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Le sirene Evoluzione della figura letteraria da Omero a Tomasi di Lampedusa

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA E STORIA

DELL’ANTICHITÀ

ELABORATO FINALE

Le sirene: trasformazioni di una figura letteraria da Omero a Tomasi di

Lampedusa

CANDIDATO RELATORE

Tommaso Natella prof. Alessandro Grilli

CORRELLATORE

prof.ssa Elena Rossi Linguanti

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Sommario

Sommario ... 1

Introduzione ... 3

Capitolo I. Aspetto, origine, genealogia delle sirene ... 6

1. Contestualizzazione del racconto all’interno dell’Odissea ... 7

1.1 Le sirene nel racconto di Omero: cosa sono e cosa fanno ... 12

2. Forma fisica delle sirene ... 18

2.1 Le sirene come donne-uccello ... 20

3. Genealogia delle sirene ... 31

4. Luoghi mitici e geografici delle sirene ... 37

5. Parentela tra sirene e altre creature mitologiche: evoluzione delle sirene dalla cultura greca a quella romana e medievale ... 40

Capitolo II. Il canto, la tentazione e la morte dell’eroe ... 54

1. Contenuto e parole chiave del canto ... 54

2. L’invocazione a Odisseo: le sirene come ostacolo del nostos ... 66

3. Le sirene e la femminilità nell’Odissea ... 72

3.1 Circe ... 72

3.2 Calipso ... 76

3.3 Sirene ed eros nell’Odissea ... 80

4. Sirene e cantori nell’Odissea: affinità e differenze ... 90

4.1 Femio, Demodoco, le muse: la performance del canto epico ... 92

Capitolo III. Tomasi di Lampedusa e la sirena: Lighea e l’inversione dell’epos omerico ... 106

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1.1 Lighea nel corpus letterario di Tomasi di Lampedusa ... 112

2. Lighea: nome di una sirena ... 116

2.1 La sirena di Lampedusa: un’eredità dell’antico e del moderno ... 121

2.2 La sirena nel racconto: Omero e Lampedusa ... 131

3. Il canto delle sirene e il canto di Lighea: la vita e la morte dell’eroe ... 138

Conclusioni ... 150

Bibliografia ... 152

Monografie ... 152

Testi e edizioni critiche ... 155

Articoli ... 158

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Introduzione

(…) Ὅμηρος δὲ οὔτε γένος αὐτῶν παρίστησιν οὔτε πτερωτὰς αὐτάς φησιν εἶναι. αἱ Σειρῆνες ἢ ὄρνιθες κέλαδοι ἦσαν ἐν λειμῶνι, ἢ γυναῖκες θελκτικαὶ καὶ ἀπατητικαὶ, ἢ αὐτὴ ἡ κολακεία. πολλοὺς γὰρ θέλγει καὶ ἀπατᾷ καὶ ὡσανεὶ θανατοῖ. (…)

Schol. ad Od. XII, 39

γυναῖκάς τινας εὐφώνους γεγενῆσθαι μῦθος πρὶν Ἑλληνικός, (...) εἶχον δὲ ἀπὸ μὲν τοῦ θώρακος καὶ ἄνω εἶδος στρουθῶν, τὰ δὲ κάτω γυναικῶν. ὁι μυθολόγοι Σειρῆνας φασὶ θηλυπρώσοπά τινα ὀρνίθια εἶναι, ἀπατῶντα τοὺς παραπλέοντας, ᾄσμασι τισι πορνικοῖς κηλοῦντα τὰς ἀκροὰς τῶν ἀκροωμένων. καὶ τέλος ἔχει τῆς ἡδονῆς ἡ ᾠδὴ ἕτερον μὲν οὐδὲν χρηστόν, θάνατον δὲ μόνον. (…) Suda, Σειρῆνας

Il presente elaborato si propone di tracciare un percorso che partendo dalla prima apparizione della sirena attestata nella storia della letterattura arrivi fino alla contemporaneità, passando attraverso una ricchissima tradizione in cui tale figura viene affrontata di volta in volta dal singolo genere letterario ed autore, sviscerando caratteristiche nuove e stimolanti. Andrà tenuto presente che la tesi non si propone di toccare qualsiasi testo o raffigurazione che abbia la sirena come protagonista; tale operazione, più vicina alla redazione di una voce enciclopedica, dovrebbe considerare una pluralità di fonti impossibile da far rientrare in modo organico nel progetto, e rischierebbe di allontanarsi dal

principale proponimento dello scritto: considerare il paradigma presente nel libro XII dell’Odissea, valutarne i cambiamenti avvenuti nel corso della storia e

confrontare il testo omerico con uno specificio della cultura contemporanea. Da questa prima considerazione andranno considerate due principali direttive per lo sviluppo dell’argomentazione: l’analisi del passo omerico e il successivo

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riprese concettuali emergenti dallo sviluppo della vicenda, una forte connessione con l’antichità classica; la scelta ricade sul racconto del 1957 Lighea di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in cui è esemplificata l’eredità della tradizione antica e allo stesso tempo il distacco progressivo dall’insieme di valori e di concetti presenti nell’Odissea.1 Per quanto concerne lo studio dell’Odissea la ricerca si

soffermerà su due aspetti fondamentali della figura letteraria della sirena: l’aspetto fisico (tema che verrà sviluppato nel capitolo I), e le caratteristiche peculiari del suo operato nella storia (trattato nel capitolo II). Quest’ultimo punto comporta anche soffermarsi su una tripartizione delle caratteristiche che si

mantengono costanti da Omero fino ai giorni nostri: la natura di ibrido umano-animale, la connessione con la sfera della morte violenta, e infine il canto come principale mezzo di annientamento perpetrato dalla sirena.

Proprio questo mantenimento di peculiarità, passibili di parziali modifiche dettate dal contesto culturale, impone anche di stabilire una necessaria

tripartizione della tradizione riguardante il mito delle sirene: la prima,

diegematica, vede la ripresa del racconto omerico con protagonista Odisseo che

resiste al canto delle sirene; la seconda, emblematica, considera la sirena come una creatura ormai staccatasi dal suo contesto narrativo specifico e riutilizzabile come a sé stante; nel terzo caso ad essere presi in considerazione sono invece gli archetipi che si palesano nella storia letteraria in luoghi e periodi distanti tra loro, in cui la sirena diviene il palesamento di una serie di concetti non dipendenti dall’evoluzione della tradizione.2 Nel testo verranno affrontati diffusamente tutti

e tre gli ambiti, con un particolare riguardo per i primi due, che nel nostro caso si svelano nell’analisi delle riprese dirette del racconto omerico e in quelle della

1Va sempre tenuto presente che la storia della letteratura mondiale successiva all’Odissea ha

rielaborato la figura della sirena declinandola secondo svariate variazioni possibili; nella tesi si farà accenno ad alcune di queste, tenendo presente la coerenza che quest’ultime devono avere con il tema trattato. Per quanto riguarda il periodo moderno, in particolar modo il XIX e XX secolo, è utile la consultazione di P. Boitani, L’ombra di Ulisse: figure di un mito, Bologna, Il Mulino, 2003

2Per la tripartizione della tradizione in diegematica, emblematica e archetipica vedere A. Grilli,

Storie di Venere e Adone: bellezza, genere e desiderio, Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2015,

pp. 23 ss. Nello stesso testo vedere pp. 81-84 per la disambiguazione del termine archetipo: si definisce tale l’astrazione a posteriori di moduli costanti e situazioni narrative riaffioranti in varie culture e in diverse epoche storiche.

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sirena come personaggio letterario ormai staccatosi del tutto dal genere di appartenenza: non mancheranno comunque accenni alla tradizione che vede il disvelarsi nel caso particolare della sirena di archetipi narrativi più antichi e reiterati nella storia letteraria.3 Tenendo presente questo approccio allo studio

della materia, apparirà evidente come la scelta del testo di Lampedusa riesca a farsi carico di tutti e tre gli ambiti precedentemente descritti: in esso la sirena sopravvive come protagonista della tradizione classica in espliciti rimandi testuali, è diretta discendente di una tradizione europea in cui il suo ruolo è centrale ed ormai indipendente dall’Odissea, e la sua apparizione fa riaffiorare nel racconto dello scrittore siciliano la presenza di un archetipo già consolidato.

Cuore della trattazione rimane però lo stretto rapporto tra il testo dell’Odissea e la ripresa che viene compiuta in epoca moderna dei concetti in esso presenti; è possibile far emergere in modo assai produttivo un ruolo che le sirene occupano all’interno della trama del poema epico e studiarlo in parallelo con il ruolo che invece occupano nella modernità. A questo punto apparirà in modo chiaro il debito della modernità, insito nella riproposizione delle qualità proprie della sirena omerica, nei confronti dell’antico, e al tempo stesso si presenteranno una serie di differenze, figlie del tentativo di ripensare in modo diverso le categorie nascenti con Omero. L’antico quindi si ripropone nel moderno, tracciando un solco in cui inevitabilmente confluiscono i più disparati tentativi di rilettura; ma è nell’allontanamento e nell’alterazione dei presupposti e sviluppi del mito che il moderno crea un senso del tutto nuovo e unico.

