• Non ci sono risultati.

Capitolo II. Il canto, la tentazione e la morte dell’eroe

3. Le sirene e la femminilità nell’Odissea

3.1 Circe

Personaggio principale del libro X del poema, Circe si differenzia dalle sirene per alcune caratteristiche fondamentali: in primis è inizialmente oppositrice dell’eroe e in seguito diviene invece un’aiutante, tanto che proprio da lei verrà il consiglio su come scansare il pericolo durante l’incontro con le sirene; in

secondo luogo è un personaggio dotato di poteri soprannaturali, ma non

contraddistinto da tratti mostruosi, bensì antropomorfi; infine, esattamente come le sirene, canta, ma questo canto non comporta la morte, ed è invece da intendersi come anticamera di un pericolo che si manifesta tramite somministrazione di un filtro.

Secondo la mitologia, Circe è figlia di Elio e Persa, figlia di Oceano, e sorella di Eeta, re della Colchide e padre di Medea; per quanto non possiamo sapere se la storia fosse nota ad Omero, la sua presenza è già attestata anche nella saga degli Argonauti, che durante il viaggio di ritorno dall’impresa del vello d’oro

73

fanno sosta proprio presso la sua isola.14 Inizialmente viene presentata da

Odisseo ai Feaci come «dea tremenda e canora», δεινὴ θεὸς αὐδήεσσα,

proponendo la genealogia e indicandone la principale qualità, quella di sapere attrarre col canto; l’altro epiteto che viene rivolto a Circe è quello relativo alla bellezza fisica, ἐυπλόκαμος (X 136-139). Le abilità canore di Circe vengono riprese più avanti nel testo, quando Polite sosta coi compagni inviati avanti presso la casa di Circe, circondata da fiere, e sente la voce di Circe che viene da dentro la casa: Κίρκης δ᾽ ἔνδον (…) ἀειδούσης ὀπὶ καλῇ, viene detto della

voce,15 e la maga è intenta a tessere una tela «stupenda e immortale, quali sono le

opere delle dee», ἱστὸν ἐποιχομένης μέγαν ἄμβροτον, οἷα θεάων λεπτά τε καὶ χαρίεντα καὶ ἀγλαὰ ἔργα πέλονται (X 221-223). L’azione di Circe si palesa nel momento in cui invita all’interno del palazzo i compagni e prima li fa sedere su troni, εἷσεν δ᾽ εἰσαγαγοῦσα κατὰ κλισμούς τε θρόνους τε, quindi dà loro da bere vino con cacio, farina e miele mischiati dentro, ἐν δέ σφιν τυρόν τε καὶ ἄλφιτα καὶ μέλι χλωρὸν οἴνῳ Πραμνείῳ ἐκύκα ἀνέμισγε δὲ σίτῳ φάρμακα λύγρ᾽, ἵνα πάγχυ λαθοίατο πατρίδος αἴης e quindi toccandoli con la verga li muta in porci, αὐτὰρ ἐπεὶ δῶκέν τε καὶ ἔκπιον, αὐτίκ᾽ ἔπειτα ῥάβδῳ πεπληγυῖα κατὰ συφεοῖσιν ἐέργνυ (X 233-238). L’incantesimo di Circe quindi si concretizza in tre passaggi fondamentali: il canto per attirare la vittima, l’uso di un φάρμακον per

ottenebrare la mente e fargli scordare la meta, l’uso di una bacchetta per mutare il loro aspetto; il canto quindi diventa solo il passaggio iniziale per arrivare poi in un secondo momento al vero scopo. In un secondo momento il passaggio viene

14 Graves, pp. 559, 671; per Graves Circe è da identificarsi fin da subito come una divinità della

morte, che risiede in un’isola che rappresenta un luogo mortifero; anche i porci sono solitamente animali consacrati alla dea della Morte, e così la trasmutazione dei compagni di Odisseo è seguita dal nutrimento con corniole di Crono, che era il frutto rosso dei morti; Circe, nel mito, possiede anche un cimitero nella Colchide, ombreggiato dai salici che sono alberi cari a Ecate, (Apoll. III 200), e lì i cadaveri degli uomini sono esposti sulle cime degli alberi come

nutrimento per gli uccelli rapaci, dato che per le usanze della Colchide solo le donne vengono sepolte.

Cetrangolo la identifica soltanto come una divinità solare della Grecia, che nel mito viene rappresentata come maga e incantatrice; nell’Odissea è da intendersi come il pericolo della bellezza fisica e della sensualità, p. 763.

15Si noti come la formula ὀπὶ καλῇ sia presente anche in questo caso per descrivere la

percezione che i compagni dell’eroe hanno della voce di Circe; il termine non ritorna successivamente, dopo che l’incantesimo si è spezzato e i compagni sono tornati umani.

