4. I movimenti pro life
4.3. Un “nuovo femminismo”?
Altro impegno è quello di creare un “nuovo femminismo”. Secondo essi, il femminismo è rimasto ancorato ad un'interpretazione datata e logora, vincolata com'è ad un'idea dell'emancipazione femminile intesa come liberazione della donna dal proprio destino biologico, cioè come negazione della maternità. Da qui l'enfasi posta sul "diritto di aborto" come segno di emancipazione e di parità delle donne, che diventano così sempre più simili agli uomini in quanto libere dal "peso" della maternità96. Per questi motivi essi
cercano di aprire la strada ad un nuovo femminismo cattolico, basato sulle conseguenze psico-affettive dell'aborto (la cosiddetta "sindrome post-abortiva”) e, più in generale, sugli effetti disgreganti provocati dalle nuove tecnologie sulla relazione tra genitori e tra genitori e figli. Sempre da loro viene forte la denuncia degli abusi subiti dalle donne, tra cui l'imposizione di mortificanti politiche di controllo pubblico delle nascite, in particolare nei Paesi in via di sviluppo.
Il neofemminismo cattolico vuole, a suo dire, proprio di fronte alle nuove sfide della biomedicina, difendere l'uguaglianza dei diritti umani, maschili e femminili. Secondo esso difendere l'uguaglianza significa allora non omologare la donna all'uomo, ma riconoscere i diritti umani delle donne in un percorso che sappia valorizzare la specificità femminile. Servirebbe quindi “un nuovo femminismo al servizio della vita nello Stato e nella società”. Questo nuovo femminismo è portato avanti già dalle operatrici dei CAV, che da ormai un quarto di secolo aiutano le donne a superare le difficoltà che si possono presentare in occasione della maternità. Quello delle volontarie dei Centri e dei Servizi di aiuto alla Vita è un lavoro che si svolge nel silenzio, da sempre censurato, secondo il Movimento, dalla generalità dei media. Per questo il “nuovo femminismo” chiede visibilità, per mostrare un’alternativa alle “veterofemministe”, che spesso cercano di disturbare i convegni dei CAV. Carlo Casini ha infatti cercato di dare visibilità a questi temi cari al Movimento, prendendo accordi con l’allora presidente della Rai, Antonio Baldassarre (non a caso docente presso una delle università pontificie), sul mandare in onda spot contro l’aborto e dibattiti TV, iniziando con una serata di “Porta a Porta”.
4.4. Legge 194
Riguardo la Legge 194, la “strategia” cattolica è semplice: far passare il concetto dei “diritti del concepito”, in modo da entrare in conflitto con la suddetta legge, e fare perno sulla “provvisorietà” della legge, come già enunciato.
Secondo il Movimento, il poco seguito riguardante ogni richiesta di modificazione viene identificata con una pretesa di totale abrogazione della Legge con la conseguenza penale ad ogni donna che abortisce97. Per questo, MPV ha ormai abbandonato la proposta di reintrodurre l’aborto come reato penale e avanzano solo proposte di modifica98.
La Legge 194 viene esaminata comma per comma dal Movimento, in quanto crede sia necessario una modifica profonda al testo attuale. Secondo l’Evangelium Vitae di Papa Giovanni Paolo II, le attuali “aggressioni” contro la vita sono identificati nella “trasformazione del delitto in diritto”99. Egli stesso ha ribadito che “…nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia”, arrivando a definire le leggi che autorizzano l’interruzione di gravidanza “del tutto prive di autentica validità giuridica”.
La Legge 194 non stabilisce un diritto positivo assoluto di interrompere la gravidanza, ma delinea le circostanze in cui una donna può chiedere di abortire: “La donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito100”. In questo sfondo la tradizionale proibizione assoluta (“non devi abortire”) è indebolita solo da una fragile eccezione (“puoi farlo se sei in pericolo”)101.
La tutela della stirpe cara al Codice Rocco rimane quindi come un’ombra sulla Legge 194. È significativo che l’aborto possa essere eseguito solo in ospedale, in quello spazio pubblico in cui il controllo possa essere esercitato facilmente, in cui tutti sanno che una donna è incinta e vuole abortire. O meglio, che una donna è incinta e proseguire la
97 CASINI C., 2009, Possibili cambiamenti della legge sull’aborto: la riforma dei consultori familiari, “Studia
Bioethica”, vol.1 n.2, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma, p.7.
