L’impatto dell’evoluzione
tecnologica sull’organizzazione
dei concessionari auto
Facoltà di Scienze Politiche Classse LM-59
Corso di Laurea Specialistica in
Comunicazione d’Impresa e Politica delle Risorse Umane
Candidato: Michael Capezzoli
Relatore: Prof.ssa Lucia Bonechi
Indice
Capitolo 1 Scenario delle organizzazioni
1.1 Accelerazione e cambiamenti
1.2 Strutture organizzative per il cambiamento 1.3 Innescare e gestire il cambiamento
1.4 La Gartner Hype Cycle per capire l’evoluzione del cambiamento 1.5 L’importanza delle persone nelle organizzazioni
1.6 Dalla mezzadria allo scenario internazionale, le PMI in Italia 1.7 La rivoluzione digitale
1.8 ZMOT, rating e web locale: cosa succede POST-INTERNET
Capitolo 2 L’industria delle industrie
2.1 Dal settore automobilistico al dealer 2.2 La business unit dell’usato
2.3 I programmi di garanzia ufficiale e di garanzia esterni 2.4 Cosa comporta il digitale per l’automotive
2.5 La normalità 2.0: dagli acquisti internet assisted allo store on line 2.6 Il cambiamento degli strumenti per la vendita di auto usate 2.7 Lo store on line che funziona vende auto usate
Capitolo 3 Il cambiamento organizzativo
nella Concessionaria Birindelli
3.1 La storia3.2 La qualità dei processi nel progetto QMA e ISO 3.3 Una struttura che cambia
3.4 Due epoche della gestione dell’usato
3.4.1 Il sottoprocesso di approvvigionamento 3.4.2 Il sottoprocesso di scelta del canale di vendita 3.4.3 Il sottoprocesso di pubblicazione
3.4.4 Il sottoprocesso di ripristino
3.4.5 Il sottoprocesso di gestione dello stock 3.4.6 Il sottoprocesso di vendita e consegna
3.5 Birindelli tra i campioni di produttività nell’indice ICP®
1 2 3 7 9 13 16 20 23 26 28 31 34 40 48 54 56 62 70 72 78 82 90 93 98 99
Introduzione
La presente ricerca ha l’obiettivo di identificare e descrivere i cambiamenti che l’evoluzione tecnologica ha comportato per i concessionari di auto in Italia. Senza pretendere di essere esaustiva sull’argomento, mette a confronto la realtà dei concessionari auto di fine anni ‘90 con quella attuale per coglierne le diffe-renze, soprattutto da un punto di vista organizzativo, tenendo in considera-zione diversi trend, partendo da quello tecnologico per poi considerare quello economico, gestionale e culturale.
L’attenzione di questa ricerca è indirizzata verso la business unit dell’usato, per-ché, vedremo in seguito, è una delle più mutate di fronte all’innovazione tecno-logica ed i suoi processi di gestione sono stati nel tempo più liberi dalle direttive e dall’interesse delle case automobilistiche.
La letteratura sull’argomento sembra mancare di un riferimento come questo in grado di fotografare le due differenti epoche raccontando anche quali erano le logiche, le strategie commerciali ed organizzative di un passato relativamente recente. Per la realizzazione, infatti, è stato necessario il ricorso a materiali ed interviste rilasciate da vari professionisti del settore automobilistico che a vario titolo hanno partecipato alla vita organizzativa dei concessionari nell’ultimo tren-tennio come editori di periodici dedicati alla compravendita di auto, sviluppatori di web app e software gestionali ed è riportata ed utilizzata come caso di studio l’esperienza di uno dei più importanti rivenditori di auto a livello nazionale: la Birindelli Auto srl.
Nel primo capitolo è affrontato un inquadramento teorico e disciplinare che mira a descrivere lo scenario in cui oggi le organizzazioni operano, focalizzato sulla re-altà italiana caratterizzata da piccole e medie imprese. Questo capitolo affronta anche il tema del cambiamento in sé, di come si innescano e si gestiscono i cam-biamenti organizzativi per arrivare a spiegare quanto è importante la gestione del cambiamento per un’organizzazione che vuol quanto meno sopravvivere di fronte alla rivoluzione digitale in corso.
Nel secondo capitolo si parla specificatamente del settore automobilistico, si spiega l’importanza detenuta dal dealer all’interno di questo e l’importanza che ha la business unit dell’usato all’interno del dealer stesso per arrivare a de-scrivere quelli che sono i risvolti che l’evoluzione tecnologica ha prodotto sulle modalità di cercare le auto usate: cambiamento degli strumenti e conseguente cambiamento culturale.
Il terzo capitolo utilizza il caso della Concessionaria Birindelli ufficiale BMW e MINI per rintracciare e descrivere in modo concreto in che modo l’impatto delle nuove tecnologie ha inciso sui suoi servizi, sulle sue strutture, sui processi e sulle strategie, ed, in questo modo, sulle persone.
Inizia con la storia, racconta come l’organizzazione ha iniziato a prestare attenzione alla qualità, all’incrementale decentramento del potere decisionale, e analizza il prima e il dopo di ogni sottoprocesso della gestione dell’usato.
capitolo primo
Scenario delle organizzazioni
1.1 Accelerazione e cambiamenti
“Negli Stati Uniti la radio ha impiegato trent’anni per raggiungere sessanta milioni di persone, la televisione ha raggiunto questo livello di diffusione in quindici anni; internet lo ha fatto in soli tre anni dalla nascita del world wide web.”
Castells 1996
Le parole tanto celebri quanto esplicative di Castells1 mettono in evidenza,
tra-mite l’utilizzo della soglia numerica, un’accelerazione iniziata intorno alla metà del secolo scorso con l’invenzione dei primi elaboratori elettronici e che dopo gli anni ‘90 si è configurata come una vera e propria rivoluzione digitale.
Castells, nel lontano ‘96, quando faceva il conto del tempo necessario ad ogni nuovo media per raggiungere i 60 milioni di utilizzatori, non poteva sapere che quest’inarrestabile accelerazione avrebbe generato numeri mai visti in prece-denza, come lo sono i soli 88 giorni impiegati da Google+ per raggiungere la soglia dei 50 milioni di utilizzatori2 oppure il dato di 1,08 miliardi al giorno di
connessioni a Facebook3.
L’accelerazione che caratterizza l’era contemporanea innesca cambiamenti più veloci e più frequenti di quanti se ne siano visti finora, senza investire mai un preciso settore, non sono mai cambiamenti solo tecnologici, solo strategici, solo culturali o solo una variazione di prodotto. Esiste un’interdipendenza: il cambia-mento di uno implica spesso il mutare dell’altro.4
L’inedita pervasività di queste nuove tecnologie “dello stare insieme” non ha richiesto soltanto una metamorfosi culturale legata al loro utilizzo oppure alle forme di comunicazione ma ha contribuito ad alimentare una vasta portata di cambiamenti a livello internazionale, di integrazione economica, di mutamen-to delle condizioni economiche e delle relazioni politiche. Si parla di scenario attuale come post-moderno, post-industriale, post-fordista per evidenziare il passaggio dalla globalizzazione all’espansione di un’economia sempre più immateriale, fino alla centralità dei nuovi media che si configurano come “mo-tori” di tali rivoluzioni5.
1 M. Castells, The Rise of the Network Society, The Information Age: Economy, Society and Culture,
Vol. I., Oxford, UK. Blackwell, 1996
2 F. Fulvio, A. Granelli, R. Pone, G. Catalano, Il negozio nell’era di internet, Collana le bussole,
ConfCommercio 2015 [1.ed. 2014]
3 Fonte: http://www.panorama.it/mytech/social/facebook-numeri-impressionanti/
(consultazione 12 marzo 2017)
4 R. L. Daft, Organizzazione Aziendale, Milano, Apogeo, 2010 [1.ed. 1983], pag. 370 e ss.
Il processo di cambiamento appena richiamato interessa le organizzazioni per-ché le travolge, ne determina l’esistenza e la loro possibilità di cogliere le nuove opportunità o di lasciarsi schiacciare dalle maggiori minacce.
Agisce sui processi e sui modelli organizzativi e distributivi, dove la rapidità è diventata un nuovo paradigma di successo, e sulla customer experience; per questo richiede nuove modalità di approccio al business, nuovi mindset ed una nuova cultura del capitale umano.
L’ambiente esterno ci pone davanti a tre tipologie di cambiamento: quello oc-casionale, quello continuo e quello radicale6. Occasionale necessario di tanto in
tanto, in seguito a fasi di relativa stabilità. Continuo a cui attualmente sono chia-mate ormai gran parte delle organizzazioni, rende le fasi di stabilità poco nume-rose e brevi.
In molti settori lo scenario è diventato così instabile da imporre cambiamenti radicali, provocando svolte improvvise. Esplicativa la sparizione delle videocas-sette a fronte del nuovo supporto dvd molto meno ingombrante e capace di produrre contenuti a qualità molto più alta, ormai anch’esso in disuso, soppian-tato da nuove tecnologie streaming.