3Si veda in particolar modo cap. III 2.1, La sirena di Lampedusa: un’eredità dell’antico e del

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Capitolo I.

Aspetto, origine, genealogia delle sirene

Dovendo dare un inizio alla tradizione letteraria riguardante le sirene, la prima tappa da prendere in esame è necessariamente il passo dell’Odissea del libro XII che le vede antagoniste di Odisseo. Come, precedentemente, detto

nell’introduzione, alcuni dettagli presenti nel testo portano a pensare che la sirena non sia un’invenzione di Omero, quanto una figura ripresa da una tradizione precedente che riusciamo solo in parte a ricostruire; una volta stabilito ciò, occorrerà comunque analizzare il racconto epico, in cui la sirena è inserita all’interno di un contesto drammatico, e, di conseguenza, isolare alcuni elementi topici riguardanti il suo modus operandi.

Va tenuto in considerazione in considerazione che le sirene non sono presenti

direttamente all’interno del racconto, ma che la loro comparsa è segnata da

un’intersecazione di varie linee narrative in cui spesso e volentieri cambia il narratore della vicenda; inoltre compaiono in un momento ben preciso del viaggio di ritorno di Odisseo, in cui determinati episodi avvenuti

precedentemente nella trama del poema fanno sentire la loro influenza nei passi di cui somo protagoniste. Allo stesso tempo la sequenza che occupano nel racconto in analessi di Odisseo, nei libri IX-XII, si differenzia per costruzione narrativa rispetto agli avvenimenti raccontati in precedenza, e il loro ruolo nella trama va considerato parallelamente a quello delle altre minacce che l’eroe si trova ad affrontare.

Di seguito quindi si cercherà di analizzare il testo per quanto riguarda la posizione specifica che le sirene occupano nella narrazione, per poterne trarre informazioni necessarie per ricostruire una loro descrizione che possa essere

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presa come indipendente rispetto al poema omerico, e in seguito trarre le prime conclusioni relative al ruolo di cui sono investite nella narrazione.

1. Contestualizzazione del racconto all’interno dell’Odissea

La comparsa delle sirene nell’Odissea coincide con la parte finale della narrazione delle avventure di Odisseo, nella sezione del poema che abbraccia i libri IX-XII; la loro apparizione avviene nei primi 200 versi del libro XII, e in questo breve scorcio del poema vengono introdotte per ben due volte, per poi apparire direttamente sul cammino dell’eroe. Un breve accenno agli eventi della prima parte del libro XII evidenzierà in modo più chiaro quanto detto:

-sezione vv. 1-32, Odisseo approda sulla spiaggia di Eea nottetempo, di ritorno dalla terra dei Cimmeri e dall’interrogazione del defunto indovino Tiresia; lì riposa fino al sorgere dell’alba. Una volta venuto il nuovo giorno, invia i

compagni al palazzo di Circe per recuperare il cadavere di Elpenore, del quale in seguito vengono officiati sulla spiaggi i rituali funebri.1 Dopo le esequie Circe

giunge alla spiaggia insieme alle ancelle, portando vino, pane e carne, e prega Odisseo e i compagni di mangiare e riposare per tutta la giornata, per poter poi riprendere la navigazione il giorno successivo. Il banchetto sulla spiaggia dura fino a quando non calano le tenebre.

1La sorte di Elpenore è narrata da Omero in Od. XI, 51-83; una volta che Odisseo ha immolato

il montone e la pecora nera e il loro sangue ha bagnato il fondo della fosse precedentemente scavata, si affollano intorno al luogo del sacrificio le anime dei morti, tra le quali «fanciulle, giovani donne, vecchi esperti di pene, vergini tenere tolte alla vita e molti colpiti da lance acute di bronzo, uccisi uomini in guerra l’armi impugnando tinte di sangue», OMERO, Odissea, a cura di Enzio Cetrangolo, Milano, BUR, 2000. Mentre Odisseo allontana le anime agitando la spada, tra queste si fa avanti l’anima di Elpenore, la cui apparizione lascia sgomento l’eroe: questi spiega di essere morto nel palazzo di Circe, precipitando dal tetto dopo che si era assopito per il molto vino bevuto. Prega poi Odisseo, piangendo, di non lasciarlo insepolto una volta tornato presso Circe: l’eroe dovrà bruciarne i resti insieme alle armi, e piantare sul tumulo il remo che aveva fatto da compagno al morto per tutto il corso della sua vita, di modo che anche ai posteri giunga notizia della morte di Elpenore.

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- sezione vv. 33-141, Circe prende da parte Odisseo e gli pone domande riguardo quanto ha visto e sentito nella terra dei Cimmeri; passa poi a metterlo in guardia riguardo i pericoli che ancora lo separano dal ritorno ad Itaca. Il primo passo sulla via del ritorno sarà proprio il passaggio di fronte all’isola delle sirene (vv. 35-54), seguito dal passaggio tra Scilla e Cariddi (vv. 55-127) e alla sosta presso Trinacria, l’isola del Sole (vv. 128-141).

- sezione vv. 142-164, una volta esposti i pericoli della rotta, subito viene l’alba e Circe risale verso la sua casa. Odisseo si ricongiunge con i compagni e li invita a riprendere subito il mare. Durante la navigazione decide di informarli riguardo i pericoli cui andranno incontro, tra i quali l’incontro con le sirene (vv. 154-164).

- sezione vv. 165-200, Odisseo e i compagni giungono presso l’isola; riescono a transitarvi davanti senza danno, i marinai con le orecchie turate con la cera, Odisseo che ascolta il loro canto legato all’albero della nave.

La seconda sezione del libro XII narra del passaggio tra Scilla e Cariddi, la sosta forzata presso la Trinacria causata dalla bonaccia, la trasgressione dei compagni agli ordini di Odisseo riguardanti il non violare le vacche del Sole e la successiva punizione di Zeus che fa inabissare la nave dopo averla colpita con il fulmine, provocando la morte di tutti i compagni dell’eroe e il suo naufragio presso Ogigia. Con questo fatto ci si ricongiunge all’inizio in medias res del poema e termina il racconto dei viaggi di Odisseo presso la corte dei Feaci. E’ importante considerare l’apparizione delle sirene all’interno di un contesto che comprende molte altre informazioni e personaggi: il pericolo che si para sulla strada di Odisseo è simile agli altri presenti nel libro XII e differente rispetto a quelli già incontrati nel corso della narrazione precedente. Nel momento in cui l’eroe e i suoi compagni si trovano impegnati con i Lotofagi, Polifemo, i Lestrigoni o Circe, la soluzione da adottare nel caso ricade in un’azione attiva: portare via i compagni ottenebrati dal Loto (IX 94-102), accecare il ciclope (IX

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318-335; 375-397), mandare in avanscoperta una pattuglia per capire chi siano gli abitanti di una terra sconosciuta (X 100-102),sottomettere Circe al proprio volere (X 321-335); nel caso delle sirene, di Scilla e Cariddi e della sosta presso la Trinacria, l’unico aspetto da prendere in considerazione è schivare un pericolo troppo grande per essere sormontato, scappare prima che la situazione comporti la totale compromissione del ritorno.

Questa una prima differenza che accomuna la minaccia delle sirene con quella degli altri ostacoli presenti nelle tappe finali del viaggio. L’altro aspetto da prendere in considerazione, un’ulteriore divergenza del libro XII rispetto agli avvenimenti dei tre libri precedenti, è che i pericoli allora sperimentati si

palesavano come tali solamente nel momento in cui l’eroe vi entrava in contatto, senza conoscere preventivamente a cosa sarebbe andato incontro; in questo specifico caso invece è Circe che spiega in anticipo, privatamente, ad Odisseo, che cosa incontrerà e che cosa dovrà fare per scampare ad una triste sorte, ταῦτα μὲν οὕτω πάντα πεπείρανται, σὺ δ᾽ ἄκουσον, ὥς τοι ἐγὼν ἐρέω, μνήσει δέ σε καὶ θεὸς αὐτός (vv. 36-37).2

La terza peculiarità che emerge dal racconto è che le sirene entrano a far parte della narrazione per ben tre volte (verranno in seguito richiamate nel corso del poema solamente in Od. XXIII 326, quando Odisseo, ormai tornato a casa e riconosciuto dalla moglie, si riunisce con lei nel talamo e le narra le sue peripezie, che Omero riporta in quel caso con delle brevi epitomi di quanto cantato in precedenza). In ogni occorrenza in cui si parla dell sirene cambia il

2 L’azione anticipatrice di Circe riguardo le vicende che coinvolgeranno Odisseo è da far risalire

prima della narrazione del libro XII; già alla fine del libro X, dopo la richiesta di lasciare Eea, Circe aveva spinto l’eroe a deviare per un’ultima volta dal ritorno per recarsi nelle case dell’Ade e interrogare l’ombra dell’indovina Tiresia (vv. 476-485; 504-540). E’ vero che in questo caso è poi Tiresia a parlare direttamente all’eroe, mettendolo a conoscenza dell’ostacolo posto da Poseidone sul ritorno a casa, della prova della Trinacria, l’eccidio dei pretendenti e il mezzo definitivo con cui allontanare l’ira del dio del mare; è Circe però ad aver messo in moto gli eventi che portano Odisseo ad una maggiore consapevolezza del suo destino, è Circe che lo indirizza verso colui che gli indica l’ultima tappa del suo viaggio, la Trinacria (X 538-540, «E il vate di Tebe verrà e il viaggio a te indicherà del ritorno e come tu giunga sul mare pescoso alla patria»); è Circe infine che, dopo essersi fatta narrare da Odisseo quanto gli è capitato nella casa dell’Ade (XII 33-35), e conoscendo ora l’ultima sosta del viaggio, può tracciare una rotta sicura per l’eroe aggiungendovi fermate intermedie.

