell’attività concretamente svolta da Google elementi da cui si possa dedurre la sua conoscenza o il suo controllo sulle informazioni veicolate, lo qualifica come host provider attivo in considerazione dell’offerta di meri servizi aggiuntivi. Tale attitudine è ben esemplificata nel passaggio in cui il giudice afferma che “[l]e funzioni appena descritte, lungi dal risultare essenziali per la fornitura dei servizi di trasporto e memorizzazione dei contenuti, costituiscono funzionalità aggiuntive che arricchiscono il motore di ricerca Google, rendendolo evidentemente più interessante e appetibile rispetto a motori meno accessoriati”. Mai il giudice inferisce dall’offerta di tali servizi la sussistenza di conoscenza e controllo, indispensabili ai fini della deroga di cui al "considerando" 42. L’unica argomentazione addotta dal giudice si fonda sul fatto che i suddetti servizi, seppur funzionanti in modo automatico, sono comunque frutto di un meccanismo ideato da Google, di una sua scelta tecnica. Tale argomentazione, tuttavia, anche alla luce dei richiami alla prudenza di cui

599 Il Tribunale di Milano, rinviando all’ordinanza 23/03/2011 dello stesso organo giudicante, qualifica il

motore di ricerca come una banca dati cui è associato un software. A parere del giudice, essi “sono vere e proprie raccolte di dati, informazioni, opere, consultabili attraverso la digitazione di parole chiave (…). In tale ambito Google si pone come hosting provider, in quanto offre un servizio consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da terzi”. Tale qualificazione contrasta tuttavia con quanto sancito con la decisione del 22 marzo 2011 dello stesso Tribunale, il quale ha qualificato il motore di ricerca come caching provider.

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al testo dell’ordinanza stessa601, non sembra sufficiente a giustificare una deroga al regime ordinario. Tale argomentazione non sembra peraltro generalmente condivisa dalla giurisprudenza, viste le posizioni espresse dallo stesso giudice di prime cure e dal Tribunale di Pinerolo602.

In questo modo, il giudice, che riscontra peraltro la responsabilità di Google per la sua inerzia a seguito della segnalazione degli attori, si macchia ancora una volta di indebita estensione della responsabilità degli intermediari online.