1.2 Strutture organizzative per il cambiamento
Il modo con cui le aziende possono fare innovazione non si riferisce soltanto alla capacità di cogliere, interpretare, elaborare i segnali provenienti dall’ambiente esterno, progettando e realizzando output inediti, ma è afferente anche alle di-verse modalità di organizzazione interna che possono determinare strutture in grado di favorire o meno il cambiamento.
La tradizionale organizzazione verticistica risulta essere una delle cause più co-muni di improduttività aziendale7 in quanto non tenendo in considerazione il
potenziale apporto dei livelli gerarchici più bassi, impedisce di affrontare dinami-camente il cambiamento facendo sì che questo sia dettato dai livelli gerarchica-mente più alti e subito dai livelli più bassi, ingenerando frustrazione nel dipen-dente che vorrebbe essere attore nella vita aziendale e che invece si ritrova ad essere una semplice comparsa8.
Questra tipologia di struttura organizzativa genera immobilità aziendale, statici-tà, determinando l’incapacità dell’organizzazione di adattarsi con rapidità ai mu-tamenti richiesti dell’ambiente.
L’idea più creativa, il restyling di processo più inedito, la volontà di intervenire sul-la cultura organizzativa, l’introduzione di un nuovo software gestionale, l’avvio di
6 R. L. Daft, Organizzazione Aziendale, Milano, Apogeo, 2014 [1.ed. 1983], pag. 396-398
7 C. Sansavini, Leadership e Gestione del Cambiamento, Alpha Test, 2016 [1.ed. 2006]
qualsiasi iniziativa di cambiamento necessaria per l’organizzazione, sono azioni destinate a fallire se non possono contare sulla partecipazione di ogni nodo della rete aziendale capace di determinarne l’adozione diffusa.
La scelta alternativa per le organizzazioni è quella di strutturarsi in modo oriz-zontale, al fine di creare una moderna learning organization caratterizzata da strutture più flessibili, attenzione alla multidirezionalità dei processi comunicativi e più in generale alla valorizzazione di tutti gli stakeholders. Questo è realizzabile puntando all’esterno su una maggiore interazione con la propria rete di fornito-ri ed all’interno focalizzando le fornito-risorse sui fattofornito-ri distintivi legati non solamente all’introduzione ed uso di nuovi strumenti tecnologici e materiali, tra l’altro repe-ribili sul mercato anche dai competitors, quanto sulla cura dell’organizzazione del lavoro e sulla riqualificazione del capitale umano9.
La valorizzazione delle risorse umane diventa quindi un fattore determinante nella nuova struttura orizzontale che non potrebbe essere realizzata senza ade-guati processi di empowerment.
L’empowerment è un processo individuale ed organizzativo attraverso il qua-le qua-le persone svantaggiate o non emancipate sono rese potenti, empowered appunto10. Fondare la propria organizzazione sull’empowerment significa
pro-muovere la partecipazione e il coinvolgimento, realizzare una responsabilizza-zione diffusa, aumentare la self efficacy, l’autodeterminaresponsabilizza-zione, la collaboraresponsabilizza-zione reciproca ed in particolar modo il lavoro in team, far emergere risorse latenti. Si tratta di ribaltare le tradizionali relazioni organizzative, svincolarle dai limiti della gestione delle risorse umane tradizionale e porre le basi per la costituzione di aziende dove i lavoratori trasformano le loro competenze distintive e le loro pro-fessionalità integrate in cultura organizzativa orientata al cambiamento.
1.3 Innescare e gestire il cambiamento: due teorie
I dati dei cambiamenti sono sconfortanti, il 70% dei cambiamenti organizzativi è destinato al fallimento, lo confermano gli studi di John Paul Kotter11 ed i
suc-cessivi studi pubblicati dalla società internazionale di consulenza manageriale McKinsey&Company12, presente da quasi un secolo su scala mondiale.
9 G. Bellandi, M. Giannini, La Gestione Integrata delle Risorse Umane nelle organizzazioni, Pisa
University Press, 2016
10 C. Piccardo, Empowerment: strategie di sviluppo organizzativo centrate sulla persona, Milano,
Cortina Raffaello Editore, 1995
11 J. P. Kotter, Leading change, Harvard Business School Press, Boston, 2012 [1.ed. 1996]
12 C. Dewar, S. Blackburn, A.B. Nielsen, E. Irons, S. Keller, M. Meaney, G. Ulosevich, C. Wood,
How do I transform my Organization’s Performance?, Organization Practice,
McKinsey & Company, 2011. Scaricabile su: https://www.scribd.com/document/253483510/ How-Do-I-Transform-My-Organizations-Performance (consultazione 12 marzo 2017)
Entrambi gli studi, annoverati tra i più importanti del settore, chiariscono quali sono i fattori importanti nell’avvio di un qualsiasi processo di cambiamento. Kotter, professore emerito della Harvard Business School, fondatore della Kotter International (una società di consulenza con sede a Seattle e Boston), ha dimo-strato in 40 anni di ricerca che le organizzazioni falliscono nei tentativi di cam-biamento perché incapaci di adottare l’approccio olistico necessario per intra-prendere un cambiamento reale13. L’autore ha osservato innumerevoli leader e
organizzazioni nel loro percorso di trasformazione e messa in atto di strategie per ottenere un cambiamento su vasta scala: implementazione di nuove strate-gie di crescita, messa a punto di nuovie tecnolostrate-gie dell’informazione (IT), rior-ganizzazioni mirate alla riduzione di costi14 con il fine di indagare, individuare
ed estrarre i fattori di successo e combinarli in una metodologia, denominata 8-Step for Leading Change, oggi pluripremiata15.
Anche laddove un qualsiasi osservatore obiettivo poteva chiaramente vedere la presenza di costi eccessivi, di prodotti di scarsa qualità oppure non in linea con le esigenze dei clienti, il cambiamento necessario poteva ancora trovarsi in fase di stallo a causa di pratiche particolarmente radicate, processi burocratici para-lizzanti, la mancanza di lavoro in team, atteggiamenti arroganti, la mancanza di leadership supportata anche dal middle management, e più in generale la paura umana verso ciò che è sconosciuto, fuori dalla propria zona di comfort16.
Anche se l’autore afferma che qualsiasi diagramma tenderebbe a semplificare la realtà, Kotter propone un riassunto degli otto fattori risultati essere determinan-ti per il successo della gesdeterminan-tione del cambiamento in qualsiasi determinan-tipo di organizza-zione (Fig. 1).
Il punto di partenza è creare un senso di urgenza, fattore così rilevante da meri-tare una pubblicazione specifica17.
Tale conditio sine qua non consiste in un’esame di mercato e delle realtà compe-titive, richiede la discussione delle criticità attuali e potenziali, oltre che l’indivi-duazione di opportunità.
13 Fonte: http://www.rbsgroup.eu/assets/pdfs/2013_THE_8-STEP_PROCESS_FOR_LEADING_
CHANGE.pdf (consultazione 12 marzo 2017)
14 J. P. Kotter, A sense of Urgency, Boston, Harvard Business Press, 2008
15 Fonte: https://www.kotterinternational.com/8-steps-process-for-leading-change/ (consulta
azione 26 marzo 2017)
16 J. P. Kotter, Leading change, Boston, Harvard Business School Press, 2012 [1.ed. 1996]
L’autore riporta 6 importanti conclusioni a cui arriva:
1) Tutto ha inizio con l’urgenza, se questo non è abbastanza alto e l’autocompia-cimento per quanto svolto finora non è abbastanza basso si generano compli-cazioni che portano al fallimento del progetto di cambiamento nel 70% dei casi; 2) L’autocompiacimento è molto più diffuso di quanto comunemente si creda ed ha una lunga durata nel tempo, molte organizzazioni possono aver raggiunto il successo anche un decennio prima ma l’autocompiacimento che ne è scaturito può perdurare;
3) L’opposto dell’urgenza, non è solo l’autocompiacimento ma anche il senso di urgenza erroneo o distorto che provoca un grosso dispendio di energie senza però l’adeguata determinazione alla vittoria;
4) è un problema riconoscere l’erronea urgenza, spesso manifesta sotto forma di frenesia, dalla vera urgenza;
5) è possibile comunque riuscire a rintracciare l’erronea urgenza e l’autocompia-cimento e trasformarli in senso corretto;
6) comprendere questi concetti è importante perché il cambiamento stesso si sta trasformando, da episodico sta diventando onnipresente18.
All’interno di un articolo sul trimestrale della McKinsey & Company19, Emily
Law-son e Colin Price, approfondiscono gli aspetti psicologici delle figure protagoni-ste nei cambiamenti organizzativi, ritenendo che il successo dipende dalla per-suasione o meno dei dipendenti a cambiare il loro modo di lavorare.