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loro ruolo nella storia, a seconda del narratore che racconta e del pubblico che presenzia. Vanno quindi evidenziati i tre momenti fondamentali, due di

preparazione ed il terzo di effettiva apparizione:

- in un primo momento (vv. 36-46) è Circe che racconta a Odisseo ciò che lo aspetta incontrando le sirene; la maga evidenzia il pericolo che si presenta nel momento in cui qualcuno oda il loro canto e propone all’eroe uno stratagemma per non far cadere i compagni preda del maleficio, turando loro le orecchie con la cera; allo stesso tempo l’eroe potrà comunque ascoltare le sirene facendosi legare all’albero della nave e premurandosi che i compagni durante il transito non lo sciolgano. In questo caso le sirene sono protagoniste contemporaneamente di un flashforward nella narrazione (Circe che ne anticipa l’incontro con Odisseo) quanto di un flashback, dato che andrà tenuto presente che gli avvenimenti compresi nei libri IX-XII sono rievocazioni dello stesso Odisseo. Abbiamo dunque tre diversi narratori all’opera: 1) Omero che, in qualità di narratore onnisciente, racconta le vicende di Odisseo; 2) Odisseo che, come narratore di secondo grado, rievoca le sue avventure per mare; 3) Circe che assume il ruolo di narratore di terzo grado e informa l’Odisseo protagonista del flashback del suo prossimo viaggio.

- proseguendo, è poi Odisseo stesso (vv. 154-164) all’interno del flashback ad informare i compagni dei pericoli sopraggiungenti; in questo caso abbiamo un riepilogo di ciò che era stato precedentemente detto da Circe, ma un sostanziale cambio di platea interessa il discorso: la minaccia delle sirene si fa più

incalzante, e la reiterazione dell’ammonimento coinvolge coloro che si dovranno attivamente prodigare per salvarsi. In questo caso vi sono sempre tre narratori coinvolti: 1) Omero come narratore onnisciente; 2) Odisseo narratore alla corte di Scheria; 3) l’Odisseo personaggio del racconto che ragguaglia i compagni.

- nel terzo caso si arriva al vero e proprio incontro con le sirene (vv. 165-200), in cui le premure con cui Circe ha istruito Odisseo, e successivamente Odisseo i compagni, giungono ad una realizzazione pratica: il transito nelle acque di fronte all’isola si rivela privo di perdite, grazie al passaggio di istruzioni svoltosi nei

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passi precedentemente citati. In questo caso i narratori si riducono a due

solamente, con l’Omero onnisciente che racconta di un Odisseo che a sua volta testimonia il suo incontro con le sirene.

Questa triplicazione dell’evento potrebbe sembrare inusuale e priva di senso, non fosse che già in precedenza sono presenti nel poema stratagemmi narrativi dello stesso tipo;3 probabilmente questa moltiplicazione delle informazioni

rievoca l’artificio della ripetizione proprio dei testi omerici, atto a fissare con maggiore forza nella mente dell’audience le informazioni veicolate dal testo poetico.

Non si deve però sottovalutare l’effetto che questa scelta narrativa ha sulla riuscita del racconto: il fatto che la minaccia venga prima esposta per ben due volte, riassumendone i tratti fondamentali (pericolo della voce, voce che provoca la morte, necessità di allontanarsi nel minor tempo possibile senza ascoltare) per poi arrivare solo in un secondo momento al vero e proprio incontro, non fa che aumentare la suspense, che si presenta, come già detto, su tre livelli differenti: per l’audience di Omero, per la corte dei Feaci, nei primi due casi per Odisseo e per i compagni. La duplicazione della presenza della sirena verrà ripreso come elemento di vitale importanza nel capitolo III della trattazione, in cui verrà trattato il racconto Lighea di Tomasi di Lampedusa: nuovamente il

raddoppiamento della presenza della sirena fornisce un’occasione di suspense fino ad arrivare al climax finale, in cui la creatura entra in scena dopo che la sua presenza viene anticipata da una serie di elementi disseminati nel corso della storia.

3Per fare un esempio riguardante i canti IX-XII, quando Odisseo, approdato sull’isola Eea,

decide di andare ad esplorarne l’interno, tira a sorte tra due gruppi di compagni, e il caso vuole che ad andare in avanscoperta sia quello dell’amico Euriloco. Il resoconto dell’incontro tra il gruppo di uomini e Circe viene qui sdoppiato: in primo luogo l’Odisseo narratore cambia focalizzazione all’interno del racconto e assume il punto di vista di un narratore onnisciente che racconta dei fatti occorsi presso la reggia, tra cui la trasformazione dei compagni in porci; in un secondo momento poi è lo stesso Euriloco, tornato come unico superstite all’accampamento sulla spiaggia, a raccontare come narratore di secondo grado gli eventi, ripetendo quanto Odisseo aveva già anticipato nella sua esposizione ai Feaci. Anche in questo caso si ha quindi un cambiamento di narratore e di platea, prima Odisseo ai Feaci (X 208-243), quindi Euriloco ai marinai superstiti e a Odisseo (X 244-260)

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Infine, in questo primo esame del passo, non va trascurato il fatto che le sirene non entrino mai direttamente nel racconto, ma siano invece oggetto di una

narrazione stratificata in cui è sempre qualcuno che dice agli altri che esse esistono; come già visto in precedenza, è Circe a riferire ad Odisseo che egli incontrerà delle sirene sulla sua rotta, è poi Odisseo a dire ai compagni ciò che Circe gli ha riferito; successivamente poi vi sarà un incontro tra l’equipaggio della nave e le sirene, e in questo caso è Odisseo che parla ai Feaci, che ricevono una relazione il cui unico statuto di verità è da ricercarsi nell’autorità che l’eroe ha esibito di fronte alla corte in precedenza.

Tutte queste questioni prese in esame concorrono quindi a dare prova della costruzione artistica che si cela dietro ai versi che leggiamo del poema, a fornire una costante sensazione di avvicinamento ad un incontro topico e, da ultimo, a sollevare una domanda: se le sirene sono soltanto oggetto di un racconto, che a sua volta è testimonianza diretta di un personaggio facente parte del medesimo racconto, possiamo davvero immaginare che cosa sia una sirena? La domanda troverà una parziale risposta già nel paragrafo seguente.

1.1 Le sirene nel racconto di Omero: cosa sono e cosa fanno

Dopo aver preso in esame il momento della trama in cui deve essere contestualizzato il racconto delle sirene e la struttura narratologica di tale

incontro, occorre soffermarsi su una prima analisi del testo, per cercare di astrarre gli elementi che ci permettono di capire cosa sia questa creatura che Omero utilizza come antagonista dell’eroe.4 Di seguito viene riportato il testo di Odissea

XII 37-54:

‘ταῦτα μὲν οὕτω πάντα πεπείρανται, σὺ δ᾽ ἄκουσον, ὥς τοι ἐγὼν ἐρέω, μνήσει δέ σε καὶ θεὸς αὐτός.

4Ci si limiterà in questo caso ad una disamina degli elementi dal solo punto di vista della trama:

per quanto riguarda l’etimologia dei singoli termini, il loro utilizzo in Omero e il significato da impartirvi si rimanda alla trattazione nel capitolo II.