74

riportato da Euriloco, unico scampato della spedizione,16 in forma abbreviata,

rimarcando l’inganno del canto, che lui credeva poter essere un δόλος, e,

concordemente con la posizione occupata dal personaggio nella storia, non viene descritto ciò che accade all’interno del palazzo. Una volta che Odisseo si mette in marcia per contrastare la maga e liberare i compagni, l’unico modo per

sopraffarla si palesa in un intervento divino nella persona di Hermes, che gli dona un buon φάρμακον per contrastare quello della maga, e gli espone le modalità con cui potrà in seguito soggiogarla: snudare la spada minacciandola di morte, giacere con lei sul suo letto, e farle promettere che non ordisca più alcun danno contro di lui.17 Il rimedio quindi si sostanzia in un φάρμακον contro un altro

φάρμακον, nell’uso della spada contro la bacchetta della maga e nello

scioglimento di ciò che finalmente, nel testo, si palesa come un θέλξαι (v. 291), un inganno tramite parole che trova il suo compimento in azioni materiali. Guidato dal dio, Odisseo fin da subito può opporre la sua volontà su quella di Circe (una volta avvicinatosi alla casa non sente cantare la dea, ma anzi è lui a richiamarla, ἐβόησα, sorpassando il suo canto con un grido che riecheggia il valore militare dell’eroe), così come poi sarà la spada ad avere ragione della verga della maga. Una volta colta in fallo, Circe non potrà che svelare essa stessa il senso delle sue azioni, ἐθέλχθης (v. 326), per poi giurare di non provocare più danno all’eroe e giacere con lui sul letto; rivela che la sua sconfitta è stata

possibile perché il fato aveva già predisposto l’arrivo di Odisseo e la sua sconfitta (X 327-332), e, dopo aver cambiato le sembianze dei compagni con dei

φάρμακα, questa volta benigni, invita tutto l’equipaggio della nave a sostare nella sua casa per il tempo necessario. Nel corso del soggiorno, Odisseo e i compagni sono assistiti da quattro ninfe, ancelle di Circe, che si premurano di lavarli e vestirli con abiti puliti (vv. 348-359); si rimarca nuovamente la natura

16 Per il cambiamento di narratore vedi cap. I, p. 10 ss.

17Privitera, pp. 158-165; da questo momento in poi, nella narrazione del poema, Odisseo sarà

sempre assistito da un dio o da creature che ne guidano le azioni e lo consigliano; in particolar modo, da Atena, una volta sbarcato ad Itaca, ma in precedenza anche da Ino Leucotea durante la tempesta del libro V. Importante però che, nonostante l’aiuto arrivi dal dio Hermes, Odisseo non diviene mai un seguace del dio, un mago; i suoi valori rimangono quelli di Atena, che è divinità legata all’aspetto razionale.

75

sovrannaturale di Circe, che dispone di creature divine come aiutanti e le mette a disposizione degli ospiti. La sosta dura in tutto un anno intero, ἀλλ᾽ ὅτε δή ῥ᾽ ἐνιαυτὸς ἔην, περὶ δ᾽ ἔτραπον ὧραι (v. 469), al termine del quale sono gli stessi compagni ad esortare l’eroe a riprendere il mare verso la patria.

L’episodio di Circe si rivela dunque come una tappa fondamentale del viaggio, in cui il pericolo sorge dall’ospitalità che può portare al sovvertimento della natura umana e alla perdita del ritorno; Circe è una maga che sfrutta le sue abilità canore e magiche per legare a sé gli uomini, promettendogli piaceri terreni e materiali che però, esattamente come la consumazione del loto, spingono l’uomo all’oblio e al dimenticare la patria. Una volta però che l’eroe, con l’aiuto divino, sovverte il maleficio di Circe contro di lei, può dominare la maga tramite l’atto sessuale, imponendo la sua presenza e mutando quella che doveva essere una sosta infinita in una sosta lunga, ma calcolabile in un tempo finito. Una volta infranto il θέλγειν, l’esortazione di Circe a fermarsi presso la propria dimora diventa una sincera offerta di ospitalità, un moto dell’animo dettato in parte da un destino che l’ha vista sconfitta, ma allo stesso tempo un aiuto che porta al

rinfrancare lo spirito, simile a quando gli uomini partirono da Itaca, ἀλλ᾽ ἄγετ᾽ ἐσθίετε βρώμην καὶ πίνετε οἶνον, εἰς ὅ κεν αὖτις θυμὸν ἐνὶ στήθεσσι λάβητε, οἷον ὅτε πρώτιστον ἐλείπετε πατρίδα γαῖαν τρηχείης Ἰθάκης. νῦν δ᾽ ἀσκελέες καὶ ἄθυμοι (vv. 460-463)

La sosta ad Eea non è completamente priva di effetti per l’eroe, che secondo una parte della tradizione riparte dall’isola solo dopo aver generato con Circe Agrio, Latino e Telegono; proprio l’ultimo dei nati anni dopo, in cerca del padre, approderà ad Itaca credendola Corcira, e ucciderà Odisseo con una lancia

terminante con un aculeo di razza; successivamente sposerà Penelope, mentre Telemaco sposerà Circe, congiungendo i due rami della famiglia.18

76