Individuano in primis tre livelli di cambiamento.
Al livello più semplice, le aziende cercano di agire direttamente per ottenere risultati, senza dover cambiare il modo di lavorare; Un esempio quando un’a-zienda decide di abbandonare le attività non-core per concentrarsi sul proprio core business. Al successivo livello di complessità, ci sono cambiamenti che ri-chiedono ai dipendenti di rivedere le proprie pratiche o introdurne di nuove, ad esempio una società basata sull’innovazione potrebbe stringere relazioni con gli accademici per aumentare il flusso di idee verso l’organizzazione e quindi la produzione di nuovi output nel mercato.
Il livello più complesso di cambiamento lo si ha quando per raggiungere il tar-get di performance desiderato è necessario uno stravolgimento culturale a tutti i livelli organizzativi, un esempio potrebbe essere il già citato mutamento di struttura organizzativa. Questo richiederebbe una ridefinizione dei rapporti, dei processi operativi e comunicativi, un cambiamento di tipo culturale.
Gli autori individuano quattro condizioni di base per far sì che un cambiamento possa essere messo in atto, e trovano l’origine di questo nelle risorse umane e nel cambiamento del loro comportamento:
1) ideazione di una storia avvincente, perché i dipendenti devono vedere il punto di cambiamento e condividerlo;
2) modellamento di ruolo, perché devono vedere il CEO ed i colleghi che ammi-rano adottare i nuovi comportamenti;
3) attuazione di meccanismi di rinforzo, perché i sistemi, i processi e gli incentivi devono essere allineati con il nuovo comportamento;
4) costruzione di competenze, perché i dipendenti devono possedere le skill ne-cessarie per apportare il cambiamento desiderato.
Entrambe le variabili ritenute determinanti per il successo del cambiamento or-ganizzativo, sia il senso di urgenza intercettato da Kotter che il coinvolgimento
18 J. P. Kotter, A sense of Urgency, Boston, Harvard Business Press, 2008
19 E.Lawson, C.Price, The psychology of change management, McKinsey Quarterly, 2003.
Disponibile su: http://www.mckinsey.com/business-functions/organization/our-insights/ the-psychology-of-change-management (consultazione 26 marzo 2017)
con relativa alterazione dei mind-set dei dipendenti individuati da Lawson e Pri-ce, vedono la leadership svolgere un compito non facile, quello definire i set dei processi che costituiscono l’organizzazione stessa o gli permettono di adattarla ai cambiamenti che l’ambiente richiede20, essere guida formale ed informale nel
corso delle diverse fasi della vita del progetto di cambiamento.
Per entrambi gli autori è la leadership a diffondere la mission ed allineare le per-sone ad una univoca vision, a spingerle verso l’obiettivo superando gli ostacoli. Kotter spiega la differenza tra leadership e management osservando la funzione primaria che ciascuna svolge, tale distinzione è cruciale in quanto il successo del cambiamento è rintracciabile dal 70% al 90% nella leadership e solo dal 10% al 30% nel management21. La leadership produce cambiamento mentre il
mana-gement ha il compito di renderlo ordinato ed efficiente22 fermo restando il fatto
che quando si parla di management e leadership si fa riferimento a capacità che coesistono nella stessa persona che ricopre un ruolo direttivo.
1.4 La Gartner Hype Cycle per capire l’evoluzione del cambiamento
Gartner è società multinazionale, fondata nel 1979 da Gideon Gartner, oggi lea-der mondiale nella consulenza strategica, ricerca e analisi nel campo dell’Infor-mation Technology.A qualsiasi iniziativa di cambiamento che un’organizzazione intende intrapren-dere sia che riguardi i processi, la cultura, le tecnologie o un nuovo prodotto, può essere applicata la rappresentazione grafica fornita da Gartner23 in una curva che
inizia con l’adozione, prosegue con l’applicazione e cerca di prevederne la fase di maturità.
Il modello Hype Cycle, letteralmente tradotto in “ciclo dell’esagerazione”, serve per conoscere e comprendere la curva di adozione di una tecnologia e del pro-cesso psicologico sperimentato dagli individui durante un cambiamento signi-ficativo, offrendo una visione panoramica e nel tempo, può aiutare i manager e le persone a superare con successo le difficoltà24 oltre che aiutare a distinguere
appunto l’esagerazione delle promesse iniziali dai reali andamenti, riducendo an-che il rischio di fare cattivi investimenti.
20 J. P. Kotter, Leading change, Boston, Harvard Business School Press, 2012 [1.ed. 1996] Pag. 28
21 Ibidem
22 ID., Force for change: How leadership differs from Management, New York, The Free Press,
1990, Pag. 7
23 Fonte: http://www.gartner.com/technology/research/methodologies/hype-cycle.jsp
(consultazione 24 aprile 2017)
Nell’Hype Cycle qui riproposto (fig. 2) si individuano cinque fasi:
1) Technology Trigger: si tratta della prima fase di un Hype Cycle durante la quale c’è l’innesco di una nuova tecnologia, o “rottura” rispetto al passato dovuta allo sviluppo di un’idea potenzialmente dirompente.
2) Peak of Inflated Expectactions: in questa fase dominano un eccessivo entu-siasmo ed il picco di aspettative non realistiche, il livello di morale è alto, alcune imprese si avviano ad utilizzare la nuova tecnologia oppure manager e persone iniziano ad adottare atteggiamenti e comportamenti diversi.
3) Trough of Disillusionment: la tecnologia entra nella fase della disillusione, i pri-mi risultati non sono né all’altezza delle aspettative né rapidi, il morale scende, le persone faticano a proseguire con l’adozione di atteggiamenti e comportamenti diversi, l’organizzazione inizia a dubitare sul fatto che il cambiamento sia davvero realizzabile.
4) Slope of Enlightenment: fase di “salita dell’illuminazione”, dove comincia a dif-fondersi in modo più ampio ed a cristallizzarsi la consapevolezza di come l’inno-vazione possa portare benefici all’impresa in diversi modi.
Chi ha proposto l’innovazione o l’adozione della tecnologia crea output di secon-da e terza generazione.
Altre imprese ed in numero crescente finanziano progetti pilota, solo le persone e le aziende più conservatrici e refrattarie al cambiamento restano prudenti. Il morale è in salita, le persone iniziano a migliorare in modo significativo le loro performance.
5) Plateau of Productivity: Si traduce in “altopiano della produttività”, l’adozione dell’innovazione è un fenomeno ormai diffuso. Si riscontrano i miglioramenti nel mercato, è presente all’interno dell’organizzazione l’apprezzamento verso i risul-tati positivi, a questo punto dell’Hype Cycle è possibile misurare i reali benefici che il cambiamento ha prodotto.
La fase di realizzazione di un cambiamento è la parte più importante ed anche la più difficile da realizzare, comporta trasformazioni impegnative per manager e dipendenti, li obbliga ad uscire fuori dalla propria zona di comfortcaratterizzata da bassi livelli di ansia e stress e le prestazioni, seppur costanti, risultano non suf-ficienti per realizzare un cambiamento25.
Il cambiamento come processo complesso e dinamico comporta inevitabilmente un momento di rottura con il passato e quindi di confusione, per questo per affrontarlo è necessaria la presenza di una leadership forte e tenace26, coadiuvata
da dipendenti coinvolti e motivati, che guardi con una visione globale e sistemica l’approccio e la realizzazione del cambiamento.
1.5 L’importanza delle persone nelle organizzazioni
“Processes don’t do work, people do.”John Seely Brown
La società attuale, definita sempre più spesso “dell’informazione e della cono-scenza” ha determinato la crescente importanza strategica delle risorse immate-riali o intangibili, mutando nelle aziende, le precedenti determinanti della capa-cità competitiva e della creazione di valore27.
Aumenta l’importanza di possedere una, già accennata nei paragrafi precedenti, adeguata capacità innovativa, con questa cresce la rilevanza di instaurare
rap-25 A. White, From Comfort Zone to Performance Management, Belgio, White & MacLean Publi
shing, 2009 [1. Pubblicazione PDF]
26 R. L. Daft, Organizzazione Aziendale, Milano, Apogeo, 2014 [1.ed. 1983] Pag. 425
porti stabili e duraturi con clienti e fornitori, caratterizzati oggi quanto mai prima da fiducia, l’attenzione ai processi comunicativi e l’importanza di valorizzare il know-how dell’azienda, cioè quella configurazione unica di conoscenze, espe-rienze, abilità che possono conferirle un differenziale competitivo28.
L’investimento in capitale cognitivo rappresenta oggi non tanto un’opzione quanto una necessità, può permettere alle organizzazioni di raggiungere obiet-tivi di mercato sempre più sfidanti29, siano questi economico-finanziario, extra
economici, sociali o legati alla customer satisfaction.