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13 Σειρῆνας μὲν πρῶτον ἀφίξεαι, αἵ ῥά τε πάντας ἀνθρώπους θέλγουσιν, ὅτις σφεας εἰσαφίκηται. ὅς τις ἀιδρείῃ πελάσῃ καὶ φθόγγον ἀκούσῃ Σειρήνων, τῷ δ᾽ οὔ τι γυνὴ καὶ νήπια τέκνα οἴκαδε νοστήσαντι παρίσταται οὐδὲ γάνυνται, ἀλλά τε Σειρῆνες λιγυρῇ θέλγουσιν ἀοιδῇ ἥμεναι ἐν λειμῶνι, πολὺς δ᾽ ἀμφ᾽ ὀστεόφιν θὶς ἀνδρῶν πυθομένων, περὶ δὲ ῥινοὶ μινύθουσι. ἀλλὰ παρεξελάαν, ἐπὶ δ᾽ οὔατ᾽ ἀλεῖψαι ἑταίρων κηρὸν δεψήσας μελιηδέα, μή τις ἀκούσῃ τῶν ἄλλων: ἀτὰρ αὐτὸς ἀκουέμεν αἴ κ᾽ ἐθέλῃσθα, δησάντων σ᾽ ἐν νηὶ θοῇ χεῖράς τε πόδας τε ὀρθὸν ἐν ἱστοπέδῃ, ἐκ δ᾽ αὐτοῦ πείρατ᾽ ἀνήφθω, ὄφρα κε τερπόμενος ὄπ᾽ ἀκούσῃς Σειρήνοιιν. εἰ δέ κε λίσσηαι ἑτάρους λῦσαί τε κελεύῃς, οἱ δέ σ᾽ ἔτι πλεόνεσσι τότ᾽ ἐν δεσμοῖσι διδέντων. (…)

Quando le sirene vengono menzionate per la prima volta Circe mette in guardia Odisseo riguardo quanto gli capiterà sulla rotta che lo condurrà infine alla patria: la prima tappa, riguardante il transito presso l’isola, è brevemente accennata dalla maga, che nell’informare l’eroe sul pericolo che correrà introduce come condizione del ricordo degli ammonimenti l’azione di un dio, μνήσει δέ σε καὶ θεὸς αὐτός (v. 38). L’identità del dio che deve ricordare ad Odisseo quanto Circe gli dice rimane oscura; l’idea che sia una divinità a guidare il viaggio dell’eroe da quel momento in poi non stona però con il tono generale del contesto, in cui Circe è detta «progenie divina»,5 viene più volte apostrofata

nel corso del poema come «dea» (X 228, 255; XII 150, 155), e dimostra di avere poteri in grado di elevarla al di sopra della stirpe dei mortali (prepara dei

φάρμακα, muta i compagni in porci, riesce a passare inosservata allo sguardo degli uomini6); in più lo stesso termine θεὸς è più volte riferito a Circe nella

narrazione, il che può comportare che il ricordo dei comandi sia da imputare ad un’azione a distanza di Circe stessa.

Delle sirene viene detto che incantano gli uomini, πάντας ἀνθρώπους θέλγουσιν (vv. 39-40), e con il loro canto limpido, λιγυρῇ (…) ἀοιδῇ (v. 44)

5Od. X 135-139; Circe è sorella di Eeta, ed entrambi sono figli di Helios e Perse, a sua volta

figlia di Oceano.

6 Ivi, 571-574; Circe giunge alla nave che sta per partire per la terra dei Cimmeri, celandosi alla

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privano chiunque passi per mare vicino alle loro sponde del ritorno a casa, τῷ δ᾽ οὔ τι γυνὴ καὶ νήπια τέκνα οἴκαδε νοστήσαντι παρίσταται οὐδὲ γάνυνται (vv. 42-43): le prime deduzioni che possiamo trarre dal testo sono dunque che le sirene abitano un tratto di terra vicino al mare, incantano i marinai con una bella voce e coloro che ascoltano questa voce sono impossibilitati a continuare il loro viaggio. Su questo lembo di terra è presente un prato su cui le sirene stanno sedute,

ἥμεναι ἐν λειμῶνι (v. 45), e tutt’intorno sono sparse le ossa di cadaveri, con intorno la carne che imputridisce, πολὺς δ᾽ ἀμφ᾽ ὀστεόφιν θὶς ἀνδρῶν πυθομένων, περὶ δὲ ῥινοὶ μινύθουσι (vv. 45-46); abbiamo un’ulteriore

specificazione del luogo abitato dalle sirene e la probabile fine degli ascoltatori del canto, che non solo perdono la via di casa, ma muoiono una volta giunti nel prato, coi loro resti che rimangono ad ornare orrendamente l’ambiente. L’unica soluzione proposta da Circe per scansare il pericolo è allontanarsi quanto più velocemente con la nave, turando le orecchie con la cera ai compagni; il canto delle sirene può essere ascoltato, ma solo previa immobilità del soggetto:

Odisseo deve essere necessariamente legato all’albero, e i compagni si dovranno premurare di avvolgere ancora più stretti i nodi nel caso l’eroe chieda loro di scioglierli. Ultimo dato deducibile dal testo è che le sirene presenti sul prato sono soltanto due, come testimoniato dall’uso del duale al v. 52, Σειρήνοιιν.7

Sappiamo dunque che le sirene sono due creature che cantano, sedute su un prato cosparso di resti di marinai che hanno trovato la morte dopo aver ascoltato la loro voce, e che non vi è contromisura contro il loro maleficio: l’unica opzione di salvezza è non ascoltare e fuggire via. Prendiamo ora in esame il secondo momento che vede evocate le sirene, in Odissea XII 154-164:

‘ὦ φίλοι, οὐ γὰρ χρὴ ἕνα ἴδμεναι οὐδὲ δύ᾽ οἴους θέσφαθ᾽ ἅ μοι Κίρκη μυθήσατο, δῖα θεάων:

7Ripetuto anche più avanti nel testo al v. 167. Ulteriore prova del numero delle sirene è

l’utilizzo del duale anche per il possessivo νωιτέρην, v. 185. Parte della tradizione recupererà in seguito la dualità delle sirene, come testimoniato da Soph. fr. 861 Radt, Σειρῆνε. In “Voci mitiche: Sirene”, in Kleos 2, 1997, pp. 209-20, Pizzoccaro sottolinea come il concetto di dualità sia utilizzato per rimarcare una condizione gemellare, un raddoppiamento in grado di restituire un’immagine di potere che superi i limiti dell’umano.

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15 ἀλλ᾽ ἐρέω μὲν ἐγών, ἵνα εἰδότες ἤ κε θάνωμεν ἤ κεν ἀλευάμενοι θάνατον καὶ κῆρα φύγοιμεν. Σειρήνων μὲν πρῶτον ἀνώγει θεσπεσιάων φθόγγον ἀλεύασθαι καὶ λειμῶν᾽ ἀνθεμόεντα. οἶον ἔμ᾽ ἠνώγει ὄπ᾽ ἀκουέμεν: ἀλλά με δεσμῷ δήσατ᾽ ἐν ἀργαλέῳ, ὄφρ᾽ ἔμπεδον αὐτόθι μίμνω, ὀρθὸν ἐν ἱστοπέδῃ, ἐκ δ᾽ αὐτοῦ πείρατ᾽ ἀνήφθω. εἰ δέ κε λίσσωμαι ὑμέας λῦσαί τε κελεύω, ὑμεῖς δὲ πλεόνεσσι τότ᾽ ἐν δεσμοῖσι πιέζειν.’

Nel secondo caso si ha una ripetizione dei consigli di Circe, con Odisseo che comunica ai compagni i pericoli che si presenteranno, in modo che tutti siano informati e sia possibile salvarsi, ἀλλ᾽ ἐρέω μὲν ἐγών, ἵνα εἰδότες ἤ κε θάνωμεν ἤ κεν ἀλευάμενοι θάνατον καὶ κῆρα φύγοιμεν (vv. 156-157). In questo frangente Odisseo si limita ad indicare che andrà evitata la voce delle sirene e il loro prato, Σειρήνων μὲν πρῶτον ἀνώγει θεσπεσιάων φθόγγον ἀλεύασθαι καὶ λειμῶν᾽ ἀνθεμόεντα (vv. 158-159); le uniche innovazioni rispetto al passo precedente stanno nella specificazione che il λειμῶν cui aveva fatto riferimento Circe è «in fiore», ἀνθεμόεντα, e che le sirene sono da considerarsi «divine», θεσπεσιάων, chiarendo per la prima volta nella narrazione che tali creature non sono da considerarsi umane.8 Da ultimo dovranno essere considerati i vv. 165-200, che

narrano del passaggio della nave di fronte alle sirene:

‘ἦ τοι ἐγὼ τὰ ἕκαστα λέγων ἑτάροισι πίφαυσκον: τόφρα δὲ καρπαλίμως ἐξίκετο νηῦς ἐυεργὴς νῆσον Σειρήνοιιν: ἔπειγε γὰρ οὖρος ἀπήμων. αὐτίκ᾽ ἔπειτ᾽ ἄνεμος μὲν ἐπαύσατο ἠδὲ γαλήνη ἔπλετο νηνεμίη, κοίμησε δὲ κύματα δαίμων. ἀνστάντες δ᾽ ἕταροι νεὸς ἱστία μηρύσαντο καὶ τὰ μὲν ἐν νηὶ γλαφυρῇ θέσαν, οἱ δ᾽ ἐπ᾽ ἐρετμὰ ἑζόμενοι λεύκαινον ὕδωρ ξεστῇς ἐλάτῃσιν. αὐτὰρ ἐγὼ κηροῖο μέγαν τροχὸν ὀξέι χαλκῷ τυτθὰ διατμήξας χερσὶ στιβαρῇσι πίεζον:

8 Nella traduzione di Paduano dei vv. 158-159 si legge «Per prima cosa mi ha detto di evitare il

canto delle divine Sirene e il loro prato fiorito», vedi OMERO, Odissea, a cura di Guido Paduano e Luigi Mainolfi, Torino, Einaudi, 2010; mentre Vincenzo di Benedetto traduce «Delle sirene divine anzitutto ella ordinò di evitare la voce e il prato fiorito», vedi OMERO, Odissea, trad. ita. di Vincenzo di Benedetto, Milano, BUR, 2010. Che si riferisca come nel primo caso l’aggettivo θεσπέσιος alle sirene, oppure come nel secondo al canto non cambia il senso della descrizione: se le sirene sono creature divine emetteranno un suono divino, e se il suono da loro emesso sarà divino esse saranno necessariamente esseri sovrannaturali.