98 Ivi, p.16. 99 Ibidem.
100 Legge 1978/194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 140 del 22 maggio 1978, art.4.
gravidanza sarebbe una circostanza pericolosa102. La situazione attuale può apparire, in effetti, molto facile per i movimenti pro-life, perché offre loro il terreno adatto per difendere i diritti dell’embrione-persona e per deformare la responsabilità individuale e sociale verso i nascituri come modi di smontare lo spazio della libertà delle donne.
Secondo il Movimento Per la Vita, bisognerebbe eliminare dalle Legge 194 tre ambiguità: la prima, nega il concepito come individuo vivente umano e dunque indica la scelta della donna come valore da tutelare; la seconda, a parere loro, ignora il problema del figlio; la terza riconosce la presenza di due entità coinvolte nell’aborto, ma lo Stato “tratta” con la donna: ti faccio abortire legalmente in sicurezza sanitaria e gratuitamente ma tu prima devi rivelarmi il tuo proposito ed io cercherò di evitare il gesto “uccisivo”. Secondo esso, invece, le “parti buone” della legge sono servite a fini propagandistici, cioè per consentire alla legge di guadagnare consensi anche nelle aree che non erano disposte a conoscere il diritto all’aborto103.
Altre modifiche riguarderebbero una efficace prevenzione coerente con il riconoscimento del diritto a nascere del concepito104. Secondo questa concezione, il figlio che dopo il
concepimento è dentro l’utero, non è proprietà della donna: nessun essere umano può essere proprietà di alcuno, egli è “ospite” della madre105. Il punto fermo da rimuovere è quindi il potere di vita o di morte sul figlio. Se il concepito diventasse un “minore”, l’aborto diventerebbe un atto molto complicato e verrebbe meno il diritto di scelta della donna: sarebbero coinvolte anche le autorità preposte alla tutela dei minori, come il Tribunale dei minori o i giudici tutelari e quindi le strutture centrali dello Stato alle quali sono affidate le problematiche familiari106.
La proposta quindi sarebbe quella della ferma e non equivoca affermazione del diritto alla vita dal concepimento, con la rinuncia, da parte del Movimento, della sanzione penale generalizzata per l’aborto. La qualità della sanzione non andrebbe quindi rapportata alla gravità dell’illecito, ma, piuttosto, all’efficacia maggiore o minore della misura per attuare la difesa sociale. Perciò alla minaccia penale si potrebbe rinunciare se vengono trovati altri mezzi più efficaci per contenere l’illecito, anche se lo stesso Movimento non specifica quali. La connotazione di antigiuridicità dell’aborto, a parere loro, deve restare,
102 LALLI C., 2013, A. La verità vi prego, sull’aborto, Fandango Libri, Roma, cap. “194”.
103 CASINI C., 2008, A trent’anni dalla Legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, Edizione Cantagalli,
Siena, p.33.
104 Ivi, p.54. 105 Ivi, p.85.
106 CASINI C., 2009, Possibili cambiamenti della legge sull’aborto: la riforma dei consultori familiari, “Studia
ma essa dovrebbe derivare più dalla forte sottolineatura del diritto alla vita violato dall’aborto che non dalla minaccia penale107.
Un’altra modifica che dovrebbe avere la priorità riguardano gli articoli 4 e 5 che disciplinano l’IVG108 nei primi tre mesi di gravidanza. Si afferma infatti che “la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari109”: secondo il Movimento, l’aborto come libera scelta della donna è giustificata in quanto determinante una malattia psichica che può essere diagnosticata solo dalla donna. L’affermazione è erronea in quanto la donna non può auto determinarsi una malattia psichica, è il medico che deve accertare e fornire le necessarie documentazioni che provino le patologie che stanno alla base della richiesta della gestante. E’ quindi chiaro ed inconfutabile che se trattasi di patologie psichiche e comportamentali è solo lo specialista in Psichiatria che può fare diagnosi e fornire il necessario supporto in documentazione e sostegno per l’IVG e anche per l’ITG110, trattato nell’articolo 6.