Le risorse intangibili di un’azienda sono costituite da tre principali componenti: 1) Il capitale organizzativo, costituito dal complesso delle modalità organizzative messe in atto, l’asset delle risorse proprio dell’organizzazione come stile di dire-zione, struttura organizzativa, sistema informativo, sistema di coordinamento e controllo, sistema di gestione del personale, clima organizzativo.
2) Il capitale relazionale, costituito dall’insieme delle relazioni instaurate con clienti, fornitori, concorrenti, network di mercato, enti privati e pubblici.
3) Il capitale umano costituito dall’insieme delle competenze, esperienze, capacità proprie, formazione ricevuta, valori propri e trasmessi dall’azienda.
L’interazione tra le tre forme di capitale genera competenze e risorse spendibili sul mercato30. Le organizzazioni quindi hanno bisogno di persone motivate,
in-vestite di responsabilità, in formazione continua e con grandi capacità di creare community e lavorare in team per rispondere a nuovi interlocutori, siano questi interni o esterni, oggi alla ricerca di risposte sempre più veloci e di servizi sempre più personalizzati, per questo diventa determinante il sapere, il saper essere, il sa-per fare ed il voler essere31 delle risorse umane coinvolte nel processo aziendale.
Il venir meno dei modelli tayloristici-fordisti, verticisticamente determinati e ri-gidamente organizzati, lascia spazio ad un’organizzazione sempre più organica, basata sulla valorizzazione delle risorse umane e sul consenso che vive in modo imprescindibile nella comunicazione interna e dalla suo corretto allineamento con quella esterna al punto che quasi, non trova più luogo tale distinzione32.
Tutte le figure a contatto con l’esterno sono portatrici di valore per l’impresa e sono determinanti nell’avviare processi tramite i quali il valore può essere perce-pito anche dai nostri clienti.
Nella comprensione di tale complessità che presiede i processi di creazione di valo-re c’è la consapevolezza della trasformazione di ruoli ritenuti in passato semplice-mente esecutivi che nel contesto attuale si sono rivelati di importanza strategica.
28 M. Giannini, V. Turini, L’Azienda Industriale, Milano, Franco Angeli, 2013 pag 26-27
29 G. Bellandi, M. Giannini, La Gestione Integrata delle Risorse Umane nelle organizzazioni, Pisa
University Press, 2016
30 M. Giannini, V. Turini, L’Azienda Industriale, Milano, Franco Angeli, 2013, pag 26-27
31 N. Quagliarella, dispense, Be Light, educare per la vita., http://www.belighteducational.com/
Il Front office di qualsiasi attività aziendale ne è un esempio. Le organizzazioni non possono più non tenere in considerazione il fatto che anche una semplice comunicazione telefonica rappresenta il primo punto di contatto tra l’azienda e l’esterno, e che quindi in quel momento potenzialmente può avere inizio o può terminare la relazione con un cliente o un fornitore.
Diventa cruciale la capacità dell’addetto di interpretare le richieste dei clienti, dare informazioni complete, archiviare le informazioni correttamente, svolgere la fun-zione di filtro verso l’intera organizzafun-zione e, ultima ma non meno importante, gestire i reclami.
Quando un prodotto o servizio non soddisfa le esigenze di un cliente si ha un insuccesso e sono determinanti le service recovery, ovvero quelle azioni che l’or-ganizzazione mette in atto per recuperare gli insuccessi del servizio33.
Il front office e tutte le figure a contatto con l’esterno dell’organizzazione incontra-no inevitabilmente tali situazioni ed è richiesto loro di operare tenendo conto del particolarmente elevato coinvolgimento emotivo del cliente in caso di fallimento del servizio rispetto ad altri momenti della relazione come il primo contatto con l’organizzazione o durante la routine.
Inoltre i clienti risultano essere particolarmente insoddisfatti quando un’azienda fallice nel tentativo di recuperare un insuccesso precedente, piuttosto che dal fal-limento in se stesso34.
Per questi motivi il front office deve essere adeguatamente formato per agire di fronte a tali situazioni, utilizzando strumenti adeguati che devono in ogni caso essere concordati, autorizzati, delegati dalla dirigenza, ma per tutto questo è ri-chiesta particolare competenza e professionalità che non possono non accompa-gnarsi a capacità di problem solving, capacità organizzativa, di pianificazione e di avere la possibilità di prendere decisioni con un certo margine di autonomia. Sarebbe inutile progettare un determinato posizionamento dell’azienda rispetto ai competitors, fare campagne di comunicazione off line ed on line, oppure pro-gettare un nuovo servizio se poi non può essere adeguatamente messo in atto o diffuso dal personale effettivamente presente in azienda.
E non è mai sufficientemente richiamata l’attenzione che riveste l’immagine che i dipendenti hanno dell’azienda per cui lavorano e sui pericoli correlati nella diva-ricazione tra questa immagine e l’identità che l’azienda vuole esprimere di sé35,
l’immagine del personale è un riflesso dell’immagine aziendale, i lavoratori di oggi comunicano con il telefono, e-mail, intranet, chat e social network, fanno parte di reti professionali e personali sempre più fitte davanti alle quali le organizzazio-ni non possono chiudere gli occhi, nell’orgaorganizzazio-nizzazione del lavoro confluiscono le aspettative, le incertezze, le frustrazioni di coloro che vi sono coinvolti e questo ha
33 C. Gronroos, C. Monthelie, Service Management i den offentliga sektorn, Liber, 1988
34 G. Schiavi, La misurazione della Customer Satisfaction nelle aziende sanitarie, Milano,
Franco Angeli, 2004
ripercussioni sull’efficacia, sull’efficienza e sull’affidabilità del sistema36.
Si tratta di una presa di coscienza dell’organizzazione e delle sue relazioni che inevitabilmente porta a parlare di “benessere organizzativo”, con il quale si in-tende la capacità di un’organizzazione di promuovere, mantenere e migliorare, a tutti i livelli aziendali, qualità della vita, benessere fisico, psicologico e sociale. Un esempio emblematico è l’adozione da parte di FIAT del modello di gestione integrato World Class Manufacturing riguardante l’organizzazione negli aspetti legati all’ambiente, alla sicurezza sul lavoro, alla logistica, alla manutenzione e alla qualità, per la quale l’azienda è stata premiata nel 2012 a Lipsia, con il pre-stigioso Automotive Lean Production Award 2012 (categoria OEM) al Congresso Internazionale organizzato da ‘’Automobil Produktion’’ e Agamus Consult37 e
nel 2013 ha ricevuto la medaglia d’oro nella classifica mondiale del World Class Manufacturing (WCM)38. L’azienda ha riconosciuto, parallelamente agli
investi-menti nell’innovazione tecnologica, l’importanza del miglioramento delle pre-stazioni produttive attraverso la riduzione degli sprechi, l’attenzione alla quali-tà, la flessibilità e il coinvolgimento del personale. Quest’ultimo aspetto risulta particolarmente rilevante nel settore automotive dove i margini di redditività aziendale sono sempre più legati alla capacità di minimizzare i costi di produ-zione, le inefficienze e gli errori di progettazione. L’obiettivo è quello di far es-sere i lavoratori sempre più “manual-cognitivi” grazie alle attenzioni rivolte loro da parte dell’organizzazione. Interessante è l’affermazione “in Fiat si lavora bene e la Fiat lavora bene” che la descrive come una realtà buona in cui lavorare ed in cui si producono buone automobili39.
36 G. Bellandi, M. Giannini, La Gestione Integrata delle Risorse Umane nelle organizzazioni, Pisa
University Press, 2016, Pag. 378
37 Fonte: http://www.ansa.it/motori/notizie/rubriche/aziende/2012/11/09/Fiat-premio-Auto
motive-Lean-Production-Pomigliano_7767622.html (consultazione il 23 aprile 2017)
38 http://www.ilsole24ore.com/art/motori/2013-12-11/fiat-fabbrica-tychy-medaglia-d-oro-wor ld-class-manufacturing-124811.shtml?uuid=AChEDnsB&refresh_ce=1 (consultato il 23 aprile 2017)
39 G. Bellandi, M. Giannini, La Gestione Integrata delle Risorse Umane nelle organizzazioni, Pisa
1.6 Dalla mezzadria allo scenario internazionale, le PMI in Italia
Secondo alcuni studi40 in Italia la numerosa presenza di piccole e medie impreseed in particolar modo dell’organizzazione distrettuale41 trova origine storica nel
contratto mezzadrile.
Il distretto industriale, caratteristica peculiare dello sviluppo industriale italiano, condivide molti aspetti con il contratto di mezzadria, in prima istanza la mez-zadria garantisce varietà di colture con cui sostenere l’intero ciclo lavorativo e produttivo annuale, proprio come accade nel sistema integrato del distretto; l’altra caratteristica che accomuna entrambi si trova nella relazione competitiva temperata dall’esigenza di cooperare nella gestione di servizi comuni (trasporti, infrastrutture, ecc) e da relazioni comakership.