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16 αἶψα δ᾽ ἰαίνετο κηρός, ἐπεὶ κέλετο μεγάλη ἲς Ἠελίου τ᾽ αὐγὴ Ὑπεριονίδαο ἄνακτος: ἑξείης δ᾽ ἑτάροισιν ἐπ᾽ οὔατα πᾶσιν ἄλειψα. οἱ δ᾽ ἐν νηί μ᾽ ἔδησαν ὁμοῦ χεῖράς τε πόδας τε ὀρθὸν ἐν ἱστοπέδῃ, ἐκ δ᾽ αὐτοῦ πείρατ᾽ ἀνῆπτον: αὐτοὶ δ᾽ ἑζόμενοι πολιὴν ἅλα τύπτον ἐρετμοῖς. ἀλλ᾽ ὅτε τόσσον ἀπῆμεν ὅσον τε γέγωνε βοήσας, ῥίμφα διώκοντες, τὰς δ᾽ οὐ λάθεν ὠκύαλος νηῦς ἐγγύθεν ὀρνυμένη, λιγυρὴν δ᾽ ἔντυνον ἀοιδήν: ‘δεῦρ᾽ ἄγ᾽ ἰών, πολύαιν᾽ Ὀδυσεῦ, μέγα κῦδος Ἀχαιῶν, νῆα κατάστησον, ἵνα νωιτέρην ὄπ ἀκούσῃς. οὐ γάρ πώ τις τῇδε παρήλασε νηὶ μελαίνῃ, πρίν γ᾽ ἡμέων μελίγηρυν ἀπὸ στομάτων ὄπ᾽ ἀκοῦσαι, ἀλλ᾽ ὅ γε τερψάμενος νεῖται καὶ πλείονα εἰδώς. ἴδμεν γάρ τοι πάνθ᾽ ὅσ᾽ ἐνὶ Τροίῃ εὐρείῃ Ἀργεῖοι Τρῶές τε θεῶν ἰότητι μόγησαν, ἴδμεν δ᾽, ὅσσα γένηται ἐπὶ χθονὶ πουλυβοτείρῃ.’ ὣς φάσαν ἱεῖσαι ὄπα κάλλιμον: αὐτὰρ ἐμὸν κῆρ ἤθελ᾽ ἀκουέμεναι, λῦσαί τ᾽ ἐκέλευον ἑταίρους ὀφρύσι νευστάζων: οἱ δὲ προπεσόντες ἔρεσσον. αὐτίκα δ᾽ ἀνστάντες Περιμήδης Εὐρύλοχός τε πλείοσί μ᾽ ἐν δεσμοῖσι δέον μᾶλλόν τε πίεζον. αὐτὰρ ἐπεὶ δὴ τάς γε παρήλασαν, οὐδ᾽ ἔτ᾽ ἔπειτα φθογγῆς Σειρήνων ἠκούομεν οὐδέ τ᾽ ἀοιδῆς, αἶψ᾽ ἀπὸ κηρὸν ἕλοντο ἐμοὶ ἐρίηρες ἑταῖροι, ὅν σφιν ἐπ᾽ ὠσὶν ἄλειψ᾽, ἐμέ τ᾽ ἐκ δεσμῶν ἀνέλυσαν.’

A questo punto otteniamo dal testo un chiarimento riguardante il luogo che ospita le sirene: si tratta di un’isola, νῆσον (v. 167). Successivamente c’è un’ulteriore prova che la vicenda che vede coinvolto Odisseo è venata da

presenze sovrannaturali: un dio tiene vivo nell’eroe il ricordo degli ammonimenti di Circe, Circe stessa è una dea che lo indirizza sulla giusta rotta, le sirene sono creature divine in grado di stregare con il canto i marinai che si appressano alla loro isola, e proprio mentre la nave dell’eroe sta transitando nelle acque antistanti si fa un’improvvisa bonaccia che rallenta la navigazione, αὐτίκ᾽ ἔπειτ᾽ ἄνεμος μὲν ἐπαύσατο ἠδὲ γαλήνη ἔπλετο νηνεμίη, κοίμησε δὲ κύματα δαίμων9 (vv.

9 L’identità di questo δαίμων non viene specificata nella storia; sicuramente non è da

considerare il θεὸς del v. 38, sia per il cambio di sostantivo che per l’incoerenza delle sue azioni nel caso le due figure siano contingenti (un dio che tiene vivo il ricordo del pericolo, e in seguito lo stesso dio che placa le onde per far cadere in trappola l’eroe). Probabilmente l’espressione sta a significare che il passaggio davanti alle sirene è segnato dalla presenza di elementi soprannaturali, preposti alla morte dei naviganti; oppure è semplicemente

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169). Si potrebbe supporre che tra i poteri delle sirene vi sia anche quello di controllare gli eventi atmosferici, anche se di fatto è un generico δαίμων a provocare la condizione di bonaccia. Prese le precauzioni necessarie, si ode finalmente il canto delle sirene: esse chiamano Odisseo, dimostrando di

conoscerne il nome, il popolo e le gesta, δεῦρ᾽ ἄγ᾽ ἰών, πολύαιν᾽ Ὀδυσεῦ, μέγα κῦδος Ἀχαιῶν (v. 184), il che ci porta a pensare che i poteri soprannaturali che possiedono si estendono anche ad una sorta di conoscenza molto più vasta rispetto a quella di un essere umano; dato confermato dal fatto che più avanti nel passo dimostrano di sapere gli avvenimenti occorsi sotto le mura di Troia e i fatti che accadono nel mondo. Le sirene sono consce che nessun mortale possa

vincere la loro voce, οὐ γάρ πώ τις τῇδε παρήλασε νηὶ μελαίνῃ, πρίν γ᾽ ἡμέων μελίγηρυν ἀπὸ στομάτων ὄπ᾽ ἀκοῦσαι (vv. 186-187), e in cambio dell’ascolto promettono gioia derivata dall’aver appreso nuove cose, ἀλλ᾽ ὅ γε τερψάμενος νεῖται καὶ πλείονα εἰδώς (v. 188). Il pericolo finisce nel momento in cui la nave, trasportata lontano dai colpi dei remi, non è più a portata del canto delle sirene e i marinai posso sciogliere il loro capitano e togliere la cera dalle orecchie.

Dai tre passi del libro XII traiamo dunque le seguenti informazioni: le sirene sono due esseri divini, che dimorano su un’isola che va necessariamente

incontrata dai naviganti sulla rotta che da Eea porta ad Itaca. Su quest’isola stanno su un prato fiorito, cosparso di resti umani in putrefazione; nel caso una nave si appressi all’isola, esse cominciano a cantare, e con la loro voce melodiosa riescono a vincere la volontà di qualsiasi uomo fino a indurlo a raggiungerle sul prato (v. 184, δεῦρ᾽ ἄγ᾽ ἰών, «Su, vieni qui», trad. Guido Paduano). I loro poteri si estendono anche all’ambito del controllo dei fenomeni atmosferici (anche se il

una possibile interpretazione del passo, si potrebbe ipotizzare che esista un dio ignoto, aiutante delle sirene, che spinge le condizioni climatiche ad opporsi all’eroe, così come vi è un dio, Helios, padre di Circe, che invece scalda velocemente la cera da inserire nelle orecchie dei compagni, vv. 175-176 αἶψα δ᾽ ἰαίνετο κηρός, ἐπεὶ κέλετο μεγάλη ἲς Ἠελίου τ᾽ αὐγὴ Ὑπεριονίδαο ἄνακτος: tanto più che era stata proprio Circe a gonfiare le vele della nave di Odisseo con un vento benigno che li accompagna fino all’isola delle sirene, ἡμῖν δ' αὖ κατόπισθε νεὸς κυανοπρῴροιο ἴκμενον οὖρον ἵει πλησίστιον, ἐσθλὸν ἑταῖρον (vv. 148-149). Negli Scoli al v. 169 vi è una triplice interpretazione: o è Poseidone a fermare i venti, di modo che Odisseo rimanga in trappola, oppure i venti stessi si acquietano per il canto delle sirene, oppure è Circe che li arresta; invece in Hes. fr. 28 Merkelbach-West, sono le sirene stesse ad essere in grado di mutare le condizioni atmosferiche.

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testo non è chiaro su questo punto) e sono onniscienti: conoscono l’identità ed il passato di colui che si appressa, e usano questa conoscenza per indurlo a

fermarsi. Lo statuto delle sirene come donne dotate di un canto melodioso e preposte al ruolo di ostacolo sul cammino dell’eroe troverà maggiore spazio di trattazione nel corso del capitolo II della tesi, in cui si prenderà in esame come il loro ruolo nella storia sia simile a quello di una serie di altre figure che Odisseo incontra nel corso del nostos, nello specifico Circe e Calipso.