Appare necessario fare alcune distinzioni chiare: il pericolo per la salute psichica non deve essere secondario a malattie genetiche o malformazioni del feto o malattie neurologiche accertabili attraverso esami strumentali111. Deve consistere in un serio rischio/pericolo di malattia psichica legato ad una patologia pregressa o in atto; e non solo relativo al manifestarsi di una sintomatologia soggettiva, ma anche di sintomi e comportamenti rilevabili con parametri clinici, biologici e psicologici. Il danno psichico si accerta con l'esame psichiatrico, prevede un esame delle condizioni mentali e comportamentali della gestante, valutando i parametri fondamentali che definiscono i quadri psichici: vigilanza-coscienza, percezione, ideazione, affettività, comportamento. Dopodiché alla gestante sarà rilasciato il certificato per l’interruzione della gravidanza. Allo stesso tempo, il Movimento polemizza sul non riconoscimento da parte della Legge, del ruolo del padre del figlio/feto, lasciando alla sola gestante il diritto di scelta
107 CASINI C., 2009, Possibili cambiamenti della legge sull’aborto: la riforma dei consultori familiari, “Studia
Bioethica”, vol.1 n.2, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma, p.17.
108 IVG: interruzione volontaria della gravidanza.
109 Legge 1978/194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 140 del 22 maggio 1978, art.4.
110 ITG: interruzione terapeutica della gravidanza, può essere effettuata entro la 22esima settimana. L’ITG può essere
richiesta per l’accertamento di malformazioni fetali, il certificato riporta che la madre avrebbe danni fisici o psicologici dal proseguimento della gestazione.
sull’aborto: sì, il diritto di scelta spetta alla donna in quanto gestante, ma la legge menziona il padre in due punti molto importanti della Legge:
-art.5: “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari
accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto.
Quando la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della dignità e della libertà della donna; valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, anche sulla base dell'esito degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la determinano a chiedere l'interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie..”
-art.13: “Se la donna è interdetta per infermità di mente, la richiesta di cui agli articoli 4
e 6 può essere presentata, oltre che da lei personalmente, anche dal tutore o dal marito non tutore, che non sia legalmente separato. Nel caso di richiesta presentata dall'interdetta o dal marito, deve essere sentito il parere del tutore. La richiesta presentata dal tutore o dal marito deve essere confermata dalla donna.”
Il Movimento si batte quindi sulla modifica della Legge 194, non è d’accordo né di affidare alle Regioni il miglioramento della gestione della legge, né di chiedere soltanto “linee guida” al Governo, né di affidarsi esclusivamente a leggi sociali che prospettino vantaggi a chi genera figli112.
112 CASINI C., 2009, Possibili cambiamenti della legge sull’aborto: la riforma dei consultori familiari, “Studia
4.5. I Consultori
La Legge 194 prevede la possibilità (non l’obbligo) di una collaborazione mediante apposite convenzioni tra i Consultori familiari e le associazioni di volontariato: “I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”113. Questa convenzione è stata invece stipulata con i presidi ospedalieri dai
Centri di aiuto alla vita (CAV e SAV) collegati con il Movimento per la Vita. Dal primo Centro istituito nel 1975114, a Firenze, ad oggi se ne contano 19 solo in Toscana.
Secondo il Movimento Per la Vita, il passaggio attraverso un consultorio della donna orientata verso l’aborto, dovrebbe divenire obbligatorio eliminando il documento o il certificato rilasciato dal medico di fiducia115. Il consultorio, a parere loro, dovrebbe essere pensato come mezzo di verifica che la donna non subisca pressioni esterne verso l’aborto e che la sua decisione sia veramente matura in modo da evitare possibili ripensamenti dopo “l’eliminazione del figlio”116.
In Toscana sono in aumento le donne che decidono di rivolgersi ad un consultorio: erano il 16,5% nel 2003, salgono al 25,8% nel 2011 (il 9,3% in più)117. Il Movimento per la Vita ha pensato a una grande riforma dei consultori, perché si sarebbero trasformati in luoghi “di banale e rapida distribuzione di documenti autorizzativi o addirittura d’incentivazione all’aborto”118. Secondo essi, l’interruzione di gravidanza nei consultori significherebbe un aborto di massa, culturalmente accettato, gestito nelle forme di un servizio sociale119. La funzione essenziale del consultorio, secondo il Movimento, dovrebbe essere quello di evitare l’aborto anche nel caso di gravidanza difficile o indesiderata, anche nel caso di orientamento consolidato verso l’interruzione di gravidanza. Esso dovrebbe essere uno strumento alternativo all’aborto, “un luogo di aiuto
113 Legge 1978/194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 140 del 22 maggio 1978, art.2.
114 CASINI C., 2008, A trent’anni dalla Legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, Edizione Cantagalli,
Siena, p.41.