Ma l’aspetto più curioso che si evince da questi studi42 è anche la stessa cultura
imprenditoriale che sembra trovare origine proprio nella figura del mezzadro, occupato nell’organizzazione del lavoro di un appezzamento di terra al fine di renderlo efficientemente produttivo per provvedere al sostentamento proprio ed a quello della sua famiglia, senza però avere esigenze, capacità culturali e finanziarie per poter progettare ed utilizzare metodologie e tecnologie in grado di innovare. Garantendo al concedente (proprietario del fondo) una rendita con-veniente rispetto agli scarsi investimenti, la mezzadria costituì per molto tempo un disincentivo all’introduzione di metodi imprenditoriali nell’agricoltura, com-portando una scarsa produttività dei terreni.
Misurando le dimensioni delle imprese europee, secondo la definizione ed i canoni di microimprese, piccole e medie imprese dettata dalla Comunità Euro-pea43, in Italia la numerosità di microimprese e piccole imprese risulta essere
si-milare rispetto alla media europea44 e la vera peculiarità del modello produttivo
italiano risulta essere nell’esiguità dei termini assoluti: le micro imprese italiane sono piccolissime, le piccole e le medie imprese sono comunque di dimensioni minori alla media europea così come le grandi imprese risultano essere meno strutturate di quelle europee.
La differenza tra gli addetti medi totali delle due realtà è esplicativa, in Europa
40 F. Musotti, Le radici mezzadrili dell’industrializzazione, Torino, Rosenberg&Sellier, 2001
41 Il distretto industriale è “un sistema produttivo costituito da un insieme di imprese, preva-
lentemente di piccole e medie dimensioni, caratterizzate da una tendenza all’integrazione orizzontale e verticale e alla specializzazione produttiva, in genere concentrate in un determinato territorio e legate da una comune esperienza storica, sociale, economica e culturale.” Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/distretto-industriale_%28Diziona- rio-di-Economia-e-Finanza%29/ (consultazione 24 aprile 2017)
42 F.Musotti, Le radici mezzadrili dell’industrializzazione, Rosenberg&Sellier, Torino, 2001
43 Raccomandazione della Commissione, del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle
microimprese, piccole e medie imprese (Testo rilevante ai fini del SEE) [notificata con il numero C(2003) 1422] Gazzetta ufficiale n. L 124 del 20/05/2003 pag. 0036 - 0041
ogni impresa ha in media 7,2 addetti, il doppio rispetto ai 3,8 addetti nelle impre-se italiane45.
La presenza di microimprese con dimensioni sotto qualsiasi media, il carattere familiare della conduzione, la dimensione che limita gli investimenti in innova-zione perché non supportati da capitali sufficienti, sono elementi che sembrano confermare l’analogia con il modello culturale mezzadrile.
Nel mondo attuale ed in rapida evoluzione, proprio le piccole e medie imprese dovrebbero cercare di uscire dal circolo vizioso che le fa soffrire per il ridimensio-namento del proprio business, per la crescente competitività del mercato inter-nazionale, i costi unitari più alti e la già accennata carenza di innovazione dovuta agli scarsi investimenti, al fine di recuperare un vantaggio rispetto alle aziende concorrenti di dimensioni maggiori.
Le minacce dell’ambiente generano crisi ma anche opportunità, le PMI hanno la possibilità di scavalcare anche le grandi aziende a condizione che riescano a sfruttare la peculiarità della loro dimensione per strutturarsi in modo snello, met-tere in atto processi decisionali più rapidi, ricercando le condizioni necessarie per competere ed avviare anche processi di digitalizzazione ormai imprescindibili46,
cambiare non è mai facile ma può essere più semplice per le PMI rispetto ad aziende più complesse. La struttura più lineare e meno burocratica, le opportu-nità che hanno di instaurare relazioni più solide e dirette, la minore inerzia orga-nizzativa47 sono peculiarità spendibili sul mercato.
La leadership svolge un ruolo centrale nell’innovazione organizzativa e purtrop-po nel nostro Paese l’interpretazione diffusa della leadership risulta essere ridut-tiva, considerata come caratteristica innata e che eventualmente può essere per-fezionata solo con l’esperienza e il tempo48.
Nella PMI spesso la leadership coincide con la figura dell’imprenditore al quale è richiesta capacità di pensiero innovativo, lungimiranza, capacità di assunzione del rischio e, troppo spesso, mentre ci si occupa della direzione e della gestione viene meno l’attenzione agli aspetti legati alla soddisfazione ed il coinvolgimen-to dei lavoracoinvolgimen-tori49.
Il rischio dell’imprenditore risulta avere due prospettive, quella economica legata alla perdita del capitale investito, psicologica legata alla perdita fiducia in sé che può avere ricadute sulla capacità di intrattenere rapporti anche con i propri familiari50; questo spiega le ragioni per cui molti imprenditori sono fortemente
45 F.Musotti, Le radici mezzadrili dell’industrializzazione, Torino, Rosenberg&Sellier, 2001
46 L. Poma, Europa e nuovo sviluppo industriale. La leva della conoscenza, Milano, FrancoAngeli, 2014
47 L’importanza della leadership per le PMI, Oxford Economics
Fonte: http://www.oxfordeconomics.com/thought-leadership/leaders-2020 (consultazione 24 aprile 2017)
48 P. Gubitta, La formazione manageriale e imprenditoriale nelle PMI, Milano, FrancoAngeli, 2015,
pag. 14 49 Ibidem
50 E. Pontarollo, La fabbrica degli imprenditori, Telettra e i suoi spin off, Milano, V&P Università,
attaccati alle loro imprese, considerandole spesso delle loro creature, determi-nandone anche uno dei grandi punti di debolezza, il non saper rinunciare al con-trollo diretto e totale delle loro società, anche a fronte di scarse capacità gestio-nali. Quando l’imprenditore è costretto alla rinuncia del controllo sull’azienda, spesso affida le posizioni di vertice a membri della propria famiglia51.
I successi ottenuti in passato tendono a produrre un ottundimento del senso critico per cui molti imprenditori persistono nel credere che il modello di ge-stione adottato sia il segreto del successo e quindi non debba essere cambiato nonostante le difficoltà52, questo fenomeno è definito da Kotter con il termine
autocompiacimento53 e può durare anche per decine di anni.
Lo scenario attuale richiede rafforzamento delle capacità di governo e di innova-zione dell’azienda, perché l’innovainnova-zione richiesta non riguarda semplicemente ammodernare o rinnovare gli impianti, i macchinari o le applicazioni informati-che, l’innovazione è un processo interattivo, continuo, in cui i cambiamenti tec-nologici, gestionali ed organizzativi si influenzano in una spirale virtuosa di mi-glioramento delle performance aziendali54 con forti implicazioni culturali.
L’innovazione necessaria oggi alle imprese è più radicale delle precedenti perché come abbiamo già detto le innovazioni stanno viaggiando ad un’altra velocità rispetto al passato, è legata alla loro sopravvivenza e non è prima tecnologica e solo dopo manageriale o organizzativa ma, nel momento in cui si caratterizza come intervento di sistema con forti componenti gestionali, richiede uno sforzo organizzativo rilevante, necessariamente connesso alla presenza preliminare e diffusa in azienda di competenze manageriali ed organizzative forti, necessarie a governare processi di cambiamento così radicali55.
Internet è un fenomeno radicale ed epocale, l’accelerazione descritta nel primo paragrafo di questo capitolo è esplicativa delle dimensioni che questa rivoluzio-ne sta riscontrando, ed anche se la dimensiorivoluzio-ne del coinvolgimento è condizio-nata dall’intensità informativa del settore, ossia dalla pervasività dell’informazio-ne dell’informazio-nei prodotti/servizi e dell’informazio-nei processi, in modo sempre più importante qualsiasi iniziativa imprenditoriale che aspiri al successo o anche alla sopravvivenza deve tenere in considerazione che questo fenomeno ha già investito 3 miliardi di per-sone e continua a crescere56.
51 P. Gubitta, La formazione manageriale e imprenditoriale nelle PMI, Milano, FrancoAngeli,2015,
pag 13 52 Ibidem
53 J. P. Kotter, A sense of Urgency, Boston, Harvard Business Press, 2008
54 S. Galli, S. Torregiani, La gestione dell’innovazione nelle piccole e medie imprese,
collana piccola impresa e sviluppo, CNA Innovazione, Milano, FrancoAngeli, 2006
Disponibile su: http://www.cnainnovazione.net/admin/bsd_documenti/news/librotoregal liridotto.pdf (Consultazione 25 aprile 2017)
55 Ibidem
56 F. Fulvio, A. Granelli, R. Pone, G. Catalano, Il negozio nell’era di internet, Collana Le Bussole,
Nonostante questo ci sono ancora imprenditori e dirigenti che ritengono il pro-prio middle management non in grado di affrontare l’inevitabile trasformazione digitale57.