In buona parte possiamo quindi ricostruire il modus operandi che

contraddistingue queste creature, così come le caratteristiche principali che le designano come un pericolo per il protagonista del poema. Su alcuni particolari però il testo non è altrettanto chiaro: uno su tutti riguarda l’aspetto fisico delle creature cantate da Omero. A questo quesito si tenterà di dare risposta nel successivo paragrafo.

2. Forma fisica delle sirene

Nel testo preso in esame nel paragrafo precedente Omero non si sofferma mai sull’aspetto delle sirene, né fornisce alcun tipo di indizio per riuscire a dedurre come esse siano fatte; abbiamo la certezza della loro designazione come esseri di sesso femminile (XII 45, ἥμεναι; 182, τὰς), ma non sappiamo se sia possibile considerarle antropomorfe. Il fatto che siano dette θεσπεσιάων non aiuta la nostra ricerca, dato che anche altri protagonisti del poema sono investiti di una

caratterizzazione divina: come già visto per Circe (cap. I, p. 13); ma anche per un essere soprannaturale come Cariddi, che per la natura stessa dell’azione compiuta nella narrazione deve essere immaginato come mostruoso, viene indicato con il termine δῖα, «divina» (XII 104-135).10

10Cariddi era una naiade figlia di Poseidone e della Terra; punita da Zeus per aver rubato i buoi

di Eracle, venne colpita dal fulmine divino, mutata in mostro e precipitata nel mare, dove rimane, condannata per l’eternità ad inghiottire e vomitare l’acqua del mare tre volte al giorno, causando vortici immensi, R. Graves, I miti greci, trad. ita. di Elisa Morpurgo, Milano,

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Proprio Cariddi può essere un personaggio utile per sottolineare il poco spazio che viene dato alla descrizione delle sirene: la creatura che inghiotte e vomita per tre volte l’acqua del mare viene rappresentata da Omero solamente tramite

l’azione che mette in pericolo i naviganti, mai attraverso le sue caratteristiche fisiche. Di lei sappiamo, come testimonia il già citato termine δῖα, che è da considerarsi di sesso femminile, così come si può evincere anche dal τὴν del v. 244, che implica che la ciurma della nave stia guardando verso un

qualcosa/qualcuno che fa ribollire l’acqua del mare (XII 234-244). Del suo

aspetto possiamo solo immaginare qualcosa di immenso, in grado di generare un gorgo che riesce ad inghiottire anche una nave intera, ma non c’è mai nel testo una sua precisa rappresentazione.

Particolare interessante poi (su cui ci soffermeremo più diffusamente ne capitolo II) è il fatto che il testo non faccia mai riferimento all’azione del vedere le sirene, ma solamente a quella dell’udire il loro canto melodioso: ἀκούσῃ (vv. 41, 48), ἀκουέμεν (vv. 49, 160), ἀκούσῃς (vv. 52, 185); ἀκοῦσαι (v. 187);

ἀκουέμεναι (v. 193). E’ curioso come invece siano presenti riferimenti alla vista nelle parole delle sirene, durante il loro canto, benché dalla gamma di accezioni del verbo ὁράω si servano dei derivati dalla radice ἰδ-, utilizzata per veicolare il significato di conoscere. La scelta di non descrivere le protagoniste della vicenda si riflette dunque anche nell’uso dei verbi, ad ulteriore riprova che tale omissione risponde ad uno specifico compito nel testo: compito però che non riusciamo ancora a decifrare, causa mancanza di indizi.

Questa mancanza di tracce che ci indirizzino verso una rappresentazione dettagliata delle sirene da parte di Omero può portare a due diverse

considerazioni: la prima, di natura narratologica, segue quanto già detto nel paragrafo 1, e cioè che questa omissione conduca ad una maggiore suspense durante la fruizione del racconto: le sirene non sono descritte, e pertanto è l’audience a dover immaginare il loro aspetto, dando sfogo alla fantasia, elaborando liberamente gli elementi del racconto e arrivando ad una

raffigurazione mentale e personale. D’altra parte, possiamo invece immaginare (e sarà questa la strada da battere relativa ad una ricostruzione delle sembianze) che

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le sirene non siano descritte durante il racconto perché l’audience, al momento della fruizione, già conosceva il loro aspetto, e non c’era dunque bisogno di arricchire la narrazione con particolari noti.11 Possiamo supporre che la figura

della sirena fosse già nota prima della stesura dell’Odissea, e che Omero si sia limitato a riprendere un personaggio presente nella tradizione; oppure che abbia riutilizzato un modello, innovandolo con una serie di caratteristiche non ancora attestate nella mitologia. Dal momento che non esistono però testi precedenti ad Omero in grado di fornirci tale nozione, possiamo solo analizzare fonti posteriori alla stesura dell’Odissea che facciano riferimento all’immaginario a cui Omero aveva attinto per la creazione delle sirene o chiariscano in che modo Omero abbia innovato rispetto a questo immaginario.

2.1 Le sirene come donne-uccello

E’ proprio l’aspetto uno dei problemi fondamentali di cui non si riesce a venire a capo prendendo in esame il solo testo omerico: è da considerare l’idea che la mancata descrizione sia giustificata da un’iconografia già cristallizzatasi nella tradizione prima che i poemi arrivassero ad una loro forma finita,

presumibilmente intorno all’VIII secolo a.C., e che nel periodo precedente alla creazione e alla stesura degli stessi fossero già presenti nel mito delle creatura che in parte corrispondevano alle ammaliatrici dell’Odissea. Come già accennato nell’introduzione, è logico prendere Omero come capostipite della tradizione

11Come per il già citato caso di Cariddi, anche altri particolari poi entrati a far parte

dell’immaginario dell’Odissea non sono in realtà esplicitamente detti nella narrazione: un esempio per tutti, la caratterizzazione dei ciclopi come esseri monocoli. Nel corso del libro IX vi sono riferimenti indiretti al fatto che Polifemo abbia un solo occhio (vv. 331-333; 380-386; 503; 525), seguiti da situazioni in cui il ciclope si comporta come cieco una volta subita la ferita all’occhio in cui Odisseo ha piantato il palo (tasta le capre all’uscita dalla caverna, lamenta il dolore all’occhio con il montone del gregge, una volta che Odisseo, già sulla nave, lo chiama, lancia massi sul mare affidandosi solo all’udito). Sia nella descrizione che viene data di Polifemo ai vv. 187-192 e in generale della stirpe dei ciclopi ai vv. 105-135 emerge che essi sono creature selvagge e solitarie, che non coltivano la terra e non conoscono la navigazione; anche in questo caso si è portati a pensare che l’audience conoscesse come dato assodato che i ciclopi fossero dotati di un solo occhio in mezzo alla fronte, e quindi non vi fosse bisogno di specificarlo (per la genealogia e le caratteristiche dei ciclopi si veda Hes. Th. 139-146).

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occidentale; ma al tempo stesso si dovrà tener conto che Iliade e Odissea non sono che le prime testimonianze di opere letterarie a noi pervenute, e niente impedisce che vi siano stati altri scritti precedenti che, causa casi fortuiti, non possiamo più leggere. Una prova su tutte, nei passi presi in esame nel paragrafo 1.1, è da ritrovarsi nelle parole di Circe durante gli ammonimenti rivolti ad Odisseo: una volta passato il pericolo delle sirene la rotta prende due possibili strade, una che porta verso Scilla e Cariddi, l’altra invece passa per le Plancte, le rupi cozzanti che non lasciano scampo a nessuna nave che vi passi attraverso; nelle parole della maga riecheggia il mito della nave Argo, che sola passò per quella via, previo aiuto della dea Era, a cui era caro Giasone (XII 59-72). Nelle note all’edizione dell’Odissea curata da Aurelio Privitera, Alfred Heubeck si sofferma sul passo e giunge alla conclusione che l’autore deve aver contaminato due diverse concezioni geografiche, quella di «rupi tra loro cozzanti e quella di scogli dalla spaventosa risacca»; dietro il primo riferimento si cela molto probabilmente il riferimento all’esistenza di un epos preomerico riguardante le gesta degli Argonauti, che è stato rielaborato ed usato come struttura per il nostos di Odisseo; tale epos viene trasformato nel passaggio tra Scilla e Cariddi, mentre le Plancte (presenti durante il viaggio di ritorno dalla Colchide nelle

Argonautiche) restano indicate come via alternativa.12 Se c’è dunque nel testo un

riferimento ad un complesso di racconti antecedenti alla stesura finale dei poemi omerici, è possibile dedurre che anche per quanto riguarda le sirene esistesse una tradizione non conservata che amplia la gamma di elementi di cui disponiamo.