115 CASINI C., 2009, Possibili cambiamenti della legge sull’aborto: la riforma dei consultori familiari, “Studia
Bioethica”, vol.1 n.2, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma, p.23.
116 Ivi, p.25.
117 DA FRE’ M., DUBINI V., FANTI E., 2013, Nascere in Toscana, anni 2008-2011, ARS Toscana, Firenze, p.69. 118 CASINI C., 2009, Possibili cambiamenti della legge sull’aborto: la riforma dei consultori familiari, “Studia
Bioethica”, vol.1 n.2, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma, p.25.
119 CASINI C., 2008, A trent’anni dalla Legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, Edizione Cantagalli,
e di accompagnamento alla nascita, non di accompagnamento all’interruzione”120. I consultori quindi dovrebbero:
- offrire un aiuto economico, anche piccolo ma garantito
- attribuzione di poteri d’iniziativa, consentendo l’incontro con la donna in difficoltà anche sulla base di segnalazioni provenienti dall’ambiente in cui lei vive o, meglio ancora, dallo stesso personale sanitario con cui la donna ha avuto contatti nel primo colloquio o per la fissazione dell’intervento121.
Il Movimento Per la Vita sostiene quindi la presenza degli obiettori di coscienza nei consultori122. La motivazione arriverebbe dall’interpretazione della Legge, nella quale non c’è scritto che il medico del consultorio deve rilasciare il documento che autorizza l’interruzione. Sotto questo profilo, gli art.4 e 5 descrivono un identico trattamento per il medico di fiducia, per quello della struttura socio-sanitaria e per quello del consultorio, né una qualche distinzione è introdotta dall’art.9 quanto all’obiezione di coscienza. Perciò non dovrebbe sussistere alcuna difficoltà se in un consultorio il medico obiettore non autorizzasse l’aborto123: questa affermazione non è del tutto veritiera e ne troviamo la chiara spiegazione nello stesso art.9 che disciplina l’obiezione di coscienza: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale. L'obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.124”. Sia il consultorio, sia il medico generico, sia il nosocomio sono abilitati a rilasciare il certificato IVG dopo tutto l’iter, l’obiezione di coscienza è garantita ma sarà la Regione per mezzo della mobilità del personale, garantire che la gestante possa essere seguita da un medico non obiettore e che non ci sia ostruzionismo nell’applicazione della
120 CASINI C., 2009, Possibili cambiamenti della legge sull’aborto: la riforma dei consultori familiari, “Studia
Bioethica”, vol.1 n.2, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma, p.26.
121 CASINI C., 2008, A trent’anni dalla Legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, Edizione Cantagalli,
Siena, p.44-45.
122 CASINI C., 2009, Possibili cambiamenti della legge sull’aborto: la riforma dei consultori familiari, articolo
pubblicato sulla rivista “Studia Bioethica”, vol.1 n.2, p.27.
123 Ibidem, p.27.
124 Legge 1978/194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza,
Legge 194. Il medico obiettore ha il dovere di segnalare alla struttura sanitaria in cui opera, l’essere obiettore di coscienza, sarà quindi poi l’ospedale e la regione ha garantire l’applicazione della Legge. E’ importante specificare, come troviamo nello stesso art.9, che l’obiettore ha comunque l’obbligo di prestare soccorso in caso di pericolo della gestante, e che non è esonerato dal suo dovere di medico, cosa che purtroppo non è sempre rispettato.
Secondo le indagini svolte dai Centri di Aiuto alla Vita, la prima motivazione di aborto è quella economica (50%), poi ci sono gli abbandoni di fidanzati, compagni e mariti, il timore di perdere o di non trovare il lavoro, la minore età, la paura di non essere all’altezza dei doveri materni, la spinta dall’ambiente familiare, il bisogno di tenere nascosta una relazione extra coniugale125. Il Movimento afferma che ci sono poche possibilità in cui una donna vittima di violenza sessuale possa rimanere incinta, affermazione priva di fondamento scientifico, e che comunque ci sarebbero migliaia di coppie disposte ad adottare un bambino che una madre non riconosce per suo e che le ricorda la violenza subita.
Il Movimento inoltre insiste sugli errori diagnostici dei medici, in pochi riguardo alla presenza di anomalie nel nascituro. Nei casi dell’aborto, la Legge non prevede il riscontro diagnostico obbligatorio sui feti abortiti.
125 CASINI C., 2008, A trent’anni dalla Legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, Edizione Cantagalli,