L’esito più evidente della diffusione di internet sui business è l’aumento dell’in-tensità competitiva legata alla estensione internazionale della concorrenza e alla riduzione dell’asimmetria informativa dei clienti che inevitabilmente coinvolge anche le PMI, il confronto competitivo assume quindi un ambito internazionale, in cui il grado di sviluppo delle strategie di comunicazione e marketing on line può condizionare le potenzialità di sviluppo e sopravvivenza di un’impresa58.
1.7 La rivoluzione digitale
La digitalizzazione è il processo con cui un’informazione viene digitalizzata, ovvero passa dal formato analogico al digitale, grazie ad una conversione verso il formato binario bit: binary digit.
L’esempio più eclatante del fenomeno della digitalizzazione presente nell’imma-ginario collettivo riguarda la televisione. Prima della nascita del digitale terrestre, la tv era analogica, per sintonizzare un canale era necessario cercare una fre-quenza ed anche se il segnale poteva essere scarso, era possibile intuire parte delle informazioni e del contenuto trasmesso attraverso la “nebbia elettronica”59.
Oggi la televisione digitale o si vede o non si vede, il codice binario è discreto e non lascia spazio a vie di mezzo.
Il processo di digitalizzazione oggi non investe soltanto la tv ma è il protagoni-sta della rivoluzione digitale in corso che vede internet ed i nuovi media come i motori di una nuova economia sempre più immateriale, post-moderna, post-for-dista e post-industriale.
Tali termini del “post” servono a sottolineare la rottura verso il passato in un pro-cesso che ci conduce verso l’attuale società dell’informazione e della conoscenza che non costituisce soltanto una rivoluzione delle abitudini personali di milioni di individui ma ha ripercussioni inevitabili in ambito politico, scientifico, socia-le ed economico60 e mentre le capacità per saper utilizzare un computer, una
connessione, uno smartphone, risultano essere di livello molto basso, invece le
57 L’importanza della leadership per le PMI, Oxford Economics
Fonte: http://www.oxfordeconomics.com/thought-leadership/leaders-2020 (consultazione 24 aprile 2017)
58 T. Vescovi, M. Iseppon, L’evoluzione di Internet come strumento di marketing e comunicazio ne
nelle PMI. I primi risultati di una ricerca empirica., Università Ca’ Foscari Venezia e Ecole
Supérieure de Commerce de Paris - EAP, Parigi, 25-26 gennaio 2002
Fonte: http://www.marketing-trends-congress.com/archives/2002/Materiali/Paper/It/Vesco vi%20Iseppon.pdf (Consultazione 25 aprile 2017)
59 R. Stella, C. Riva, C. M. Scarcelli, M. Drusian, Sociologia dei new media, Torino, Utet, 2014
competenze culturali per comprendere il funzionamento sociale, politico ed economico sono di tutt’altro spessore61; per questo motivo la rivoluzione in corso
si configura anche come una vera e propria rivoluzione della conoscenza.
Crisi prolungata, mutamenti strutturali, ingresso di nuovi player e rivoluzione di-gitale hanno profondamente stravolto, e continuano a mettere alla prova, interi mercati62, in modo particolare alcuni settori come quello dei media ed in ambito
retail l’impatto delle tecnologie digitali ha avuto una forza dirompente tale per cui conoscere e prendere parte al processo di trasformazione che ci investe è diventata una questione di sopravvivenza, non si tratta più di scegliere se perse-guire una strada o meno, di decidere se fare un investimento o meno.
La customer experience è condizionata in modo crescente da aspetti che sono digitali di default63.
Quando un cliente entra in un negozio fotografando un prodotto con il suo smartphone può ottenere:
1) consigli e suggerimenti dai suoi amici sui social; 2) informazioni e recensioni provenienti da vari siti;
3) informazioni circa la disponibilità ed il prezzo dello stesso articolo on line sui vari siti di e-commerce;
è evidente che tutto questo cambia le regole del gioco che fino ad oggi mol-te aziende e molti imprenditori, soprattutto in ambito retail, erano abituati a giocare64.
In questo scenario ristrutturare la propria strategia secondo un approccio com-pletamente nuovo ed accelerare la trasformazione di processi e funzioni azien-dali, si rivela fondamentale perché rimanere sul mercato e farlo con successo può durare poco tempo e sapersi adattare rapidamente alle nuove condizioni è vitale per il futuro delle aziende65.
Non per tutti è semplice trovare il modo di adeguare il proprio business al nuo-vo contesto di azione, mentre alcune imprese stanno applicando e traendo già vantaggio dalle tecnologie digitali, molte altre economie risultano essere ancora digitalmente poco mature.
61 A. Arvidsson, A. Delfanti, Introduzione ai media digitali, Bologna, Il Mulino, 2013
62 Fonte: https://www.accenture.com/it-it/insight-acn-looking-forward-trasformazione-digitale
(consultazione 30 aprile 2017)
63 Fonte: https://www.bcg.com/expertise/capabilities/technology-digital/digital.aspx
(consultazione 30 aprile 2017)
64 F. Fulvio, A. Granelli, R. Pone, G. Catalano, Il negozio nell’era di internet, Collana Le Bussole,
ConfCommercio 2015 [1. ed. 2014] pag. 7
65 Fonte: https://www.accenture.com/it-it/insight-acn-looking-forward-trasformazione-digitale
Secondo studi di Accenture Strategy66, si stima che l’economia digitale
(com-prendente varie forme di capitali e competenze digitali) rappresenti attualmente il 22,5% dell’economia mondiale e che il potenziale derivante dal digitale nella creazione di valore non è ancora sfruttato appieno.
La ricerca di Accenture (fig. 3) evidenzia la crescente importanza del digitale per le economie mondiali prevedendo che entro il 2020 l’economia digitale aumen-terà fino a costituire il 25,0%.
Secondo la Boston Consulting Group67, una tra le più importanti agenzie di
con-sulenza multinazionale con sede negli stati uniti, le industrie si trovano a diversi stadi di adozione delle tecnologie e tra quelle che più tardano ad avviare pro-cessi di digitalizzazione ci sono quelle orientate al processo come l’energia, i tra-sporti, i beni industriali e l’assistenza sanitaria, sembra esistere ad oggi un vero e proprio digital divide che coinvolge le organizzazioni a livello mondiale68 (fig.4).
66 M. Knickrehm, B. Berthon, P. Daugherty, Digital disruption: The growth multiplier, Accenture
Strategy, 2016, Disponibile su: https://www.accenture.com/it-it/insight-digital-disrup tion-growth-multiplier (Consultazione 30 aprile 2017)
67 L. Fæste, T. Gumsheimer, M. Scherer, How to Jump-Start a Digital Transformation, 2015
disponibile su: https://www.bcgperspectives.com/content/articles/transformation-lar
ge-scale-change-technology-business-transformation-how-jump-start-digital-transforma tion/ (consultazione il 30 aprile 2017)
68 Fonte: https://home.kpmg.com/us/en/home/media/press-releases/2016/05/sharp-digi
tal-divide-exists-in-organizations-kpmg-survey.html (consultazione 30 aprile 2017)
Per il management di queste industrie può risultare difficile sapere tramite quali modalità dare inizio all’implementazione dell’utilizzo di tecnologie digitali o an-che coglierne la necessità.
Accenture in una ricerca69 identifica 3 azioni chiave che leader aziendali possono
mettere in atto per raggiungere nuovi livelli di produttività e crescita:
1) Dare la priorità agli investimenti digitali che offrono opportunità di accresce-re il valoaccresce-re, che significa equilibraaccresce-re gli investimenti nel digitale in modo che la combinazione ottimale dei miglioramenti ottenuti aiuti a generare i migliori ren-dimenti possibili;
2) Competere tramite strategie digitali specifiche in base al settore, consiste nel definire quali piattaforme, ruoli e dati sono fondamentali per competere con suc-cesso in un determinato settore industriale;
3) Creare l’ambiente ideale per la trasformazione digitale, migliorando il proprio “QI digitale”, collaborando con la Pubblica Amministrazione per dare vita a rela-zioni interindustriali e cambiare le regole della concorrenza;
69 Fonte https://www.accenture.com/it-it/insight-digital-disruption-growth-multiplier
(Consultazione 30 aprile 2017)
Fig. 4 | fonte: https://www.bcgperspectives.com/content/articles/transformation-large-scale-change-technology-busi ness-transformation-how-jump-start-digital-transformation/ (consultato 30 aprile 2017)
Oggi le tecnologie digitali offrono nuovi rischi e nuove opportunità determinan-do una rivoluzione culturale, tecnica e tecnologica che fa assumere alle nuove tecnologie ed internet in particolare, caratteristiche similari a quelle dell’elettrici-tà per prezzo ed ubiquidell’elettrici-tà.