E’ nella tradizione successiva che si riscontrano una serie di scritti che portano a pensare alla sirena come un essere ibrido, per metà umano e per metà animale: in vari testi della letteratura greca emerge questa particolarità, che non dovrà essere considerata come un’innovazione rispetto al testo omerico, bensì come una ripresa di peculiarità taciute. Prendiamo in esame, per avere un quadro generale della varietà delle caratteristiche della sirena, le pagine della Suda e alcuni scoli dell’Odissea, fonti in parte già citate in apertura dell’introduzione:

12Odissea, trad. ita. di Aurelio Privitera, commento di Alfred Heubeck, Milano,Fondazione

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-la Suda riporta alcune caratteristiche fondamentali riguardanti la voce

Σειρῆνας (Suda Σ 280): ci dice che «secondo il racconto greco erano donne dalla bella voce, stavano su un’isola e allietavano i marinai con la voce, finché non li prendeva la morte»; una definizione che riporta tutti gli elementi presenti in Omero. Andando avanti però insiste sul fatto che «avevano dal petto in giù l’aspetto di struzzi (στρουθῶν13), e sopra quello di donna, e che i mitografi

dicevano che le sirene erano uccelli con aspetto di donna, che ingannano i marinai e ne seducono l’udito con canti da prostitute». Abbiamo qui

testimonianza che le sirene sono da considerarsi esseri ibridi, per metà donna e per metà uccello, che la parte del corpo animale è da considerarsi molto più importante rispetto a quella umana e che il loro canto è riconducibile a quello di una prostituta; le sirene sono quindi esseri che non solo allietano i naviganti, ma in una qualche misura li seducono, fino a provocarne la morte. La voce della

Suda continua con un tentativo di spiegazione eziologica, dicendo che «la verità

dietro il racconto è che fossero invece luoghi percorsi d’acqua, che mugghiavano, e in cui fiumi irrequieti mandavano voce melodiosa, e i marinai ascoltandola affidavano le loro vite alla corrente e così perivano navi e uomini»; le sirene sarebbero dunque in realtà fenomeni marini, rielaborati in chiave fantastica dall’immaginazione dei marinai. Sono citate nel libro del profeta Isaia,14 e sono

equiparate agli Onocentauri,15 mentre presso i Siri «sono cigni; attaccano

13 Riguardo la parola στρουθός qui utilizzata per indicare la doppia natura delle sirene, il

significato rimanda al letterale struzzo, ma anche ad una varietà più ampia di volatili, tra cui anche il passero e la gallina; vero è che la Suda fa riferimento ad altre specie di uccelli in modo specifico, come ὀρνίθια, κύκνους e ὄρνεον, ma data la distinzione che viene fatta tra στρουθός e στρουθοκάμηλος, con la seconda parola che traduce più specificamente il termine struzzo, è possibile interpretare il termine στρουθός come designante in generale la tipologia degli uccelli.

14 Is., 13, 21: il passo fa riferimento ad un oracolo riguardante la caduta di Babilonia; dopo la

distruzione «Vi si stabiliranno le fiere del deserto, i gufi riempiranno le loro case, vi dimoreranno gli struzzi, vi danzeranno i satiri», versione di S. Virgulin

15 Ivi, 13, 22 «Le iene urleranno nei suoi palazzi e gli sciacalli nei suoi lussuosi edifici». In

entrambi i casi la traduzione restituisce un nome differente da quello riportato nella Suda, più vicino a quello di animali realmente esistenti; gli onocentauri sono citati come esseri ibridi, esattamente come le sirene, con parte superiore del corpo umana e parte inferiore di asino.

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dall’acqua e dal cielo, mandando un canto melodioso». Giobbe16 dice di essere

«fratello delle sirene, compagno degli uccelli, cantore delle mie sventure»; e parla di «στρουθούς, che invece viene detto anche στρουθοκάμηλον, che è sempre un uccello, ed ha piedi e collo d’asino».

La Suda ci fornisce preziose informazioni riguardanti il mito che si nasconde dietro l’Odissea; riprende gli elementi del libro XII e passa in disamina una serie di caratteristiche che si ritrovano in altri scrittori che identificano le sirene come esseri metà donna e metà uccello che seducono i marinai. L’excursus eziologico rimanda necessariamente all’identificazione delle sirene con fenomeni naturali a cui l’uomo tende a dare spiegazioni che esulino dalla logica degli eventi

(esattamente come per Scilla e Cariddi, da identificarsi nella realtà con le pericolose correnti presenti durante il passaggio di uno stretto), mentre i riferimenti a Isaia e Giobbe indicano una presenza esclusiva del mito non solo all’interno della cultura greca, ma una sua validità anche in altre zone del Mediterraneo, tra cui quella medio-orientale. Inoltre, sempre prendendo come riferimento una redazione finale dei poemi omerici risalente all’VIII secolo, va considerato che i libri di Isaia e di Giobbe hanno rispettivamente una stesura che abbraccia per il primo un periodo tra l’VIII e il VI secolo a.C., mentre per il secondo tra il VII e VI secolo; un momento storico concomitante o di poco posteriore alla composizione dell’Odissea ulteriore indizio che ci porta a pensare che la figura della sirena vada riportata ad un modello precedente a tutti i tre testi citati.

In aggiunta, altre informazioni riguardanti le sirene arrivano direttamente dagli

Scoli all’Odissea, che trattano il problema soffermandosi molto più sul testo

omerico, confermando quanto desunto in precedenza dalla Suda e aggiungendo altri particolari:

16 Giob., 30, 29, «Sono diventato fratello degli sciacalli e compagno degli struzzi»; il passo

rimanda all’allontanamento di Giobbe dalla società e alla sua nuova, solitaria dimensione, nella quale solo le bestie gli sono amiche.

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-negli Scoli viene ribadito che in Omero le sirene sono soltanto due, e che il poeta nell’Odissea non ne descrive il γένος, né dice che fossero πτερωτάς (al commento al v. 47 viene ripresa l’idea che le sirene omeriche non fossero dotate di ali, adducendo come motivo che altrimenti avrebbero potuto volare verso i naviganti). Viene proposta una triplice soluzione riguardante l’aspetto, o che fossero «uccelli canterini», ὄρνιθες κέλαδοι, oppure donne affascinanti e ingannevoli, γυναῖκες θελκτικαὶ καὶ ἀπατητικαὶ, o l’adulazione stessa, ἡ αὐτὴ κολακεία, che è in grado di stregare e ingannare come se uccidesse. C’è quindi un’interpretazione riguardante una natura animale, una definizione più vicina alla realtà dei fatti che le vede come semplici donne (la cui natura lusinghiera

rimanda al dato precedentemente citato nella Suda, per cui le sirene sono riconducibili a prostitute), e infine una spiegazione allegorica, per cui le sirene sarebbero solo la raffigurazione fisica dei problemi scaturiti dall’adulazione.17 Più

avanti viene specificato che il pericolo derivato dal canto consiste nel «non potersi più muovere di fronte a tanto piacere, ma si può solo morire

ascoltandolo»; la causa del decesso viene presa più specificamente in esame, sottolineando che secondo alcuni le vittime «erano consumate dal canto e improvvisamente cessavano di vivere», secondo altri invece la morte

sopraggiungeva dopo la paralisi per «insufficienza di sostentamenti».18 Al v. 184

si sottolinea che le sirene sono μαντικαί, dato che conoscono il nome dell’eroe, e che i compagni di Odisseo diventino un βρῶμα, «un pasto», per le sirene.

Quel che emerge dalle fonti, che tengono presente buona parte della tradizione posteriore ai poemi omerici, è una serie di informazioni in parte condivise e in parte discordanti: le sirene provocano la morte con il canto, ma non si sa con quale modalità il canto agisca sul malcapitato; forse le sirene uccidono

personalmente le loro vittime per poi divorarle (elemento che rimanderebbe al macabro particolare dei cumuli d’ossa presenti sull’isola, in Omero), oppure sono solamente fautrici di una paralisi; le sirene potrebbero essere sia creature

17Schol. ad Od. XII 39

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antropomorfe, dato che se ne stanno sedute su un prato senza mai avvicinarsi fisicamente ai naviganti, ma in più occasioni viene citata la loro natura di uccelli, o di creature ibride uomo-animale. Uno dei particolari determinanti è quello riguardante l’attestazione del mito anche in culture geograficamente distanti da quella greca, in cui è presente una creatura che ammalia l’uomo con la sua voce, portandolo alla rovina e alla morte; che venga identificata come uomo o animale, che si diano spiegazioni di diverso tipo per il significato che stia dietro al

racconto, è indubbio che la sirena non sia un’esclusiva dell’Odissea, né tantomeno della Grecia.19

Tale particolare riguardante l’implicazione della sirena con il periodo orientalizzante della cultura greca, risalente all’VIII-VII secolo a.C., è sottolineato in modo perspicuo dalla letteratura secondaria che in età

contemporanea si è occupata direttamente o indirettamente della questione; la sirena entrerebbe nel novero delle figure mostruose rappresentate dalla ceramica corinzia e protoattica già dal VII secolo, insieme a molte altri personaggi

femminili la cui potenza visiva veicolava la sensazione di pericolo concernente il loro aspetto tremendo e la capacità seduttiva: sono da far rientrare in questo gruppo sirene, sfingi, grifoni e molti altri personaggi già conosciuti al mondo orientale, il cui topos di riferimento è tripartito nei già citati ambiti di distruzione, erotismo, e momento di confronto con l’eroe.20 Il dato relativo della dipendenza

della sirena dal mondo orientale è ribadito sia da Massimo Pizzoccaro21 che da

Giovanni Patroni,22 il primo concorde sulla datazione relativa all’VIII-VII secolo,

19Ulteriori informazioni sull’identificazione delle sirene con esseri presenti nel mondo animale

e sulla presenza di questa figura nel mondo orientale ci viene anche da Ael. De natura

animalium, in cui viene menzionato un uccello chiamato catreo; la punta delle ali è di un verde smeraldo, pelle grigiastra, sguardo penetrante e di colore vermiglio. Eliano fa riferimento alla sua grande abilità canora, simile a quella di un usignolo, e in un secondo momento lo paragona alle sirene, dato che nella mitologia «come apprendiamo dai canti dei poeti e dalle raffigurazioni dei pittori, avevano le ali», vedi ELIANO, La natura degli animali, intr., trad. e note di

Francesco Maspero, Milano, BUR, 1998, pp. 966-967.