Le organizzazioni di tutte le dimensioni sono coinvolte in questa corsa all’inno-vazione dove si consuma meno carta e si produce più efficienza, dove la compe-tizione chiede di ridurre i costi ma non la soddisfazione dei nostri stakeholders, dove ogni azione ha ripercussioni in una rete di relazioni sempre più strette.
1.8 ZMOT, rating e web locale: cosa succede POST-INTERNET
“When consumers hear about a product today, their first reaction is ‘Let me search online for it.’ And so they go on a journey of discovery: about a product, a service, an issue, an opportunity. Today you are not behind your competition. You are not behind the technology. You are behind your consumer.”
Rishad Tobaccowala
Chief Strategy & Innovation Officer
Grazie ad internet sono aumentate le possibilità di interazione tra le organizza-zioni ed i diversi stakeholders, questo succede per vari motivi, uno dei quali è dato dalla sensazione, prodotta dalla cultura digitale, che il mondo sia raggiungi-bile con le dita attraverso la tastiera in un processo di estensione di scala mentre un fenomeno inverso di riduzione di scala fa sì che gli ambienti di vita e di lavoro diventino sempre più piccoli70 e localizzati.
Per comprendere quanto questa interazione sia diventata cruciale dobbiamo te-nere conto che ogni giorno cento milioni di volte tramite smartphone, laptop e device di ogni tipologia, clienti fanno scelte in grado di influenzare in modo non poco determinante il successo o il fallimento di gran parte dei brand del mondo71.
In passato, i potenziali clienti venivano tempestati da un’immensità di messaggi e stimoli per indurli all’acquisto di un determinato bene o servizio, questo costituit-va il primo stadio del processo di acquisto72. Successivamente, i potenziali clienti
necessitavano in media da 3 a 7 secondi per decidere se procedere con l’acquisto o meno, quei pochi ma determinanti secondi vengono definiti da Procter & Gam-ble “il Primo Momento della Verità” (First Moment Of Truth, FMOT) 73 del processo
di acquisto, quel processo decisionale sis volgeva nello spazio di tempo che una
70 R. Stella, C. Riva, C. M. Scarcelli, M. Drusian, Sociologia dei new media, Torino, Utet, 2014 (pag.44)
71 J. Lecinski, Winning the Zero Moment of Truth, Google, 2011 disponibile su:
https://ssl.gstatic.com/think/docs/2011-winning-zmot-ebook_research-studies.pdf
72 A.G. Lafley, R. Charan, The Game-Changer: How You Can Drive Revenue and Profit Growth with
Innovation, New York, Crown Publishing Group, 2008, pag. 5
persona trascorreva davanti al prodotto, in bella vista sullo scaffale di un grande magazzino o di un supermarket.
Il terzo stadio del processo d’acquisto era costituito da un Secondo Momento della verità ed era dato dall’esperienza di utilizzo del prodotto acquistato.
Internet ha un impatto sulle modalità con cui raccogliamo informazioni, perce-piamo il valore di un prodotto o servizio e successivamente facciamo delle scelte, in Google definiscono questo come il momento zero della verità, o semplice-mente ZMOT (“Zee-MOT”)74.
Con l’avvento del web, il tradizionale processo d’acquisto viene scavalcato da questo quarto passaggio, il Momento Zero della Verità, che va a posizionarsi in modo precedente al primo.
Il Momento Zero della Verità si realizza mentre il potenziale cliente cerca su Inter-net informazioni e recensioni su un prodotto che desidera acquistare.
Oggi stiamo assistendo ad una inedita sovrapposizione dei vari momenti della verità perché questi si stanno incontrando: nello stesso frangente in cui un clien-te che si trova in un negozio e quindi è fisicamenclien-te presenclien-te nel primo momento della verità, può comunque passare per il momento Zero tramite la consulta-zione nel web delle caratteristiche tecniche del prodotto, compararne i prezzi, leggere le recensioni.
Nell’epoca post internet le persone cercano, trovano e condividono le informa-zioni su prodotti e servizi con modalità e tempistiche individualizzate anche in assenza di stimoli provenienti dall’esterno.
Per questo motivo, il classico passaparola (word of mouth), continua ad essere di fondamentale importanza per qualsiasi azienda e brand e, digitalmente mediato, sta costituendo una vera e propria pratica digitale e social. Gli utenti scambian-dosi pareri circa le proprie esperienze di acquisto alimentano sistemi di rating ben definiti, la ristorazione è stata uno dei primi settori a muoversi in questa di-rezione e TripAdvisor ne è un esempio mentre per altre categorie merceologiche invece sistemi sono ancora in fase di sviluppo.
Nel settore automotive per esempio, è stato recentemente introdotto il sistema di feedback da parte degli utenti di AutoScout24, dopo vari tentativi falliti di isti-tuire siti dedicati specificatamente alla valutazione dei concessionari auto. Questo accade anche grazie alla diffusione di device in grado di produrre contenuti di testo, foto, audio e video, così gli utenti web acquiscono una nuova definizione, quella di prosumer75, un termine derivato dalla fusione di producer con consumer
che sta ad indicare la possibilità da parte di chi fruisce di contenuti, di produrne. Questo fenomeno fa emergere un nuovo paradigma economico noto come “economia della reputazione”, utile per testimoniare la crescente importanza
74 J. Lecinski, Winning the Zero Moment of Truth, Google, 2011 disponibile su:
https://ssl.gstatic.com/think/docs/2011-winning-zmot-ebook_research-studies.pdf
delle nuove modalità relazionali fondate sul credito ed in grado di creare valore76.
La reputazione ha la funzione di anticipare al cliente potenziale quali saranno i possibili comportamenti dell’organizzazione e più in generale è un indicatore in grado di sintetizzare l’efficacia della gestione delle relazioni con i diversi portatori di interesse77. Viene meno anche l’asimmetria che caratterizzava il recente
pas-sato in cui le grandi aziende, con maggiori capacità economiche e propensione all’innovazione rispetto PMI, adottavano migliori tecnologie nella gestione orga-nizzativa e nella relazione con la clientela78.
Il web offre pari opportunità a grandi imprese e PMI di ottenere un’identica vi-sibilità nel flusso di informazioni raggiungibili ed anche le piccole aziende non possono non essere presenti, anzi devono cogliere l’opportunità che il web offre di creare una propria immagine o un proprio brand che comunichi una chiara identità e gli consenta di distinguersi, creare ed alimentare i canali di contatto at-tivando quanti più canali possibili come mail, form online, telefono, social, al fine di avvicinare potenziali clienti tenendo anche conto che, grazie al continuum tra spazi fisici e digitali, il web acquisisce sempre più una connotazione territoriale imprescindibile soprattutto per le attività commerciali.
Mentre alcuni anni fa per cercare un negozio o un ristorante in cui andare si uti-lizzavano le PagineGialle cartacee, oggi queste restano abbandonate negli in-gressi dei condomini per mesi oppure nel cellophane in un mobile del salotto soppiantati da siti web ed applicazioni. Si tratta di essere presenti nel luogo in cui i nostri clienti scelgono (come abbiamo esplicato all’inizio di questo paragrafo) ma si tratta anche di essere presenti su una sorta di PagineGialle 2.0 dove oltre a fornire le proprie informazioni di base come tipologia di business, indirizzo e come raggiungerlo, orari, numero di telefono, le aziende hanno anche la possibi-lità di raccontarsi, comunicando la propria vision e mission, la storia, mostrando le persone e le professionalità presenti, promuovere e monitorare nuovi servizi. Mentre le PMI che eseguono lavorazioni o prodotti molto specializzati hanno la possibilità nel web di non “sparare nel mucchio” per farsi trovare ed intervenire nelle comunità di riferimento procurando notevoli vantaggi in termini di investi-menti e tempo, altre, dato che su internet non ci sono confini (se non quelli dovu-ti alla localizzazione dei contenudovu-ti ed alla traduzione in lingue straniere) possono avere un’occasione in più essere presenti e trovare nuovi clienti a centinaia di migliaia di chilometri.79
76 M.T. Cuomo, G. Metallo, D. Tortora, Corporate reputation management: Analisi e modelli di
misurazione, Torino, Giappichelli Editore, 2014 [1 ed. 2012] Pag. IX 77 Ibidem
78 A. De Luca, Innovazione e competitività delle PMI in Italia. Metodi e modelli di mercato, Milano,
Franco Angeli, 2009, pag. 219
79 M. Bertoli, Web Marketing per le PMI: Fare business con SEO, email marketing, Google, Facebo
capitolo secondo
L’industria delle industrie
“Credo nel cavallo. L’automobile è solo un fenomeno passeggero.” Guglielmo II di Prussia e Germania
2.1 Dal settore automobilistico al dealer
Il settore automobilistico è considerato il settore industriale per eccellenza80,
de-finito l’industria delle industrie81, per aver determinato la storia economica,
socia-le e culturasocia-le del ventesimo secolo.