20 C. Mainoldi, “Mostri al femminile in Vicende e figure femminili in Grecia e a Roma”, a cura

di Renato Rafaelli, in Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna della Regione

Marche, 1995, p. 69 ss.

21 Pizzoccaro, pp. 212-13

22G. Patroni, “Intorno al mito delle sirene”, in Rivista di Filologia e Istruzione Classica, vol. 19,

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il secondo attento nell’evidenziare una serie di somiglianze e differenze tra le sirene e varie figure mitologiche della tradizione indiana. In Patroni largo spazio della trattazione viene affidato anche ad un tentativo di ricostruzione

dell’etimologia del nome sirena, sulla base della sua possibile derivazione dalla radice σερ-, «bruciare», qui interpretabile come le «rilucenti», le «splendide»; secondo un’altra possibilità, riportata nello Chantraine, il nome potrebbe derivare dal sostantivo σειρά, corda, laccio, da cui si formano i verbi σειράω, «legare con una corda», e ἀνασειράζω, «tirare con corde e redini»; secondo questo percorso le sirene diverrebbero coloro che legano tramite il canto.23

Parte del problema rimane però l’aspetto da restituire alla sirena: se è vero che la tradizione per larghi tratti la identifica come donna-uccello, nessun elemento le lega in Omero a questa caratterizzazione, ed anzi nulla vieta di pensare che egli non si rifaccia a questo modello, immaginando una variazione rispetto ad un personaggio a lui conosciuto. Pizzoccaro insiste sul fatto che in Omero la sirena sia solamente un essere antropomorfo, dato che non vi è nessuna

puntualizzazione riguardo le sue sembianze, e che la caratterizzazione come uccello presente nella pittura vascolare sia invece da interpretarsi come un tentativo dei singoli artisti di dar risalto all’abilità canora di questo essere; viceversa Patroni evidenzia che la raffigurazione di esseri mostruosi per metà umani e per metà animali solitamente ha inizio con una totalità del corpo animale che va arricchendosi di caratteristiche umane: probabilmente allora bisogna immaginare che la sirena dell’origine, compresa quella omerica, vada interpretata come uccello in senso stretto, o comunque con particolarità umane poco spiccate che vanno incrementandosi solo in un secondo momento.24

23Ivi, p. 328. Per quanto riguarda la voce σειρά, guardare su P. Chantraine, Dictionnaire

Etymologique de la Langue Grecque, Parigi,Editions Klincksieck, 1984-1999. I problemi riguardanti la possibile etimologia di sirena restano; lo Chantraine ci dice che Σειρήν indica «una specie mezzo uccello e mezza donna, che nell’Odissea attirano con il canto i marinai e ne causano la morte; usato anche in seguito per indicare la donna, la Musa, l’eloquenza; viene in seguito usato anche per una sorta di vespa solitaria, che non vive nello sciame». L’etimologia rimane però oscura: «si può pensare di correlare con σειρά se la sirena era quella che “allaccia a sé, serra a sé”, oppure a σείριος, “il caldo di mezzogiorno”; forse si può essere più vicini alla seconda etimologia, che ci ricollega ai demoni del mezzogiorno e della calma piatta sulla superficie del mare».

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Nel suo saggio The Homeric Sirens Gerald Gresseth propone un’alternativa per la quale, vista la stretta vicinanza raffigurativa che le sirene hanno con altri mostri della mitologia greca (arpie, gorgoni, sfingi) esse vadano considerate già in Omero creature metà donna e metà animale, con ali piantate nel dorso.25

Sempre secondo Gresseth, è verosimile pensare che da un lato la Grecia arcaica abbia importato dal vicino oriente la figura di un essere mostruoso munito di ali, da intendersi come un demone dell’oltretomba pronto a ghermire le anime dei morti, ma anche che fosse già presente nel folklore greco una creatura capace di incantare con la propria voce, presente in racconti molto più antichi dell’Odissea, che portava il nome di sirena; tale nome sarebbe stato poi associato solo in un secondo momento anche al volatile orientale, creando di fatto la frattura nella tradizione che vede da una parte la sirene omerica, dall’altra la sirena guardiana dell’Ade.26 Per Gresseth va sicuramente considerata l’importanza dell’influenza

dell’oriente nella raffigurazione vascolare della sirena, così come la parziale dipendenza dell’epopea omerica da una serie di racconti a noi non pervenuti, che lascerebbero una traccia evidente nella trama.27

Sostenitori di una teoria simile a quella di Gresseth sono Denys Page e Luigia Stella. Il primo in Racconto popolari nell’Odissea richiama le due branche della tradizione che per lungo tempo hanno visto divisa la sirena, ipotizzando però che sia stato lo stesso Omero a rinominare volutamente le sue due ammaliatrici con il

25 G.K. Gresseth, “The Homeric Sirens”, in The Transactions and Proceedings of the American

Philological Association, 101, 1970, pp. 203-218

26 Come si vedrà più dettagliatamente nel paragrafo 3, già nel V secolo autori come Euripide si

rifanno all’iconografia della sirena e al suo statuto di creatura dell’aldilà; l’idea della sirena come animale psicopompo, importata dall’Asia, finirà per prendere piede a tal punto nella cultura greca che molti scultori la raffigureranno anche sui monumenti funebri, come riportato anche nell’Elena.

Anche in Eur. fr. 911 Nauck il tragediografo fa riferimento alle «ali dorate delle sirene», a testimonianza dell’imposizione di questo topos nella tradizione.

27 Tra gli esempi citati, la mancanza di una descrizione della sirena è considerata in parallelo con

una serie di passaggi narrativi i cui presupposti e la cui risoluzione sono in parte consegnati al non detto: si fa riferimento ad esempio al prato in cui stanno le sirene, particolare su cui Omero insiste più volte senza però specificarne la funzione nella storia (XII 45-46), cf. p. 14; Gresseth riporta che anche altre volte nell’Odissea la bonaccia viene introdotta senza un’esplicazione relativa a colui che la causa, vedi V 391-392. La volontà di lasciare taciuta la forma delle sirene risponderebbe allo stesso motivo: accennare ad una serie di racconti popolari che l’audience conosce, senza il bisogno di esplorare nel dettaglio ogni elemento.

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nome derivante dal mito orientale, sfruttando le somiglianze del loro agire in entrambe le leggende (le prime provocano la morte, le secondo sono divinità del mondo dei morti); di conseguenza la creatura dei racconti dell’Asia doveva già essere conosciuta in Grecia prima della stesura dell’Odissea, così come la

sirenaantropomorfa di Omero doveva essere parte di una foltktale ben conosciuta dall’audience, tanto che lo spostamento di nome non avrebbe causato nessun problema alla fruizione della storia.28

Luigia Stella è stata in passato difensore della teoria riguardante una postdatazione dell’Odissea rispetto all’Iliade, motivata dalla diversità di argomenti presenti nei due poemi: l’Iliade, legata direttamente all’orizzonte epico, non sarebbe in alcun modo assimilabile all’Odissea, che innova la

tradizione precedente con una serie di episodi ripresi da racconti popolari greci, esistenti fin dal periodo minoico. Ogni creatura fantastica utilizzata da Omero per gli apologhi dei libri IX-XII sarebbe da ritenersi come il prodotto di un corpus di fiabe e racconti di avventura derivati dall’area egea (popolate da figure presenti in concomitanza nella tradizione del folklore di diverse zone dell’Europa), che solo in un secondo momento avrebbero trovato una loro rielaborazione nel poema e sarebbero state influenzate dall’iconografia e della sirena orientale.29

Ben lungi dall’esaurire il dibattito sull’aspetto delle sirene e dal trovare un punto di contatto, le diverse posizioni riportate sono però concordi nel ritenere la sirena omerica un unicum sia per particolarità narrative (date dalla mancanza di elementi topici nella narrazione), sia per la capacità di creare uno spartiacque nella tradizione greca e in quella mediterranea. Possiamo considerare le sirene come esseri ibridi o antropomorfi, ipotizzare che Omero conoscesse o meno la tradizione orientale o che ne fosse all’oscuro, così come ritenere alcuni episodi dell’Odissea dipendenti da un sostrato di racconti preesistenti: l’importanza del passo omerico resta comunque imprescindibile, sia per la focalizzazione

dell’aspetto del canto melodioso come principale leitmotiv delle successive

28D. Page, Racconti popolari nell'Odissea, trad. ita. di Roberto Velardi, Napoli, Liguori, 1983,

pp. 83-87

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