L’automobile, prodotto per eccellenza della società del consumo fiorente, per merito dell’intersettorialità che la caratterizza ha contribuito a strutturare lo spa-zio geografico, ha influenzato e determinato le politiche di trasporto, di pianifica-zione del territorio, energetiche, industriali e ambientali82.
La domanda di automobili ha avuto, sin dalla sua nascita come bene industriale negli anni ‘60, varie connotazioni, tra queste un importante valore simbolico che va oltre il soddisfacimento di esigenze legate al trasporto ma è connesso anche all’affermazione di un’individualità83, simbolo di stile, status e ricchezza84.
Il settore automobilistico ha una rilevanza per l’economia imparagonabile a quel-la di nessun altro settore manifatturiero, l’economia dell’automobile si alimenta di produzioni diverse dato che un veicolo è composto da circa quindicimila com-ponenti di acciaio, alluminio, vetro, plastica, gomma, tessile ed elettronica oltre le quali è da considerare tutto il processo post-produzione che si alimenta della commercializzazione e della successiva vita utile: il momento dell’immissione sul mercato di un veicolo è accompagnato da servizi assicurativi di garanzia ormai divenuti tradizionali, formule di finanziamento, programmi di manutenzione85.
Nei paesi come l’Italia il cui parco circolante risulta essere maturo, 9.6 anni in me-dia secondo uno studio di facile.it86, la spesa totale per questa tipologia di servizi
ha raggiunto un valore pari alla spesa per l’acquisto di auto nuove87.
80 E. Candelo, Il Marketing del settore automotive, Torino, Giappichelli Editore, 2009, introduzione
81 P. F. Drucker, Concept of the Organization., New York, John Day Co, 1946
82 http://www.treccani.it/enciclopedia/industria-automobilistica_%28Enciclopedia-Italiana%29/
(consultazione 21 maggio 2017)
83 F. Paolini, Storia sociale dell’automobile in Italia, Roma, Carocci Editore, 2007, pag. 12
84 F. Cassia, M. Ferrazzi, L’industria dell’auto, come la globalizzazione cambia la macchina che ha
cambiato il mondo., Padova, LibreriaUniversitaria.it, 2016 pag. 11
85 Ibidem pag. 12
86 https://www.facile.it/assicurazioni/osservatorio/rc-auto-italia.html Consultazione 28 maggio 2017
87 F. Cassia, M. Ferrazzi, L’industria dell’auto, come la globalizzazione cambia la macchina che ha
Per questo impatto straordinario sull’economia, l’industria dell’auto è stata prota-gonista di sperimentazioni, sviluppi tecnologici e forme organizzative del lavoro, come il fordismo padre della catena di montaggio, lo sloanismo88 che da vita ai
cambiamenti annuali di stile e quindi al concetto di obsolescenza tecnologica, il toyotismo, una vera e propria rivoluzione manageriale e culturale che si approc-ciava alla produzione con la logica del miglioramento continuo e del just in time al fine di eliminare le scorte di magazzino, fino ad arrivare al successo di FIAT con il modello di fabbrica integrata, già citata in questa tesi; tali metodologie oggi co-stituiscono la storia ed un vero e proprio patrimonio di innovazioni organizzative e manageriali.
La produzione di un’automobile con tutti gli elementi che la compongono è uno dei processi più automatizzati dal punto di vista manifatturiero, tra i più integrati dal punto di vista logistico e anche tra i più globalizzati89.
Nonostante la crisi degli ultimi anni e il conseguente ridimensionamento del mercato, il settore dell’automotive riveste ancora un ruolo rilevante all’interno delle economie occidentali.
Nel suo complesso, dalla fase industriale a quella distributiva, l’intera filiera dell’auto genera in Italia quasi il 5% del Pil nazionale, gli addetti complessivi (di-retti e indi(di-retti) della filiera automotive arriverebbero a oltre 1,2 milioni di cui soltanto 500mila impegnati nelle fasi produttive.
Questi dati mettono in luce le implicazioni e gli effetti rilevanti che questa indu-stria ha sulla capacità di creare benessere nei settori correlati e territorialmente distribuiti90.
Il dealer o concessionario automobilistico in particolar modo svolge un ruolo fondamentale nell’industria automobilistica per due principali ragioni:
1 rappresenta una porzione considerevole della catena del valore, generalmente è stimata dal 25 al 30% del prezzo del veicolo oltre ad occupare, sia in Italia che nel resto dei mercati maturi, un numero di impiegati nella vendita e nel post-ven-dita superiore rispetto a quelli impiegati in produzione e assemblaggio;
88 Sistema di produzione che segue il fordismo, prende il nome da Alfred Sloane, Presidente
della General Motors tra il 1923 e il 1949, detta le regole sulla quale si baserà la moderna società dei consumi: l’introduzione della nozione di gamma, cioè la proposta di una scelta di colori e di opzioni per uno stesso modello prodotto in serie.
Fonte: C. L. Quistelli, Da venti a trentamila oggetti, conoscenza, sperimentazione, innovazione, Roma, Aracne Editrice, 2009 Pag. 17
89 F. Cassia, M. Ferrazzi, L’industria dell’auto, come la globalizzazione cambia la macchina che ha
cambiato il mondo., Padova, LibreriaUniversitaria.it, 2016 pag. 5
90 Il settore automotive nei principali paesi europei, Ricerca promossa dalla 10a Commissione Industria, Commercio, Turismo del Senato della Repubblica, UnionCamere, Prometeia, Copy
graph Sas, Roma, 2015, pag. 15
Disponibile su: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/ dossier/file_internets/000/001/188/Volume_Completo_Automotive_con_copertina.pdf
2 rappresenta un punto fondamentale per l’efficacia dell’intero sistema automo-bilistico, il valore percepito dal cliente non dipende esclusivamente dal veicolo in sé e delle sue caratteristiche tecniche ma è determinato da molti altri fattori, nel dealer i caratteri del brand rappresentato si traducono in un luogo fisicamente collocato ed in qualità dell’esperienza d’acquisto91.
All’interno del dealer avviene l’incontro tra l’offerta e la domanda concepita non soltanto come luogo dove si scambia denaro ma come luogo in cui si manifesta-no gli effetti evidenti provocati dai mutamenti dei driver che regolamanifesta-no l’intero settore automobilistico.
Il grado di complessità del prodotto è come abbiamo detto elevato, l’offerta ap-pare quindi sempre più frammentata, il numero dei principali produttori e brand sul mercato raggiunge la trentina dando il via ad una gara di proposte tecnolo-giche e dotazioni di serie che finiscono per creare prodotti sempre più complessi ma tecnicamente simili92.
Tale vicinanza qualitativa e tecnica tra i prodotti ha comportato un aumento di attenzione verso le componenti intangibili dell’acquisto e l’uso del veicolo come customere care, immagine del brand, fidelizzazione del cliente93.
Nel mentre anche la complessità dal lato della domanda è aumentata. L’auto di per sé è un bene la cui frequenza d’acquisto è ridotta oltreché caratterizzata da un notevole sacrificio economico ed investimento psicologico per il cliente, fat-tori non certo agevolati dai recenti trend economici. L’accelerazione estrema del-le tecnologie dell’informazione e della comunicazione unite al crescente uso dei social network hanno alterato la quantità e la qualità delle informazioni reperibili, i processi pubblicitari e d’acquisto. L’enorme quantità di informazioni ha gene-rato un altissimo livello di trasparenza ed ha ridotto drasticamente l’asimmetria informativa tra clienti e venditori riguardo le caratteristiche del prodotto stesso facilitando anche il suo confronto con la concorrenza94.
La vendita di auto nuove in Italia risulta essere fortemente ridimensionata sia in termini assoluti, causati dalla stagnazione economica, che in termini relativi per l’avanzamento di altri mercati, mentre il mercato delle auto usate italiane si è rivelato molto più stabile rispetto a quello delle auto nuove95.
Per tutti questi motivi i concessionari e le case automobilistiche stesse hanno puntato i riflettori sui business che avevano ancora inespresso una parte del loro potenziale, tra questi il settore dell’usato.
91 A. Stocchetti, G. Trombini, F. Zirpoli, Automotive in transition, challenge for strategy and policy,
Automotive strategy and Organization, vol.1, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2013 pag. 77
92 F. Cassia, M. Ferrazzi, L’industria dell’auto, come la globalizzazione cambia la macchina che ha
cambiato il mondo., Padova, LibreriaUniversitaria.it, 2016, pag. 49
93 A. Stocchetti, G. Trombini, F. Zirpoli, Automotive in transition, challenge for strategy and policy,
Automotive strategy and Organization, vol. 1, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2013 pag. 81 94 Ibidem
95 F. Cassia, M. Ferrazzi, L’industria dell’auto, come la globalizzazione cambia la macchina che ha